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Alessandro Orrei: “In continua evoluzione per essere felice” – Intervista esclusiva

alessandro orrei
The Wom incontra Alessandro Orrei, il giovane attore beneventano che nella serie tv Mare fuori interpreta Mimmo. E nel conoscere la persona più che il personaggio che porta in scena emerge il ritratto di un giovane uomo “per metà bambino e per metà sensei”, per usare le sue parole.
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In Mare fuori 4, la serie tv Picomedia che dal 14 febbraio debutta su Rai 2 e si conclude in box set su RaiPlay, Alessandro Orrei riprende i panni di Mimmo. Dopo gli eventi drammatici che lo hanno visto tra i protagonisti delle vicende dell’IPM di Napoli, Mimmo è riuscito a lottare con i suoi demoni e a trovare la forza di staccarsi, almeno ci prova, dal mondo criminale, venendo tutta via risucchiato dai piani orditi da donna Wanda.

Tra sofferenza e disperazione, Mimmo è come se vivesse continuamente una doppia vita tra dentro e fuori, come avrà modo di ribadirci anche Alessandro Orrei nel corso di quest’intervista in esclusiva che parte da Mare fuori 4 e va ben oltre. Domanda dopo domanda, entriamo infatti nell’animo di Alessandro Orrei e nel suo mondo artistico che non è fatto solo di Mare fuori: lo vedremo presto nella seconda stagione di Avvocato Malinconico, in un nuovo progetto top secret sempre targato Rai (in cui affronta come tema il disagio mentale) e nel film The End, in cui interpreta un bullo.

Beneventano, classe 1998, Alessandro Orrei a differenza del Mimmo di Mare fuori ha capito sin da piccolo quale strada avrebbe dovuto scegliere tra il bene e il male. E in ciò lo ha aiutato la sua capacità di osservazione, la stessa con cui guardava un’infinità di film e divorava intere filmografie. Non ha realizzato però subito che voleva diventare un attore: lo ha capito da adolescente e da quel momento non si è più fermato puntando a una continua evoluzione che mira alla felicità.

Sincero, schietto e onesto, Alessandro Orrei non skippa nessuna delle domande che gli vengono poste, anche quando queste diventano impervie e affrontano per via della storia di Mimmo in Mare fuori 4 un tema cruciale come quello della violenza contro le donne.

Alessandro Orrei (foto: Alessandro Peruggi; press: Francesco Fusco).
Alessandro Orrei (foto: Alessandro Peruggi; press: Francesco Fusco).

Intervista esclusiva ad Alessandro Orrei

“Pesantuccio, hai usato il termine giusto”, risponde subito Alessandro Orrei quando gli facciamo notare il fardello che porta sulle spalle Mimmo, il suo personaggio, nella serie tv Mare fuori 4. “Ho ormai fatto l’abitudine alla mole di commenti negativi che mi arrivano tra chi confonde persona e personaggio, non capendo che Alessandro si differenzia molto da Mimmo”.

Il tuo Mimmo viene già da un passato non molto piacevole. E già nelle prime puntate di Mare fuori è possibile vedere che tale destino sembra ancora accompagnarlo.

Mimmo è una persona estremamente travagliata perché vive delle situazioni interiori molto contrastanti che finiscono inevitabilmente per riflettersi sulla sua vita esteriore. Per lui, è tutto un casino: si sta finalmente rendendo conto che le azioni che ha commesso in passato e le scelte che ha preso non sono altro che frutto delle idee degli altri. Per la prima volta, si ritrova a ragionare con la sua testa, ha il desiderio di cambiare il corso della sua esistenza ma riuscirci non è semplice: il passato non è cancellabile e ciò fa sì che in lui si inneschi una lotta tra l’uomo che vuole diventare e quello che è stato.

E ciò è evidente quando, in una scena particolarmente cruda e sofferta, si ritrova ad assistere impotente alla missione di vendetta contro il comandante Massimo, di cui ne fa le spese la Consuelo interpretata da Desirée Popper.

Mimmo in quel momento è l’unico che ha pietà di Consuelo e che non partecipa allo scempio in atto. Ancora una volta, pur non volendo vivere una certa situazione, ci si ritrova dentro per colpa delle scelte sbagliate fatte. Ma, da persona nuova e diversa, ragiona ora in maniera differente: inizia a dubitare anche delle persone di cui si fidava prima.

Sta cominciando a discernere il bene dal male.

Il Mimmo del passato, anche quando faceva del male, non era consapevole. Era quella l’unica strada che aveva a disposizione e forse non sapeva nemmeno cosa fosse il bene. Solo ora comincia a intravedere la differenza.

Alessandro Orrei.
Alessandro Orrei.

Quando, invece, Alessandro ha imparato a percepire la differenza tra male e bene?

Forse fin da piccolo. Ho sempre avuto la tendenza a osservare le persone, i loro comportamenti e le loro azioni, e ciò mi ha permesso di sviluppare una sorta di intuito che mi permetteva di capire chi avesse intenzioni positive e chi no. Ed è da allora che ho iniziato a costruirmi un bagaglio di cose ‘buone’ e di cose ‘cattive’. Non è sempre stato facile: crescendo, ho imparato non solo dagli errori dagli altri ma anche dai miei. Tuttavia, quando mi sono ritrovato in situazioni che mi mettevano a un bivio, ho sempre avuto la fortuna di scegliere la strada giusta da prendere.

E la strada giusta è stata quella del sacrificio e non del potere.

La differenza tra le due strade è ciò che in definitiva racconta il personaggio di Mimmo. La sua vita effettivamente era più semplice quando aveva scelto quella sbagliata del potere. Quando invece ha scelto la via del sacrificio, tutto è diventato per lui più complicato ma proprio perché la strada del bene è sempre quella che richiede più rinunce e più sofferenza. Ma la si percorre con lo scopo di rendere migliore non solo la propria vita ma anche quella degli altri.

La sequenza che citavamo prima assume oggi un particolare peso alla luce di tutta la discussione, sacrosanta, sulla violenza contro le donne. Come l’hai affrontata?

Nel leggere la prima volta la sceneggiatura, ho capito immediatamente il peso che avrebbe avuto la scena: avremmo affrontato un argomento che negli ultimi mesi è diventato più che centrale nella discussione pubblica a causa di incresciosi fatti che si susseguono. Ho cercato allora di fare in modo di raccontare dal mio punto di vista quanto possa far male vivere una situazione di quel tipo. E sono felice del risultato raggiunto anche grazie a una collega come Desirée Popper: abbiamo insieme restituito una delle bruttissime verità che ancora oggi accadono. Ci siamo impegnati con tutte le nostre forze per far sì che quel tipo di orrore arrivasse a chiunque: è da ripudiare, combattere e condannare.

E lo abbiamo fatto attraverso delle immagini in grado di sortire un effetto diverso rispetto alla notizia sentita al telegiornale. In molti hanno scritto di non riuscire a vedere quello spezzone di puntata e la spiegazione risiede nel grado di empatia che si crea: diventano testimoni in diretta di ciò che accade ed è diverso dalle emozioni che può generare o suscitare il racconto che ne possono fare terzi. Il vedere è sicuramente molto più potente, impattante e penetrante, del sentire: porta inevitabilmente lo spettatore a immergersi nella situazione e a chiedersi ‘E se lì ci fossi io?’.

Il successo di Mare fuori ha inevitabilmente stravolto la vita di voi attori. È arrivato improvvisamente, cambiando persino i vostri nomi di battesimo con quelli dei personaggi e caricandovi del peso delle aspettative dei tanti fan. Come lo vivi?

Ho imparato a godermelo e a vivermelo bene. Ma inizialmente non era così per via di tutto ciò che comportava, dal peso delle aspettative al giudizio o alla comprensione della storia che si racconta. Ho dopo capito che ciò che ero chiamato a fare da attore era mettere in scena una determinata verità e la verità fondamentalmente è sempre una: quella che tu mostri. Sono dunque ora fiducioso che la gente la capisca e la comprenda e mi sono scrollato di dosso ogni retropensiero. Solo così ho potuto iniziare a vivere meglio il calore dei molti fan che apprezzano il lavoro che ho fatto e la storia che ho raccontato.

Chiaramente la notorietà non è sempre facile da gestire, soprattutto quando arriva con tale impeto improvviso. È stata esplosiva, è andata da zero a cento in pochissimo tempo ma ciò che per me è importante in questi casi è coglierne sempre il lato ‘buono’, pur rimanendo sempre con i piedi per terra. Faccio il mio lavoro proprio perché voglio raccontare storie, uso la telecamera come uno scrittore usa i suoi libri e non per la fama o la celebrità: quelle sono solo il riflesso di un lavoro che sta funzionando.

La tua risposta denota una certa maturità: sicuro di non essere un quarantenne in incognito?

Dentro me sono abbastanza scisso: è come se fossi diviso a metà. Da un lato, c’è un bambino di tre anni con tutta la sua esuberanza. E dall’altro lato c’è un sensei di ottantasei anni con tutta la sua maturità.

Alessandro Orrei.
Alessandro Orrei.

Quando è maturato in te il desiderio di raccontare storie?

Non riesco a stabilire quand’è stato il momento esatto: è nato in me da molto piccolo ma l’ho razionalizzato in me intorno ai sedici o diciassette anni. È allora che ho capito che la recitazione era l’arte che mi avrebbe aiutato a esprimere meglio me stesso o quantomeno a mettere me stesso dentro a una storia.

L’attrazione per il cinema, però, mi accompagna da sempre: non solo guardavo i film ma cercavo anche i backstage da vedere. E, quando scoprivo un attore che mi piaceva, ne divoravo le filmografie. E forse è stato proprio questo a farmi capire che quello doveva essere il mio lavoro.

È stato facile farlo capire ai tuoi genitori?

No, è stato molto complicato. Quando ho ufficializzato in casa la mia decisione, è stato un dramma: non ho trovato accettazione. Tuttavia, ho sempre avuto dei genitori che mi hanno permesso di fare ciò che desideravo, senza mai comunque esagerare, e oggi sono qui, sono stato molto fortunato. In loro sicuramente c’era tantissima preoccupazione e paura per un mestiere come quello dell’attore pieno di imprevisti e precarietà… siamo precari per l’eternità! Era un aspetto che, in tutta sincerità, spaventava anche me ma il desiderio di recitare era molto più forte: mi ci sono dedicato al cento per cento e senza avere piani B. Non ho mai pensato a un’alternativa, avrebbe rischiato di non farmi concentrare su ciò che volevo e dovevo fare.

Concentrando tutte le tue energie, sei riuscito a prenderti le tue soddisfazioni, grandi o piccole che siano. Ma immagino che ci siano dietro grandi sacrifici. Qual è il più grande che hai dovuto affrontare e sopportare?

Senza dubbio, il partire e l’andare a vivere da solo a Roma, privandomi di tantissime cose a partire dagli affetti. L’ho dovuto fare per avvicinarmi sempre di più al mio obiettivo e per studiare, sperimentare e raggiungere comunque persone con le quali oggi lavoro che mi permettono di crescere ulteriormente nel mio ambiente.

Staccarsi dalla propria realtà per abbracciarne un’altra significa ripartire da zero. Cosa ti ha aiutato ad affrontare tutte le difficoltà che comporta?

La passione per il lavoro era sempre il carburante. Più le situazioni erano complesse, più mi davano energia per spingere, per risolverle ed andare avanti. Ritrovarsi da solo e carico di responsabilità mi ha fatto capire che avrei dovuto contare esclusivamente sulle mie forze per evitare di soccombere: se non avessi tirato io fuori le palle, nessuno sarebbe venuto a salvarmi. Spesso si raccontano i primi passi da attore con molta facilità: certo, esistono quelle situazioni in cui tutto accade davvero per caso (la prima regola di questo mondo è che non ci sono regole) ma non è stato così per me.

Ho dovuto passare tanti anni a studiare (e ancora lo faccio, non si finisce mai), a sacrificarmi, a fare determinate scelte anziché altre e ad aspettare. Ho imparato anche il valore della pazienza: l’ho dovuta sviluppare per salvarmi dai momenti bui, dalle attese, dai no e dalle non risposte.

L’attesa è quella che passa anche da una stagione all’altra di una serie tv come Mare fuori. Come si smettono e riprendono i panni di un personaggio da un anno all’altro?

Solo da un anno all’altro? A me di recente è capitata un’esperienza bellissima: ho lavorato su due set contemporaneamente, Mare fuori e Avvocato Malinconico 2. Era molto stimolante cambiare ambiente, compagni di set e regista, ma a livello personale dovevo mantenere dentro i due personaggi, viverli e farli ‘morire’ contemporaneamente. Non potevo portare nulla dell’uno nell’altro ma allo stesso tempo non dovevo dimenticare né chi era l’uno né chi era l’altro.

Qual è la difficoltà maggiore di smettere i panni di Mimmo e poi di riprenderli?

Come si vedrà anche nel corso della quarta stagione, Mimmo vive in uno stato di angoscia e frustrazione che deriva dal suo bisogno di cambiamento, di cui dicevamo prima. Durante i mesi di produzione, sposo chiaramente il suo stato emotivo e provo a mantenerlo anche fuori dal set, tenendo sempre accesa quella fiammella che poi alimenterò in scena. Sospendendo le riprese per poi riprenderle anche un anno dopo comporta però che quella fiammella si sia spenta: hai vissuto nel frattempo altro, la tua vita è andata avanti e riappropriarsi di un certo stato emotivo all’inizio non è semplice.

Alessandro Orrei.
Alessandro Orrei.

Ti vedremo presto su Prime Video in The End, il nuovo film di Luca Fortini che tratta di uno altro tema di spinosa attualità: il bullismo.

Interpreto la parte del bullo e per certi versi è stato buffo oltre che interessante passare da un personaggio come quello di Mimmo, che subisce la vita, a uno come quello di Vincenzo, che invece la complica agli altri. Sono orgoglioso di averlo girato perché mi permette di affrontare il bullismo da una prospettiva molto particolare e di confrontarmi anche con me stesso: non accettavo assolutamente come si comportava il mio personaggio in scena ma non potevo giudicarlo. Era come se fosse un continuo tiro alla fune…

Non ti piacciono di certo le sfide facili.

Più un personaggio è complesso, più mi dà carica e mi permette di mettermi in gioco come attore. Ho sempre un rapporto molto complicato con un certo tipo di personaggi ma sono grato a tali ruoli perché mi danno la possibilità di non identificarmi con nessuno di loro e, quindi, di portare in scena una persona che non sono io.

Parlando di Vincenzo, emerge una certa sensibilità nell’affrontare la questione bullismo.

Da piccolo, ho sofferto di bullismo: ha fatto parte della mia vita, mi ha segnato e mi ha formato. Ovviamente, se potessi eliminare quel periodo, lo farei perché non è stato assolutamente piacevole affrontarlo. Ma dall’altro lato so che averlo vissuto mi ha fatto crescere anche prima degli altri. Il passaggio dall’essere bullizzato al bullizzare per scena è stato molto strano. E paradossalmente per fare tutto ciò che fa Vincenzo mi sono ispirato a ciò che gli altri hanno fatto su di me solo per essere i più piccolo del gruppo, il più indifeso su cui sfogare la propria cattiveria.

Ti è mai capitato di rincontrare negli anni qualcuno di quei bulli?

Sì, mi è capitato. E quando è successo è stato come per un attimo rivivere tutto quello che avevo vissuto per causa loro. Tra l’altro, guardandoli bene mi sono reso conto che erano sì cambiati fisicamente ma che non si erano evoluti come magari ho fatto io negli anni. È come se non si fossero resi conto dei danni che avevano causato con il loro comportamento o come se fingessero che non era mai successo nulla.

Alessandro Orrei.
Alessandro Orrei.

Cos’è oggi per Alessandro Orrei la felicità?

Col tempo ho capito che non è il raggiungimento di uno scopo. Mi rendo conto di essere felice non tanto quando raggiungo un obiettivo ma quando sto lavorando per raggiungerlo. Ho sempre puntato all’evoluzione e al miglioramento, all’essere migliore di quello che ero ieri sia sul lavoro sia come persona: sapere di stare nel processo che contribuisce a tale obiettivo mi fa essere felice. Anche perché, una volta raggiunto un obiettivo, la felicità dura solo qualche istante. Puntare alla continua evoluzione potrebbe farmi sembrare un eterno infelice ma in realtà potrei anche essere felice per sempre.

Quanto pretendi da te stesso?

A volte anche troppo. Il mio errore talvolta è pensare di non essere umano: pensare di fermarmi non mi piace ma talvolta è necessario farlo, tutti abbiamo bisogno di una pausa e di riposo.

Cosa fai quando ti concedi una pausa dal tuo processo di evoluzione?

Faccio un passo indietro e provo a distaccarmi da tutto ciò che sto facendo per concentrarmi solo su ciò che è in mio potere. Spesso e volentieri ci frustriamo perché cerchiamo di cambiare ciò su cui non abbiamo alcun potere: quando mi capita, rallento il ritmo, mi fermo e cerco di rigenerarmi puntando a concentrarmi solo su ciò che posso realmente fare.

Ciò significa inevitabilmente maturare. Quando hai realizzato che stavi diventando un giovane uomo?

Ho cominciato a capirlo quando hanno iniziato a non soddisfarmi le cose che facevo. Avevo all’incirca diciassette anni ma sentivo la necessità di esplorare altro, di muovermi in nuovi ambienti e di fare esperienza di vita positiva. È stato anche in quel momento che è mutato anche il mio rapporto con il sesso femminile: non mi interessava più il solo lato fisico, ero alla ricerca di una ragazza che potesse riempire i miei vuoti a livello emotivo e con cui ci si potesse completare a vicenda in un continuo dare e ricevere.

Ed è cambiato anche il rapporto con il tuo corpo?

Tendo a essere ipercritico nei miei confronti, è qualcosa su cui devo lavorare ancora dentro di me. Sono per l’accettazione di se stessi e dei propri difetti ma, se migliorarmi significa stare meglio con me stesso, perché non dovrei farlo? Accettarsi non vuole non migliorarsi.

Mare fuori 4: Le foto

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