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“Quando per gli altri sei sbagliatə, è un buon segno”: Intervista esclusiva al cantautorə e artista Ali + The Stolen Boy.

Garçon raté è l’album che mostra all’Italia il talento di Ali + The Stolen Boy, cantautorə e artista che grazie alla sua voce e alla sua musica cerca di assemblare i frammenti della sua storia senza etichette.
Nell'articolo:

Ali + The Stolen Boy arriva da Uranus e ha portato sulla Terra il suo album di debutto Garçon raté. Con gli otto brani proposti, Ali + The Stolen Boy si rivela unə artista in grado di trasferire nelle sue canzoni quel vissuto che l’ha segnatə sin dall’infanzia.

La suddivisione binaria tra maschio e femmina è sempre stata stretta ad Ali + The Stolen Boy: di origine pugliese, ha trovato casa in Francia dove la sua famiglia si è trasferita dall’Italia. Ma è difficile stabilire quale sia la casa di Ali + The Stolen Boy, artista in continuo movimento. Ha scelto Parigi ma anche Londra, Lione, Lisbona, lasciandosi nutrire da tutti i suoni che ha incontrato lungo la strada: dall’hip hop alla chanson française, dalla musica popolare pugliese all’electro. Non stupitevi, dunque, se nei suoi brani scovate tracce di taranta, di Nina Simone, di Stromae o di Rosa Balistreri: la musica non ha limiti o etichette, caratteristica sposata dall’artista e da noi condivisa.

Chiamiamo Ali + The Stolen Boy artista perché non è solo unə cantante. Autodidatta, ha studiato poca musica ma in compenso si è lasciato affascinare dalla letteratura, dalle arti visive, dalla recitazione e dalla danza. La musica è performance e, forte di tale assioma, Ali + The Stolen Boy ha un’idea ben chiara di ciò che vuole. E non è presunzione: è semplicemente contatto con se stessə, consapevolezza di ciò che è senza alcun bisogno esterno.

Nel corso di quest’intervista, scoprirete il mondo di Ali + The Stolen Boy. Realizzerete come sia una persona tanto determinata quanto vulnerabile. Il suo percorso, umano e artistico, così come il suo impegno queer e la sua lucida visione del mondo sogno segnati dalla rabbia. Un motore che l’ha spintə e lo sostiene, permettendo la sua entrata in scena, spettacolare ma non vuota di significato.

Ali + The Stolen Boy.
Ali + The Stolen Boy.

INTERVISTA ESCLUSIVA AD ALI + THE STOLEN BOY

Perché hai scelto di chiamarti Ali + The Stolen Boy? Sei unə artistə non binariə. Perché allora hai mantenuto il boy nel tuo nome d’arte?

Ho un tatuaggio sul corpo, fatto tanti anni fa, con scritto “Girl”: lo porto addosso ed è un modo per far sì che gli altri proiettino quell’immagine su di me quando mi guardano e vedono un ragazzo. Fa sì che sia evidente che non mi identifichi nel genere maschile, invece non se ne accorge nessuno.

Ali non è altro che la contrazione del mio nome, Alix, in lingua anglofona. La scelta, invece, di The Stolen Boy è frutto di un percorso un po’ a tappe, un po’ come tante cose che riguardano la mia vita. È nato da un’intuizione, da qualcosa di molto istintivo mentre ero impegnatə in un progetto che stavo facendo con altrз performer in Francia. The Stolen Boy è la proiezione di ciò che cerco di rubare allo sguardo di chi mi guarda: è la presenza che ho sempre accanto, un puro fantasma che si vede solo negli occhi degli altri. È venuto fuori mentre ne parlavo con lз amicз performer, appunto, chiedendomi come poter rendere il fatto che è come se fossimo dellз ladrз.

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Hai alle spalle e continui ad avere un’esperienza quasi nomade. Italia, Francia, Inghilterra, Portogallo: mi spieghi da dove nasce questa tua esigenza di movimento? Non è sinonimo del bisogno di trovare radici prima di tutto dentro te stessə?

Ho cercato per tanti anni di trovare una risposta ma non ci sono riuscitə. È una parte della mia natura che ho accettato: mi annoio molto facilmente, sono estremamente curiosə e ho bisogno di scoprire continuamente cose nuove. Tendenzialmente, c’è una sorta di ciclo emotivo che ho rispettato e che funziona come l’innamoramento totale. Mi innamoro di un posto, ci vado e ci vivo fino a quando, a un certo punto, come in tutte le storie d’amore comincio a vedere i lati negativi e i problemi, cominciando a detestare quel luogo. Ho girato parecchio e a volte anche diverse case all’interno della stessa città!

È come se fosse dettato dal bisogno anche di uscire da me stessə: la mia ispirazione e il mio modo di costruirmi – musicalmente, artisticamente e umanamente – viene sempre dalla relazione che ho con il contesto esterno. Non sono l’artista che sta chiusə in camera a scrivere i suoi testi. Sembra strano ma li scrivo sul telefono mentre sono ad esempio in metropolitana o mentre cammino. Più gente c’è attorno, più i testi mi escono bene: nascono dal dialogo col contesto nel quale sono immersə.

Oltre alla mia natura, lo spostamento è dovuto anche alla storia della mia famiglia. Una parte di essa vive da diverse generazioni in Francia, è emigrata come è accaduto a moltissime persone dalla Puglia. Faceva parte del mio dna. Nella storia collettiva della mia famiglia siamo sempre stati molto nomadi: un altro ramo vive, ad esempio, in Germania e in Polonia. Dentro me probabilmente è rimasto, inconsciamente, un po’ di questo istinto.

Parigi è stata a città in cui sono cresciutə, ho cominciato ad andarci molto presto. Da adolescente, vivevo nella piccola Grenoble ma sognavo la grande città, fino a quando non mi ci sono trasferitə definitivamente.

Tra l’altro, in quello che è considerato il quartiere degli artisti.

Ho trovato lì una situazione molto vantaggiosa, abbordabile. Era in fondo alla via in cui si parla in una canzone dell’album. Una strada chiusa in cui in fondo c’è la casa in cui ha vissuto Dalida e a due passi quella di Van Gogh.

I corsi e ricorsi storici, mi verrebbe da dire. Citi Dalida, un’artista che per certi versi ti somiglia sia per le scelte di vita sia per quelle musicali. Le ha poi pagate e in prima persona, però ha sempre rotto tabù e schemi prefissati. Così come Rosa Balistreri, l’artista siciliana per eccellenza, che scopro essere tra le tue fonti di ispirazione. Un’altra donna che ha vissuto una vita particolarmente complessa.

Rosa Balistreri è una cantautrice legatissima alla sua terra o al suo specifico contesto. Eppure, sebbene qualcosa mi sfugga per via di un dialetto che non conosco, con la sua voce e la sua musica è riuscita a toccare dei temi che andavano oltre la Sicilia stessa. Associo spesso Rosa Balistreri a Violeta Parra: fanno parte di quelle cantautrici che hanno preso una chitarra e hanno cantato contro il potere. E non è un caso che siano state e siano ancora oggi tutte donne: con le dovute differenze di stile e genere musicale, è quello che voglio fare anch’io.

Quello per Rosa è un amore che non si può descrivere razionalmente. Quando sento la sua voce, non posso fare a meno che soffermarmi sul suo modo di cantare, sul suo grido. Il suo è spesso un canto di dolore, che si d’amore o di rabbia.

Fa parte di quella schiera di cantanti che parte da Billie Holiday e arriva fino ad Amy Winehouse.

Mi piace la loro rabbia. Mi piacciono le cantanti incazzate, un po’ come lo era anche Nina Simone. E mi piace che usino la rabbia contro il potere e contro la società. La rabbia è segno di grandissima vulnerabilità e di amore per la vita.

Quanta rabbia c’è dentro di te?

La rabbia per me è un motore, non l’ho mai considerata un sentimento negativo. Per me, è un modo per scoprire le carte in tavola: non mi fido quasi mai delle persone che non si arrabbiano o che non mostrano quel loro lato. Mi porta a pensare che c’è qualcosa che nascondono molto bene e questo mi spaventa. Io gioco invece a carte scoperte, faccio molta fatica a trattenermi. Dipende dalle esperienze di vita che ho avuto e dal carattere. Non saprei dire da dove viene, però, sì, c’è molta rabbia in me: è stato un motore di emancipazione. Quel motore che mi ha fatto cercare l’arte, la cultura e la musica, venendo da un contesto nel quale erano totalmente assenti. Non ho mai avuto in famiglia o tra le persone amiche scrittrici, musicisti o registi.

Sono andatə a cercarmi da solə tutto ciò che mi piaceva fare: la rabbia mi ha portato ad accedere a certi contesti che non avevo a portata di mano. Sono e rimango, però, una persona estremamente timida e vulnerabile, per quanto abbia imparato a nasconderlo abbastanza bene. La società, tuttavia, non è proprio costruita per dare spazio né alla fragilità né alla rabbia.

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Garçon raté non è solo un album. Ha dietro tutto un progetto artistico che include anche un documentario.

Il documentario in realtà non c’entra direttamente con me. Nel senso che non è partito da me ma da Mission Diversity, un programma di Music Innovation Hub, Key Change e PRS Foundation, supportato da YouTube e UN SDG Action Campaign, dedicato alla rappresentazione e valorizzazione delle minoranze di genere all'interno dell'industria musicale. Sono statə unə dellз sei artistз che ha vinto il bando e sono statə seguitə durante l’esperienza di scrittura e di registrazione dell’album.

Quando ti sei invece avvicinatə per la prima volta alla musica?

Ho sempre ascoltato la musica e ha sempre fatto parte della mia vita. A iniziarmi in qualche modo è stata mia nonna: il mio primo ricordo musicale è legato a lei. Ricordo una sua ninna nanna in pugliese (la sentite in Mater Profana, il pezzo che apre l’album), quella che mi cantava da piccolə per farmi addormentare. La cosa divertente, che mi è stata raccontata dopo e che è testimoniata anche da un video, è che mia nonna continuava ad andare avanti per delle ore con la melodia della ninna nanna. Anche se mi ero addormentatə, continuava a parlare con tutti seguendo quel ritmo!

Più in là con gli anni, invece, la musica è stata qualcosa che mi sono andatə a cercare. Ho studiato un po’ di canto ma non troppo. E un po’ di musica: ho seguito per qualche mese un corso di chitarra e poi basta. Ho imparato tutto il resto da solə: mi sono presə una tastiera e ho cominciato a sperimentare in piena autonomia. Sono molto legatə a questa formazione da autodidatta.

Artisticamente, ho percorso delle strade molto diverse. A diciotto anni circa ho praticamente perso la voce per via di esperienze piuttosto traumatiche. Ho avuto come una sorta di rifiuto per la musica, soprattutto per il canto: non ho più cantato per diversi anni. Prima che la musica tornasse nella mia vita, ho fatto teatro e danza, e ho lavorato anche nel cinema. Sono state tutte esperienze che mi hanno permesso di crescere, di lavorare sull’immagine e di far sì che oggi Ali + The Stolen Boy non sia solo un progetto musicale.

Per me, la musica oggi non si ascolta solamente: la si vede anche. Quando scrivo musica, lo faccio pensando ai palchi, all’immagine e al progetto in toto: ascoltiamo sì le canzoni su Spotify ma poi andiamo a sentirle live ai concerti o vediamo le performance su YouTube. Quindi, è fondamentale che dietro alla musica ci sia un progetto di ricerca artistica a 360°: mi piace tradurre in immagini la mia storia.

I testi che compongono il tuo album si prestano a interpretazioni diverse. Penso ad esempio a Garçon raté. Sembra quasi un dialogo tra due persone che possono essere due amantз, genitore e figliə, due amicз.

Garçon raté è una canzone la cui prima versione è stata scritta in pochi minuti. Ho lavorato poi solo sul testo ma la melodia è rimasta pressoché la stessa. È nata di getto, una notte, e mi fa piacere che ognuno possa leggerci un’esperienza che è leggermente diversa a quella che l’ha originata. È effettivamente un dialogo, una sorta di litigata tra due persone.

Parla di tutte quelle persone vicine a noi, che fanno parte della nostra vita e non sconosciute, che possono farci sentire un fallimento o venuti male. Si parla spesso di violenza di genere facendo riferimento alla violenza sociale, quella che viene dagli estranei, da chi non ti conosce. Si parla invece molto meno della violenza soggettiva esercitata da persone che ti vogliono bene e che sono a te vicine: amici, partner, famiglia. Questa forma di violenza può essere molto più perversa e molto più violenta perché ci tocca ancora più in profondità.

L’ho provata in varie situazioni della mia vita e per questo ho deciso di mettere una distanza ed emanciparmi da chi mi vedeva come un fallimento che nella relazione che ci legava. Penso che sia il primo passo da fare per trovare la propria libertà. Quando per gli altri sei sbagliatə, probabilmente è un buon segno: ti spingono a cercare chi sei. Quando unə partner, unə amicə o unə familiarə ti considera un errore probabilmente accade perché sei sulla strada giusta: devi semplicemente voltare pagina e metterli da parte.

Garçon raté è come se fosse collegata con un filo invisibile a Disparu, altro brano in francese presente nell’album.

Disparu era nata come una canzone dai toni leggeri ma è diventata una canzone cupa. Aspetta che unə ex la ascolti: l’ho scritta chiaramente pensando a una persona che è stata molto importante nella mia vita ma che è un po’ scomparsa. È una persona con cui ho condiviso una storia d’amore bellissima e con cui poi, nella vita, ci siamo persi, anche per la volontà di mettere un po’ di distanza tra noi. Abbiamo vissuto una relazione molto bella, molto profonda e molto intensa, ma non siamo più riusciti a trovare un punto di ritorno. È qualcosa per me di inconcepibile.

Musicalmente, Disparu è diventata come un viaggio nella mia ossessione nei confronti di persona diventata più fantasmatica che reale. È una specie di invito a vedersi, a prender qualcosa insieme. Parla d’amore o meglio della tendenza che abbiamo tutti quanti a idealizzarlo. Non è detto che se rivedersi sia la cosa migliore da fare, si potrebbe scoprire che la versione che ci siamo costruiti nella testa non corrisponde al vero.

La tracklist di Garçon raté, l'album di Ali + The Stolen Boy.
La tracklist di Garçon raté, l'album di Ali + The Stolen Boy.

Il terzo brano in francese del disco è Lia X. A chi è dedicato?

Non c’è una persona precisa. La melodia è nata subito mentre il testo è stato uno di quelli a cui ho lavorato molto: ha come avuto bisogno di un suo tempo per scriversi. Lia X è una sorta di lettera che è partita da un’immagine: siamo a Parigi, dove spesso la metropolitana si blocca perché ci sono persone che camminano sui binari. L’ho sempre trovata una situazione molto bella e controcorrente, per quanto faccia incazzare tutti i viaggiatori: chi cammina sui binari non è lì perché vuole suicidarsi ma semplicemente perché vive nei tunnel della metropolitana. Sono scese nei meandri di quelle che sono diventate le loro case. Per tutti, vivono nell’inferno. Ma in realtà l’inferno è quello vissuto da tutti coloro che hanno sempre i minuti contati.

Partendo da quest’immagine, ho costruito una specie di percorso di liberazione, un modo per dire: “Io non ho bisogno di voi che vi considerate salvatori solo perché vivete sopra la metropolitana e pensate che il vostro tempo valga più della vita stessa. Io non ho bisogno di seguire i vostri insegnamenti”. Ed è così che man mano ho realizzato che la canzone stava parlando un po’ di me. Lia X, per chi non se ne è accorto, è l’acronimo di Alix.

“Liberə, non sono solə: il circo di tutti i salvatori è finito”: è un verso che sembra di protesta verso tutti coloro che hanno deciso di sposare una causa con battaglie di facciata solo per sentirsi vincitori o salire sul loro carro.

In generale, non mi piacciono i vincitori. Non li trovo interessanti e li riputo abbastanza noiosi. Il problema è che la storia viene poi scritta dai vincitori. Viviamo in una piena dinamica di assimilazione e di appropriazione per cui i salvatori della patria, che orrenda definizione, diventano coloro che detengono più potere. Non ho mai associato grandi valori positivi ai vincitori ma anche nella vita di tutti i giorni: non mi piace chi si erge a salvatore o pensi di insegnarci qualcosa. Sin da bambinə, ho seguito sempre la stessa regola: non voglio consigli. Non mi interessano, sono una roba orrenda, soprattutto quando non vengono chiesti: perché mi dovete dire voi cosa pensate che sia meglio per me? Lo saprò io se mi lasciate fare anziché mettermi degli ostacoli.

Ali + The Stolen Boy.
Ali + The Stolen Boy.

Sei originario della Puglia, del sud dell’Italia quindi. Pensi che esistano differenze tra Nord e Sud nei processi di accettazione e inclusività?

In Italia, c’è un grande divario tra Nord e Sud, non solo dal punto di vista economico ma anche della mentalità. Ma non è quello che vogliono farci pensare. Assistiamo ancora, purtroppo, a dinamiche che possiamo definire da politiche coloniali e non ho nessuna paura a usare il termine. Tutto il discorso che si fa del Sud arretrato equivale allo stesso discorso che la cultura nazionale francese bianca fa con le sue ex colonie. Non voglio fare l’elogio del Sud ma la mia esperienza quotidiana mi ha permesso di capire che non è sicuramente un posto così arretrato come viene dipinto dal Nord. Mi piacerebbe che ogni tanto si aprisse qualche dibattito sulla cultura italiana per capire quali sono ad esempio i grandi poeti di Cuneo (una città settentrionale come un’altra) o le grandi cantautrici di Aosta.

È come se si sminuisse sempre tutto ciò che viene dal Sud, come se ci fosse da anni una volontà politica di voler sottolineare delle differenze che io non ho mai visto né nella mia infanzia né nelle mie esperienze meridionali. Il Sud è una terra di culture che si sono mescolate da millenni, di contaminazione e di integrazione. Ma anche di inclusività. Pensiamo come, per limitarci alle questioni inerente al genere, la mitologia e la cultura meridionale presentino molte figure di donne transessuali.

Tornando a Garçon raté, il tuo album, mi colpiscono due pezzi che hanno come titolo due coordinate geografiche. Sono entrambi strumentali come Mater profana. Come nascono?

Sono stati pensati già in fase di progettazione dell’album. Era evidente che sarebbe stato un album piuttosto denso a livello musicale, occorrevano delle “pause”.

Mater profana è nato seguendo un’improvvisazione vocale che avevo in testa. È stato registrato senza metronomo. Gli altri due brani, invece, sono frutto di esigenze a livello compositivo. Sentivo il bisogno di transizioni tra le diverse parti del disco, quasi come se si volesse far prendere loro respiro. Non volevo che la mia voce fosse costantemente presente, volevo delle tracce più scarne e, soprattutto, avevo l’esigenza che si mettesse in risalto lo strumento che è presente in tutto il lavoro: l’arpa. La mia formazione musicale a livello emotivo è legata all’arpa. In più, sono particolarmente legatə alla persona che suona lo strumento nel disco: è una mia carissima amica, abbiamo studiato insieme a Parigi. Quando ho cominciato a comporre l’album, per me era chiaro che Livia (Phoebé, ndr) dovesse esserci.

Abbiamo convissuto nella stessa casa. Livia studiava conservatorio e io trascorrevo le ore a guardarla mentre si esercita con l’arpa in una stanzetta piccolissima. Ero totalmente immersə nel suo dell’arpa, che ha sempre attirato il mio immaginario.

L’album rintraccia sicuramente un po’ della mia autobiografia: traccia il mio percorso, dalla mescolanza di stili al mix di lingue. E, quindi, anche le coordinate geografiche hanno la loro importanza. Appartengono a due case nelle quali ho vissuto e che sono cariche di ricordi.

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Garçon raté contiene anche due pezzi in italiano, che sono anche i due singoli finora rilasciati. Partiamo da Uranus: ti senti ancora unə extraterrestre?

Non so come sia per gli altri e le altre, ma io sempre di più! Mi sento come se provenissi da un altro pianeta, non so se Urano o uno immaginario, piuttosto che da un Paese reale o dall’altro. Ho sempre avuto nella mia vita la sensazione di non essere completamente parte della società: è stato qualcosa che in molte circostanze mi ha fatto soffrire. Mi ha però dato la forza di andare avanti e di farmi sentire oggi abbastanza bene. Mi rassicura immaginare che ci sia un altro pianeta in cui vivono altre persone con esperienze altre ma tutte in grado di riecheggiare l’esperienza collettiva. “Veniamo da un altro pianeta ma oramai siamo qui e non ce ne andiamo più”!

Come secondo singolo, hai scelto invece di puntare su Errore del sistema, in un mix di italiano e francese. Come mai?

Ho seguito un percorso di coerenza nel raccontare i pezzi della mia storia. Uranus rappresentava la mia entrata in scena: come dicevo, sono una persona molto timida e vulnerabile, ma per una volta ho voluto che fosse in grande stile, spettacolare. Errore del sistema è invece un pezzo molto epico.

Negli ultimi due anni, ho passato molto più tempo in Italia che in Francia. Ho trascorso qui il periodo anche del lockdown: senza concerti o altro da fare, ho cominciato a pensare a una canzone che nella mia testa doveva essere il pezzo felice dell’album. Quando l’ho scritta, era tutta in maggiore, è finita con l’essere tutta in minore dopo aver cominciato già a registrare un demo ed essere entrato in studio. Non mi convinceva. Ho chiesto un giorno di tempo al mio produttore e l’ho riscritta armonicamente.

È diventata così una canzone molto dark ma dalla matrice ritmica molto forte. Ho voluto che fosse in qualche modo ballabile, nonostante parli di una condizione sfasciata, del periodo in cui stavo a Londra e come il 90% delle persone che vi vivono senza un soldo. Stando lì, vedi e senti chiaramente come a Londra i soldi siano diventati importanti e quanto la città si sia svuotata per lasciare spazio al potere della finanza. E la Brexit non ha fatto altro che accentuare questi aspetti: un sacco di persone ne soffrono le conseguenze.

Errori del sistema racconta di un’esperienza che ho vissuto, non è frutto di finzione. Erano le 05 del mattino e, ubriacə, sono uscitə dal Dalston e ho incontrato un tipo su Kingsland Road. Ha cominciato a parlarmi, non ho ricordi precisissimi. Quando sono tornatə a casa, avevo un beat in testa e ho cominciato a scrivere la canzone. Pensa che qualche giorno dopo non ricordavo nemmeno di averla scritta.

Chiudiamo con la più difficile delle domande. Quanto sei serenə in questo momento?

Non so se la serenità sia proprio un sentimento che mi appartiene. Sono sempre comunque un po’ irrequietə. Sono però felice. Perché? Perché l'album sta andando bene e sta cominciando a vivere nel mondo: è bello come si autodetermina nelle orecchie e nelle vite degli altri.

Garçon raté è il frutto di un lavoro straordinario, di incontri che sono andati esattamente come volevo che andassero. Non c'è emozione più grande che veder uscire un proprio lavoro e sentire che l'hai fatto esattamente come volevi e che non porta nessuna ombra. È stato il frutto di un lavoro eccezionale che ho fatto con Giuliano Pascoe, che ha prodotto tutto l'album e con il quale stiamo già lavorando sul seguito.

Quello con Giuliano è stato un incontro stupendo. La prima volta che lavoravamo insieme si è creata una fusione artistica e umana bellissima. Questo ha riempito tutti di felicità e ci sono tantissime cose in prospettiva. Mi aspetta un anno molto intenso: spero di farcela e di essere all'altezza.

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