Confusi, la serie tv di RaiPlay (prodotta da Blu Yazmine) al top delle visualizzazioni della piattaforma, ha segnato una prima volta anche per Alfa. Aveva già scritto una canzone per Sul più bello, titolo diventato cult, ma per Confusi Alfa ha fatto molto di più: si è messo alla prova e ha fatto sua la prima tappa di un percorso che si augura diventerà sempre più presente nella sua vita.
È Alfa stesso nel corso di quest’intervista a rivelarci che in futuro si vede più come compositore di colonne sonore che come cantante. Ma stiano tranquilli i fan: accadrà tra dieci o vent’anni, per ora non c’è fretta. Anche perché, come ogni ragazz* della Generazione Z, una certa ansia per il futuro ce l’ha. La confusione, tipica dei suoi coetanei, è d’obbligo: è uno state of mind a cui nessuno può esimersi e a cui andare contro non serve a molto.
Originario di Genova, Alfa è uno dei cantautori più giovani da tenere sott’occhio. La sua scrittura rifugge ogni banalità e arriva dritta al cuore. Tante sono le canzoni che potremmo citare ma la nostra passione in questo momento è Cinque minuti, il suo ultimo singolo dedicato al più prezioso dei doni che la vita può farci: l’amicizia.
Con Alfa, siamo partiti da Confusi per parlare di molto altro. Lo abbiamo fatto subito dopo la sua partecipazione a Viva Rai 2, il programma di Fiorello in onda su Rai 2 e disponibile su RaiPlay (la puntata in cui è presente è quella del 19 gennaio). Siamo partiti da un “come stai?” e siamo arrivati alla sua vita, alla sua adolescenza e al valore che attribuisce a ogni singolo gesto. E a ogni risposta ci ha spiazzato, motivo per cui da oggi Alfa ci piace ancora di più.
Intervista esclusiva ad Alfa
Che esperienza è stata per te realizzare per intero la tua prima colonna sonora per Confusi?
È stato un grande impegno. Mi ha richiesto tanto tempo ma è qualcosa che volevo sperimentare già da un po’. Avevo già lavorato per una colonna sonora, componendo la canzone originale del film Sul più bello. Nel caso di Confusi, invece, ho potuto realizzare più composizioni e canzoni per tutta la serie. So già o, per lo meno, mi auguro di far solo questo entro dieci o vent’anni: per la mia personalità un po’ ansiogena, metterci la faccia non è semplice, quindi mi fa piacere sperare di poter continuare a lavorare nel mondo delle colonne sonore.
Metterci la faccia ti mette ansia perché ti crea confusione, tanto per rimanere in tema con la serie tv di RaiPlay?
La musica rimane ed è tuttora il miglior amico con cui mi confido. Ho iniziato a far musica per piacere alle persone: ero molto timido e molto bullizzato. Ciò involontariamente mi ha permesso di trasformare la mia passione in musica. Ed è successo tutto in maniera naturale grazie al passaparola online grazie alla mia prima canzone: Cin cin. Da allora non è stato però facile. In molti pensano che sia bellissimo quando una passione si trasforma in lavoro. In realtà ci sono anche dei risvolti negativi.
E li hai superati?
Se li ho risolti? Beh, rifarei tutto da capo altre mille volte.
Hai appena detto che sei stato molto bullizzato. Qual era la ragione?
Ero grassotello, timido e un po’ con la testa tra le nuvole: tutte caratteristiche che mi rendevano un facile bersaglio.
E come ti sei difeso in quegli anni?
Scrivendo e stando zitto, non ho mai risposto agli attacchi. Per me, la vittoria più grande è stata quando chi mi bullizzava mi ha chiesto i biglietti per un mio concerto. Ho elaborato quel periodo però è chiaro che provi tanta rabbia quando convivi con certe situazioni. Per fortuna, ho avuto la musica che mi ha permesso di sfogarla. Anche se, tuttora, a ventidue anni mi rendo conto che ogni tanto ho ancora qualche reminiscenza o riflesso di quell’esperienza.
È quasi pleonastico chiederti quando ti sei sentito confuso o se lo sei tutt’ora.
La confusione è uno state of mind della mia generazione. In una società che corre troppo in fretta, è difficile trovare la propria dimensione. Ma è anche bella come sfida: all’apparenza sembra che abbiamo poco tempo a disposizione quando in realtà abbiamo tutto il mondo del mondo per scoprire, sbagliare e formarci. Quindi, è bello essere confusi, ne vado molto fiero.
Vivi ancora con i tuoi o abiti da solo come i protagonisti di Confusi?
Ho casa a Milano, dove vivo da solo.
E riesci a trovare ordine nella confusione del vivere da solo?
Assolutamente sì. Sono un cantante un po’ atipico: ci tengo molto all’ordine. Ho uno stile di vita decisamente disordinato per il lavoro che faccio, però casa è un riflesso della mia personalità. Ed io sono una persona molto ordinata.
Hai cominciato a suonare chitarra e pianoforte a otto anni. Ricordi cosa ti ha spinto a strimpellare le prime note?
Mia madre. Ci teneva molto a riempirmi il tempo: fai chitarra, fai catechismo, fai pianoforte… Pur non sapendolo, mi ha regalato la mia più grande passione. Ricordo che all’inizio neanche mi piaceva suonare. È classico: quando qualcosa ti viene imposto, non ne capisci mai lo scopo.
E quando è stato il momento in cui hai cominciato a sentire tua la musica?
Al liceo, avevo quindici o sedici anni. Frequentavo il liceo classico.
Il liceo classico prevede una formazione abbastanza rigida e rigorosa. Tant’è che dopo la maturità ti sei iscritto a Medicina, settore regolato da leggi ben precise.
Ho sempre avuto due diversi emisferi tra cui scegliere quale coltivare. Tuttavia, alla prima vista del sangue, sono quasi svenuto e ho capito lì che era meglio fare il cantante.
Uno dei temi trattati da Confusi è l’amicizia con il valore che da sempre la caratterizza. Che valore ha per te l’amicizia anche alla luce del tuo ultimo singolo, Cinque minuti?
L’amicizia è fondamentale. Ti permette di rimanere ancorato alla vita reale, soprattutto quando è sincera. Con il mio lavoro, è facile creare nuove connessioni e nuove amicizie ma rimane sempre una sorta di ombra di dubbio sul perché nascano. Io mi tengo stretti gli amici che ci sono da sempre, quelli con cui abbiamo formato un bel gruppo affiatato.
Cinque minuti è dedicata a un’amica che non c’è più. Il video è stato realizzato lo scorso 27 novembre durante la prima tappa del tuo nuovo tour al Fabrique di Milano. In quell’occasione, hai chiesto ai tuoi fan di portare qualcosa di giallo. Perché?
Perché giallo è il mio colore preferito. Rappresenta la solarità e la positività, qualcosa che non sempre passa attraverso la musica. Dopo due anni di pandemia, presa decisamente male, avevo voglia di portare un po’ di solarità e di normalità anche attraverso piccole cose. Mi faceva piacere.
La canzone, tra l’altro, doveva essere proposta a Sanremo Giovani. Cosa è successo dopo?
Sono stato male il giorno delle selezioni e, quindi, mi hanno squalificato. Diciamo anche che tutt’ora mi girano le scatole per come è andata.
Immagino. Tra l’altro a Sanremo ti saresti ritrovato sullo stesso palco con degli artisti con cui hai anche collaborato.
Seguirò sicuramente il festival, ci sono un sacco di miei amici: Rosa Chemical, Mr Rain e Olly, con cui ho iniziato a fare musica. Umanamente, sono molto contento. Certo, lavorativamente mi sarebbe piaciuto esserci. Ci tenterò il prossimo anno: per fortuna, non sono le Olimpiadi!
E del resto, come dicevamo prima, di tempo ce n’è. Tuttavia, l’ansia e la paura per il futuro sono uno dei tratti predominanti della tua generazione. Hai più dubbi o certezze sul futuro?
Dubbi. Ma navigare nel buio è bello. Mi fa paura essere infelice: è l’unica cosa che spero non accada mai.
Ma perché hai conosciuto l’infelicità o è una paura atavica?
Penso di averla conosciuta, magari non in maniera troppo profonda. Però, naturalmente, voglio evitarla.
Il tuo è ormai un percorso segnato da dischi di platino e da un numero impressionante di persone che ti seguono. Dal tuo punto di vista, cosa apprezzano della tua musica?
Non ne ho idea. Non me lo chiedo più di tanto. E non voglio mai dare chiavi di lettura, sembrerei arrogante. Cerco di rimanere me stesso e provo ad essere per il mio pubblico quell’artista che avrei voluto avere anch’io come riferimento quando avevo sedici anni.
E chi erano ai tempi i tuoi due artisti di riferimento? Li hai poi incontrati?
Jovanotti e Cesare Cremonini, in assoluto loro due. Non so se vorrei incontrarli: è bello lasciare quell’alone di magia ed evitare di portarli sulla terra, di umanizzarli.
A proposito di miti, di recente hai duettato con Cristina D’Avena.
Volo! I Pokémon erano il mio cartone preferito. Oltre che il cartone preferito di qualunque bambino degli anni Novanta. L’idea di prendere in mano la propria vita a dieci anni come Ash e girare il mondo per diventare ciò che vuoi è fighissima.
Sarai quindi rimasto deluso dalla notizia che Ash non sarà più il protagonista delle nuove avventure…
Ci sono rimasto malissimo. Sono arrabbiatissimo. Però, trovo giusto che a un certo punto anche Ash vada in pensione: avrà anche lui la sua età! (ride, ndr).
Chi ti ha invece trasmesso la passione per i film?
Mio fratello. Ho un fratello più grande, ha trent’anni e mi ha attaccato lui la passione per il cinema, i film di Tarantino su tutti. Il cinema e la musica sono due mondi che vanno molto a braccetto.
Abbiamo citato prima il tuo tour, Tra le nuvole. Che emozioni provi quando suoni dal vivo?
Fortissima. Tutta l’emozione che riversi in una canzone ti viene restituita moltiplicata per mille quando la canti di fronte a migliaia di persone. È un qualcosa che ti dà un’energia incredibile. Il motivo per cui faccio musica e voglio fare sempre più musica è dato dal fare i concerti.
Hai tra l’altro dichiarato in più occasioni che per far musica non è necessario avere una storia pesante alle spalle.
No, mi reputo una persona normale. E nella normalità c’è anche qualcosa di speciale.
Nella sigla della serie tv Confusi si parla di messaggi scritti e non inviati. A chi non hai inviato ultimamente un messaggio?
Passo! Anche perché è qualcosa di molto fresco. (ride, ndr).
Quanto è importante invece chiedere “come stai?”?
È molto importante. Bisogna prendersi cure delle emozioni e della salute delle persone. Non costa niente ma fa tantissimo all’altra persona.
E tu a chi chiedi “come stai?” tutti i giorni?
Ai miei genitori e agli amici a cui voglio bene, a quelli che amo di più e desidero stiano bene.
Vivi oggi a Milano. Non ti manca Genova, la tua città?
Molto. Infatti, ci torno spesso. Mi manca soprattutto il mare: a Milano è tutto chiuso, ovunque ti giri c’è un palazzo che chiude la vista.
Senza mare, come si svoltano le giornate no?
Dipende. Guardo qualche serie in tv o scrivo. Non per forza canzoni da pubblicare ma testi che tengo per me.
Stai già lavorando a qualcosa di nuovo?
A un nuovo singolo. Uscirà intorno a marzo. Godiamoci ancora Cinque minuti.