Nel finale della seconda stagione della serie tv di Rai 1 Imma Tataranni, il maresciallo Calogiuri interpretato da Alessio Lapice viene gravemente ferito nell’imboscata che costa la vita al boss Saverio Romaniello. Ed è da quel momento che occorre ripartire per capire cosa è accaduto dopo nella storia. Fino a qualche giorno fa, nessuno spoiler era permesso ma con l’anteprima della prima puntata disponibile su Rai Play e a poche ore dalla messa in onda di Imma Tataranni 3 su Rai 1 possiamo sciogliere ogni riserva: Calogiuri ce l’ha fatta.
Ed è dal suo risveglio dal coma che va incontro a una profonda evoluzione. Non a un cambiamento netto ma sicuramente a un’evoluzione che, come ci ricorda Alessio Lapice nel corso di quest’intervista in esclusiva, è un tratto distintivo dell’animo umano: ci si evolve ma non ci si può esimere da chi si era prima. E, quindi, accanto al Calogiuri più innocente e ai suoi sentimenti per Imma Tataranni prepariamoci a trovare un giovane uomo più deciso, ombroso e dark, alla ricerca di una verità che si maschera con tante forme differenti.
Ciò che stupisce di Alessio Lapice è l’impegno con cui affronta i suoi personaggi. Per molti versi, è come se non li interpretasse: Alessio Lapice si trasforma in chi porta in scena. Ne abbiamo avuto tutti il sospetto ogni volta che lo abbiamo visto sul piccolo e sul grande schermo: ne abbiamo ora la certezza nell’apprendere quanto studio dedica anche a una sola sequenza. Ma non è l’unica verità che scopriamo sulla sua persona.
Sono tanti gli aspetti con cui abbiamo avuto il piacere di parlare con Alessio Lapice, dal suo lavoro alla sua vita privata, dai suoi impegni professionali ai suoi pensieri anche intimi. E ciò che ne viene fuori non è mai banale o scontato: Alessio Lapice sa essere leggero ma ha anche una gravitas che lo rende qualcosa di più che un giovane attore sulla cresta dell’onda.
Intervista esclusiva ad Alessio Lapice
In Imma Tataranni 3, ritroviamo Calogiuri in coma dopo l’imboscata in cui ha perso la vita Romaniello durante il trasferimento. Ovviamente, si risveglia e sappiamo già che per lui tutto diventerà un po’ più complicato: da un lato si ritrova con i ricordi annebbiati mentre dall’altro lato è coinvolto in un’indagine sulla ricostruzione di quanto accaduto che forse riscriverà per sempre ogni relazione.
Visto che finalmente ne possiamo parlare, partirei proprio dalle giornate di lavorazione in cui sono dovuto stare disteso su un lettino ad ascoltare delle conversazioni che possiamo definire emotive. In due momenti diversi, Calogiuri riceve la visita di Imma Tataranni, la sua dottoressa, e di Lamacchia. Dal mio punto di vista, sono stati attimi molto intensi ed è stato emozionante stare ad ascoltare ciò che venivano a raccontarmi mentre intorno c’era un silenzio tombale.
Calogiuri si risveglia in uno stato confusionale, come può accadere a chiunque venga fuori da un coma. Il suo processo di guarigione, per esigenze cinematografiche, viene raccontato in maniera molto veloce attraverso un paio di momenti in cui si mostra la riabilitazione per poi dare nuovo slancio al personaggio.
I buchi di memoria di Calogiuri comportano anche dei momenti di ilarità per lo spettatore ma non per i suoi compagni di avventura: tutti quanti si preoccupano le sue condizioni e perché non ricorda bene quanto è accaduto quel giorno o come è stato ferito. Gli mancano molti pezzi e questo fa sì che sia una mina vagante, con gli altri preoccupati da quello che potrebbe scaturire o che potrebbe lasciarsi scappare di bocca.
In qualche modo, è come se Calogiuri ritornasse “pulito” e asciugasse tutto quel backstage mentale di chiacchiericcio che lo ha accompagnato nelle precedenti stagioni, quel “vorrei ma non posso, che faccio?, che dico? e se faccio male al prossimo?”. Chiaramente, nel corso degli episodi riacquisterà pian piano la memoria ma sarà interessante vedere come sia lui sia Imma Tataranni si studino a vicenda. Imma lo studia per capire cosa Calogiuri ricordi e Calogiuri per sapere se lei è stata del tutto sincera con lui. Del resto, le domande per Calogiuri sono tante, a partire dal “siamo sicuri che quel giorno è stato tutto colpa di una mia negligenza o c’è qualcos’altro dietro?”.
Come ti sei preparato per le scene in cui Calogiuri era in coma?
L’aspetto narrativo del coma è stato per me molto interessante oltre che emozionante perché ho voluto capire e approfondire come si comporta una persona dopo il risveglio dal coma. È vero che non avevo molto tempo narrativo per raccontarlo ma ho voluto in prima persona scandagliare alcuni aspetti, scoprendo delle circostanze interessante. Ho realizzato ad esempio quanto importante sia parlare con una persona in coma: non si spiega ancora bene come e cosa accada ma al risveglio le prime persone riconosciute dal paziente saranno proprio quelle di cui ha sentito la voce e che sono state vicine a lui. Per primi riconoscerà il personale sanitario, scambiandolo per figure familiari.
Come hai già accennato, il risveglio per Calogiuri darà il via a un cambiamento abbastanza deciso.
Diventerà più forte, più nero (se vogliamo dargli un colore), più irruento. Desidera sapere cosa è successo e per tale motivo prende in mano finalmente la situazione, mettendo davanti a tutto la ricerca della verità. Lo abbia visto in passato mettere in secondo piano la sua volontà ma è ora arrivato il momento per lui il momento di mettere in primo piano la verità, sia dal punto di vista lavorativo sia da quello emotivo. Lo vedremo avere confronti più diretti, e vivere alti e bassi (più bassi che alti).
Un cambiamento che anche tu tempo fa in una vecchia intervista ti auguravi…
Esatto. Abbiamo cercato di fare un lavoro sulla sua personalità non indifferente. Abbiamo lavorato sul suo modo di vedere le cose, sul suo essere e persino sul look: sarà meno ordinato e avrà anche una postura diversa. È come se avesse un po’ perso quelle “sovrastrutture” che si era costruito per evitare di essere fuori luogo e fuori posto.
In poche parole, è come se avesse perso la sua innocenza e tirasse fuori, visto che sei napoletano, la sua cazzimma.
Mi sembra un termine calzante, tant’è vero che ci saranno momenti in cui avrà degli scatti e in cui gli si annebbierà la vista. Non dico che diventerà più violento: la sua sarà semmai una violenza contenuta e di tenerezza, nonostante la violenza non sia mai tenera. Ma è il suo modo di rispondere a una violenza che pensa di aver subito: compirà delle scelte precise per arrivare alla verità attraverso tutti i canali possibili a sua disposizione.
Quello che vedrete è il Calogiuri più completo e forse per questo motivo anche il più complesso: si aggiungono nuove sfumature e c’è un’evoluzione che però non cancella quello che è stato. La vera sfida con gli sceneggiatori e i registi è stata quella di cercare di aggiungergli delle sfumature senza mai perdere di vista quelle che già lo caratterizzavano: un essere umano si evolve ma non perde mai ciò che fa parte della sua persona.
La scena in cui Calogiuri rivede dopo il risveglio Imma è una delle più divertenti del primo episodio della terza stagione. Come si fare a rimanere seri su un set come quello di Imma Tataranni?
È complicato. Ricordo, ad esempio, il momento in cui io, Vanessa Scalera e Barbara Ronchi dovevamo girare la nostra prima scena con Kiko Rosati, il regista che insieme a Francesco Amato dirige la serie. Ci è scappata una risata così forte, come mai prima, da non riuscire più a fermarci. Ci siamo dovuti prendere almeno dieci minuti di pausa e scusati con Kiko, che chissà che idea si sarà fatto nel frattempo di noi, che rischiavamo di mandare all’aria tutto l’ordine del giorno.
Il finale della seconda stagione, con lo sparo a Calogiuri, ha sollevato soprattutto sul web un’ondata di protesta generale: nessuno sapeva cosa ne sarebbe stato del maresciallo e del suo amore per Imma. Secondo te, da dove nascono la passione e il tifo per Calogiuri, che dal punto di vista del triangolo sentimentale rappresenta l’antagonista, l’elemento di disturbo?
Viviamo in una società che, in qualsiasi ambito, è sempre pronta a giudicare: anziché ricercare il bello, sembra quasi che tutti ricerchino il pelo nell’uovo per esprimere il proprio parere. Tuttavia, è bene valutare sempre il modo in cui le cose accadono: l’amore di Calogiuri per la sua dottoressa viene perdonato perché è un sentimento talmente sincero e profondo che va ben oltre l’aspetto puramente carnale, fatto di purezza, innocenza e profonda stima per una donna che ritiene quella parte di sé che non riesce a esprimere.
Credo che Imma ricambi il suo sentimento un po’ per lo stesso motivo: ha dovuto lottare tanto per essere com’è ma ha come la sensazione che le manchi sempre qualcosa. Entrambi hanno iniziato il loro percorso da zero e, anche se hanno raggiunto dei risultati, lo zero se lo ritrovano sempre vicino a loro. È inspiegabile come cosa ma quello zero è anche un punto di forza, quello da cui ci si sente di dover ripartire sempre per raggiungere il gradino dell’uno.
In un mondo in cui le relazioni assomigliano sempre più a uno scambio economico, la storia di Imma e Calogiuri è talmente emotiva, umana e piena di sensibilità che viene loro perdonato tutto.
È un sentimento che viene perdonato e su cui non pesa la differenza di età…
L’attenzione all’età è qualcosa non ho ancora capito: è come se si pensasse più al confronto anagrafico che a quello sentimentale, quando invece dovrebbe essere il secondo la chiave di tutto. A Imma e Calogiuri si vuole bene perché sono due persone che, in un mondo così irruento e impulsivo come il nostro, dove nessuno si cura delle sofferenze altrui, sono molto attenti a non ferire nessuno e a non deludere nessuno: mettono il bene del prossimo davanti al proprio. Forse è la ragione per cui non si sono mai dichiarati l’uno all’altra (o, meglio, Calogiuri lo ha fatto) ma vediamo fino a che punto il loro amore resterà platonico… non so come si evolverà la storia: Alessio non era con loro, c’era Calogiuri… dovremmo chiederlo a lui!
Anche perché nel frattempo Alessio Lapice era impegnato altrove… e non solo in Italia.
È vero. Ho girato la primavera scorsa un film, una produzione messicana e spagnola tratta da un libro, che non è ancora uscita al cinema in Messico, Un messicano sulla luna: un’esperienza incredibile. Ho poi lavorato in una produzione italiana targata Wildside con la regia di Marco Martani, Eravamo bambini, che uscirà al cinema per Vision Distribution. E, contemporaneamente a Imma Tataranni, ho girato un’altra serie per Netflix con la regia di Ivan Cotroneo, La vita che volevi: è stata una bella sfida, sia fisica sia emotiva ma sono super grato alle possibilità che mi arrivano. Finché si corre per fare cose belle a cui teniamo si può anche non dormire!
E dimentichi nel novero delle cose fatte Peripheric Love, il film di Luc Walpoth in cui interpreti il ruolo di un prete.
È un film di produzione europea girato per lo più a Torino, dove interpreto un giovane prete, Salvatore, di cui rimane affascinata Maria. In qualche modo, anche Salvatore subisce il suo fascino ma non si arriva mai a consumare qualcosa: il loro è un rapporto caratterizzato da una forte connessione umana che fa nascere dei dubbi in entrambi. Maria aspetta un bambino da un altro uomo, Salvatore per ovvie ragioni non può cedere e, quindi, hanno entrambi la consapevolezza di vivere qualcosa che non è concretizzabile ma è ugualmente amore.
Purtroppo, amore è un termine molto strano per come viene concepito da noi essere umani contemporanei. L’amore di coppia viene considerato come un amore puramente carnale e sessuale, come se il non consumare significasse che non ci sia amore. Mi viene naturale allora chiedermi se tutte le volte che consumiamo siamo sempre innamorati… ovviamente, no. Ci sono dunque molte sfumature dell’amore e una di queste può essere associata a don Salvatore, che tra l’altro è originario della mia Campania. A unirlo a Maria sono più le conversazioni e la sintonia che la consumazione.
Non voglio addentrarmi in questioni teologiche, non è nelle mie capacità ma ho voluto ragionare sull’amore tra i due personaggi, concentrandomi sul bambino che nascerà. Maria aspetta un figlio dal marito che si crede sterile mentre Salvatore, per altre ragioni, non può mai diventare padre. Nessuno di noi pensa solitamente a quest’aspetto: un sacerdote non può andare con una donna ma perché non può diventare padre? Mi piace spogliare i miei personaggi del ruolo che ricoprono e entrare nella loro psiche: perché un uomo dovrebbe rinunciare all’avere un figlio per ragioni esterne a una sua scelta?
Anche in questo caso, dai l’impressione di diventare il personaggio e non di interpretarlo…
Per fortuna, so essere anche molto leggero nella vita ma sul lavoro voglio essere il più completo possibile proprio perché mi appassiona. Ogni volta che interpreto un personaggio, cerco di capirne la forte motivazione che lo muove, altrimenti non riesco a stare in scena: devo sapere qual è la sua necessità, quali sono le sue urgenze, che problemi o sogni ha… tutti gli esseri umani, dal più buono fino al più cattivo, abbiamo un desiderio da concretizzare e per raggiungere quel qualcosa che ci manca dobbiamo superare ostacoli e problemi.
Pensare al desiderio di un figlio mi ha aiutato a capire che psiche avesse don Salvatore: è più facile accettare di non diventare padre per un prete in età matura ma lo è anche per un prete ancora giovane, con mille frecce a disposizione nel suo arco che ha deciso di non usare?
E tu hai già cominciato a pensare all’ipotesi di diventare padre, al desiderio di trasformarti da figlio in genitore?
È una domanda molto complessa ma, a essere onesto, in questo momento non sto pensando di voler avere un bambino. Un figlio ha bisogno davvero di tante attenzioni e ha bisogno che ci siano dei genitori costantemente al suo fianco. È una vita che mettiamo al mondo, non ti ha chiesto di farlo e non ti chiede nulla al di là dello stargli vicino. Io non riuscirei a essere così superficiale: per diventare padre, dovrei avere il tempo necessario per stargli accanto e in quest’istante so di non averlo. Ed è questo che mi frena.
Al di là delle motivazioni personali, ci sono anche altri fattori da prendere in considerazione. In Italia, come nel resto di gran parte d’Europa, c’è un indice di natalità molto basso che tutti imputano a una questione economica ma personalmente non mi fermerei solo a quella: sono tanti altri i fattori che entrano in gioco. Se pensiamo al passato, non è che economicamente stavano messi meglio, eppure esistevano famiglie numerosissime: ci sono state generazioni che hanno vissuto epoche ben più difficili della nostra che però mettevano al mondo tanti figli.
Rispetto al passato, siamo invece oggi molto più coscienti di quante attenzioni abbia bisogno un bambino. Non che prima non ne avesse bisogno ma oggi per stare al mondo un bambino ha bisogno di così tanti strumenti che, se non glieli dai, rimane davvero tanto indietro rispetto agli altri.
Un tempo, dove mangiavano in due, mangiavano anche in quattro (come diceva la saggezza popolare): oggi invece si fa fatica anche a mangiare in due e a trovare gli strumenti necessari. Viviamo in una società in cui l’empatia è uno degli ingredienti indispensabili, in cima a tutti gli altri: ma come la trasmetti a un figlio che non hai tempo di stargli vicino?
Empatia è una bella parola…
Sono tutti alla ricerca dell’empatia sociale ma, come in economia, più si alza la domanda più si abbassa l’offerta. La mia generazione è ancora abbastanza empatica e conosce il significato della parola. Mi preoccupano più i diciottenni, ad esempio, e la loro moda di essere scontrosi: non ho mai capito da dove nasca e perché faccia figo. Così come il girarsi dall’altro lato di fronte anche a problemi sociali enormi quando poi l’altro lato è Instagram…
Sei stato però figlio e a diciassette anni hai scelto di andare via di casa per affermare i tuoi desideri e il tuo sogno di diventare attore, mostrando la tua autoderminazione. Immagino che non poche saranno state le difficoltà, aspetto di cui non parla quasi mai nessuno.
Non ho dimenticato le difficoltà affrontate quando sono andato via di casa. Solitamente non le raccontiamo perché vogliamo infondere coraggio a chi vuol fare la stessa scelta: se gli dicessimo tutto, passerebbe tutto il tragitto che lo separa dalla nuova destinazione a pensarci su e forse gli passerebbe anche la voglia di farlo.
Non dimenticherò mai la prima volta in cui mi sono trasferito a Roma, città in cui vivo da allora. C’ero già stato ma per toccate e fughe ma quella volta è stato molto diverso. Ricordo ancora quel primissimo treno regionale con la borsa piena di cose che solo una mamma può prepararti, soprattutto da mangiare, prima di partire. Il primo pensiero di una madre del sud è che tu mangi… è un nostro punto di forza ma anche un limite: si bada all’essenziale.
Lasciare casa è una delle scelte più difficili che si possano fare ma anche una delle più belle perché ti permette di imparare tutto e di diventare uomo, a partire proprio dalle necessità, dal capire che se non riempi da solo un frigorifero non ci trovi poi nulla quando lo apri: devi farlo tu e non qualcun altro. Andar via di casa da giovani ti asciuga dalle tante nevrosi dell’adolescenza e le priorità diventano altre: capisci che devi dare il massimo nel lavoro, nello studio o in tutto ciò che devi fare, per andare avanti. È difficile e complesso, sono molti i dubbi che si vivono e le domande che ci si pongono a partire dal “ce la farò?” ma occorre pensare “pezzetto per pezzetto”, step by step: non ci sarà una città pronta ad accoglierti perché stava aspettando solo te ma devi costruire la casa mattone per mattone.
Andare via da casa dei genitori è il primo mattone, il secondo sarà capire dove si trovano nella tua zona i supermercati e i negozi, il terzo conoscere un nuovo amico, il quarto firmare il primo contratto… sono tutti mattoncini che pian piano daranno vita alla tua costruzione. Sarà difficile ma è un processo necessario che farà di te a lungo andare una persona che sta costruendo un qualcosa, una casa che non si finisce mai di mettere a punto. Anche perché le difficoltà non finiscono mai e sono direttamente proporzionali alle dimensioni della casa stessa: non è che una casa da duecento metri quadri dà meno problemi di una da trenta… le difficoltà ti accompagneranno sempre ma avrai più consapevolezza e strumenti per affrontarle, ti rincorreranno ma occorrerà non scappare da esse.
Per continuare con la metafora, potrai stare in una casa enorme solo se avrai imparato prima a stare in una casa piccolissima. Ma sempre passo dopo passo: non si salta mai dall’1 al 10 ma si va per ordine, anche se ciò comporta fatica e impegno. È solo attraverso la difficoltà che può nascere la bellezza e il suo valore sarà triplo: che tristezza, invece, quando qualcosa ti viene regalato… rischi di avere una delusione doppia: stai in una casa che non è tua e vivi uno stile di vita che non ti appartiene. La chiave di tutto è ancora una volta l’esperienza, ciò che vivi.
Quali nevrosi hai imparato ad asciugare?
Le nevrosi da adolescenti sono infinite ma sono sempre figlie del dubbio. E il dubbio è qualcosa che puoi scalfire e superare quando arrivano urgenze maggiori. È come se un contadino sistemasse alla perfezione la sua terra e all’improvviso si ritrova a gestire una calamità imprevista: se non ci fosse la minaccia, se ne starebbe a riposare sotto un albero e a pensare a come crescerà il raccolto. E, invece, deve darsi da fare e correre per salvare tutto quanto… è anche uno degli aspetti più belli dello sport: quando sei sotto stress e sotto fatica, il cervello non ce la fa a stare dietro ai tuoi tempi e finisci con il confonderlo.
Per certi versi, anche noi dobbiamo confondere un po’ la vita. Siamo tutti alla ricerca forsennata della verità ma di mio credo che la vita sia tutta una grande menzogna dove ognuno di noi deve essere bravo a esser più sincero degli altri. È una battaglia che non vinceremo mai ma occorre provarci e non rimanere fermi. Anziché del muoverci, dovremmo preoccuparci proprio dello star fermi: l’uomo, come la natura, non è stato pensato per fermarsi.
Vanessa Scalera ha ricordato in conferenza stampa quanto debba a Imma Tataranni. Quanto deve invece Alessio Lapice a Ippazio Calogiuri?
Tantissimo. Mi ha dato la possibilità di farmi apprezzare dal pubblico in un’altra chiave rispetto a come mi conosceva. Avevo già preso parte a progetti importanti come Nato a Casal di Principe o Il primo re ma Calogiuri mi ha permesso di farmi conoscere dal pubblico di massa, se vogliamo. La televisione entra in casa delle persone ed è anche strano, incontrandoti per strada e salutandoti, ti considerino un loro conoscente da tempo: è come se si diventasse parte della loro quotidianità… ed è molto bello.
Come attore, ha arricchito molto il mio percorso. Il mio è un lavoro fatto di tante sfumature: ci sono dei progetti che fai per te stesso, altri per il pubblico e altri ancora per la storia. Ma tutto alla fine si accomuna in un’equazione semplice: è il pubblico che ti tiene in vita e che tiene in vita ogni cosa. Senza di esso non saremmo nessuno.