“Io sono Viva”, la pasticceria della chef stellata Viviana Varese che aiuta le donne vittime di violenza
Si chiama Io sono Viva, e per la chef stellata Viviana Varese è «un inno alla gioia, all’entusiasmo e alla condivisione». Si tratta infatti di un progetto nato per dare lavoro alle donne vittime di violenza, un’iniziativa tutta al femminile realizzata in collaborazione con Cadmi, la Casa delle donne maltrattate di Milano.
Varese ha deciso di aprire una gelateria artigianale con pasticceria in cui lavorano donne uscite, o che stanno cercando di uscire, dalla spirale della violenza e degli abusi. Consapevole del fatto che una parte integrante e fondamentale del processo è dare a queste donne dignità e indipendenza economica attraverso il lavoro, chef Varese ha inaugurato un primo locale in piazzale Lagosta, nel mercato comunale Isola di Milano, assumendo cinque donne tra i 23 e i 50 anni.
In brigata ci sono anche tre pasticcere che preparano il gelato e i dolci offerti ai clienti. Le nuove dipendenti si stanno preparando con un corso di formazione tenuto dalla chef Ida Brenna, ex sous chef di Varese, e il prossimo passo sarà aprire un’altra gelateria-pasticceria inclusiva in via Kramer: l’inaugurazione è fissata al 7 marzo.
Varese ha deciso inoltre di portare il concetto di “inclusività” anche nel menù, tenendo prezzi moderati per consentire al locale di diventare un presidio virtuoso e un negozio di prossimità per tutti. Una torta da 6-8 porzioni costa circa 28-30 euro, mentre una torta da 10-12 porzioni sale a 50 euro. All’interno del locale ci sono poi croissant, brioche siciliane, pain au chocolat e maritozzi dolci o salati, oltre naturalmente al gelato. Che aiuterà anche Cadmi a portare avanti i suoi progetti, visto che per ogni kg venduto un euro verrà devoluto all’associazione. Abbiamo intervistato chef Varese per farci raccontare l'iniziativa, e anche per affrontare il tema dell'inclusività in cucina.
Chef Varese, Io sono Viva è un progetto che nasce sulla scia di un tema molto dibattuto quando si parla di violenza sulle donne, e cioè quello di fornire anche gli strumenti economici per iniziare una nuova vita. Come si è arrivati a questo risultato?
L’idea è nata durante il lockdown dello scorso anno, interrogandosi sulle prospettive della ristorazione e su che cosa poter fare per le donne che avevano perso il lavoro o per quelle che avevano vissuto situazioni di violenza domestica e per cui fondamentale era riacquistare l’indipendenza economica, la libertà e la dignità attraverso una professione. Così è nata ed è cresciuta l’idea di una gelateria con piccola pasticceria dove formare una squadra femminile.
Come si è arrivati alla composizione della “brigata”, e come hanno reagito le collaboratrici selezionate alla notizia?
Abbiamo selezionato la squadra in collaborazione con Cadmi, la casa delle donne maltrattate di Milano e le persone scelte per iniziare a essere formate insieme al nostro team di pasticceri sono state felici di iniziare questa nuova avventura e di imparare una nuova professione.
Il progetto Io sono viva avrà ulteriori sviluppi?
Il progetto in realtà è nato per aprire un locale in Porta Venezia, sempre a Milano, dove inaugureremo il 7 marzo, per cui abbiamo ricevuto un premio dalla World 50 Best Restaurants ad ottobre 2021. Poi a dicembre siamo stati contattati per un'opportunità in piazzale Lagosta all’interno del Mercato Comunale Isola e così abbiamo aperto prima il punto vendita dell’Isola e apriremo a brevissimo quello di via Kramer. Speriamo ne nasca un vero e proprio format.
Lei è anche un’attivista per i diritti Lgbtq+. La società sembra, pur lentamente, fare passi avanti in termini di accettazione e inclusività, anche se restano pagine deludenti come quella relativa all’affossamento del DDL Zan. Il suo settore, tra i più ostici in questo senso, si sta adeguando, almeno informalmente?
La cucina riflette la società in cui viviamo ed è da sempre un ambiente maschilista e militare come impostazione, io ho sempre cercato invece che la mia cucina fosse un laboratorio sociale, un ambiente aperto dove crescere e confrontarsi e dove la diversità è ricchezza e la creatività si alimenta di questo
Si sta parlando molto della necessità di adeguare il linguaggio in termini di genere e declinazioni per renderlo più inclusivo e meno stereotipato. Si trova d’accordo, anche alla luce del suo mestiere?
Siamo tutti unici e l’inclusività è necessaria se non vogliamo restare indietro, ma oltre al linguaggio dovrebbero cambiare i comportamenti.
Come si riflettono inclusività e accettazione nei suoi ristoranti e nei suoi menù?
Il mio menu è una tavolozza di colori frutto di conoscenza ed esperienza, di viaggi, incontri. Da sempre in sala e in cucina la mia squadra è un mix di lingue, provenienze, generi, orientamenti sessuali, orientamenti politici differenti dove ognuno è se stesso e si sente accolto e accettato per chi è, crescendo come singolo e come gruppo
In quanto donna e in quanto omosessuale l’impressione è che il mondo della cucina sia stato, quantomeno agli inizi, doppiamente ostico. È d’accordo? Ai suoi livelli è ancora così?
Non sono molti gli chef dichiaratamente omosessuali. L’ambiente dell’alta ristorazione è molto maschile e chiuso e quindi ha fatto fatica ad aprirsi alle donne e al diverso, la strada è ancora lunga e difficile come in tutta la società, ma noi abbiamo fiducia nelle nuove generazioni anche in cucina.
Viviana Varese, storia di una chef per cui la diversità è ricchezza
Classe 1974, nata a Salerno, chef Viviana Varese è diventata il volto della cucina inclusiva, e non ha mai fatto mistero dei demoni affrontati per diventare la persona che è oggi. “Diversa” per molti - soprattutto nel suo campo, quello dell’alta cucina, in cui pregiudizi e maschilismo sono all’ordine del giorno - in realtà unica, citando Drusilla Foer sul palco di Sanremo.
Perché chef Varese, per sua stessa ammissione, ha affrontato il razzismo quando dalla Campania è arrivata a Milano, a 7 anni, ma anche il bullismo, di cui è stata vittima in quanto ragazzina obesa, e l’omofobia, per la sua dichiarata omosessualità. La decisione di diventare cuoca quando in cucina di donne ce n’erano ancora poche, ancora meno quelle viste di buon grado, è stata forse l’ultima e più importante battaglia.
Oggi, a 47 anni, chef Varese è la titolare del ristorante stellato Viva di Milano, all'interno di Eataly Smeraldo, e del W Villadorata Country Restaurant a Noto, in Sicilia. Nel mezzo tanti “no” e porte sbarrate, ma anche la realizzazione personale e professionale culminata con la stella Michelin, arrivata nel 2013, e l’apertura dei suoi ristoranti: Alice, nel 2017, diventato dopo un lungo e accurato restyling Viva nel 2014.
Attivista per i diritti LGBTQ+, nel 2021 è stata una dei tre chef premiati con il “Champions of Change” del The World’s 50 Best Restaurants per il suo impegno per l’inclusione sociale e in favore della comunità LGBTQ+. Oltre a lei sono stati premiati Kurt Evans, chef e attivista di Philadelphia impegnato nel sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di porre fine all’incarcerazione di massa, e Deepanker Khosla, chef e proprietario del ristorante Haoma a Bangkok, che durante la pandemia ha trasformato il suo locale in una mensa per le persone in difficoltà.
La chef che si batte per l'ospitalità più inclusiva
«La chef del ristorante stellato Michelin Viva di Milano ha affrontato notevoli ostacoli per entrare nel mondo dell'alta cucina da giovane cuoca - hanno detto gli organizzatori del World’s 50 Best Restaurants - Nonostante sia stata discriminata nel settore della ristorazione perché donna, lesbica e del sud Italia, Varese ha perseverato, ha imparato da autodidatta a cucinare e ha trovato successo con il suo ristorante Alice a Milano, aperto nel 2007. Da allora ha trasformato Alice in un nuovo concetto, Viva, e ha aperto una nuova sede in Sicilia nel 2021, il W Villadorata Country Restaurant, mentre si batteva per un mondo dell'ospitalità più inclusivo».
«Nei suoi ristoranti, Varese pone una forte attenzione all'inclusione del personale indipendentemente da sesso, razza, età o sessualità, favorendo un ambiente in cui tutti sono incoraggiati a essere se stessi. Collaborando con l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ha aiutato a formare e integrare diversi sfollati. Varese cerca anche di lavorare con fornitori che condividono gli stessi valori: i suoi piatti e le sue ceramiche sono realizzati da un'azienda che impiega e sostiene persone con disabilità».