Angélique Cavallari è la protagonista femminile del film Dark Matter di Stefano Odoardi, in uscita al cinema il 4 maggio. Tra sogno e realtà, Dark Matter racconta la storia del rapimento di Thomas, un bambino di undici anni figlio di uno scienziato che studia la materia oscura.
Italo-francese, Angélique Cavallari nel film interpreta il personaggio della misteriosa Elena: per dirlo in soldoni, la rapitrice del bambino. Definire la sua Elena come la rapitrice, tuttavia, non restituisce la complessità di un personaggio il cui aspetto psicologico è molto complesso e complicato. Elena è prima di tutto una giovane donna che ha subito alcuni traumi indicibili: la violenza domestica e l’abuso sessuale da parte di chi invece avrebbe dovuto proteggerla dalle brutture del mondo, da suo padre (o, per lo meno, dall’uomo che l’ha cresciuta come tale).
Per impersonare Elena, Angélique Cavallari si è trasformata anche fisicamente lasciando che la sua bellezza cedesse il passo alla delicatezza di una donna imbruttita dalla vita, una donna che, come ci dice lei in questa intervista esclusiva, non ha mai conosciuto la scelta o un’esistenza diversa da quella vissuta.
Ma Angélique Cavallari non è solo un’attrice. È un’artista che contiene in sé molte moltitudini: è una cantautrice (dopo la sua Collection A, ha appena pubblicato un nuovo singolo), è una poetessa (ha scritto due diverse raccolte di poesie, di cui una ancora inedita), è una pittrice (ama usare acquarelli ma sta approfondendo anche la pittura a olio) ed è la creatrice di un podcast (Il Podcast d’Angélique, in cui legge poemi da lei scelti e scritti da poetesse non viventi non sempre conosciute).
Tuttavia, più di ogni cosa, Angélique Cavallari è una donna libera e determinata, a cui le etichette o le imposizioni sono sempre andate strette. E non è difficile immaginare che sia così. Basta un dettaglio anagrafico per realizzarlo: a 17 anni, ancora adolescente, è andata a vivere da sola.
Intervista esclusiva ad Angélique Cavallari
“Sto bene, oggi è una bella giornata di luce”, mi risponde Angélique Cavallari al telefono da Parigi. Ricordando della situazione che si vive in città, chiedo se la luce è reale o metaforica. “Splende il sole ma dal punto di vista politico e sociale rimane sempre ombroso, così come vedete nei telegiornali o leggete sui giornali. Parigi è un po’ un centro di lotte sociali: chi ci vive ci ha fatto l’abitudine. Sono per metà italiana e metà francese e da più di otto o nove anni abito qui perché volevo riappropriarmi un po’ delle mie radici francesi, pur rimanendo sempre in comunione anche con l’Italia”.
Esce nelle sale italiane Dark Matter, il film di Stefano Odoardi di cui sei la protagonista femminile. Chi è Elena?
Elena è un personaggio a cui tengo tantissimo. È stata abusata fin da bambina da questo padre, che forse l’ha anche rapita. Non ha studiato e non ha frequentato le scuole ed è diventata donna, conservando però un lato anche infantile. È stato complicato tirare fuori tutti questi aspetti senza però dirli o esplicitarli: il film non approfondisce molto psicologicamente il personaggio ma ci sono aspetti che vengono lasciati all’intelligenza dello spettatore. La vediamo rapire un bambino ma intuiamo che probabilmente si prostituisce anche, dal momento che in una scena appare anche vestita in un certo modo quando poi la sua vera essenza è tutt’altro: non ci sarebbe da stupirsi se il padre l’avesse costretta a fare anche quello.
Ciò che sottende al personaggio è il concetto di “non scelta”. Chi vive un’esistenza normale, la maggior parte delle persone, non si rende conto di cosa possa non essere una non scelta. Elena, per come l’ho vista io, è vittima della “non scelta”: non ha mai pensato di ribellarsi perché non conosce altra realtà all’infuori di quella in cui è cresciuta. È l’incontro con Thomas, il bambino rapito, a risvegliare qualcosa in lei, tanto che sin dal momento del rapimento guarda dritta verso le telecamere di sicurezza come se volesse farsi catturare.
Rapire un bambino è ovviamente un’azione non bella, giudicabilissima, ma nelle intenzioni del regista Odoardi e della sceneggiatrice Sytske Kok c’era anche un altro aspetto. Il rapimento potrebbe infatti essere tutta un’invenzione del bambino, che per catturare l’attenzione dei genitori sparisce volontariamente per qualche giorno. C’è di fondo una situazione un po’ borghese in cui i genitori, soprattutto il padre, pur volendo bene al figlio, non ha mai tempo per dimostrarglielo. In quest’ottica, Elena potrebbe essere un’amica immaginaria con cui Thomas va anche d’accordo (e certi dettagli suggeriscono, all’inizio e alla fine, tale interpretazione).
Ma, essendo Dark Matter, un thriller lasciamo tutto avvolto dall’alone del mistero. Il film, del resto, si basa sul dubbio sin dal suo titolo: fa riferimento alla materia oscura che i nostri astrofisici, soprattutto italiani e in gran parte donne, stanno studiando.
La complessità e l’ambiguità di Elena ti hanno messa alla prova sia dal punto di vista attoriale sia da quello fisico. A cosa hai fatto appello per calarti nei suoi panni?
Ho avuto una referenza molto particolare: Monster, il film che è valso il premio Oscar all’attrice Charlize Theron. In quel film, la protagonista è un’assassina che ha un lato molto compassionevole: la sua storia ti arriva dritta al cuore. Mi piaceva l’idea di cambiare anche fisicamente per diventare Elena, da cui sono molto diversa. Mi sono quindi irrobustita, ho cambiato il taglio dei capelli, ho usato pochissimo trucco e mi sono anche imbruttita. Si tratta di cambiamenti che mi piacevano e alcuni li ho proposti io stessa.
Elena doveva essere molto selvatica, ragione per cui doveva avere determinate referenze fisiche ma anche psicologiche. Ho fatto una bella ricerca introspettiva per capirla in base alla mia sensibilità. E poi come sempre mi ha aiutata la musica: mi serve per entrare nel mood del personaggio ma anche per uscirne. Un film come Dark Matter, così impegnativo dal punto di vista attoriale, ti lascia sempre un po’ sottotono, non riesci a staccarti del tutto dal personaggio.
Ci sono state per te scene particolarmente difficili da girare?
In una sequenza, Elena intuisce che l’unico modo che ha per uscire da una situazione che è ormai a un vicolo cieco e non lascia presagire nulla di buono è quella di concedersi sessualmente al padre. per me, è stato terribile e dura girarla, così come la scena in cui viene presa a pugni dal padre, che evidenzia di quanta barbarie sia stata vittima: violenza domestica più abuso sessuale. Eppure, nonostante questo, Elena rimane una donna pacifica, tranquilla ed equilibrata: rapisce il bambino perché inconsciamente potrebbe essere la sua unica via d’uscita.
Dark Matter parla anche di relazioni tra genitori e figli. Tu che relazione hai avuto con i tuoi?
È stata una relazione un po’ particolare. I miei si sono separati quando avevo undici anni. Come tutti i figli di genitori separati di altre generazioni (i bambini di oggi vivono diversamente le separazioni), ho vissuto cambiamenti di casa e di città fino a quando non mi sono resa indipendente. E l’ho fatto prestissimo: già a 17 anni abitavo da sola. Con i miei genitori ho avuto ed ho un buon rapporto d’amore parentale.
Cosa ha significato per te essere indipendente così giovane?
Ho un carattere molto propositivo. Sin da bambina, sono stata molto legata alla natura e predisposta verso gli altri. Quando mi sono trovata da sola, ero in realtà felice perché potevo dare spazio a tutte le mie passioni. Avevo la libertà di gestire tutto come volevo io. A esser sincera, l’ho vissuta bene: praticavo pallavolo da quando ero piccola e lo sport mi ha insegnato una certa disciplina anche mentale da applicare nella vita quotidiana. Sono quindi sempre stata molto equilibrata nel mio percorso, anche se con quel pizzico di ribellione che si può avere quando ci si ritrova da soli a quell’età.
Ho anche iniziato a lavorare presto. E ciò ha contribuito a farmi capire il valore delle piccole cose, come il tornare a casa e trovare pronto un pasto caldo o i vestiti puliti. Le diamo per scontate o le sottovalutiamo ma quando siamo soli ne scopriamo l’importanza: non lo facciamo per cattiveria ma semplicemente come Elena non capiamo cosa sta accadendo perché non conosciamo altre realtà.
Cinema, musica, pittura, poesia: come convivono tutte queste moltitudini in un’unica donna?
Non lo so neanch’io: con il tempo sono diventata professionista in vari campi. Quando mi approccio a una disciplina o a un’arte, ci tengo ad approfondirla e far le cose come si deve. Ho un grande rispetto per gli artisti: la maggioranza di loro ha un cuore e un’anima puri ed è gente che si dà da fare lavorando molto. Al di là di quello che si possa pensare, un artista lavora veramente tanto: cuore e cervello sono sempre in attività.
Prima di dire che lavoravo nella musica, nella poesia e adesso anche nella pittura, ci ho messo un po’ di tempo. Fino a qualche tempo fa, avevo delle difficoltà a dire che sono anche una poetessa: ci riesco solo adesso, dopo aver pubblicato una prima raccolta e aver cominciato a prepararne una seconda.
Ho iniziato anche da poco un tour di letture poetiche, molto semplice, in cui in scena ci sono solo io, un microfono e i fogli su cui leggere delle poesie: mi piaceva l’idea di trasmettere le poesie tramite la mia voce. E sto mettendo a punto anche dei podcast che vorrei lanciare presto sulle piattaforme digitali in cui rendo omaggio a poetesse che non sono più in vita: leggo poesie di donne di tutto il mondo che hanno attraverso le loro opere sublimato la realtà in cui si trovavano.
Si tratta di opere, anche militanti pacifiste, spesso poco conosciute a cui trovo giusto dare voce in questo momento e scritte da donne determinati e forti, che hanno saputo mantenere anche la loro delicatezza e femminilità.
Anche perché femminilità vuol dire anche determinazione. Comprende l’essere forti, ribelli e libere di essere sfrontate o audaci.
Mi ritrovo molto in questa definizione e cerco di portarla avanti anche nella musica, sia in quella proposta in passato sia in quella che sto componendo, è anche uscito da poco un mio nuovo singolo in collaborazione con Nine Velvet, Trying to Stay. Ho iniziato a far musica partendo dal presupposto che non si leggesse molta poesia: forse un giorno tornerà di moda grazie a gente che come me ha voglia di rimetterla in luce. Di conseguenza mi son detta “perché non riportala in musica con qualcosa di ultra contemporaneo come la musica elettronica?”.
E questo spiega il mio desiderio di lavorare con i sintetizzatori per proporre ambientazioni sempre un po’ oniriche, a volte ruvide e altre notturne, mentre con la voce cerco di trasmettere il più possibile le mie idee e i miei sogni. Forse sono un po’ sfrontata perché non aspetto che sia qualcun altro che mi aiuti a farlo: lo faccio io. Parigi, una città che non si fa mettere i piedi in testa, mi ha aiutata a prendere un po’ più di coraggio spingendomi a pormi molte domande e a voler nel mio piccolo portare la mia piccola goccia di luce. Bisogna darsi da fare, anche perché non è facile essere un’artista ed essere donna: occorre rimanere forti e non farsi assoggettare.
Qualcuno ha provato ad assoggettarti?
Non hanno avuto neanche per un secondo la fantasia di farlo. Sono una persona molto schietta e caratterialmente forte: anche se qualcuno ci provasse, con me non riuscirebbe nel suo intento. Ho fatto delle scelte ben precise: ho cominciato con il cinema d’autore, le persone di cui mi circondavo erano forse meno sprovvedute da certi punti di vista e in qualche modo mi sono autoprotetta, evitando tutto quel sottobosco di mezzi e mezzucci a cui spesso si ricorre. Per mantenermi, facevo mille lavori diversi mentre studiavo o cominciavo a calcare le scene: ho preferito metterci un po’ più di tempo e ricorrere a mezzi onesti e concreti pur di arrivare al mio obiettivo.
Anche perché le scorciatoie prima o poi ti presentano il conto. Ha comportato dei sacrifici, è stata una scelta dura e difficile ma caratterialmente sono fatta così. Però, non giudico le scelte altrui, ognuno è libero di fare il proprio percorso. Io sono andata dritta come un treno, con la schiena spezzata ma dritta. Sarò un’utopista ma non ho mai dato peso al mio ego: ho troppo rispetto per l’arte e questo genere di lavoro che non mi interessa che prevalga la mia faccia o il mio nome: quello che conta è potersi esprimere e cercare di trasmettere bellezza, anche in maniera catartica.
Lavoro anche nella performance e mi sono confrontata molto con la catarsi: sarà per questo che amo interpretare personaggi un po’ duri e difficile, anche contestabili, senza alcun giudizio su di loro. Serve a ricordare come la fantasia ci renda liberi e rappresenti una grande via d’uscita. Lo abbiamo visto nei due anni di CoVid: come sarebbero stati senza la musica e i film? Non potrei mai immaginare la mia vita senza musica: ascolto di tutto. Così come non potrei immaginarla senza pittura: quando dipingo, sperimento. Mi piacerebbe prima o poi mettere in scena uno spettacolo in cui far interagire tutte le forme d’arte.
Angélique Cavallari nel film Dark Matter
1 / 10Hai lavorato anche nel mondo della moda.
Ero molto giovane. Sono stata letteralmente presa da un talent scout per strada (non ci avevo mai pensato, da piccola sognavo di fare l’archeologa) e sono stata catapultata in un ambiente in cui il corpo era al centro del lavoro. Ho visto ragazzine svenire prima delle sfilate a causa dell’ossessione per il cibo.
C’è stato un periodo in cui anch’io mi sono ritrovata a mangiare solo una mela al giorno ma oggi non lo farei mai più: si rimandano immagini e modelli sbagliati che poi sono alla radice dei disturbi alimentari di tante ragazze e ragazzi. Ho visto colleghe privarsi di ogni cosa, andare a correre fino allo sfinimento o praticare attività fisica la sera per smaltire la caramella mangiata: fragili interiormente, erano completamente distrutte da un circuito che rasentava l’ossessione.
Non bisogna mai inseguire modelli prestabiliti. Dobbiamo ricordarci come la libertà di essere come siamo e chi siamo sia la prima delle priorità. Vale anche in tutti gli ambiti sociali: lasciamo libere le persone di fare quello che vogliono e di vivere le proprie identità e le proprie relazioni senza paletti o etichette. Non rimettiamo in discussione i diritti sociali acquisiti.