Di tempo ne è passata da quando Alessandro Arcodia ha visto il suo primo video andare virale sui social. Quella volta a essere presa di mira dalla sua sagace ironia era l’applicazione di La 7, con tutte le sue imperfezioni. L’essere uno spettatore assiduo della all news tutta italiana ha aperto ad Alessandro Arcodia una strada del tutto inaspettata: la rete lo ha contattato e, innamorandosi dei suoi contenuti, lo ha invitato a realizzare i backstage di tutti i programmi in palinsesto e non solo.
È continuando a pubblicare contenuti originali che poi Alessandro Arcodia ha attirato l’attenzione di Geppi Cucciari, che lo ha voluto come “inviato speciale” di Splendida cornice, il programma del giovedì sera di Rai 3 in grado di coniugare perfettamente cultura e divertimento senza mai cedere alla banalità. E banalità non è di certo una parola che si può cucire addosso ad Alessandro Arcodia, che giorno dopo giorno ha dimostrato anche di essere un buon autore e conduttore grazie a Incanto, il programma di La 7 in cui parla di social attraverso i video presi dagli stessi social o che, come ci racconta in quest’intervista in esclusiva, gli stessi suoi follower provvedono a inviargli.
Curioso degli orrori metropolitani che lo circondano, Alessandro Arcodia ha più di una vita alle spalle. È stato musicista così come è stato attore, una passione per le arti che da sempre lo accompagna, sin da quando da bambino cresciuto a Ventimiglia sentiva forte il richiamo della vicina Sanremo, popolata come non mai durante la settimana del Festival da ogni tipologia di artista.
Le foto che accompagnano questa intervista sono di Diana Corati.
Intervista esclusiva ad Alessandro Arcodia
“Sono a Barcellona per l’ultimo servizio della seconda edizione di Splendida Cornice: sono stato al museo delle opere censurate, un museo che ha aperto una decina di giorni fa in cui sono esposte opere di vari autori, da Banksy a Picasso e Klimt, che per i loro contenuti sessuali, politici o religiosi, sono state censurate”, è una delle prime cose che Alessandro Arcodia mi rivela quando lo raggiungo telefonicamente. “Il disagio è qualcosa in cui sguazzo”, precisa quando gli spiego che non lo farò parlare delle solite cose che finora gli hanno chiesto nelle varie interviste.
Ma quanto ti diverti a preparare i servizi per il programma di Geppi Cucciari? Anche se poi li si accusa di essere tristi, come nel caso di quello di Firenze, ci sarà sicuramente dietro molto divertimento nello scriverli.
Eh, vivendo in centro a Roma, ho un personalissimo problema con il turismo di massa… Ma mi piace comunque la commistione di elementi da tragedia e commedia: più che tristi, li definirei inquietanti. Mi diverto tantissimo nel realizzare i servizi per Splendida cornice, intanto, perché sono libero di lavorare da solo e questo è un grande vantaggio per me e per come sono fatto. E poi perché ho imparato tante cose che non conoscevo prima: ho studiato l’arte in generale per farmi un’idea su che cosa volevo dire rispetto a quello che vedevo.
Ed essere liberi è già un grande privilegio. Cos’è per te la libertà?
Un buon bilanciamento tra il lavoro e il resto della vita. Libertà è anche avere la possibilità di fare altro, di non essere sempre e continuamente immerso nel lavoro. Non è tanto la libertà di esprimermi o di scegliere i temi di cui parlare, anche se essere lasciati liberi non è per nulla scontato. Non mi piacciono le provocazioni fine a se stesse: quando mi rendo conto che qualcosa che sto scrivendo sta diventando inutilmente controversa o forzatamente provocatoria, mi incazzo da solo.
Qual è stato il tuo percorso prima del famoso video che poi ti ha portato a La 7?
Può sembrare strano ma ho studiato musical: sarei un cantante attore, un mestiere che ho fatto per un po’ di anni con fortune altalenanti. Mi era anche capitate delle esperienze televisive prima di decidere di dedicarmi esclusivamente alla recitazione, ragione che mi ha portato a trasferirmi a Roma dopo aver lasciato la Liguria per vivere prima a Milano e poi a Bologna. Ho scelto Roma forse proprio perché, rispetto a Milano, è una città poco giudicante che ti non ti fa sentire addosso alcun tipo di pressione.
Subito dopo essere arrivato a Roma, ho cominciato a creare contenuti sui social. Ho fatto diversi tentativi senza mai accanirmi, non tanto per inseguire il successo ma per l’esigenza di creare qualcosa di mio. Fino a quando qualcuno di quei contenuti non è andato virale… ma per tanti anni ho, come si dice, mangiato polvere.
Sei originario di Ventimiglia, nel ponente ligure. Cosa ha significato per te giovane ragazzo trasferirti in città che non erano tue?
Bologna, con la sua gentilezza ed espansività, non faceva inizialmente per me. Appena trasferito in città, anche quando scambiavo due parole in un bar, mi sembrava come se mi prendessero in giro: ero troppo avvezzo alla tracotanza e alla leggera antipatia dei liguri.
Considero Milano, invece, una città per me di passaggio: ci ho vissuto comunque sette anni prima di andar via perché mi offriva tutto ciò che mi interessava, tipo il design, la moda o la pubblicità. A un certo punto mi è venuto quasi naturale trasferirmi a Roma, dove comunque vivo fasi altalenanti del mio rapporto con la città. Roma è una città molto complicata in cui vivere: talvolta, rischio un po’ di diventare pazzo ma mi ha dato anche tanto a livello di ispirazione.
Non credo che ci rimarrò per tutta la vita ma intanto ci vivo dal 2017: di mio, preferirei vivere in un posto di medie dimensioni. Da questo punto di vista, Bologna era il mio ideale: non escludo di ritornarci come tutti quelli che una volta finito di studiare lì vorrebbero fare. È una specie di virus!
Sarà il richiamo dei tortellini, no?
Quando vivevo a Bologna, non c’era ancora il turismo di massa di oggi, quello che porta a vedere scritto “Mortadella” e “Tortellini” a ogni angolo: era tutto meno omologato ma rimane ancora una città molto accogliente.
Per quale motivo, hai cominciato da ragazzino a studiare teatro?
Ho sempre avuto dentro di me la voglia di fare e di dare spazio alla creatività. Da piccolo, ad esempio, disegnavo, realizzavo sculture o suonavo: tutte attività che dopo un po’ accantonavo per fare altro. L’unica che non ho lasciato è stata il teatro, che mi ha portato a sostenere vari provini per tutte le accademie possibili: non venivo mai preso perché avevo un difetto di pronuncia, la “s” sibilante che non è stato un problema per la scuola di musical che mi ha accettato. Ovviamente, sono poi andato dal logopedista per correggere la pronuncia e al canto ho preferito la recitazione.
Ti ha causato problemi da bambino avere la “s” sibilante?
Può causare qualche problema, soprattutto se ti chiami come me Alessandro. Ma è curioso come abbia avuto maggiori problemi dopo essere stato dal logopedista e non prima. Dopo mesi passati a eseguire duecentomila esercizi diversi per risolvere la “s” sibilante, c’è stata una fase in cui per ovvie ragioni parlavo in maniera quasi meccanica. Rientrando a scuola dopo la vacanze di Pasqua, chiunque mi prendeva in giro come non aveva mai fatto prima.
Comunque, sì: la “s” sibilante è il classico difetto di pronuncia che solitamente si associa a un personaggio che non ce la può fare: rientra nel cliché del tipo sbadato e nerd. Non è come la “r” moscia che solitamente fa venire in mente chi un po’ se la tira.
Sono stati tanti i contenuti creati con la speranza che qualcuno divenisse virale. Da cosa nasceva il desiderio di rendere virale qualcosa di tuo? Dall’essere in qualche modo definito?
Se nessuno vede i tuoi contenuti, non ha senso che continui a crearli. Se non hai alcuna risposta o feedback, vuol dire che ancora quel tipo di creatività non funzionale. Non nasceva dal desiderio di diventare famoso ma dall’esigenza di avere un’identità forte che poi mi avrebbe dato il potere di fare delle scelte anziché essere scelto. Rientra un po’ nella definizione di libertà di cui sopra: avrei potuto fare scelte che reputavo più aderenti a quello che penso e a ciò che sentivo di essere… l’idea di essere scelto non mi hai mai attirato: non mi è mai interessato assomigliare a qualcosa che c’è già, preferisco tirare fuori qualcosa di originale, di solo mio.
L’originalità era una chiave che sceglievi anche per i tuoi disegni e le tue sculture da bambino?
Disegnavo tantissimi animali… ne ricordo di molto inquietanti, realizzati quando ero molto piccolo. Sono nato nel 1984 e durante la mia infanzia era forte l’eco del disastro di Chernobyl: disegnavo animali con il corpo di uno e la testa di un altro.
Ne hai parlato con il tuo psichiatra?
Di questo, ancora no (ride, ndr). Più che altro, in questo periodo ho bisogno di fare riferimento a un osteopata perché comincio a sentire gli effetti del tempo che passa. Dopo aver imparato a parlare, sto rimparando a camminare dopo aver avuto problemi con il nervo sciatico a causa delle posture orrende che ho assunto per anni. Sono i rischi del mestiere quando passi molto tempo dietro a uno schermo (ride, ndr).
Ti abbiamo anche visto condurre Incanto, un format televisivo su La 7 in cui andavi a pescare i video delle stranezze che si trovano su TikTok. Come ti muovevi nello scegliere i contenuti? Qual è la stranezza che hai trovato e che non hai avuto il coraggio di mostrare in tv?
Escludendo tutto ciò che non si può mostrare in televisione, dalle cose mediche alle più schifose, non c’è niente che non abbiamo mostrato. Tutti i video erano scelti da me insieme alla redazione di La 7 con cui lavoro: i temi venivano fuori dal niente. Ciò che mi incuriosisce di questo lavoro è il ritratto degli italiani che emerge dai social: molte tendenze arrivano dall’estero ma vengono quasi sempre localizzate in maniera originale, come sta accadendo ad esempio per i baby shower in Campania.
In questo modo, il tuo lavoro assume quasi una connotazione antropologica.
Devo dire la verità: ciò che vedo in giro per Roma racconta alla fine la caduta dell’Occidente!
Qual è la sfida più grande nel creare un contenuto che non esiste da contenuti che già esistono?
Mi sono creato ormai un mio metodo di lavoro, quello che reputo più sostenibile per me: raccolgo le immagini che trovo e le salvo in varie cartelle. Quando poi ogni cartella raggiunge un certo numero di contenuti, arriva il momento per me di agire e di creare un video che li racconti a modo mio. Chiaramente, divido in partenza le immagini per temi: non è un lavoro che mi pesa particolarmente o che mi risulta difficile. Da questo punto di vista, ciò che faccio per conto mio è molto meno impegnativo di quello che svolgo per Splendida cornice: lo faccio per me e non per gli altri, non devo concentrarmi necessariamente anche su qualcosa che personalmente non mi interessa.
Subisco il fascino del cringe, ad esempio, e la gente sembra averlo capito. Tutti i giorni ricevo dalle persone immagini su immagini: mi ritrovo la casella di posta intasata di cose orrende, a volte anche impubblicabili. Mi sono ormai creato un universo tutto mio su cui mi viene facile lavorare per raccontare qualcosa di nuovo. Sono fiero delle mie schifezze e dei miei orrori metropolitani (ride, ndr).
Non hai paura di essere considerato una sorta di moralizzatore sociale?
No, perché non giudico. Ho lavorato molto su questo aspetto: all’inizio del mio percorso, proponevo dei contenuti che erano super giudicanti e che quando li vedo mi dico da solo quanto fossi antipatico. Ciò che propongo oggi non sono lezioni sociali, non recrimino nulla: mostro semplicemente quello che ho visto, che tutti abbiamo visto o che tutti vediamo.
La gente comincia a riconoscerti per strada?
È capitato e mi dà una strana sensazione. La gente mi si avvicina ma, dopo aver chiesto la foto di turno, mi mostra qualcosa che ha salvato sul proprio cellulare, un po’ come quando mi scrive. Ma c’è anche chi dopo avermi visto sui social viene a vedermi a teatro: questo mi fa molto piacere.
Mamma e papà cosa ne pensano del tuo lavoro?
Sono contenti, anche perché mi hanno visto veramente battermi tanto per tanto tempo. Non è stato facile per me trovare il mio posto nel mondo e ciò che volevo fare. Ho cambiato idea diverse volte: mi muovevo sempre nello stesso ambiente ma le ho tentate tutte prima di trovare qualcosa di più duraturo in cui mi sentissi realizzato. Al di là del fatto che mi permetta di andare in televisione, sono felice dell’esperienza in Splendida cornice: è una delle poche oasi culturali nella tv generalista con il pregio di mischiare alto e basso, commedia e dramma, cultura e leggerezza.
Cosa ti aspetta adesso?
Un terzo ciclo di Splendida cornice, che dovrebbe riprendere nel 2024. Davanti ho un bel periodo di tempo in cui mi faccio i pezzi miei e prendo quel che viene. Sto anche finendo un podcast per Coop ma dopo ne approfitterò per ricaricarmi e trovare nuova ispirazione.
Ti lascio alla “tua” Barcellona. Ma parli spagnolo?
Un po’ sì. Anche perché nel 2016 ho lavorato per due mesi in Paraguay per uno spettacolo teatrale…