Andrea Arru in Eravamo bambini di Marco Martani, che verrà presentato ad Alice nella città (sezione parallela e indipendente della Festa del Cinema di Roma) interpreta Walter, uno dei personaggi principali del film, durante l’estate del 2001, quella che inevitabilmente segnerà la vita di quattro giovani con un tragico fatto di sangue che richiede un conto da pagare vent’anni dopo. A differenza di come lo vediamo nella serie tv Netflix Di4ri, che proprio in questi giorni è sbarcata anche negli Stati Uniti e nel resto del mondo con la sua seconda stagione, Andrea Arru si cala nei panni di un personaggio dai contorni più adulti, forse anche più spavaldo e sanguigno.
Ma Eravamo bambini non è l’unico film che vedrà Andrea Arru, 727 mila follower su TikTok, calcare il red carpet del festival capitolino. Ad attenderlo c’è anche la premiere di Diabolik, chi sei?, il terzo capitolo della saga diretta dai fratelli Manetti dedicato all’eroe dei fumetti creato dalle sorelle Angela e Luciana Giussani. Un impegno non da poco che, per certi versi come lui stesso ci dirà nel corso di quest’intervista in esclusiva, lo riallinea con la sua passione per i fumetti, raccontata anni fa a un divertito Maurizio Costanzo, tra i primi a notare il suo talento. Una passione che avrà modo di esplorare anche nel nuovo progetto in lavorazione, Il migliore dei mali, il film che la mitica Violetta Rocks sta dirigendo dall’omonima graphic novel di cui è autrice con i disegni di Marco Tarquini.
Avevamo già avuto modo di confrontarci con Andrea Arru in occasione dell’uscita più di un anno fa della serie tv Di4ri ma un anno nella vita di un sedicenne è un periodo più che lungo, oltre che complesso, di trasformazione ed evoluzione: si lascia definitivamente l’infanzia alle spalle e si fa largo all’adolescenza che incombe, il preludio all’età adulta che sarà. Ragione per cui l’intervista ad Andrea Arru che segue è molto differente da quelle che trovate in giro, dagli articoli “acchiappa click” o dai post che passano al setaccio la sua vita privata.
Con l’umiltà che da sempre lo caratterizza, Andrea Arru è lontano dall’immagine che certi mass media provano a costruirgli intorno. È un ragazzo che, come tanti altri, fa i conti con la propria identità e con le proprie scelte, consapevoli sin da quando bambino veniva scelto per far da modello a una delle più importanti maison italiane. È ben consapevole di essere un attore e di generare hype intorno al suo nome ma è, soprattutto, un ragazzo della generazione Z alla ricerca del suo posto nel mondo e di un equilibrio con quelle ansie o preoccupazioni che segnano la sua età. Sempre con il sorriso sulle labbra, segno di un ulteriore tratto distintivo che l’accompagna: l’ironia che si trasforma in autoironia, una dote impagabile per chi sa quanto male possa fare prendersi troppo sul serio.
Intervista esclusiva ad Andrea Arru
Partiamo subito da un dato concreto: ti vedremo alla Festa del Cinema di Roma con due film molto differenti: Eravamo bambini e Diabolik – Chi sei?, in cui ti ritrovi a interpretare l’eroe dei fumetti a 12 anni. Che esperienze e che set sono stati?
In realtà i festival sono due. Eravamo Bambini verrà presentato ad “Alice nella Città”, che è associato alla “Festa del Cinema di Roma” ma si occupa, in particolare, delle produzioni realizzate dai e per i giovani e giovanissimi.
Eravamo bambini è un film altamente drammatico, in cui impersono uno dei protagonisti da ragazzino. È una storia del tutto realistica e cruda, in cui ho cercato di utilizzare le mie note drammatiche, quelle a me più congeniali. È un film in concorso che spero sia adeguatamente valorizzato dalla critica oltre che dal pubblico.
Diabolik, chi sei? è la trasposizione di un fumetto di enorme successo, con un cast da capogiro, in cui già essere inseriti è un’emozione pazzesca. Cercare di rappresentare Diabolik adolescente mi ha imposto un lavoro di immedesimazione piuttosto intenso, i cui frutti spero possano essere apprezzati dagli spettatori. Sono quindi state due esperienze diversissime. Entrambe mi hanno arricchito.
Contemporaneamente, Di4ri è approdato su Netflix con la sua seconda stagione, che ancora una volta girerà il mondo. Che effetto ha avuto su di te la popolarità arrivata anche da fuori dei confini nazionali?
Allora… il primo problema è stato (sui social) quello di capire ciò che mi scrivevano ed i commenti che facevano sotto i post in lingue che neppure avevo idea che esistessero! Cliccavo sempre su “vedi traduzione” per capire se erano apprezzamenti o… insulti (ride, ndr).
Scherzi a parte, sono stra-felice dell’onda emotiva di affetto ed interesse da cui sono stato travolto. Cerco di essere sempre disponibile quando per strada mi chiedono selfie o di firmare custodie di smartphone o quaderni. Devo a loro e al loro apprezzamento ciò che ho e che mi dà l’energia per lavorare. È anche una grande responsabilità quella di essere sempre all’altezza delle aspettative.
La tua scheda Imdb riporta otto titoli tra serie tv e film, facendo passare in secondo piano che hai cominciato a lavorare da piccolissimo, soprattutto come modello. Ricordi come hai iniziato e chi ti ha spinto verso quello che sarebbe diventato il lavoro del tuo futuro?
Ho iniziato come modello e per due anni ho fatto solo quello: i miei genitori mai avevano pensato alla recitazione. Accadde che una grande giornalista del Corriere della Sera trovò simpatico raccontare lo strano caso di un bambino nato e cresciuto nella campagna di un piccolo paesino della Sardegna che era stato scelto da Armani come testimonial mondiale per la linea Junior. A seguito del clamore mediatico venni invitato in trasmissione da Maurizio Costanzo e così divenni piuttosto popolare.
Una regista della Scuola Civica di Cinema di Sassari mi chiese di partecipare ad un cortometraggio e … fu amore a prima vista! Recitare era infinitamente più appagante e impegnativo rispetto al posare per delle foto. Seguirono due anni di forsennato studio della dizione e delle diverse tecniche di recitazione, teatrale ma, soprattutto, cinematografica. La mia fortuna è stata quella di trovare un coach incredibile (in Sardegna) che mi ha insegnato i fondamenti del metodo Strasberg. Il resto credo sia noto.
Che ricordi hai dei primi set? Avevi la pazienza di resistere davanti all’obiettivo o di ripetere i ciak più di una volta?
Subito dopo il mio esordio assoluto nel cortometraggio della Scuola di Cinema di Sassari, in cui sono stato molto indulgenti con me, ho vinto un provino per interpretare un bambino indemoniato in un cortometraggio horror, in cui mi sottoponevo ogni giorno ad un’ora e mezza di trucco con lenti a contatto che mi rendevano l’occhio completamente bianco, coprendo l’iride. Dovevamo essere sul set alle 5 e mezza del mattino per avere, come diceva il regista, “la luce giusta” e ripetere le scene numerose volte, sia per cambiare le inquadrature sia per gli errori che si facevano. Ma era nulla per me di fronte alla gioia e l’emozione fortissima che mi dava l’adrenalina del set. Ho pianto a dirotto alla fine delle riprese, avrei voluto che non finisse mai.
Io e te ci siamo già incrociati per un’intervista prima della release di Di4ri. In quel momento, qualcosa in te cominciava a cambiare: lasciavi l’infanzia per entrare nell’adolescenza. Hai vissuto serenamente quella fase di crescita? Cos’è cambiato fondamentalmente in te?
Ho vissuto, come molti penso, una crisi importante. No, non si è sereni, per niente. Mi sentivo turbato e insicuro, anche se non lo avrei ammesso mai. Ci sono stati pesanti conflitti con i miei genitori e gli insegnanti, di cui ho messo in dubbio l’autorità, spinto dalla volontà di decidere io cosa fare e quando farlo, dall’incapacità di aspettare. Volevo tutto e subito. Ora ho guadagnato un maggiore equilibrio ma non è stato semplice, neppure nella vita sentimentale. Di certo ora ho le idee molto chiare su ciò che desidero per il mio futuro.
Senti sulle spalle il peso di una vita tra ciak, scuola, aerei e fogli di giornali, per citare il caro Tiziano Ferro?
Si, in certi momenti può essere dura, vorrei rendermi invisibile per strada, avere più tempo per gli amici, la moto, le feste, ma non cambierei la mia vita con un’altra. So che il mio rifugio è tornare nel mio paese, dai nonni e dagli amici sinceri, che mi aspettano sempre e mi fanno sentire “normale”.
Cosa hai pensato la prima volta che su internet ci si chiedeva chi fosse la tua fidanzata?
Ah beh, questa cosa succede sempre! Mi attribuiscono fidanzamenti con colleghe attrici che in realtà sono buone amiche. Pochi giorni fa, per una foto su Instagram in cui mia madre mi abbracciava da dietro e di cui non si vedeva il viso, è successo un putiferio online. Da morire dal ridere!! Mi rendo conto che è un prezzo da pagare alla popolarità, fa parte del gioco.
Che rapporto hai oggi con il tuo corpo in cambiamento? Fisicamente, si avvertono i primi segni dell’uomo che sarai.
Guardo le mie foto di due anni fa e in effetti stento io stesso a riconoscermi. Non tanto nel viso, che, a parte la crescita di barba e baffi e la mascella che appare più da uomo, è rimasto più o meno simile, ma nel corpo, che è cambiato molto, in altezza e nella struttura fisica. Mi sono ritrovato in un corpo … di due misure più grande! (ride, ndr). Non mi dispiace, mi ci sto abituando.
Quale parte del tuo corpo apprezzi maggiormente e quale no? Perché?
Allora… la mia faccia mi piace, mamma ritengo abbia fatto un lavoro accettabile, mentre sul fisico ho appena iniziato a lavorare. Devo aumentare di peso ed irrobustirmi con la palestra e l’allenamento di MMA che ho iniziato a fare.
Bellezza e bravura nel tuo caso coincidono. Quant’è l’ansia di dimostrare che fai questo lavoro per meriti artistici e non per l’aspetto esteriore?
Ehhh… sei troppo buono! Il cinema è, da sempre, pieno di bei ragazzi. Avere un aspetto fisico che riscuote successo è un’arma a doppio taglio: sei meno adatto per i ruoli comici rispetto a chi ha caratteri fisici più buffi e marcati e, soprattutto, devi dimostrare che non sei bello e cretino ma sai recitare bene.
Desidero avere ruoli difficili da interpretare, magari lontani dal mio modo di essere per cercare di dare il meglio di me e mettermi alla prova. Cerco un regista molto esigente! (ride, ndr).
Com’è essere un figlio attore? È facile coniugare vita familiare (o, comunque, privata) con un lavoro che ti porta lontano da casa? Che ruolo hanno giocato i tuoi genitori nelle tue scelte e che rapporto hai oggi con loro?
Beh … sono stato generato con il solito metodo tradizionale, proprio come ogni altro bambino (ride, ndr)! Diciamo che, almeno come ragazzo sardo, in cui il cinema appare una cosa lontana e astratta, mi sono sentito piuttosto strano e anomalo rispetto al contesto. Ma ci ho fatto l’abitudine. Non è facile per nulla conciliare la scuola, il lavoro e la vita privata, e mi ha creato diversi problemi, in particolare con la scuola pubblica (infatti, ora, sono privatista). Bisogna considerare che recitare mi porta lontano da casa per molti mesi all’anno e devo studiare là dove mi trovo, come un ragazzo nomade. I miei genitori mi hanno sempre sostenuto. Non ce l’avrei mai fatta senza il loro appoggio. Sapevano che era il mio sogno e … lo hanno reso possibile! Voglio loro un gran bene!
Quando si guarda una tua immagine, si rimane colpiti dal volto quasi angelico. Avrai anche un difetto: raccontacelo.
(Scoppia a ridere, ndr). Dovresti chiedere ai miei genitori se sono un angelo! Non gli ho reso la vita molto facile. Sono pieno di difetti, ma in fondo so di essere un buono, anche se testardo come un mulo sardo forse. Ecco, questo.
Appartieni alla generazione dei millennials (mio lapsus, ndr). Quali sono i valori in cui maggiormente riponi fiducia? Che peso ha per te l’accettazione degli altri? E tu ti sei sempre accettato?
Nooo!! I millennials sono dei vecchietti (non smette di ridere, ndr): io appartengo alla Generazione Z, quella successiva. I nostri valori? La libertà, di fare e di essere. L’eguaglianza e la non discriminazione. Il rispetto del diritto all’identità sessuale. La pace. Siamo portati all'individualismo. Ciò che si fa è più importante di ciò che si è per riuscire nei propri progetti.
Hai mai avvertito la mancanza di una vita “normale”, da comune adolescente e non da star? Non hai mai pensato di aver bruciato le tappe in fretta?
Non posso rimpiangere ciò che non ho mai provato direttamente. La mia vita mi piace e ho imparato a ritagliarmi comunque i miei spazi. Quando torno a Ploaghe, il mio paese, vivo la vita di un qualsiasi mio amico. Per loro sono sempre lo stesso. Si, le tappe probabilmente le ho bruciate. Nella prossima vita andrò più piano (ride, ndr)! In realtà non ho avuto molta scelta. Se un treno passa non è che puoi dirgli “ora non mi va, ripassa più tardi”. Se lo perdi, lo perdi e sei fregato.
A chi devi dire grazie per l’attore, richiestissimo, che sei diventato? Qual è a oggi il regista con cui ti piacerebbe lavorare?
Sicuramente metto per primi i miei genitori e i miei nonni, senza di loro sarebbe stato impossibile. Poi è stato fondamentale avere Simone (Santercole) come agente. Ci vogliamo un gran bene, mi stima e mi difende dalle insidie del mestiere. Crede molto in me e gliene sono grato. Ho avuto la fortuna di avere dei registi eccellenti. Tutti. E da ciascuno ho imparato. Ripeto: vorrei un regista molto esigente che mi metta alla prova su scene difficili, in cui debba impegnarmi a fondo. Per crescere. Non faccio nomi nemmeno sotto tortura!
Sei in questi giorni sul set. E so che ti accompagna nonno. Crescendo, è cambiato il rapporto con le tue origini sarde?
Si, sto iniziando per il mio nuovo film un tour con nonno Mario in varie regioni italiane, su vari set. Con mio nonno c’è un rapporto davvero speciale da sempre. Le mie origini sarde sono ben salde dentro di me, e ne sono orgoglioso, anche se sono un misto genetico di una nonna siciliana, l’altra ciociara e i nonni sardi. La Sardegna ce l’ho nel cuore e sarà sempre così.
Sono cambiati i tuoi interessi rispetto a due anni fa?
Considero sempre Messi il più grande giocatore del mondo, amo stare con gli amici sia in Sardegna che fuori, amo la mia moto e mi piace andare in discoteca e, ovviamente, le ragazze che ci stanno dentro (ride, ndr)! No. Direi che non sono troppo cambiati in fondo. E soprattutto continuo ad amare il mio lavoro!
In una vecchia intervista da piccolo, raccontavi che il tuo sogno era diventare un attore e un fumettista. Uno lo stai realizzando. L’altro?
L’altro … diciamo che ho trovato il modo, grazie al progetto in corso, di … dare vita ad un fumetto. Ma poi lo avevo già fatto con Diabolik no??
Cosa vuol dire per te recitare?
È, semplicemente, la mia vita. Mi dicono sempre: “devi avere un piano B”. Nel mio piano B, c’è scritto “vedasi Piano A”. L’ascensore si è rotto e le scale non ci sono. Esiste un unico piano!
Quasi 500 mila followers su Instagram: fanno paura? Che rapporto hai con i social?
Non pubblico moltissimo. Ma sono presentissimo su Instagram e TikTok soprattutto grazie ai ragazzi e alle ragazze che mi seguono e hanno creato non saprei dire quante fanpages. Da ciò che leggo, per fortuna, la stragrande maggioranza mi apprezza e mi vuol bene. È evidente che non si può piacere a tutti, ma va bene così.