Protagonista del film Io e il Secco, al cinema dal 23 maggio con EuroPictures, a fianco del piccolo Francesco Lombardo è Andrea Lattanzi. Attore romano poliedrico e appassionato, Andrea Lattanzi è noto per il suo impegno in progetti di grande spessore, rifiutando le scorciatoie dei social e dell’apparenza. In un mondo in cui molti inseguono il successo facile, Andrea Lattanzi si distingue per la sua dedizione al mestiere dell’attore: “Faccio questo lavoro perché lo amo”, afferma con convinzione, “alcuni lo fanno semplicemente perché aspirano ai soldi, ai like e al successo, cose di cui a me importa poco: morirei anche povero pur di continuare sempre ad accettare proposte autoriali.”
Io e il Secco, diretto da Gianluca Santoni e con Barbara Ronchi, Andrea Sartoretti e Swamy Rotolo, lo vede protagonista in un ruolo complesso che combina dramma e commedia. Andrea Lattanzi interpreta Secco, uno sbandato con disperato bisogno di soldi che si trova coinvolto in un’avventura inaspettata con Denni, un bambino che cerca di salvare sua madre dalla violenza del padre. Il film, prodotto da NightSwim con Rai Cinema, ha già ricevuto numerosi riconoscimenti ed esplora temi profondi come la violenza domestica, l'amicizia e la ricerca di un senso di appartenenza.
Andrea Lattanzi, in questa nostra intervista in esclusiva, racconta come è stato attratto dal progetto grazie alla profondità della sceneggiatura e alla possibilità di lavorare con un bambino, un'esperienza che aveva sempre desiderato. Sebbene inizialmente avesse delle riserve riguardo al personaggio di Secco, soprattutto per la richiesta di usare un accento romagnolo che non avrebbe potuto padroneggiare in breve tempo, il dialogo con il regista ha portato a una soluzione soddisfacente. “Ho espresso i miei dubbi a Gianluca Santoni, che mi è venuto incontro trovando una soluzione”, spiega Andrea, sottolineando l'importanza della collaborazione creativa.
La carriera di Andrea Lattanzi, tuttavia, non è stata priva di difficoltà. Non provenendo da una famiglia del settore, ha dovuto farsi strada con determinazione e duro lavoro, frequentando corsi e seminari per migliorare il suo talento. La sua dedizione ha portato i suoi frutti con il ruolo in Manuel, il suo primo film da protagonista, che ha aperto le porte a nuove opportunità. Tuttavia, Andrea è consapevole delle sfide che ancora affronta nel settore cinematografico italiano, dove il riconoscimento del talento spesso tarda ad arrivare. “Tutto ciò di cui avrei bisogno in questo momento è ricevere un riconoscimento del mio talento”, riflette Andrea, “qualcuno che mi dica che lavoro bene, perché mi darebbe la voglia di andare avanti e di non demordere”.
Ma, nonostante le difficoltà, Andrea Lattanzi continua a perseguire il suo sogno con passione e determinazione. La sua carriera, ancora in evoluzione, è un esempio di come il talento e la dedizione possano portare a risultati straordinari, anche senza seguire le vie più facili e immediate. Andrea Lattanzi non è solo un attore, ma un artista che cerca costantemente di crescere e di esplorare nuove dimensioni della sua arte, con un forte impegno verso l'autenticità, l'eccellenza e, soprattutto, la verità.
Intervista esclusiva ad Andrea Lattanzi
“Faccio questo lavoro perché lo amo”, risponde subito Andrea Lattanzi quando gli faccio notare come abbia quasi sempre preso parte a progetti di una certa caratura rifuggendo la via facile dei social o dell’apparenza a tutti i costi. “Senza giudicare nessuno, alcuni lo fanno semplicemente perché aspirano ai soldi, ai like e al successo, cose di cui a me importa poco: morirei anche povero pur di continuare ad accettare sempre proposte autoriali. Chiaramente, come in ogni campo, ci si deve anche rapportare con le esigenze lavorative e accettare qualche compromesso: c’è poi il rischio di non lavorare più”.
Ti ritroviamo ora protagonista al cinema di Io e il Secco. Cosa racconta la storia dal tuo punto di vista?
È la storia di un Denni, un bambino taciturno ma dotato di immaginazione alla disperata ricerca di aiuto per quello che vive in casa per mano del padre. Crede di trovare quell’aiuto in Secco, interpretato da me, che ai suoi occhi è una sorta di supereroe, un super killer che nella realtà di super killer non ha nulla. Per capire il legame che si instaura tra i due, uso le parole che ho sentito da Andrea Sartoretti, il padre di Denni, in un’intervista: quella di Io e il Secco è una sorta di storia tra un Pinocchio e un Lucignolo.
Il Lucignolo della situazione è ovviamente Secco, un giovane che però d’altra parte ha tanti altri problemi con cui confrontarsi: sarebbe disposto ad aggrapparsi a qualsiasi cosa pur di avere un posto nel mondo e di essere considerato… non ha un suo spazio, è boicottato da tutti e non riesce a farsi capire, ragione per cui trova in Denni il compagno ideale per la fantastica avventura che vivranno. Sì, perché Io e il Secco non parla solo di violenza domestica ma anche di amicizia, di formazione e di crescita personale che entrambi affronteranno.
Cosa ti ha portato a dire di sì una volta letta la sceneggiatura?
Quando l’ho letta, mi è subito piaciuta perché era scritta benissimo, anche se avevo qualche dubbio sul personaggio di Secco.
Il primo nasceva perché, originariamente, Secco avrebbe dovuto parlare con un marcato accento romagnolo. Tuttavia, le tempistiche tutte italiane di lavorazione non mi avrebbero permesso di approfondire in un solo mese un dialetto che non conoscevo e, soprattutto, lontano da me: ne sarebbe venuta fuori una versione caricaturale che non mi apparteneva. Sono cresciuto tra Roma e la Calabria, padroneggio tutti gli accenti del Sud Italia per quelli dalla capitale in su ho bisogno di studio e approfondimento, qualcosa che in un mese non si sarebbe potuto risolvere. Ho allora espresso i miei dubbi a Gianluca Santoni, regista e sceneggiatore, che mi è venuto incontro e ha trovato una soluzione.
Il secondo dubbio, invece, era legato proprio alla natura del personaggio. Ero un po’ titubante all’idea di ripetere ancora una volta il personaggio del ragazzo di periferia. Al cinema o in tv se ne vedono già tanti e io stesso avevo comunque già in passato interpretato personaggi ‘periferici’. Avevo dunque il terrore di rimanere imbrigliato in una conca dalla quale poi uscire sarebbe complicato. Ma, ragionandoci sopra, ho superato le perplessità perché fondamentalmente ero innamorato della storia, insolita rispetto a quelle che solitamente propongono a noi attori per il nostro mercato.
Ma il mio sì è stato dettato anche da un altro fattore: era da tempo che sognavo di mettermi in gioco in scena con un bambino. Nelle mie idee c’era quella di farlo da genitore ma poi mi è arrivata quest’opportunità che alla sola lettura della sceneggiatura mi ha emozionato e l’ho colta al volo.
Entrambi i personaggi di Io e il Secco hanno l’esigenza di trovare il proprio posto nel mondo ma, soprattutto, di essere visti e anche amati. Quanto è stato importante per te come attore essere finalmente considerato e visto dopo un percorso personale anche parecchio travagliato?
Ma chi mi vede o da chi sono visto? Non parlo del pubblico: per strada mi fermano in molti e puntualmente per tutti sono quello di Summertime, la serie tv Netflix che mi ha regalato la popolarità e che inevitabilmente ha portato i ragazzi a vedere anche altri miei lavori, come ad esempio La svolta. Ho fatto veramente una fatica immensa per muovere i primi passi come attore: non sono figlio d’arte (non è una colpa esserlo ma è chiaro che, frequentando certi ambienti, hanno accessi agevolati), non mi è stato regalato nulla e mi sono, come si dice a Roma, fatto veramente un mazzo da solo.
Ho studiato tantissimo per arrivare a quel poco o tanto che ho fatto fino a oggi, ho curato il mio essere inizialmente acerbo con corsi e seminari (capendo, da sveglio quale sono, quali erano veramente utili e quali invece erano tenuti da gente interessata solo ai soldi), ho incanalato la mia emotività (ero una bomba a orologeria) e ho capito che avrei dovuto usarla nel mio lavoro. Ma è stato molto faticoso, ci ho impiegato anni e anni, andando negli Stati Uniti e via dall’Italia, dove la meritocrazia quasi non esiste. Sono poi tornato perché era impossibile continuare a rimanere in America per un fattore economico: non avevo più soldi ed ero stanco di dormire anche per strada.
Dopo il rientro, mi sono messo in testa di partecipare al contest tenuto da RB Casting al Festival di Roma e l’ho fatto. Ho portato Er fattaccio der Vicolo der Moro, il monologo di Gigi Proietti che amavo, e l’ho vinto. Ma per un anno non è cambiato nulla, sono rimasto in attesa di qualcosa che non arrivava. Il video del mio monologo, però, è stato visto da Dario Albertini, che mi ha poi voluto provinare per Manuel, il mio primo film e da protagonista.
Dopo quel grandissimo biglietto da visita che è stato quel film, hanno cominciato a chiamarmi diversi autori, tant’è che ho girato Palazzo di giustizia, presentato al Festival di Berlino. Ma il mondo autoriale è purtroppo lento ad aprirsi alle novità: non ero e non sono considerato un nome dal circoletto di quelli che contano. E, quindi, per ritornare alla domanda con cui ho risposto, visto agli occhi di chi? Tutto ciò di cui avrei bisogno in questo momento è ricevere un riconoscimento del mio talento, qualcuno che mi dica che lavoro bene, perché mi darebbe la voglia di andare avanti e di non demordere, non certo per il successo di cui prima. La meritocrazia è qualcosa che continua a mancare…
Continuo a impegnarmi con le opere prime perché mi piacciono e perché mi permettono di portare un determinato tipo di lavoro e messaggio ma poi nelle sale cinematografiche in 450 sale ci finiscono altre persone. Se a Io e il Secco andrà bene, finirà in una trentina e mi dispiace.
Io e il Secco: Le foto del film
1 / 20Il riconoscimento del talento non sarebbe per te un modo di dimostrare di avercela fatta alle persone che ti circondano, in primis tua madre?
No, è un pensiero che non ho mai avuto. Sarebbe un modo semmai per arrivare a quel tipo di cinema che da sempre vorrei fare e per dire “ci sono anch’io, fidatevi delle mie idee, scriviamo insieme, lasciatemi interpretare ruoli diversi”. Non è per mia madre, che ovviamente amo: è stata la donna che mi ha aiutato tantissimo e che mi ha dato molto. Senza di lei, probabilmente, oggi non starei neanche facendo questo mestiere. È ovvio che le devo tutto ma non voglio essere riconosciuto per lei o per qualcun altro della mia famiglia: voglio semplicemente avere un mio piccolo spazio. Se loro vogliono stare nel circolo, io voglio essere quello che sta fuori a parcheggiare le macchine e si becca ogni tanto la mancia.
Io e il Secco è un film in cui inevitabilmente i due protagonisti fanno i conti con una figura paterna assente, moralmente o fisicamente. Un argomento per te molto personale.
Non c’è stata molta presenza della figura paterna nella mia vita. Avrei gradito un po’ più di attenzione da parte di mio padre ma non do colpe a nessuno se non agli eventi anche passati che può aver vissuto.
In chi la ricercavi?
Ho avuto la fortuna di avere una madre molto presente. Senza di lei, non so dove sarei adesso. È difficile crescere senza una figura importante maschile che stia al tuo fianco e l’assenza finisce inevitabilmente per influenzarti negativamente. Da ragazzino, ne ho combinate tante, di cotte e di crude, e ho fatto venire i capelli bianchi prima del tempo a mia madre, che comunque è stata una donna fortissima.
In chi ricercavo quella figura? Sono sincero: in me stesso, mi sono fatto forza da solo. Sono stato molto forte e credo di esserlo ancora. Poi si arriva a un momento della vita, come oggi che ho trentuno anni, in cui si prende consapevolezza che ciò che è mancato nella tua vita non potrà mai più esserci o tornare da te perché, anche se lo facesse, non sarebbe mai quello che avrebbe dovuto essere. E, quindi, sì: mi sono fatto forza da solo, anche se non mi sono mai guardato allo specchio e non mi sono mai detto ‘grazie’… ho ringraziato sempre e solo gli altri.
La storia di Denni e Secco coniuga delicatamente rabbia e tenerezza. Se pensi alle due parole, a chi o cosa le associ?
D’ impatto, assocerei entrambe le cose alla stessa figura, quella di cui abbiamo appena parlato. Da un lato, c’è tanta rabbia che mi porterebbe a dirgli ‘Che cazzo hai fatto?’ ma, dall’altro lato, c’è anche tanta commiserazione.
Andrea Lattanzi, tra cinema e tv
1 / 8Come Secco, anche tu sei cresciuto in periferia…
Al Mandrione, la prima vera periferia romana che oggi non più per niente periferia. Ho frequentato gente di Torpignattara e del Quadraro, ho vissuto la periferia ma ho anche vissuto la ricchezza. Mio nonno paterno era una persona nobile, ha avuto sei figlie e ha loro diviso poi la sua proprietà. Da una parte, dunque, vivevo la ricchezza dentro casa e dall’altro la vita da strada una volta fuori ed è stata la mia più grande fortuna perché mi ha fatto maturare anche quella fame che è servita da motore a ciò che è venuto dopo. Ma ho anche vissuto la ristrettezza: le risorse lasciate da nonno sono poi finite e si faticava. Era tosta. C’è stato un po’ di tutto nella mia vita, ragione per cui vorrei anche dimostrare quanto poliedrico posso essere come attore.
Nel film, Sere nere, la canzone di Tiziano Ferro riproposta anche nei titoli di coda in una nuova versione realizzata appositamente dai Santi Francesi, accompagna la storia. Che tipo di ricordi evoca in te?
“Ripenserai agli angeli”… Nonostante mi sia mancata la figura paterna, lo stesso non posso dire dei miei nonni paterni, molto presenti. Quindi, ho vissuto anche in campagna con loro, in un casale che non aveva nemmeno le porte o le finestre e in cui si dormiva in delle brandine. Ero bambino, giocavo all’aperto, stavo in mezzo agli animali e nonna preparava le fettuccine a mano. Ecco, Sere nere mi riporta a quel mondo: tutte le volte che la ascolto, ripenso a nonna.
La violenza domestica ricopre un ruolo importante in Io e il Secco. Ti è mai capitato di averne sentore intorno a te?
Non in famiglia, fortunatamente. Ma mi è capitato, soprattutto da bambino, di assistere a scene che mi spingevano a prendere apertamente una posizione: tutte le volte in cui vedevo un uomo alzare la voce con una donna o permettersi di insultarla, mi mettevo in mezzo tra i due. Ad un tizio, tirai una volta anche una ciabatta, proprio perché quel genere di atteggiamento mi ha sempre infastidito e spinto a reagire male. Di mio, non mi ha mai sfiorato l’idea di prendermela con una donna, non riesco nemmeno a concepirla… sarà perché sono cresciuto prettamente con una figura femminile a fianco ma odio tutto ciò che concerne la violenza o la disparità di genere.
Cosa ti ha lasciato crescere solo con una figura femminile al fianco?
Sono cresciuto un po’ più donna che uomo. La mia identità è da uomo ma ho un mio lato femminile che si manifesta apertamente nella delicatezza e nella sensibilità. E non ho alcun tipo di vergogna ad ammetterlo: l’ho ereditato da mia madre. È chiaro poi che non sono stato un angelo ma l’unica “violenza” concessa in generale è stata qualche litigata tra ragazzi ma in situazioni, contesti e storie del tutto diversi.
Chi vedi riflesso quando ti guardi allo specchio?
Non mi guardo mai in quel senso. Mi guardo per vestirmi ma forse dovrei farlo per incentivarmi. L’unica volta in cui ricordo di averlo fatto è stato prima di andare via da Roma. Ero stanco di quello che vivevo e facevo, mi sono guardato e ho cominciato a parlare con me stesso, scoppiando in lacrime. È stato un pianto sì disperato ma di liberazione: non potevo continuare a fare quella vita. Nel guardarmi, ho levato gli orecchini che portavo, li ho gettati nel cesso e ho tirato lo sciacquone: “Devo scappare di qua e dalle situazioni che mi incastrano in qualcosa si sbagliato”. E l’ho fatto.
Hai capito relativamente tardi che la recitazione sarebbe stata la tua strada…
A differenza di altri, non ho avuto da bambino la chiamata per far l’attore… anche se mi piaceva tantissimo mettermi davanti allo specchio e imitare i film che guardavo: amavo alla follia ripetere le battute o le scene che avevo visto e mi piacevano.
Nel riguardare oggi a tutto ciò che hai fatto, ti condanneresti o ti assolveresti?
Anni fa, mi sarai dato delle colpe. Oggi, invece, mi assolverei perché di mezzo c’è stata la crescita e sono diventato un uomo diverso: alcune cose, se avessi la possibilità di ritornare indietro, non le farei. Ecco, diciamo che sarebbe 50 e 50. Non è un caso che sia tornato dal mio analista. L’analisi mi è servita a far emergere il me cantante ma anche un po’ di sano egoismo che prima non avevo.
Ti vuoi oggi bene?
Sì e no… ammetto di essere una persona molto debole e come tale non mi posso voler bene a pieno: chi si vuol bene, non si fa del male e io me ne sono fatto. Mi voglio certo più bene rispetto al passato ma c’è ancora tanto per cui lavorare. Di sicuro, sono stato molto bravo a dire ‘no’ a diverse cose e sono quei ‘no’ che oggi mi hanno portato a essere oggi così come sono…
Tra una scena di pianto o una di nudo, cosa ti preoccupa maggiormente?
Nessuna delle due, mi diverto in entrambi i casi. Cerco di portare quanta più verità possibile, anche quando si tratta di dare ad esempio un bacio: il lavoro è lavoro ma sempre nel pieno rispetto dell’altro, motivo per cui prima di girare una scena ne discuto con chi ho a fianco, chiedendo cosa potrebbe dare fastidio o come muovermi. Le scene che richiedono di far appello all’emotività, seppur mi divertano, mi fanno piombare addosso una stanchezza enorme: dopo mi sento molto esausto, come se avessi fatto ricordo a tutta la mia energia e al mio cervello.
Se fossi costretto a scegliere direi che girare nudi con cinquanta persone sul set che ti guardano è un po’ più complesso. Non è il mio caso ma ci si potrebbe sentire a disagio: io mi sento a disagio solo quando comincio a percepire il disagio degli altri.