In un’epoca in cui l’arte del recitare diventa sempre più profonda e intima, Antonia Liskova si distingue per essere un’attrice che porta con sé non solo talento ma anche una rara intensità di vissuto. Originaria dell’ex Cecoslovacchia, Antonia Liskova ha saputo ritagliarsi uno spazio importante nel panorama cinematografico e televisivo italiano, non solo per la sua bravura ma per la sensibilità con cui interpreta ogni ruolo, trasformando i personaggi che veste in una sorta di confessione.
La vedremo da venerdì 15 novembre nella serie tv di Canale 5 Il Patriarca 2, in cui Antonia Liskova incarna Serena Bandera, una donna che, pur lacerata dalle perdite, trova una forza inaspettata nei legami che la circondano, specialmente di fronte alla malattia del marito Nemo, affetto da Alzheimer. Serena è un personaggio complesso, in bilico tra amore, sofferenza e lotta per la sopravvivenza del proprio mondo.
In questa intervista esclusiva, concessa in una delle pause delle riprese della nuova serie I casi dell’avvocato Guerrieri al fianco di Alessandro Gassmann, Antonia Liskova esplora il significato dei ricordi, rivelando come la memoria sia una parte insostituibile della propria identità. Tra aneddoti personali e riflessioni sul ruolo delle donne nelle storie di rivalità e potere, l’attrice ci offre uno sguardo onesto sulla vulnerabilità e sull’ironia come strumenti di resilienza.
Le sue parole tracciano un percorso di autodeterminazione, toccando anche il tema dell’accoglienza e della difficoltà di emergere in un Paese straniero. Attraverso il racconto dei suoi inizi, il legame indissolubile con la figlia e il suo desiderio di ritrovare la semplicità della vita rurale, Antonia Liskova ci mostra che, al di là delle luci della ribalta, è la forza interiore o tigna, come preferisce chiamarla lei, a guidarla.
Incontriamo una donna e un’attrice che parla con il cuore, rendendo omaggio al potere delle radici e della trasformazione personale, ricordandoci che essere liberi significa anche accettare i ricordi, belli o dolorosi che siano. Questa intervista è un viaggio tra passato e presente, memoria e oblio, in cui ogni domanda invita a riflettere sulle scelte, i sogni e le responsabilità di una vita vissuta con profondità.
Intervista esclusiva ad Antonia Liskova
“Qualsiasi cosa io dica sulla seconda stagione della serie Il patriarca potrebbe essere uno spoiler”, scherza Antonia Liskova quando le si chiede cosa dobbiamo aspettarci della sua Serena negli episodi che arrivano su Canale 5 dal 15 novembre. “Serena va incontro a un’evoluzione molto importante. Come già sappiamo dalla stagione precedente, suo marito Nemo è malato e inevitabilmente, parlando di Alzheimer, c’è da aspettarsi un aggravarsi delle sue condizioni. Ci invitano sempre a investire nei nostri ricordi perché sono l’unica cosa che nessuno potrà toglierci, dimenticando come basti una malattia così insidiosa a poterlo fare. Dal mio punto di vista, penso che sia terribile essere privati dei propri ricordi, positivi e negativi che siano: è come perdere una vita intera o come aver vissuto senza un senso”.
Diversi vecchi e nuovi nemici si profilano all’orizzonte. E una di questi ha il volto di Giulia Bevilacqua: perché è così consueto trovare donne in ruoli da antagonista?
Credo che dipenda da una fattore ‘territoriale’. Come nel mondo animale, la donna è in qualche modo colei che è deputata alla difesa del territorio: ci può essere una sola leonessa a difendere il proprio posto all’interno di una casa, di una famiglia, di una comunità o di un paese. È un po’ delle caratteristiche femminili che non appartiene agli uomini: mentre per loro è più facile aggregarsi e divenire comitiva, per la donne è più complesso. Certo, ci sono quelle che diventano amiche ma già essere in tre rappresenta un problema: la terza è scomoda perché cambierebbe gli equilibri. Può esistere una sola “best friend”, è quella ed è solo mia!
I ricordi sono qualcosa con cui tutti quanti abbiamo a che fare. Se ti ritrovassi nelle condizioni estreme di poter salvare solo un ricordo dei tuoi, quale sarebbe?
La nascita di mia figlia. Nel momento in cui me l’hanno avvicinata al letto, ho visto qualcosa che mi avrebbe cambiato la vita per sempre: ho provato una sensazione meravigliosa e, al contempo, spaventosa, un mix di emozioni che hanno rappresentato un’esplosione unica. È di sicuro quello il ricordo che vorrei conservare per sempre, un frangente che, ahimè, gli uomini non possono biologicamente provare. Pur non essendo mai stata una femminista accanita perché nel valutare gli altri mi limito alla persona in sé e non al loro genere di appartenenza, so che è una sensazione che solo un’altra donna diventata madre potrà capire.
Perché, comunque, spaventosa?
Perché da quell’istante in poi non sarai mai più libero: rimarrai collegato a vita con un elastico che si allungherà all’infinito con quell’essere umano che hai messo al mondo. Non potrai mai più spegnere del tutto il telefono, non sarai mai più libero di andare altrove e non penserai mai più solo a te quando prenderai ogni tuo scelta… e il tutto perché hai sulle spalle la responsabilità di un altro essere umano che dipende da te. Un po’ capisco chi decide di non mettere figli al mondo: se avesse voglia di andare a vendere banane al Polo Nord, potrebbe essere molto più difficoltoso farlo (ride, ndr).
Il Patriarca 2: Il cast
1 / 13Ricordo, se pensiamo alla sua etimologia, vuol dire anche riportare al cuore qualcosa che non si può più rivivere. In tal senso, quale sarebbe il tuo ricordo più caro?
La mia infanzia perché legata soprattutto a una persona che nel frattempo è mancata. So che non potrò mai più risentirne l’odore o il calore dell’abbraccio, così come ho la consapevolezza che ogni Natale sarà diverso da quelli in cui era presente: il clima non potrà mai essere lo stesso. Quando qualcuno non c’è più, puoi aggrapparti solo ai ricordi che restano e in cui ti vai a rifugiare quando il colore diventa grande. Con il tempo forse il dolore si affievolisce, diventa sempre più sottile ma resta sempre lì: nel momento in cui lo senti forte, non puoi che appellarti ai ricordi per non lasciarti travolgere dallo sconforto o dalla debolezza…
I ricordi sono la tua unica ancora di salvezza dallo smarrimento, soprattutto da quello dettato dalla perdita dei genitori: essere figli è una condizione che ci apparterrà per sempre…
Ti sei sentita smarrita quando, comunque, hai lasciato la tua terra d’origine?
In quel caso non mi sono sentita smarrita perché ho lasciato qualcosa che non mi piaceva e che non amavo. Già da piccola, sapevo che quel posto non mi apparteneva: non era la mia casa ed era quella che dovevo cercare. La sensazione provata è stata semmai di liberazione: nonostante mi attendesse l’ignoto, sapevo che era tutto ciò per cui io avrei combattuto e avrei comunque dato una vita migliore a mia madre e a mia sorella. Ero quindi molto motivata, ero forte, ero imbattile, ero invincibile…
Guardandoti intorno, non hai mai avuto paura che quel passato di privazione di libertà, anche attraverso altre porte, potesse ritornare?
È un timore che non potrai mai toglierti di dosso: la paura di rivivere ciò che hai vissuto non ti lascerà mai anche quando, come nel mio caso, non ho ricordi netti della dittatura. Avevo dodici anni quando è caduto il regime sovietico, ho sprazzi di ricordi ma so ciò che è successo dopo: è riapparso il Crocifisso nell’aula della scuola che frequentavo. Ed è stato un netto sogno del ritorno non solo della libertà di religione ma anche di parola, di riflessione, di orientamento sessuale, di pensiero politico… di tutto ciò che oggi appare nuovamente minacciato: nessuno di noi, ad esempio, è libero di dire tutto ciò che pensa a causa delle conseguenze disastrose che ne potrebbero derivare, dall’essere punito all’essere marchiato per sempre. Piaccia o no, le restrizioni esistono già, anche se abbiamo paura di ammetterlo.
Arrivando in Italia, avevi già la consapevolezza di ciò che volevi fare o ti sei lasciata guidare dal caso?
Non avevo idea di voler fare questo mestiere: per me, arrivare in Italia significava vivere la vita che avevo scelto io, giusta o sbagliata che fosse. Ero pronta ad assumermi tutte le mie responsabilità per agguantare una condizione migliore da quella da cui provenivo: la mia era una famiglia molto modesta che vive in un ambiente complesso non solo a livello sociale ma anche domestico. Non poteva, quindi, che andare solo meglio: era questa la mia grande spinta, la stessa che oggi manca a tantissimi giovani che si accontentano della mediocrità pur di non barcamenarsi tra le difficoltà per raggiungere un vero benessere. Ero disposta a far di tutto e avrei affrontato ogni sacrificio pur di dimostrare di aver ragione e anche un po’ di tigna…
Quella che oggi si chiamerebbe “autodeterminazione”?
No, no: era proprio ostinazione di dimostrare a tutti che avevo fatto bene. Nasceva dal fatto che chiunque, dagli amici ai familiari, erano contrari alla mia decisione: non potevo quindi mollare… non sarei mai tornata indietro supplicando di essere riaccolta.
Quando hai capito che quella tua “tigna” non si sbagliava?
Nonostante tutte le difficoltà concrete del caso, quasi da subito: la paga che riuscivo a guadagnare in un mese facendo la cameriera, adoperandomi come baby-sitter o aiutando con le traduzioni, equivale a cinque mesi di stipendio nel mio Paese. Per me, era già un grande traguardo: con quei primi soldi, potevo permettermi non solo di vivere in maniera dignitosa ma anche di aiutare mensilmente la mia famiglia. Avevo già vinto…
Ero partita proponendomi di dimostrare qualcosa ma certo non immaginavo di certo quello che sarebbe arrivato dopo. Mai avrei avuto il coraggio di sognare di diventare attrice e di affermarmi in quanto tale: è stato un regalo meraviglioso della vita. È vero che conta sempre quanto sei pronto a rischiare, a metterti in gioco costantemente e a meritarti qualcosa, ma nel mio caso c’è stata anche la componente “fortuna” ad aver giocato un grande ruolo…
…l’essere al posto giusto nel momento giusto, ciò che a molti appare come una banalità.
Ma che non lo è per niente. Non bisogna mai dare per scontate le opportunità credendo che se ne possano ripresentare altre: le occasioni sono uniche e occorre imparare a coglierle tutte e, comunque, a giocarsele bene con il massimo dell’impegno dando il giusto valore a ogni cosa.
Chi è stata la prima persona che hai chiamato quando hai preso il tuo primo ruolo da attrice?
Non lo ricordo con precisione ma credo sia stata mia sorella, più piccola di me di sei anni. Penso fosse lei perché tra di noi c’è sempre stato un legame bellissimo: essendo io più grande, ho sempre avuto la sensazione che fosse più mia figlia che mia sorella. Essendo cresciuta molto in fretta, mi sono sempre sentita più grande dell’età che avevo fino a quando abbiamo sentito la necessità di metabolizzare quale fosse il nostro vero rapporto e ristabilire i ruoli giusti.
Cresciuta in fretta: hai mai avuto la percezione di aver perso la spensieratezza che comunque l’infanzia e l’adolescenza portano con loro?
Non ho mai avuto quella spensieratezza: sin da molto piccola, sono stata sommersa dalle responsabilità. Quand’è nata mia sorella, con mia madre che lavorava tanto, mi sono occupata della sua crescita ma anche della casa. Vivevamo in una grande fattoria e avevo il compito la sera di chiudere gli animali: capitava che lo dimenticassi e di notte, svegliandomi di soprassalto, correvo a rimediare anche quando fuori c’era la neve…
Il senso di responsabilità già mi attanagliava: penso di aver recuperato un po’ di quella spensieratezza negli anni in cui ho vissuto a Milano. Avevo però già vent’anni e da lì a poco sarei diventata mamma: me le sono cercate tutte per complicarmi la vita, in questo mi sento molto brava (ride, ndr)!
Il tono con cui hai pronunciato quest’ultima frase evidenzia un grande dono: l’autoironia, l’arte di sapere sdrammatizzare anche delle proprie difficoltà.
Essere una persona ironica alleggerisce la vita. L’ironia è un’ancora di salvezza perché ti permette di sdrammatizzare della tua vita in primis e poi delle situazioni in cui si possono creare tensioni o potresti attirare l’attenzione su lati sbagliati del tuo discorso. So che all’apparenza posso sembrare una persona con una certa serietà e pesantezza, anche per via dei ruoli che spesso interpreto, ma in realtà sono ben altro: non lascio però intravedere a tutti il mio lato più leggero o sensibile per paura di uscire forse dalla mia comfort zone.
Ho sempre una gran paura dal portare fuori casa il mio lato più intimo anche per via di un mondo in cui la gentilezza viene scambiata per debolezza e la fragilità usata per ferirti. È molto brutto ma preferiamo spesso essere giudicati per la nostra maschera anziché per quello che siamo realmente: con la maschera possiamo fare i conti, con noi stessi non so.
Eppure, oggi, durante questa conservazione, sei senza maschera. Cosa ti spinge a parlare delle tue vulnerabilità?
Non ho mai nascosto le mie vulnerabilità, le mie paure e le mie debolezze, perché oramai ho imparato a gestire il giudizio degli altri. Mi rendo conto, alla fine, di essere abbastanza forte per poterlo affrontare ma far vedere chi sei o cosa sei è una scelta… Dall’altra lato, però, penso che sia giusto mostrare al pubblico chi si cela come persona dietro a quei personaggi che entrano all’interno delle loro case, che fanno loro compagnia, in cui si riconoscono o si rispecchiano, e in cui un attore ha riversato le sue fragilità ed emozioni. I personaggi sarebbero solo macchie su un foglio bianco se non intervenisse chi vi porta il suo bagaglio e, quindi, trovo che, quando me ne viene data l’opportunità, sia giusto, affettuoso e rispettoso nei confronti del pubblico dire chi sono.
E chi è Antonia? In quale personaggio interpretato c’è stata più parte di te?
Tutti i miei personaggi sono una parte di Antonia. Conoscendomi, troverai in qualche modo la chiave per aprire ogni personaggio portato in scena. Mi vedi in differenti contesti, intenta a far cose diverse o a soffrire per qualcosa di specifico, ma di base c’è sempre Antonia…
Qual è allora quello che ti ha generato più sofferenza?
Fey von Hassel nella miniserie I figli strappati. Ero da poco diventata madre e l’interpretare quella donna, realmente esistita a cui vennero tolti i figli prima di essere arrestata e sbattuta in un lager, è stato straziante. Ho vissuto per tutto il tempo col terrore che qualcuno potesse portarmi via mia figlia ed è stato terribile.
Il Patriarca 2: Le foto della serie tv
1 / 59Ti sei sempre presa cura di qualcuno, che fosse tua sorella prima o tua figlia dopo. Ma chi si è mai preso cura di Antonia?
In passato, forse nessuno. Quando si decide di intraprendere un percorso di vita solitaria, inevitabilmente devi prenderti le tue responsabilità e contare solo su te stessa, soprattutto quando i tuoi genitori, andando via di casa, non vogliono saperne molto di te. Ho potuto contare solo su me stessa mentre oggi posso contare su mia figlia, con cui vivo un rapporto bellissimo e simbiotico. Il nostro è un legame anche molto amicale ma fino a un certo punto: essendo una mamma dell’est, va bene l’essere amica ma rimango sempre una madre per cui ci sono dei limiti oltre i quali non si va e non transigo.
Detto ciò, il nostro è un rapporto molto alla pari, fatto di rispetto reciproco. Non solo mia figlia deve rispettare me ma anch’io rispetto i suoi pensieri, i suoi spazi e la sua personalità. Noi genitori dobbiamo sempre ricordarci che i figli non sono una nostra proprietà per cui è giusto che portino avanti chi sono e le loro idee.
“Mamma dell’Est” fa tornare in mente quegli stereotipi che così tanto “amiamo” nella nostra cultura. Ti hanno mai fatto pesare in ambito professionale l’essere una donna dell’Est?
Se l’hanno fatto, sono stati bravi a non farmene accorgere. È comunque innegabile che ognuno di noi sia vittima di cliché e di luoghi comuni per ragioni diverse: io, ad esempio, ho dovuto combattere quello per cui le donne dell’Est negli anni in cui sono arrivata io giungevano in Italia o per rubare gli uomini alle italiane e accasarsi o per far le prostitute.
Ho dovuto dunque combattere per dimostrare che non volessi né l’una né l’altra cosa ma che desiderassi semplicemente farmi valere come essere umano. Anche perché sono entrata in Italia in punta di piedi, senza alcuna prepotenza e rispettando ogni legge o regola possibile. Ho puntato molto sul rispetto, lo avevo nei confronti degli altri e lo pretendevo nei miei: sono sempre stata molto tosta da questo punto di vista e penso che mi abbia aiutato esserlo.
Incantesimo ha rappresentato per te una tappa cruciale: andava in onda in prima serata su Rai 1 e ogni settimana ti lasciava entrare in casa di milioni di spettatori. Hai allora percepito il successo?
È stato allora che ho avuto la certezza di essere stata accettata. Di fronte al calore della gente per strada, mi sono resa conto del successo che riscuoteva una storia che aveva come protagonista una straniera percependo amore nei miei confronti. E quella sensazione di accoglienza e di abbraccio non mi ha poi mai più abbandonata: è stato quello il momento in cui ho cominciato a sentire l’Italia come casa.
“Ho cercato il successo ma non la fama”, sostiene Al Pacino…
Facile così, no? È come dire vorrei mangiare l’impossibile tuti i giorni ma vorrei essere magro: è un ragionamento un po’ da sciocchi… Non si può pensare di godere dei risvolti positivi di qualcosa e di non sortirne quelli negativi. Quello di attore è un lavoro e, come tale, comporta anche un prezzo da pagare e un rovescio della medaglia che, talvolta, è ancora più interessante della medaglia stessa perché porta a confrontarti con te stesso, a capire chi sei o quale direzione sta prendendo la tua vita. Ed è necessario farlo: troppo spesso non sappiamo nemmeno qual è il nostro obiettivo o, pur sapendolo, facciamo di tutto per allontanarcene. “Voglio comprare un casale in Toscana ma intanto compro una borsa da migliaia di euro”: un controsenso, no?
Vuoi davvero comprare un casale in Toscana?
Probabilmente sì, voglio fuggire dal caos della città. Vivo già nella mia allegra periferia ma prima o poi ricostruirò quello che è stato il mio habitat naturale da bambina: una casa in campana, con tutti gli animali intorno… C’ero già una volta riuscita ma poi, complice la separazione dal padre di mia figlia, ho dovuto vendere il tutto perché diventava impossibile gestirlo in due. Ma prima o poi ci riuscirò: mi manca sentire quegli odori che mi riportano indietro… ecco: gli odori per me sono un ottimo catalizzatore di ricordi!