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Anna Carol: “Alle parole d’amore preferisco i gesti” – Intervista esclusiva alla cantautrice

Cinetica è il disco di esordio di Anna Carol. Uscirà prossimamente e permetterà a tutti di entrare nel suo mondo, un mondo in cui non ha mai smesso di cercare e di cercarsi. Ne abbiamo parlato in anteprima esclusiva.
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Anna Carol, cantautrice trentina, si prepara a pubblicare il suo disco d’esordio, Cinetica (Nufabric Records/Artist First), undici brani in cui ci permette di entrare in punta di piedi nel suo mondo. Già dai primi singoli rilasciati, si può intuire come l’universo musicale di Anna Carol sia stato influenzato dall’incontro con le scene musicali soul, R&B ed elettroniche. Del resto, come ci racconta nel corso di quest’intervista esclusiva, i suoi gusti musicali sono stati influenzati da artiste come Alicia Keys e Carole King.

Ed è a Carole King che in qualche modo Anna Carol rende omaggio nel suo nome d’arte. Ma quel Carol che l’accompagna è qualcosa che potrebbe trovare radici anche altrove. In Dickens, per esempio, con il suo A Christmas’ Carol, anche perché nella scrittura della cantautrice è possibile rintracciare temi cari al romanzo come il presente, il passato e il futuro, con tutti i fantasmi che si portano dietro. O in Lewis Carroll e nella sua Alice nel paese delle meraviglie, dove le meraviglie per Anna Carol si trasformano in specchi deformanti.

Con due diverse personalità sempre in bilico, com’è tipico di tutti i segni doppi come i Pesci a cui appartiene, Anna Carol ha vissuto due vite diverse in una. Da Bolzano si è trasferita a Colonia prima e a Rotterdam e Londra dopo. Lo ha fatto per ricercare se stessa e capire quale fosse la sua vera identità, lontana da quel senso di responsabilità che l’ha caratterizzata sin da bambina.

E in Cinetica Anna Carol mostra come non abbia mai smesso di cercare e di cercarsi, rivelando una scrittura unica e una voce che, a dispetto di quanto sostenesse la sua maestra alle elementari, non è stonaca. Nemmeno nella dimensione live, la più complicata per un’intervista, come dimostra il video in anteprima dell’ultimo singolo appena rilasciato, Immagina che bello sarebbe scappare (prodotto da Mimmo Finizio dei Tropea, come tutto l’album).

Anna Carol.
Anna Carol.

Intervista esclusiva ad Anna Carol

Quanti anni hai?

Trenta, anche se mi sento ancora una ventiquattrenne. Mi sembra strano dire di avere trent’anni, non mi sono ancora abituata all’idea proprio perché me ne sento molti meno. Ma è strano anche perché sto per pubblicare il mio primo disco adesso, dopo comunque ho passato tanti anni in ho sempre avuto contatto con la musica. Sono stata veloce in altro ma per un disco ho aspettato il momento in cui mi sentissi me stessa. Ho avuto tante influenze e ciò non aiuta: allunga la strada della ricerca, anche di se stessi.

Ti ha creato problemi l’età nel percorso discografico?

Fortunatamente, no. Non ho mai avuto commenti diretti che facessero riferimento alla mia età. Saranno stati filtrati dalle persone con cui lavoro! (ride, ndr).

Hai fatto dei giri immensi nel Nord Europa. Dove sei in questo momento?

Sono nella mia Bolzano oggi. Ma a fine mese sarò qualche giorno a Palermo: ho un’attrazione fortissima per il sud dopo aver passato tantissimi anni al nord per mia scelta. Da quando sono ritornata in Italia, ho voglia di visitare tutti i paesi e le città che siano più a sud di dove sono stata.

Londra, Rotterdam e Colonia: hai fatto dei giri un po’ lunghi. Cosa ti ha spinta?

Faccio sempre delle cose senza pensarci troppo nel momento in cui le faccio. Quando ho finito le scuole superiori, forse sentivo un’attrazione verso il nord. La spinta era comunque quella di andare via di casa, almeno così la interpreto oggi. Cercavo di trovare me stessa lontano dalla mia comfort zone, probabilmente, scegliendo anche posti non proprio vicini o facilmente raggiungibili come Colonia. E a spingermi era la ricerca di me stessa: mi sentivo libera.

Agli altri, soprattutto a casa, adducevo come motivazione lo studio o la possibilità di avere una formazione più internazionale che mi potesse dare una visione più ampia. Ma, in realtà, era per ricercare me stessa e la mia identità.

E che lato di te hai trovato fuori dalla comfort zone?

Ho trovato tutto di me… è stato vitale andar lontano dal mio contesto: ho trovato la mia libertà interiore. Mi reputo fortunata. Intanto, di aver avuto l’opportunità di poterlo fare, anche se mi sono battuta tantissimo per riuscirci: non mi è di certo arrivata dall’alto. E, poi, di aver avuto quella spinta che mi ha fatto andare verso qualcosa di nuovo. Senza tale spinta non sarei chi sono adesso: sarei stata sicuramente meno aperta agli altri modi di vivere la vita. Per me, la libertà consiste soprattutto nel saper accettare anche la libertà degli altri. E l’ho capito andando via.

E qual è la realtà che hai lasciato?

Intanto, i miei genitori. Hanno capito la mia esigenza di andar via, anche se per ragioni di studio. Sono stati molto permissivi nei miei confronti. Certo, all’inizio non è che fossero felici, non ero mai stata così lontana. Hanno avuto una prima reazione molto “italiana”, da mamma chioccia, ma poi mi hanno permesso di rimanere fuori e mi hanno sostenuta.

Anna Carol.
Anna Carol.

In Rotterdam, uno dei tuoi singoli finora rilasciati, canti che “abbiamo tempo fino a domani o fino a ieri”, un concetto quello del tempo che ritorna anche in altri brani di Cinetica, il tuo album di debutto che uscirà a novembre. Che passato ti sei lasciata alle spalle?

Quella frase fa riferimento alla paura di non avere tempo, qualcosa che mi porto da sempre dietro per questione di carattere. Il mio passato e il mio modo di essere prima sono in parte rimasti nei luoghi in cui ho vissuto, sono cresciuta e sono cambiata, là dove c’è stata un’evoluzione del mio modo di essere. Ho lasciato tanti affetti e persone a cui voglio molto bene.

Sembri tergiversare sul passato e sulla tua vecchia te.

No, è semplicemente il mio modo di essere. Io giro spessissimo intorno alle cose, anche nelle mie canzoni. Se devo parlare di una sofferenza o di un amore, faccio fatica ad andare dritta al punto. E, comunque, sì: ho lasciato anche amori.

E sicuramente hai lasciato la bambina che eri. Torniamo indietro nel tempo: com’eri da piccola?

Ero una bambina estremamente responsabile, pure troppo. Mi sentivo tantissimo carica di responsabilità. È qualcosa per cui ho qualche rimpianto: avrei potuto godermi maggiormente l’infanzia piuttosto che sentirmi responsabile di tutto, di troppe cose. Ma ero anche una bambina spensierata: la mia felicità la cantavo. Cantavo sempre, sempre, sempre… inventando anche tutte le parole!

E a tal proposito non ricorderò mai un piccolo trauma. Ricordo ancora quella volta in cui a scuola ci fecero cantare in classe e la mia maestra fermò tutti quanti a una prova. Secondo lei, stonavo. Non ho mai capito se fosse vero o meno, conservo ancora il dubbio. Avrò avuto sei anni probabilmente ma immagina che tipo di trauma possa aver lasciato in me, che cantavo sempre, l’episodio!

Me lo ricordo come se fosse ieri. Non dico che fosse impossibile però avrò sempre il dubbio. In realtà, la voce è sempre stata un mio punto debole: la sera mi si abbassava. Cantavo tutto il giorno e la sera non avevo più voce.

Anna Carol.
Anna Carol.

Che bello sentir raccontare anche di un’infanzia normale. A volte si ha la sensazione che per fare il cantante si debba necessariamente avere una storia tragica alle spalle.

Nel sentire spesso storie tragiche la tentazione potrebbe anche venire. Ma è inutile che inventi qualcosa che non sono. Come tutti, ho avuto le mie lotte o le mie tragedie piccole o grandi che siano, anche se per una bambina anche la cosa più piccola diventa qualcosa di enorme! Di sicuro, il senso di responsabilità mi ha segnata molto: non sempre ero serena. Mi portavo dentro una grande carica di malinconia, che ancora oggi non mi abbandona e a cui sono però molto affezionata.

Le maestre, come già cantava Tricarico anni fa, sono brave nel lasciare traumi. Quando hai superato il trauma della stonatura e capito che la musica poteva essere la tua strada?

È stato merito di Alicia Keys. La musica era l’unica via di fuga per non stare male. Ascoltavo sempre musica e c’è un momento particolare che ho impresso nella mente. Eravamo in viaggio in macchina, avevo le cuffie alle orecchie e ascoltavo Alicia Keys. Cantavo insieme a lei e ho cominciato a fare anche le seconde voci.

Mio fratello, che ha cinque anni più di me e con cui ho vissuto sin da piccoli la sfera artistica, dalla danza al teatro, aveva un’amica che faceva canto. E ha cominciato a spingermi verso quella direzione: perché non provi a prendere lezioni di canto?. E io la presi come una sfida. Cominciai a prendere lezioni di canto e da quel momento è stata una scoperta continua.

Alle superiori, ho poi scoperto il jazz. Per una come me che considerava la sua voce come un punto debole, si è aperto un mondo: c’era qualcosa che andava oltre la mera tecnica vocale. Ho così scoperto che nelle scuole non viene insegnato: come trasmettere emozioni e sensazione anche con sfumature più leggere, non clamorose.

E il potere della scrittura? Fai parte della categoria di chi sin da piccolo teneva già un diario in cui annotare i propri pensieri?

No. Sarò responsabile ma sono anche disordinata in tante altre cose. Ho scoperto la scrittura relativamente tardi, intorno ai 19, 20 anni, dopo che già cantavo da un po’ di anni. A un certo punto ho capito che non mi bastava più cantare le canzoni di qualcun altro: dovevo mettere per iscritto le mie sensazioni e le mie emozioni. Mi ha spinta verso questa direzione un altro cantautore che conobbi a una masterclass. Gli incontri con altri musicisti e musiciste sono stati molto importanti nel mio percorso musicale.

Immagina che bello sarebbe scappare, il tuo ultimo singolo, è ispirato alla figura della tua migliore amica. Inafferrabile e libera, ovvero l’esatto opposto di te.

Esatto. Come dico anche in un’altra canzone, sono sempre stata attratta da quello che non so e da quello che non ho, quindi dai talenti altrui. Uno degli aspetti che maggiormente mi attrae in assoluto delle persone è il talento, è una forza incredibile. Sono curiosa delle persone che dimostrano di avere talento in ciò che fanno e che hanno caratteristiche anche comportamentali lontano dalle mie. Io e la mia amica siamo cresciute insieme: era lei quella che spingeva anche a fare cose che non si potrebbero fare. E, sebbene fossi responsabile, la seguivo. Ho sempre apprezzato la sua spensieratezza.

Per il lancio del singolo, hai intervistato diverse persone a cui chiedevi dove sarebbero andate se avessero avuto la possibilità di scappare. Rigiro ora a te la domanda.

Premetto che la risposta sarà sempre diversa: se me lo chiedi domani, avrò già cambiato meta. Oggi andrei verso sud, verso il caldo. È stata per me un’estate molto intensa di lavoro e avrei voglia di andare a scoprire posti nuovi. Andrei in Marocco, per esempio. Lavorando così tanto, ho perso un po’ di libertà e ho fatto fatica a ritagliarmi del tempo libero. Quando lavoro, non riesco a staccare. Scapperei quindi dalla mia incapacità di staccare.

La domanda che ho posto è una di quelle che mi è sempre piaciuto fare alle persone: sono curiosa delle risposte. L’ho posta un giorno a mia monna e non è riuscita a darmi una risposta concreta. Non sapeva cosa rispondere: essendo molto anziana, non riusciva a immaginarsi altrove ma neanche la possibilità di lasciare il luogo in cui viveva. È stata forte come esperienza: vedere mia nonna che non era in grado di vedersi altrove mi ha fatto parecchio male. Sono però tornata a farle la stessa domanda per i video del lancio del singolo e sono rimasta felicissima nell’avere avuto una risposta.

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In Easy, altro singolo già edito, canti “che penserebbe Dante della mia borsa?”. Cosa c’è di così strano nella tua borsa?

Ehm… di tutto e di più. La mia borsa è uno zaino che mi porto sempre appresso, pieno di cose: nell’evenienza, devo essere sempre pronta a tutto! Ci sono sempre il mio computer, un libro e la Moleskine dove segno tutte le mie idee o le sensazioni che provo. Ed essendo una persona molto pratica tendo a portarmi dietro tutto ciò che mi può servire per potermi arrangiare. Nella mia borsa c’è tutto quello che mi serve per essere indipendente!

Tre cose fondamentali, quindi. E tre sono anche la canzoni che sai cantare e tre le persone che vorresti vedere. Perché soltanto tre?

Non è che sia tre il numero preciso: è comunque un numero basso. Ed è basso perché sono una persona molto selettiva. Non mi piace avere relazioni con molte persone: mi basta avere vicine le persone con cui sto bene. E sono veramente poche. In tutto ciò che scrivo c’è sempre qualcosa che fa riferimento alla mia identità.

Sempre in Easy, ci sono degli ossimori incredibili: vorresti avere un cane verde, dimagrire mangiando caramelle e sciare al mare.

Quelle frasi, nella loro dualità, mi rappresentano molto. Sono Pesci e come tale ho sempre due diverse personalità o direzioni che si fanno sentire spesso. Potrei arrivare anche a dire di volere un gelato caldo! I contrasti sono da sempre una mia passione.

In Soundcheck, uno dei brani inediti che compongono Cinetica, fai riferimento a Sanremo. Vuoi veramente provarci?

Chi è che, tra coloro che cantano o suonano, non vorrebbe andarci? Quel palco è uno di quei luoghi non luoghi della musica a cui non si può assolutamente dire di no. Ma non per la fama o il successo che potrebbero derivarne. Chi fa arte sa benissimo che l’obiettivo più importante è la condivisione di ciò che si fa con le altre persone. La tua stessa identità esiste solo nel momento in cui viene riconosciuta dagli altri: quante più persone riescono a vedere e sentire la tua arte, più la tua identità si fa vera e concreta.

Ecco perché spero che molta più gente possibile ascolti Cinetica quando uscirà: la mia identità si concretizzerà in quel momento. L’attesa per me è stata veramente dura oltre che lunga: è come se la mia identità fosse esistita solo dentro di me; quindi, in pratica era come se non esistesse.

E poi Sanremo ha tantissimi altri aspetti che mi piacciono. C’è un’orchestra: per me, suonare con un’orchestra è un sogno veramente enorme. Ci sono gli abiti da indossare. E c’è un pubblico enorme che ascolterebbe quello che faccio e che ho da proporre.

Prendendo spunto da Inutili, come ti vedi tra due anni?

Mi vedo con tanti concerti alle spalle. Poter suonare dal vivo è una di quelle cose che mi permette di portare la mia musica in tanti posti diversi a tante persone diverse. E con un nuovo disco da pubblicare.

Quanto hai dovuto scavare a fondo per guardare le cose con la giusta distanza?

Sto ancora scavando. Scavare è un gesto che ti porta a guardarti dentro. Ho scavato molto per tanti anni e lo sto ancora facendo.

E perché hai sempre odiato le parole d’amore?

Me lo stavo chiedendo anch’io proprio ieri. Il mio prossimo singolo sarà Inutili e mi chiedevo perché sul lavoro fossi così cinica sull’amore. Forse odio le parole d’amore perché non riesco a dirle o a pronunciarle. Faccio fatica a esternarle o a pronunciarle anche alla persona interessata o a chi mi sta vicino. Sono estremamente riservata: mi viene più facile parlare d’amore in una canzone.

Ma questo non incide nei tuoi rapporti personali?

Per fortuna, no. Non riesco a dir parole d’amore ma riesco a dimostrare i miei sentimenti. Sono una persona molto pratica: dimostro l’amore in tantissimi modi. Non riesco a parlare dei miei sentimenti neanche con le mie migliori amiche!

Quale dei brani dell’album ti è costato più fatica scrivere?

Faccio fatica a sceglierne uno. In generale, mi costa sempre fatica mettere per iscritto le mie insicurezze. Forse Sono qui, che è l’intro di tutto il disco: è un brano in cui parlo di una mia sofferenza legata proprio alla musica. La musica continua a essere una mia sfida: nonostante mi dia tantissime soddisfazioni, continua ancora a darmi i miei più grandi dispiaceri. I momenti in cui soffro di più nella mia vita sono legati alla musica.

Ma anche alcuni passi di Inutili, in cui ammetto a volte anche a me stessa con freddezza che un amore è finito. Il disco è frutto di varie collaborazioni e Inutili è stata scritta con Alessio Bonomo: stranamente è stato più facile scrivere con qualcun altro delle canzoni in cui mi aprivo.

Potrei comunque cambiare risposta da un momento all’altro!

All’anagrafe, ti chiami Anna Bernard. Da dove nasce il Carol d’arte?

Carol è un omaggio a un mio primo progetto musicale che portavo avanti a Rotterdam. Cantavo e scrivevo in inglese e il progetto si chiamava Carol Might Know. Conclusa quell’esperienza, ho voluto conservare il Carol, anche con un riferimento a una cantautrice che mi piace molto: Carol King. E, quindi, Anna Carol: due nomi nel mio nome d’arte, nel segno di quell’ambivalenza da Pesci che m’accompagna!

Anna Carol.
Anna Carol.
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