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Antonio Folletto: “Libero di esprimermi e di sognare” – Intervista esclusiva

antonio folletto
Antonio Folletto non è solo un attore di talento, ma anche una persona che, con il suo esempio, invita a una riflessione più profonda sul valore delle relazioni umane, del rispetto per gli altri e della necessità di sognare. Come rivela nella nostra intervista in esclusiva.
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Quella di Antonio Folletto è stata un’estate decisamente impegnata. Due suoi film sono arrivati in sala, Shukran e Ma chi ti conosce?, e un terzo si appresta a giungere nei cinema il prossimo 5 settembre grazie a FilmClub Distribuzione, SottoCoperta, opera prima della napoletana Simona Cocozza che ad Antonio Folletto è valso un premio come miglior attore al Bari Film Festival.

In SottoCoperta, divertente commedia dai risvolti sociali e romantici, Antonio Folletto interpreta Fiorenzo, un ingenuo, umile e solitario tuttofare di Napoli che da sempre sogna di viaggiare ma che, non potendo permettersi una vacanza vera, si barrica in casa fingendo di essere partito peri Caraibi. Nel suo viaggio poetico ma casalingo, irrompe un'intrusa, Matrona (Maria Pia Calzone), una matura ex prostituta in cerca di una rivalsa personale. La vacanza immaginaria di due anime così diverse, ma entrambe emarginate dalla società, si trasformerà così in qualcosa di magico.

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Ed è partendo da Fiorenzo che abbiamo voluto giocare con Antonio Folletto per un’intervista che collega i tratti distintivi del personaggio in scena a quelli appartenenti all’attore, che passo dopo passo ha saputo costruirsi una carriera solida con titoli che spaziano da Il nostro generale a A casa tutti bene, da L’attesa a L’amore non si sa (in coppia con Silvia D’Amico).

Antonio Folletto emerge così come un attore profondamente radicato nei valori della sua terra, capace di affrontare con umiltà e consapevolezza le sfide del suo mestiere. Nonostante il riconoscimento per il suo lavoro, Antonio Folletto mantiene una prospettiva sobria e riflessiva, esprimendo gratitudine verso coloro che lo hanno supportato nel suo percorso, come la regista e la produttrice del film SottoCoperta.

La sua visione della solitudine, non vista come un male ma come un'opportunità di riflessione e introspezione, rivela una maturità emotiva che va oltre la semplice recitazione. Inoltre, il legame con Napoli, la sua città d'origine, è palpabile e si manifesta non solo nel suo lavoro, ma anche nel suo modo di vivere e relazionarsi con il mondo.

 Antonio Folletto ci parla di un equilibrio tra il sentirsi parte di una collettività e il bisogno di momenti di solitudine, un equilibrio che sembra riflettersi anche nel suo approccio al successo e alla vita in generale. Senza lasciarsi trascinare dalle pressioni esterne, preferisce restare fedele a sé stesso e alle proprie radici, con una serenità che traspare chiaramente dalle sue parole.

Antonio Folletto (Foto: Mirko Morelli; Press e styling: Other Agency; Total look: Tod’s).
Antonio Folletto (Foto: Mirko Morelli; Press e styling: Other Agency; Total look: Tod’s).

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Intervista esclusiva ad Antonio Folletto

Sottocoperta ha fatto sì che tu venissi premiato come miglior attore allo scorso Bari Film Festival. Cosa vuol dire per un attore vedere riconosciuto il suo impegno e la sua fatica?

È una sensazione bellissima ma lo è ancora di più perché arrivata quando non me l’aspettavo. Ero molto contento di come fosse andata la prima proiezione in sala: con la commedia, il rischio è sempre alto perché non sai mai realmente cosa potrebbe accadere se gli altri non ridessero. Il rischio però era stato scongiurato perché il pubblico è stato subito a nostro favore.

Del premio, sono naturalmente felicissimo, porta il nome di Gabriele Ferzetti, ma più che per me sono contento per il film: credo che la regista Simona Cocozza e la produttrice Samantha Cito siano due ragazze da prendere come esempio per la determinazione che hanno avuto nel realizzarlo. La prima volta che Simona mi ha parlato del progetto che aveva in mente era il 2019: voleva raccontare del fenomeno dello staycation, di cui all’epoca non sapevo pressoché nulla, attraverso la storia di un ragazzo che, desiderando di andare a Santo Domingo, racconta agli altri di partire quando in realtà rimane chiuso nella sua abitazione e finge, ricorrendo a scenografie apposite, di essere volato oltreoceano.

Per come funziona oggi il sistema cinema, ci vuole anche coraggio a investire su una sceneggiatura del genere ma Simona e Samantha ci credevano così fermamente da non farsi scoraggiare. Tutte le volte che penso a Fiorenzo, il protagonista che si arrangia come può e fa tremila lavori per il suo semplicissimo sogno di viaggiare ma che poi rimane a casa simulando la partenza, non posso che non ridere ma, riflettendoci, la sua storia affronta un altro grande tema della società di oggi: il giudizio degli altri.

Ovviamente, non era il primo riconoscimento alla tua attività di attore.

C’era stato in passato un altro premio arrivato dall’Ortigia Film Festival ma le due occasioni non sono paragonabili. Il premio a Bari era talmente in atteso che mi è stato comunicato mentre stavo per prendere un aereo per rientrare a casa. Ma torno a ripetere che la felicità maggiore è stata quella di vedere con me anche Samantha e Simona: qualunque mestiere tu faccia nel mio settore, dallo scrittore al cantante, non è mai possibile da solo. Loro due sono state abilissime nel non smettere di sognare di fare il film, trovando poi altre persone che credevano in loro, da Gaetano Di Vaio a Gianluca Curti di Minerva Pictures, tutte forze più solide che si sono unite per permettere loro di realizzare e vincere una scommessa.

SottoCoperta è ambientato a Napoli: cosa significa per un attore recitare in una commedia ambientata nella propria città, quella stessa città che da sempre cela una lunga tradizione comica ma che negli ultimi anni ha fatto da sfondo a racconti declinati in chiave diversa e più ombrosi?

Una gioia immensa. Sono cresciuto guardando i film di Massimo Troisi, Totò ed Eduardo De Filippo, in cui Napoli era raccontata con aspetti diversi e sfaccettati rispetto a quelli che serie come Gomorra, a cui anch’io ho preso parte, hanno restituito negli ultimi anni. Spesso Napoli così come certe sue zone, penso ad esempio a Scampia con le sue Vele, sono state sotto l’occhio del ciclone dimenticando come in realtà siano piene anche di gente onesta, di persone che lavorano e che fanno tanti sacrifici anche se in un contesto difficile.

Il problema, come sempre, è la generalizzazione, di fronte alla quale mi viene quasi da sorridere: basta girare per le strade di Napoli per rendersi conto di come la città sia piena di turisti e viva una realtà differente da quella che piccolo e grande schermo propongono. Girarvi quindi una commedia mi ha reso felice quanto il lavorare con un cast artistico e tecnico la cui umanità era altissima. E, secondo me, tutto ciò ha contribuito alla riuscita del film stesso: credo che si veda.

Girare a Napoli è per me un regalo. Mi rendo conto di avere un legame con la mia città molto particolare, nonostante il mio andare via a sette anni per poi tornarvi dopo prima di ripartire ancora: in nessun posto mi sento come quanto torno a Napoli, a casa mia, dove ogni vicolo, angolo o strada è fonte d’ispirazione continua. Sono l’ultimo degli scemi a dirlo: già Eduardo De Filippo sosteneva che la città è un teatro a cielo aperto…

Mi ritrovo molto anche in quello che a Napoli si definisce crianza, ovvero il saper rivolgersi al prossimo con dolcezza e accoglienza, con il desiderio di farlo integrare e rendere partecipe di qualcosa. Tutte le volte che torno giù, la sento sulla mia pelle e la vedo nella gente intorno a me.

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In SottoCoperta, sia Fiorenzo sia Matrona sono due persone profondamente sole. Fiorenzo è attaccato al ricordo di un amore che non è andato come si immaginava, non ha un padre da quando aveva sette anni e ha un legame particolare con la madre. Matrona, nonostante il lavoro di prostituta, non ha legami con l’umanità a eccezione di un rapporto incrinato con il figlio. Sono entrambi due specchi di solitudine. Cos’è la solitudine per Antonio Folletto?

È una bella domanda a cui è anche difficile trovare la risposta. Spesso si pensa che sia qualcosa di brutto o di negativo ma ci sono dei momenti in cui si necessita di solitudine. Rispetto a Fiorenzo, mi sono sempre sentito poco solo perché sempre circondato da persone intorno a me, dalla famiglia o dagli amici. Ma a volte sento il bisogno di stare un po’ da solo, di fermarmi con me stesso e di rallentare: non si può sempre essere inseguiti da qualcosa o da qualcuno.

Basta poco per rendersene conto: in questo momento, mentre parlo con te, sto ad esempio respirando e mi sto prendendo del tempo per rispondere nella maniera più onesta possibile. Quindi, oggi, la solitudine potrebbe semplicemente significare prendersi il tempo per dire qualcosa, per pensarla e per non affastellarsi subito in altro. Non ce ne accorgiamo nemmeno ma tutto va così velocemente che noi esseri umani quasi non ci parliamo più: se ci guadiamo intorno, siamo tutti con le teste rivolte ai nostri smartphone. Paradossalmente, diamo l’impressione di non sapere cosa sia la solitudine rifuggendola aggrappandoci ai numeri o alle mille cose da fare quando invece avremmo bisogno di fermarci e ascoltarci semplicemente di più.

Maria Pia Calzone e Antonio Folletto nel film SottoCoperta.
Maria Pia Calzone e Antonio Folletto nel film SottoCoperta.

Sei cresciuto circondato sempre da molte persone, molte delle quali donne: qual è il tuo rapporto con il femminile oggi?

C’erano anche delle figure maschili come, ad esempio, i miei nonni e qualche fratello di mamma ma è comunque vero che papà aveva sei sorelle, tantissime. Credo che il mio rapporto con il femminile sia sereno e, quando penso alle donne, non posso non pensare alle persone che sono state più vicine a me, che fanno parte della mia vita e che continuano a darmi molto. Senza troppo generalizzare, penso a mia madre, che per me è stata esemplare per il modo in cui ha cercato sempre di trasmetterci quanto importante fosse il rispetto per gli altri e per se stessi. Sono cresciuto pensando a lei come il mio eroe… e lo è tuttora, anche perché quando cresci e cominci a camminare con le tue gambe capisci meglio alcune dinamiche, situazioni e sacrifici.

In SottoCoperta, Matrona asserisce che ridere è un diritto. Tu quando hai capito che era anche un tuo diritto farlo?

Da sempre, hanno cercato, volontariamente o involontariamente, di trasmettermi l’idea di quanto fosse importante godere dei momenti che la vita ti riserva. Anche di quelli meno belli, perché poi di sicuro ne arriveranno altri più felici. Più che un diritto, per me ridere è un dovere verso noi stessi e verso coloro che ci stanno accanto. Se ci si prende troppo sul serio, cosa ce ne viene? Non vuol dire, ovviamente, il dover prendere tutto alla leggera. Ma nemmeno farsi un cruccio per qualsiasi cosa… In questo mi rendo conto di essere fortunato: tanti concetti e pensieri meravigliosi me li sono ritrovati intorno senza dover faticare.

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Stupisce quanta positività emerge dalle tue parole e dal tuo non piangerti addosso: sei portatore sano di leggerezza di spirito.

Ti ringrazio per avermi detto ciò. Oggi si parla molto di famiglia monogenitoriali e io sono cresciuto dalla nascita senza un papà: il risultato è dipeso da come mi hanno fatto vivere il tutto, circondato d’amore. È ovvio che quando sei piccolo ti capita di chiamare ‘papà’ e di aver bisogno della sua figura, lo vedo oggi con mio figlio, ma al posto del papà io avevo sempre un nutrito gruppo di persone che mi inondava d’amore.

E nel potere dell’amore ci credo più che mai e, di sicuro, non si manifesta nelle cose materiali che dai. Guardo ad esempio le camere dei bambini di oggi: sembrano negozi di giocattoli quando invece i bambini potrebbero anche giocare con niente, nutrendosi del potere dell’immaginazione, della fantasia e dell’amore. Non per voler sembrare boomer a tutti i costi ma un tempo la gente viveva molto di più pur avendo molto di meno, come dimostrano anche quei bei film del periodo d’oro della commedia all’italiana che traevano ispirazione da ciò che i registi e gli sceneggiatori vedevano per strada. Oggi, invece, i ragazzi per strada non giocano più…

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Fiorenzo, in SottoCoperta, si preoccupa del giudizio altrui. È mai stata una tua preoccupazione il pensiero degli altri sul tuo conto?

Ci sono stati dei momenti in cui mi sono sentito più insicuro e preoccupato di ciò che gli altri potevano pensare. È normale che accada ma di base credo che sia fondamentale pensare e scegliere con la propria testa, anche sbagliando. Non riesco a immaginare di essere soddisfatto, felice e appagato nel preoccuparmi di ciò che pensano gli altri… chiaramente, il lavoro dell’attore ti pone costantemente sotto la lente del giudizio altrui, è qualcosa di cui devi tenere conto, ma è molto importante per me sentirsi liberi di esprimersi: è questo il più grande insegnamento che possiamo trasmettere ai nostri figli, consapevoli che il sentirsi liberi non giustifica chiaramente qualsiasi mezzo.

SottoCoperta: Le foto del film

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Quand’è la prima volta che ti sei sentito libero?

Da ragazzino, sicuramente nel periodo in cui giocavo a calcio: ricollego al pallone un grande momento di felicità e di libertà. Ma mi sono sentito libero anche durante i primi anni in cui frequentavo l’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico perché mi permetteva di poter poi fare il mestiere che mi piaceva e che mi avrebbe fatto prendere le mie responsabilità. Mi sono dovuto trasferire a Roma, superare le selezioni e accettare tanti no: mi sono sentito anche libero di fallire.

“Devi prenderti tu la tua occasione”, si sente del resto dire Fiorenzo da un amico…

E Fiorenzo lo fa. Persone come lui rappresentano una bella occasione per guardare a qualcuno che decide di credere in se stesso, di tirare fuori la sua autodeterminazione e di raggiungere il proprio obiettivo, superando le proprie vulnerabilità e i propri blocchi anche grazie all’incontro con Matrona. Ed io credo molto negli incontri, anche in quelli che, pur durando poco, possono lasciarti qualcosa di gigantesco aprendo una finestra che da solo non avresti mai aperto: spesso abbiamo bisogno di qualcuno che ci dia una piccola spinta o che crede in noi.

E Fiorenzo e Matrona finiscono con l’innamorarsi.

A me piace pensare che SottoCoperta sia un film che possa far sognare l’amore, inteso in senso largo e contro ogni stereotipo. C’è un ragazzo che si innamora di una donna più matura di lui, un maschio che non rispecchia il modello alfa che è socialmente accettato ma che ha tutto il diritto di esistere, di perseguire i propri sogni e le proprie aspirazioni e di concedersi i propri tempi… ognuno di noi ha i suoi.

Quale incontro nel tuo percorso ti ha spinto ad aprire una finestra che non credevi possibile aprire?

A livello professionale, ho incontrato tantissime persone che mi hanno permesso di vedere miei aspetti che ancora non vedevo e di credere maggiormente in me stesso. Il mio è un mestiere che mi piace pensare che si faccia insieme agli altri: non riesco a immaginarlo in solitaria. L’ho capito dopo tre tentativi di accedere al Centro Sperimentale di Cinematografia andati a vuoto: quelle selezioni andavano male perché non entravo in relazione con l’altro, forse anche per pigrizia: sono sempre stato molto pigro, non mi fidavo e non mi affidavo.

Con il tempo, ho realizzato anche che non occorre seguire solo persone di conclamato successo, quelle che magari hanno raggiunto un determinato status o una posizione definita: non sono le uniche in grado di darti perle di saggezza o consigli importanti. A me, i consigli più utili sono arrivati da gente che avevano vite disastrate o stavo vivendo situazioni precarie nella loro vita.

Antonio Folletto nel film Ma chi ti conosce?.
Antonio Folletto nel film Ma chi ti conosce?.

Sei mai stato preda dell’ansia da perfezione?

Penso di sì. Lo vedo anche dalle piccole cose o dall’ordine. Da una parte, è qualcosa di positivo perché comunque ti spinge a non accontentarti ma, dall’altra parte, soprattutto quando diventa patologica, non ti permette di stare a contatto con la realtà. Per quanto possa sembrare una banalità, è sempre importante rimanere con i piedi per terra e a darti l’ancoraggio sono le persone vicine a te che ti ricordano sempre chi sei.

Mi sento una persona privilegiata e fortunata per il mestiere che porto avanti e per come sto avendo la possibilità di farlo negli ultimi anni ma, quando torno dai miei amici, dalla mia famiglia, dai miei affetti e da mio figlio, tutti mi ricordano che non stanno lì ad aspettare me, come magari capita sul set: mi riportano alla mia dimensione più umana. Ed è qualcosa che provo a portare anche nel rapporto con i miei colleghi…

“Se riuscissimo a metterci nei panni degli altri, tanto da sentire gli altri come se fossimo noi, non avremmo più bisogno di regole, di leggi”: è una frase del filosofo russo Alekseevic Kropotkin che ho fatto mia dopo averla sentita citare da Elio Germano, uno dei miei attori preferiti di sempre, durante un’intervista per la promozione del film La tenerezza. È qualcosa di molto semplice ma che quasi nessuno di noi fa mai quando dovrebbe essere alla base della vita quotidiana: porterebbe anche all’accettazione, all’integrazione e al rispetto di ogni unicità. Ecco perché per me sarebbe fondamentale introdurre il teatro nei programmi scolastici: insegna al rispetto della collettività, oltre che del lavoro di tutti.

Del resto, anche SottoCoperta è un film che invita ad abbracciare le diversità. Ti hanno mai fatto sentire diverso dagli altri?

Non mi sono mai sentito diverso e non mi hanno mai fatto sentire tale: sono sempre stato molto incluso. Anche se delle volte da bambino ho avuto io paura di sembrare diverso, come quando da astigmatico a scuola mi vergognavo di dover indossare gli occhiali… non facendo mai progressi, mia madre si è poi insospettita scoprendo la verità (ride, ndr).

Nemmeno per il fatto di non avere un papà?

Che io ricordi, no. Se proprio devo cercare una diversità, nei miei ricordi riaffiora quando da piccolo mi sono trasferito da Napoli a Viareggio: di fronte al primo “terrone” rivolto nei miei confronti, litigai subito con quei due bambini che l’avevano detto, gli stessi con cui ho dopo fatto anche amicizia. Era legato alla mia tendenza a usare il dialetto, anche se mia madre ci teneva molto che parlassi solo in italiano… ma talmente molto che ho rischiato a un certo punto di perdere anche un po’ le mie radici, qualcosa a cui ho sempre molto tenuto: avevo talmente assimilato il viareggino da sposarne vezzi e parolacce.

“Non smettere mai di sognare”: cosa sogna ancora Antonio Folletto?

Tantissime cose ma sono scaramantico e non le dico… Però sogno molto ed è bello farlo: nei momenti in cui riesci a sognare è quasi come se fossi ancora bambino. E, per fortuna, sono tanti gli attimi in cui sogno senza nessun paracadute e senza nessuna consapevolezza.

Antonio Folletto nella serie tv A casa tutti bene.
Antonio Folletto nella serie tv A casa tutti bene.
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