Valentina Petrillo: perché ha segnato (e segnerà) la storia dello sport e non solo
Ad aver intuito che quella di Valentina Petrillo fosse una storia da film, e che meritasse di essere raccontata, sono stati Christian Leonardo Cristalli, fondatore di Gruppo Trans APS (che ha collaborato alla realizzazione del documentario) e delegato alle politiche trans per la Segreteria nazionale di Arcigay, e Milena Bargiacchi.
Valentina ci ha raccontato: «Mi sono presentata a un incontro di socializzazione del Gruppo Trans di Bologna, in cui ho dichiarato di essere un campione paralimpico di atletica. Fino a quel momento avevo vinto 12 titoli italiani, però non mi sentivo felice. Stavo per abbandonare quel mondo perché non mi sentivo nel mio genere e chiedevo loro aiuto. Abbiamo intrapreso un percorso di documentazione scoprendo che c’era la possibilità di gareggiare come donna grazie a delle linee guida introdotte dal CIO (Comitato Olimpico Internazionale), il resto è nel film». E ci sarebbe da realizzare già un sequel per ciò che è avvenuto dopo la fine delle riprese.
Cosa rappresenta per te il film 5 nanomoli?
È come se avessi usato il cinema per metabolizzare il tutto e, al contempo, documentare qualcosa di storico. Non sapevamo come sarebbe andata a finire perché nel 2018 non c’era nulla, a parte le linee guida del CIO, che però bisognava far mettere in pratica. Nessuno sapeva cosa sarebbe accaduto a un atleta di questo livello facendo una terapia ormonale, col mio allenatore abbiamo notato che abbiamo dovuto cambiare gli allenamenti. Durante l’ultima gara con gli uomini avevo già cominciato la terapia ormonale e dopo 3 mesi ho perso 12 secondi sopra i 18 metri.
Quanto è stato faticoso combattere questa battaglia?
Valentina adesso ha finito il suo percorso (intende sul piano del riconoscimento per lo Stato, nda). Nel 2017 ha vinto Valentina, non ce l’ha fatta più a stare dov’era, voleva emergere. L’avevo dribblata fino ad allora.
Nella vita non si sceglie di essere trans, ma si sceglie il punto fino al quale soffrire
A me è successo all’età di 43 anni; forse la malattia agli occhi (malattia di Stargardt. Quando non aveva ancora compiuto 14 anni ha fatto il suo esordio, nda) ha anche riprogrammato tutta la mia vita perché tanti sogni che avevo non ho potuto realizzarli, ad esempio ero appassionata di auto e sognavo di prendere la patente, ma non ho mai potuto. C’era qualcosa ‘di più importante’ da affrontare in quel momento… nessuno conosceva questa malattia, ho girato il mondo coi miei genitori affinché qualcuno ci desse qualche risposta. Non ce ne diedero e solo nel 2002 è stata individuata a livello genetico. Col tempo sono arrivata a una consapevolezza di me stessa perché non riuscivo più a vivere nell’altro modo e così nel 2018 ho cominciato il percorso legale. Allora ero sposata con una donna, non volevamo divorziare, ma per essere riconosciuta come Valentina ero ‘costretta’ a farlo. La nostra storia dopo è finita. Oggi ho i documenti rettificati, ho subito un processo legale che mi ha portata a essere riconosciuta donna.
La legislazione italiana prevede il passaggio di genere, ma lo si ottiene dopo un processo che si deve intentare nei confronti dello Stato in cui si chiede la rettifica della mia anagrafica
Ho dovuto dimostrare di avere una malattia (termine bruttissimo), presentando una perizia psichiatrica. La legge 180 del 1982 ai tempi era pioniera, adesso non più. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ci ha derubricato solo qualche anno fa dall’essere definite malate mentali.
Nel documentario emerge quanto sia significativo il rapporto con tuo padre...
Papà è stato il primo della famiglia (la madre non c’era più quando ha cominciato la transizione, nda) a chiamarmi Valentina. Un papà maschio che accetta il figlio trans e che ti sostiene… sono già a posto. Mi dice: «Sei il mio orgoglio, vai avanti così», cosa posso volere di più dalla vita? E non tutti i papà sono così.
Ti senti più discriminata come transgender o come ipovedente?
Come transgender. Se prima ero Fabrizio l’ipovedente, adesso sono Valentina la transgender. Tanti non sanno che ho problemi di vista. Ho quinti dovuto portare avanti una doppia battaglia… C’è ancora chi pensa che una persona con un handicap significa che non è capace.
A che punto siamo come sensibilizzazione?
Se sono in autobus, mi guardano sempre tutti, sarà perché sono alta, sono bionda e ho i muscoli alle gambe. In Italia non è sdoganato il ‘fenomeno’ di una persona trans. Siamo molto indietro.
Questa è un’ingiustizia sociale, come riesci a viverla "serenamente"?
È un compromesso tra la vita e la morte. Valentina ce l’ha fatta, forse; tante, troppe non ci arrivano e sono le statistiche a darci l’alto numero di suicidi. A un certo punto l’iter è talmente lungo e complicato, non ci sono le strutture né le persone preparate.
Cosa rappresenta per te la diversità?
Unicità. Siamo tutti diversi e quindi unici. La diversità è vista ancora in senso negativo, ma non dovrebbe essere così. Io, in particolare, me ne sono caricata due di unicità, quindi sono più unica che rara (ha un forte senso dell’ironia, nda).
Sono stata la prima trans nella storia dell’atletica ma probabilmente sarò anche l’unica. Bisogna avere una bella dose di coraggio. La mia fortuna è non vedere i volti della gente
Esiste una differenza di approccio nelle varie zone del nostro Paese?
Ho notato che in Veneto sono più distaccati. Anche se ho origini napoletane, non ho tantissimi feedback, però Napoli è la città del Mediterraneo con il più alto numero di persone trans. Bologna dovrebbe essere più aperta. Probabilmente al Sud si è più indietro come forma mentis.
Pensi che la tua esperienza riuscirà ad aprire le porte ad altri?
Quando non ci sarò più forse sì. Non sono un’attivista LGBTQIA+, non porto la bandiera di nessuno. Questa è la mia storia, credo che possa servire perché ci sono tante persone che soffrono. Non avrei mai creduto che un giorno si sarebbe potuto realizzare il mio sogno di quando ho visto Mennea vincere le Olimpiadi e, quindi, di vestire la maglia azzurra e farlo come donna. La World Athletics mi ha eliminato dallo sport. Abbiamo avuto una finestra di 3 anni e 4 mesi in cui c’è stata la possibilità di gareggiare con le donne come transgender; adesso è stata bloccata. Era stata creata una legge ad personam per me. Ora, politicamente, è sconveniente far gareggiare Valentina nel mondo normodotati; posso farlo in quello paralimpico.
Di cosa hai paura?
Non ho paura di me né di mio figlio né del ruolo di genitore, ma delle persone che circonderanno mio figlio che potrebbero influenzarlo o bullizzarlo per un papà trans. La nuova generazione ha un’altra marcia rispetto alla mia. Purtroppo ci hanno segato le gambe con la non entrata in vigore del DDL Zan; ma confido molto nel futuro. Spero che mio figlio sia orgoglioso di me attraverso i risultati sportivi.
Prossimi obiettivi sportivi e umani?
Conquistare la slot per la 17esima edizione dei Giochi paralimpici estivi (dal 28/08 all’8/09 2024) a Parigi. Il che non garantisce di andare, si guadagna un posto per la Nazionale Italiana, ma un passo alla volta. Questo mi porterebbe a programmare in maniera più serena l’anno. Dal punto di vista umano vorrei avere un po’ più di serenità e spero di poter dedicare più di tempo a mio figlio, che è penalizzato avendo frequentemente gare, spesso lo porto con me. Nel frattempo mi piacerebbe trovare anche un compagno di vita.