È uscito lo scorso 21 ottobre Dionysus (Lost Generation Records), il secondo album della cantautrice Anna Soares. Di origine napoletana ma oramai milanese di adozione, Anna Soares continua il discorso già iniziato con il precedente Sacred Erotic, muovendosi in direzioni più spirituali e mature. Ha creato delle preghiere in musica per la sua divinità, Dioniso, oscillando tra sensualità e alterazione dei sensi, mostruosità e moniti evolutivi.
L’elemento sperimentale, sempre presente nell’elettronica di matrice future garage, va ad incontrarsi con un cantautorato che non dimentica di strizzare l’occhio a melodie e vocalità pop. Nei nove brani di Dionysus, Anna Soares va quindi a creare un percorso spirituale verso il basso, toccando i luoghi più oscuri dell’esplorazione di sé.
Potremmo definire Anna Soares, una sacerdotessa del BDSM, un’affermazione che potrebbe spaventare i perbenisti ma che può invece far varcare sconfinati confini sensoriali e filosofici a chi ha voglia di andare oltre le etichette. La musica per Anna Soares è un modo per far uscire il femminino che è in lei, sulla stregua di artiste come Billie Holiday, Amy Winehouse e Maria Callas, che alle loro voci affidavano il compito di trasmettere la loro sofferenza ma anche la loro battaglia quotidiana contro ogni incasellamento.
Dei nove rituali orgiastici, sensuali ma mai volgari, di Dionysus abbiamo parlato in una lunga intervista con Anna Soares. Non è facile confrontarsi con Anna Soares, la sua spiritualità coinvolge, sconvolge e attanaglia. Chi pensa di trovarsi davanti a una donna che usa il suo corpo per apparire o per far parlare di sé rimarrà sorpreso. Laureata in Filosofia, Anna Soares ha dentro una forza calamitica che non è solo apparenza ma è molta, molta sostanza, che ne dica Instagram e i continui ban nei confronti del suo profilo.
Intervista esclusiva ad Anna Soares
Nel tuo profilo Instagram, dai diverse definizioni di te stessa. Mi piacerebbe che me spiegassi. La prima è cantautrice ed è abbastanza chiaro capirne il perché. Quando hai cominciato a sentire il richiamo del canto?
Sin da piccola sentivo la necessità della performance. Quindi, mi mettevo davanti allo specchio e cantavo e danzavo contemporaneamente. È stato un topos di tutta la mia infanzia e della prima fase dell’adolescenza. Ho realizzato che avrei voluto fare quello come lavoro è stata però quando ho ascoltato per la prima volta Billie Holiday: la sua voce rotta mi ha rotto qualcosa dentro.
Sentivo una grande affinità elettiva, la stessa che ho sentito con altre artiste molto tormentate, come per esempio Amy Winehouse o Maria Callas. Appartenevano a background profondamente diversi ma avevano quel femminino che spuntava fuori nella sofferenza, qualcosa che ho sempre sentito enormemente. Ero già alla fine del mio percorso universitario, che andava comunque in tutt’altra direzione: ho studiato Filosofia. Ma è stato ascoltando Billie Holiday che ho capito che mi sarebbe piaciuto effettivamente cantare: ho allora cominciato a studiare e poi decostruire tutto ciò che studiavo, esattamente come lei.
E come hanno preso i tuoi genitori, napoletani, la tua decisione di metterti a cantare?
Sono sempre stata un po’ outsider, in realtà, quando vivevo in Campania perché avevo comunque passioni che andavano chiaramente un po’ fuori dai canoni della mia generazione e di come le persone in larga scala ritengono che bisogni vivere la propria vita. Già quando ho cominciato a studiare Filosofia hanno storto il naso: dicevano che ero giovane e che sicuramente poi avrei cambiato direzione in meglio.
Tuttavia, ho lavorato per tanti in ambito musicale anche in Campania: la musica è stata una professione che ho portato avanti per lungo tempo prima di capire che così come veniva fatta (di base, era intrattenimento) a me non piaceva. Io cercavo qualcosa di più profondo all’interno dell’esperienza sonora e musicale. Ho iniziato allora a scrivere e a rendermi conto che fare la cantautrice non era come fare la cantante negli alberghi o la cantante neomelodica: a scanso di equivoci, ho un enorme rispetto per la subcultura enorme e sfaccettata che ha dietro ma non è mai stata la mia tazza di tè.
Hai quindi studiato Filosofia e questo mi spiega in realtà la seconda definizione che hai scelto per presentarti: divulgatrice. Stai anche lavorando a un progetto particolare legato alla sessualità.
Sin dal momento in cui ho iniziato a rilasciare i brani di Sacred Erotic, il mio primo album, ho pensato che fosse giusto nei confronti di chi mi ascoltava rendere chiari dei concetti anche a parole, quindi divulgandoli e parlandone. Sono partita da argomenti un po’ light, come la sex positivity in senso ampio o l’estetica musicologica applicata a dei pattern socioculturali che investono le donne, i corpi e tutto il resto. Poi, ho ampliato il discorso, iniziando a parlare di sessualità alternative, che sono uno dei topoi che tocco più volentieri nella mia musica perché fanno effettivamente parte della mia vita.
Ovviamente, studio molto prima di prendermi la briga di caricare un video su YouTube. Ci sono argomenti di cui tutti pensiamo di sapere qualcosa ma di cui in realtà sappiamo poco o nulla. Abbiamo un po’ questo bias per cui siamo convinti di poter mettere bocca su ogni argomento e, in particolar modo, su quelli che ci investono in prima persona. Studiando, invece, ci si rende conto che in realtà l’universo umano è talmente sfaccettato che la porzione che ne conosciamo o che ne abbiamo è solo uno 0,01% di tutto.
La terza definizione che usi racchiude un po’ anche quella di cantautrice: artista. L’arte serve a muovere passioni ma anche a giocare con tutto l’immaginario legato appunto all’immagine, dalla cinesica alla prossemica passando per l’abbigliamento stesso. Cosa significa per te la parola artista?
Artista è un termine che racchiude al suo interno una marea di cose che io faccio in generale per me. Ed è un po’ come se io fossi all’interno della mia personalissima opera d’arte. Non mi limito ad esempio a comporre le mie canzoni: le registro, le produco, le mixo. Così come ne realizzo quasi tutte le cover e giro e monto anche molti dei miei video. Quindi, a me piace spaziare a livello creativo in senso ampissimo. Mi piace anche la fotografia: non sono una modella, non lo sono mai stata, ma nel momento in cui sono oggetto di uno scatto sento che sto creando arte.
Mi sento un po’ punk in questo senso: mi piace pensare che quello che sto facendo è un’opera rivolta totalmente all’altro. Cerco sempre di metterci meno autoreferenzialità possibile: è una forma di rivoluzione, di kindness revolution, come ho scritto in uno dei brani a cui sto lavorando per l’album che uscirà il prossimo anno.
Non volendo, mi hai già spiegato “rivoluzionaria”. Rimane come definizione la quinta: esploratrice. Dobbiamo vederti come un’Indiana Jones della sessualità?
Lo intendo in senso molto ampio. Indubbiamente, la prima cosa alla quale mi viene è l’esplorazione in ambito sessuale perché è sicuramente quella in cui sono molto più a mio agio. Non sono Indiana Jones ma amo esplorare luoghi e posti, viaggiare, fare trekking e andare in luoghi immersi nella natura. Dionysus, il mio album, è nato quasi tutto tra un cimitero a strapiombo sul mare e una montagna, dove mi sono recata quasi in pellegrinaggio per comporre. Sono anche un’esploratrice dei rapporti interpersonali, un vero marasma da studiare. L’esplorazione per me è uscire fuori dalla propria comfort zone per immergersi in qualcosa di nuovo: è diventata il mio approccio quotidiano per tutto.
Tra le tue passioni, oltre alla filosofia, alla mitologia e al sesso, c’è anche quella per i manga? C’è un brano di Dionysus, che si chiama Ahegao.
Più che nei manga, Ahegao è un’espressione che si trova nel mondo hentai. Per come la intendo io nel brano, è più un topos che rispecchia il messaggio del brano stesso piuttosto che una citazione a una cosa giapponese che mi piace. È fuorviante come titolo: è il più esplicito ma il brano va in realtà a snocciolare il discorso più meditativo e politico di tutto l’album.
E l’astrologia? C’è nell’album un brano intitolato Venus in Aquarius.
In astrologia, il modo in cui Venere è posizionata in un tema natale stabilisce come una persona si approccia alle relazioni amorose, sentimentali e, molto più in generale, sociali. La mia Venere in Acquario è sicuramente una Venere molto leggera e sfaccettata che cerca di avvicinarsi verso l’altro ma allo stesso tempo di conservare una sua dose di autodeterminazione e totale libertà. Il che si traduce in “voglio interagire con te ma devo avere la possibilità di farlo insieme”. È una Venere molto duale: giocosa, esploratrice ma anche concentrata su quelli che sono i suoi valori.
L’astrologia è una delle mie grandi passioni. L’ho studiata: ovviamente in maniera distaccata rispetto ai miei studi di filosofia, altrimenti mi bannerebbero da qualsiasi ambiente accademico! (ride, ndr). E si ricollega alla mia passione per la spiritualità e, nello specifico, per la spiritualità di matrice greca.
E la passione per la spiritualità greca è chiara sin dal titolo: Dioniso. Era il dio greco del delirio mistico ma anche della liberazione dei sensi e dell’eterno ritorno.
Dioniso è stato definito in mille modi diversi: dio del vino, dell’alterazione dei sensi, dei baccanali… In filosofia, ha avuto la sua affermazione grazie a Nietsche. L’amore profondo che nutro per il dio greco è nato proprio durante i miei studi in estetica musicologica: ho sviscerato da capo a fondo la contrapposizione dell’alto e del basso, dove il basso non per forza è motivo di vergogna o di distruzione. Ed è in quest’ottica che ho sempre guardato a Dioniso, anche successivamente quando ne ho sposato la spiritualità.
Ed a Dioniso che dedichi nel tuo album ben nove differenti rituali per “trascinarci verso il basso, annegare e percorrere”. Di due, Ahegao e Venus in Aquarius, abbiamo già parlato. Approfondiamo ora gli altri. Il primo rituale è Sex Monster, forse la più carnale di tutte le canzoni.
Se la gioca con DD/lg. Sex Monster è un brano molto corporeo, accentrato e vivo. Sex Monster è il secondo personaggio dell’album, insieme a Hypnodoll, che ha una sorta di dipendenza dall’altro: c’è tra i due un continuo alternarsi di dipendenza che si sviscera man mano attraverso gli altri rituali. Tra l’altro, nella canzone, tutti i piatti che si sentono sono stati campionati dal suono di una frusta sul mio c*lo.
Secondo rituale è quello di Anesthetize, in cui c’è un invito quasi esplicito ad anestetizzare i sensi. “Bere tutta la nostra purezza” è uno dei versi. Cos’è per te la purezza?
L’assenza di compromissione. Tante volte si fa qualcosa perché dietro ha uno scopo o una volontà: siamo circondati da diversi non detti. Trovo che la purezza sia quell’esatto momento in cui percepisci il vento sulla tua faccia.
Hai citato la parola “compromissione”. Quanto è stato difficile per te proporre la tua musica?
Quando ho cercato un’etichetta, ho avuto la fortuna di scrivere tra i primi nomi della lista che mi ero appuntata a Matteo Gagliardi di Lost Generation Records. Mi ha risposto scrivendomi che aveva già sentito qualcosa di mio e di esserne rimasto colpito: aveva capito che al di là della bella f*ga che fa un video provocatorio c’era della politica e della filosofia. E voleva investire su di me. Il nostro è stato un incontro di intenti meraviglioso, diventato una splendida amicizia e un rapporto professionale di reciproca stima. Matteo mi supporta in ogni cosa e, a oggi, non so dire come sarebbe andata se lui non mi avesse scritto.
Però, è chiaro che ciò che propongo rompe degli schemi. E questa cosa mi chiude diverse porte. L’ho sperimentato soprattutto nella dimensione live: non posso cantare o esibirmi ovunque. Banalmente, sono troppo per gli ambienti “normali” e troppo poco per gli altri. Quindi, le mie performance sono giudicate esagerate per un club che ospita artisti indipendenti e troppo “pudiche” per un club privé, dove ci si aspetta che oltre alla musica io facessi altro.
Su molte cose stiamo facendo a livello globale dei grandi passi in avanti. Ma ho come l’impressione che si facciano su quisquilie più o meno importanti (che andrebbero affrontate però in maniera più funzionale). Su altre, invece, ci si perde in un bicchier d’acqua.
E se a proporre le tue stesse esibizioni fosse un uomo?
Non so se ci siano dei progetti simili. I Rammstein hanno fatto delle cose molto estreme ma erano uomini che si muovevano all’interno del genere industrial metal, dove gli eccessi sono molto più “canonicamente” accettati. Poi ci siamo sempre in Italia, dove l’industria musicale ha fatto in modo che tutti gli artisti fossero spinti all’interno di due o tre grandi direzioni stilistiche. Perché all’estero, ad esempio, Beyoncé o Nicki Minaj possono esporre il loro corpo in maniera consapevole e autodetermina e in Italia una cantautrice deve ancora stare col maglioncino e la chitarra davanti per essere presa in considerazione seriamente?
Abbiamo citato prima DD/lg, brano che fa riferimento a una parafilia ma anche a un semplice gioco di ruolo. Dirty daddy e little girl: papà sporcaccione e ragazzina…
Si tratta di un age play, un gioco in cui si va a modificare quella che è la propria età assumendone una simbolica, ossia ringiovanendo o invecchiando. È un gioco che non comporta necessariamente implicazioni sessuali. Certo, un caso diverso è quando si raggiungono livelli molto estremi ma non è questo il caso.
A proposito di età, in Spiral Cage, un altro dei nove brani di Dionysus, ne citi una esatta in cui dichiari di aver conosciuto il mondo BDSM: 14 anni.
Spiral Cage è un brano molto sofferente. A 14 anni sono venuta per la prima volta in contatto con il BDSM in maniera indiretta. Non l’ho provato sulla mia pelle però mi sono ritrovata in una situazione in cui ho iniziato a comprenderne delle dinamiche. Chiaramente, con la testa di una quattordicenne mi sembrava tutto un’assurdità. Con il passare del tempo, invece, quella gabbia si è stretta sempre più intorno a me fino a farmi diventare la sacerdotessa di quelle cose lì… è stato un po’ uno scherzo del destino: a te sembra di vincerlo ma alla fine vince lui.
Ed è anche l’unico brano dell’intero album che presenta una voce maschile, quella di Dorian Nox, che canta in italiano in un contesto che è tutto inglese. Scelta voluta?
Beh, quando ho chiesto a Dorian di fare il featuring, gli ho lasciato completamente carta bianca. Gli ho raccontato le intenzioni della canzone ma ho voluto che fosse libero da ogni costruzione. Volevo una situazione di shock un po’ a là Schönberg ed ero consapevole che Dorian fosse colui che poteva aiutarmi. D’altronde, la sua scrittura mi piace da morire: italiano o inglese, era per me indifferente. Quello che contava per me era avere la sua presenza: è una collaborazione che nasce dalla stima enorme che nutro nei suoi confronti a livello artistico e dalla consapevolezza della sua sensibilità.
In Spleen and Ideal asserisci che sei una cheater. Cos’è per te il tradimento?
Nel teso, il termine cheater è inteso come “gambler”: sono una che bara. Quindi, il mio non è un tradimento verso l’altro ma verso me stessa. In senso canonico amoroso, il tradimento vero consiste nel tradire ciò che si mostrava di essere all’altro, è mostrarsi esattamente per quello che non si è.
Ritual è il rituale conclusivo. Venere sulle labbra, Dioniso nelle vene e Baubo nello stomaco. Ci spieghi la triade presente nella tua preghiera?
Venere, Dioniso e Baubo sono le tre divinità con le quali medito e prego. Le ho incontrate in momenti diversi della mia vita e con ognuna di loro ho instaurato un tipo diverso di rapporto. Il disco è espressamente dedicato a Dioniso ma nell’ultimo brano ho voluto che ci fossero anche le altre due: sono moniti a un certo approccio all’esistenza che seguo nella vita di tutti i giorni. È una preghiera che ho inventato io: Venere è sulle labbra perché quando bacia diffonde il suo potere; Dioniso è nelle vene perché è lì che scorre il sangue attraverso cui alteri la tua coscienza; e Boubo è nello stomaco perché sono io che la inglobo totalmente. Boubo era la dea della sacra oscenità e per me l’oscenità è tutto ciò che mi rende sacra.
Dionysus è appena uscito ma tu lavori già al prossimo disco. A cosa si deve la tua iper produttività?
Non riesco a stare senza far niente. Sto vivendo un periodo della mia vita estremamente stimolante sotto il profilo umano e questo fa sì che io senta l’esigenza di esternare ciò che accumulo. Io vivo e sento la scrittura come il veicolo attraverso cui svuotarmi di ciò che accumulo dentro. Ho cambiato caso, assesti della mia vita e persone da poco: mi sono rifugiata nella scrittura considerandola un atto d’amore nei confronti della Madre Terra che mi sta accogliendo nonostante tutte le difficoltà. Ho la necessità di farlo.
Il tuo modo di essere inficia le tue relazioni con gli altri?
Tanto. Sono una persona abbastanza calamitica e mi rendo conto che il mio modo di spiegarmi nel mondo viene percepito tantissimo. E accade ancora di più alle persone alle quali io tengo particolarmente e che sono per me importanti. Tendo a darmi completamente a loro e fino a oggi ciò mi ha restituito relazioni di grande valore.
Anche in amore?
Fino a ora è andata con alti e bassi. Per me è complesso trovare una persona che sia del tutto complementare a me. Quando per anni hai ragionato tanto sulla tua sfera sessuale fino a renderla cervellotica e molto ristretta, ogni persona che incontri rischia di rasentare una banalizzazione di ciò che cerchi all’interno di un rapporto. Ma poi arriva anche quel momento in cui ti rendi conto che quando si ha a che fare con una persona non si deve cercare il proprio feticcio ma l’essere umano. E, se l’essere umano è veramente affine a te, le pratiche passano in secondo piano.
E la paura?
Le persone che si interfacciano con me non ne hanno. Chi ce l’ha tendenzialmente si allontana prima di capire che non sono minimamente interessata a loro. Ci vuole una certa dose di “cervelloticità”, coniamo pure il termine, per interagire sentimentalmente o sessualmente con me. La selezione piuttosto naturale avviene a priori. Mi basta solo parlare con una persona per capire se può esserci o meno sintonia. L’amore è un sentimento che ti dà e ti toglie tantissimo, un qualcosa di sconfinatamente potente.