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Arianna Pozzoli: “Il mio sol dell’avvenire” – Intervista esclusiva

Arianna Pozzoli
In Il sol dell’avvenire, l’ultimo film di Nanni Moretti, Arianna Pozzoli interpreta l’aiuto regista del protagonista Giovanni. Si tratta del suo primo ruolo per il cinema, arrivato dopo anni di esperienza teatrale. L’abbiamo incontrata per un’intervista in esclusiva in cui ci racconta di sé, del suo lavoro e della battaglia artistica contro il patriarcato.
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Stiamo vedendo Arianna Pozzoli in questi giorni al cinema in Il sol dell’avvenire, il nuovo film di Nanni Moretti distribuito da 01 Distribution e in concorso al prossimo Festival di Cannes. Nel lungometraggio, Arianna Pozzoli interpreta l’aiuto regista di Giovanni, il personaggio interpretato da Moretti.

La bravura di Arianna Pozzoli è indiscutibile e lo è ancora di più se si pensa che si tratta del suo esordio al cinema. Dopo anni passati a calcare il teatro con spettacoli che in qualche modo devono la loro essenza anche al lavoro di Emma Dante, Arianna Pozzoli debutta dunque al cinema entrando dalla porta principale, al servizio di un cineasta attento, meticoloso e preciso come Moretti, che per i suoi film nulla lascia al caso.

Nata a Roma ma di origini metà siciliane metà lombarde, Arianna Pozzoli è cresciuta immersa nel mondo dell’arte e della musica, come ha modo di confermarci in quest’intervista esclusiva, e già a tre anni aveva le sue prime aspirazioni: quelle da ballerina. La recitazione è poi entrata nella sua vita al liceo, quando in barba a ogni stereotipo ha ricoperto da donna il ruolo di Amleto nella tragedia di Shakespeare.

Diplomata all’Accademia Internazionale d’Arte Drammatica del Teatro Quirino, Arianna Pozzoli ha alle spalle numerosi lavori diretti da Emma Dante, Dante Antonelli e Martina Badiluzzi, tra gli altri. Ed è proprio con quest’ultima e con l’attrice Barbara Chichiarelli che porta avanti un interessante progetto su alcune rivelanti figure femminili: dopo Anastasia Romanov e Penelope, nel 2024 sarà la volta delle sorelle Bronte. Ma chi, nel frattempo, volesse vederla in scena sul palcoscenico non dovrà aspettare molto: dal 9 maggio, al Teatro India, debutterà con la compagnia Muta Imago in Tre sorelle di Cechov.

Arianna Pozzoli.
Arianna Pozzoli.

Intervista esclusiva a Arianna Pozzoli

“Mia mamma è siciliana”, mi risponde Arianna Pozzoli quando le chiedo a chi si devono metà delle sue origini. “È di Messina. Gran parte dei miei vivono, anche se mio padre è lombardo. La mia famiglia si è trasferita in Sicilia per cui per vedere i parenti devo scendere e non salire!”. Com’è naturale che sia ma non scontato, mi chiede di dove sono. “Palermo è una città bellissima, è l’unica città italiana dove vivrei a parte Roma. Ci sono stata quando ho lavorato in teatro con Emma Dante e me ne sono innamorata. Ha qualcosa di simile a Roma, probabilmente per il fatto che è stata abitata da popoli diversi e quindi ha tantissime culture stratificate”.

L’abbiamo subito citata: Emma Dante. Non hai lavorato con lei una sola volta ma ben tre: Eracle, L’angelo di fuoco e Cenerentola.

Per me Emma Dante è stata un po’ la chiave per capire che tipo di teatro volessi fare. È stato quando ho visto La Trilogia degli Occhiali che ho pensato come quello fossi il teatro che più mi piaceva e che bisognava fare. L’ho conosciuta quando avevo diciannove anni al Teatro Valle: in quel periodo, il teatro era occupato e c’era un bel fermento culturale, ragione per cui ci andavo spesso.

L’ho rivista qualche anno dopo: avevo ventiquattro anni e mi sono presentata ai provini per Eracle, la tragedia di Euripide a Siracusa. Emma Dante aveva fatto una scelta che mi era piaciuta sin da subito: aveva ipotizzato un cast tutto al femminile, per cui i casting erano aperti solo alle attrici di qualsiasi età. Mi ricordo che scrissi prima del provino una mail personale a Emma: ci eravamo scambiate gli indirizzi cinque anni prima. Le chiesi se si ricordasse di me e le parlai dello spettacolo che stavo portando avanti e del percorso che mi aveva portato a diplomarmi all’Accademia. Mi rispose che si ricordava di me e che si saremmo viste al provino.

Dopo aver fatto il provino, quando ho saputo che ero stata presa, penso sia stato uno dei giorni più belli della mia vita.

È stata un po’ come la conferma degli anni di studio, dedizione e sacrificio. E un’altra conferma ti è arrivata da tutt’altro contesta. Nanni Moretti ti ha scelta per il ruolo dell’assistente regia del suo Giovanni nel film Il sol dell’avvenire. Com’è stato lavorare con uno dei maestri riconosciuti del cinema italiano?

Nanni Moretti era un mio mito personale, un punto di riferimento, e lo è tuttora. Sono arrivata al provino senza il bisogno di dover recuperare tutta la sua filmografia in una settimana. Già a tredici o quattordici anni ho iniziato a vedere i suoi film: per me, erano anche un mezzo per conoscere persone, un modo per incontrare gli altri e discuterne. Quando l’ho visto per la prima volta, è stato difficile non citare alcune delle battute più celebri dei suoi lavori, mi veniva quasi spontaneo.

Ho ancora davanti agli occhi la scena in cui, durante la prova costume sotto Carnevale, Nanni era presente (ha seguito ogni passo della lavorazione di Il sol dell’avvenire, tutto è passato sotto il suo sguardo) e mangiava delle frappe: “Lei non faccia il tunnel” gli dissi, citando Bianca. È stato solo dopo un po’ di tempo, a riprese in corso, che mi sono abituata alla sua presenza e ho smesso di sentire quella vocina interiore che mi faceva venire in mente a ogni momento della giornata una frase di qualche suo film.

Se vogliamo, era un atteggiamento in sintonia con quello che è il film, che rimanda a tutta la sua opera. Ma voi non potevate saperlo dal momento che non avevate la sceneggiatura completa.

È un dettaglio che mi ha colpito molto: mi sono arrivate solo le mie scene poco prima che si cominciasse a girare. Avevo a disposizione una sinossi generale ma non la sceneggiatura. Di conseguenza, cercavo di carpire più informazioni possibili quando andavo sul set per avere qualche dettaglio in più: ce le passavamo quasi sottobanco quando ci si incontrava tra gli attori. “Ma mi raccomando: non dire che te l’ho detto io!”, ci dicevamo.

Interpretando nel film l’aiuto regista di Giovanni, reciti a stretto contatto sia con Nanni Moretti sia con Margherita Buy, due attori appartenenti comunque a una generazione diversa dalla tua e con alle spalle anche una formazione differente. È stato facile tenere testa a due mostri sacri come loro?

Recitare con Nanni mi è piaciuto fin dal primo provino perché è un attore bravissimo, non sono io a doverlo dire. Ci siamo trovati in sintonia perché per lui recitare era proprio un gioco e a me piace concepire la recitazione come qualcosa di ludico. Nanni è sempre in ascolto, reagisce e ti permette anche, almeno nel caso del nostro rapporto scenico, di rimodulare le cose mentre le facevamo. È comunque vero che ha molta cura di ogni dettaglio ma lascia anche tanto spazio alla vitalità degli attori.

E che dire di Margherita? La sua bravura mi ha molto emozionata. Ma c’era anche un altro mostro sacro con cui non vedevo l’ora di stare accanto: Silvio Orlando.

In Il sol dell’avvenire sono presenti anche molti altri giovani attori: da Valentina Romani a Blu Yoshimi, da Michele Eburnea a Flavio Furno. Vi siete confrontanti tra di voi? Che atmosfera regnava al di là degli spoiler sulla sceneggiatura che vi scambiavate?

C’è un attore con cui ho praticamente coltivato un dialogo sin dal primo provino e con cui mi sono relazionata fino all’altro ieri: Giuseppe Scoditti, che interpreta il regista antagonista di Giovanni nel film. Beppe ha la mia stessa età e ci conoscevamo poco ma, poiché entrambi veniamo dal mondo del teatro, avevamo amici in comune. Ci eravamo visti in passato a Milano e ci siamo incontrati al primo provino, alla Sacher. È entrato prima di me e subito dopo è andato a prendere un treno. L’ho allora chiamato al telefono: “Mi sentivo troppo uno sfigato per chiamarti e chiederti come era andata: menomale che lo hai fatto tu”, mi ha risposto. E da quel momento ci siamo confrontati su tutti i passaggi.

Beppe ha ad esempio girato prima di me. Ci siamo visti, abbiamo bevuto un bicchiere di vino con la nostra agente Donatella Franciosi (la cito perché è grazie a lei che ho incontrato Nanni Moretti) e Beppe ci ha raccontato tutto quello che era successo durante le sue pose. Era così galvanizzato che me lo ricorderò sempre: ci ha raccontato nel dettaglio la sua esperienza e ci siamo scambiati dei consigli.

Hai appena usato la parola treno. Il sol dell’avvenire rappresenta un treno che passa per te: è la tua prima esperienza cinematografica ma hai alle spalle tanto teatro. È cambiato qualcosa nella tua recitazione per il cinema?

C’è l’idea diffusa che recitare a teatro sia diverso da farlo al cinema. Dal mio punto di vista, trovo che non siano diverse le recitazioni ma che lo sia la situazione in cui ti trovi. In teatro, sei in uno spazio che è metaforico, non è reale e che devi disegnare e riempire con la tua voce e il tuo corpo. Al cinema, invece, sei in uno spazio molto più vicino al reale, alle volte c’è un’aderenza tale che ti porta esattamente nel luogo in cui la scena dice che sei. E c’è una camera: non sei tu che devi inviare o mandare la tua recitazione in giro per lo spazio ma la farà lei. Di conseguenza, ho notato durante le riprese una certa rilassatezza del corpo: in teatro, è fondamentale che il corpo abbia un tono e sia presente.

Arianna Pozzoli e Nanni Moretti nel film Il sol dell'avvenire.
Arianna Pozzoli e Nanni Moretti nel film Il sol dell'avvenire.

Ma al cinema manca il feedback del pubblico in sala. Spesso la recitazione si modula tenendo conto di come reagisce il pubblico quando assiste a uno spettacolo dal vivo.

È vero ma in questo caso riponevo tutta la mia fiducia agli occhi di Nanni Moretti: era lui a decretare se stessi lavorando bene o meno. Mi ha lasciata del tutto tranquilla e serena e Nanni è un regista molto preciso: ti chiama al monitor per rivedere girato, per farti capire come stai risultando o per darti degli accorgimenti. È chiaro poi che a teatro il pubblico è tutta un’altra cosa: mi ha fatto quasi impressione non avere un pubblico sul set tanto che ho sopperito alla sua assenza pensando che la troupe che avevo davanti, molto estesa, fosse il mio pubblico.

So che c’è già qualcos’altro che bolle in pentola e che Il sol dell’avvenire non rimarrà un caso isolato. Fare cinema era il tuo sogno?

Esprimermi attraverso la recitazione era il mio sogno. Essere riuscita a farlo è stato bellissimo e sì, il cinema è anche un mio sogno: ti permette di raggiungere tante persone, motivo per cui mi dispiace che al giorno d’oggi il teatro venga considerata un’arte minore. Anche se pian piano qualcosa sta cambiando: dopo la pandemia, c’è bisogno che le persone si incontrino fisicamente con i corpi e il teatro è il luogo che permette a tanti corpi di incontrarsi nello stesso posto e nello stesso momento. Però, è ovvio che il cinema è un sogno e sono felice di avere iniziato così…

E tante persone sono quelle che Il sol dell’avvenire incontrerà al Festival di Cannes dove sarà in concorso per la Palma d’Oro. Come stai vivendo questo momento? Ansia da prestazione?

Non ci avevo ancora riflettuto. Il film è appena uscito nelle sale, il 9 maggio debutto a teatro con Tre sorelle e subito dopo arriva il Festival di Cannes: non avevo pensato alla sequenza degli eventi, uno dietro l’altro. Per carattere, mi salva il pensare a una cosa alla volta ma, messa così, sono molto felice: è quello che voglio fare. Non amo tanto parlare di me ma credo di fare questo lavoro in maniera onesta. Se si è onesti, si è anche sereni. E io sono serena rispetto al mio lavoro.

Non ti piace parlare di te?

Sono un’attrice e preferisco che si parli del mio lavoro, della mia interpretazione o di quello che ho fatto per preparami a un ruolo. Sto ad esempio tanto dietro allo studio di un personaggio: per interpretare l’aiuto regista nel film di Nanni Moretti, ho voluto incontrare due miei amici che fanno realmente quel lavoro. Ci siamo visti per un caffè e mi sono fatta raccontare in che cosa consistesse il loro lavoro, cosa facessero nello specifico e come si muovessero su un set.

Avevo esperienza dell’aiuto regia in teatro ma al cinema è tutt’altro lavoro. Sul set, ad esempio, osservavo molto Ciro Scognamiglio, il bravissimo aiuto regia. E, vedendolo in azione, ho capito che il personaggio che stavo interpretando non doveva sembrar preoccupata. È tendenza comune pensare che l’aiuto regia sia sempre in tensione per qualcosa solo perché ha sulle spalle la responsabilità di tutto il set. Ciro era invece molto calmo e probabilmente è la calma la qualità che si cerca in un aiuto regia: deve essere un punto di riferimento per il regista. Anche perché, se fosse poco tranquillo, che aiuto sarebbe? (ride, ndr).

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Porti Tre sorelle di Cechov a teatro. Un testo semplice, verrebbe da dire ironicamente. Mentre la sceneggiatura di Moretti è un testo originale e come tale non ti permette di fare confronti, il classico di Cechov confronti con chi ha interpretato Irina, il tuo personaggio, ne richiama molti.

Non credo molto nella competizione e non la promuovo con nessuna delle mie colleghe del passato, del presente e del futuro. L’augurio è che si faccia sempre un buon lavoro e interpretare Irina è straordinario: è un personaggio talmente vasto che mi permette di raccontare, attraverso le parole di Cechov, quello che vivo io. È quello che in gergo si definisce far proprio il personaggio: se ci si approccia a un ruolo in maniera autentica, a ciò che un personaggio dice o fa, sarai sempre tu a dire o fare quelle cose… non è che si materializza un’altra persona che si chiama Irina sul palcoscenico: c’è sempre Arianna! Ed è questo che rende un personaggio particolare: sei te stesso e ogni essere umano è diverso dall’altro. È ovvio ma occorre sempre sottolineare quanto la singolarità faccia la differenza.

Il tuo percorso di formazione non inizia subito con la recitazione ma parte dalla danza. Quando hai capito che la recitazione era lo switch che dovevi fare? Sei figlia di una pianista classica e ciò spiega in qualche modo la danza ma la passione per la recitazione a che si deve?

Mia madre è una pianista classica, motivo per cui sono cresciuta in un ambiente, anche dentro casa, circondato di musicisti, compositori e ballerini. Era per me normale ascoltare musica, parlare di arte, andare a vedere i concerti: sin da piccola, sono stata abituata a frequentare luoghi in cui si esibivano artisti dal vivo, quei posti erano per me familiari.

Ho iniziato a danzare a tre anni, ero piccolissima. Un giorno, uscendo dall’asilo nido, vidi un disegno con al centro una ballerina (era una pubblicità per un corso di danza) e dissi a mia madre che era lì che volevo andare, dove c’era la ballerina! E mia madre mi iscrisse. Mi piaceva tantissimo ma il mondo della danza classica, almeno quello che ho conosciuto io, era molto rigido e ha 14 anni ho smesso di frequentarlo.

La recitazione è arrivata mentre frequentavo il liceo. Mi piaceva essere attiva politicamente: facevo parte di un gruppo che si chiamava Collettivo Autorganizzato, con cui abbiamo occupato anche la scuola. Mi piaceva parlare e discutere in pubblico. È stato allora che cominciai a frequentare il laboratorio teatrale della scuola: già al primo anno, mi affidarono il ruolo di Amleto per uno spettacolo. Una volta vistami in scena, amici e amiche iniziarono a suggerirmi di prendere in seria considerazione l’idea di far l’attrice. Ricordo come un professore della scuola, non della mia sezione, mi fermò dal nulla in corridoio per dirmelo e andarsene subito dopo: una situazione un po’ epifanica…

Arianna Pozzoli nel film Il sol dell'avvenire.
Arianna Pozzoli nel film Il sol dell'avvenire.

Quindi, hai interpretato Amleto, ribaltando un po’ l’assunto del teatro shakespeariano in cui erano gli uomini a interpretare i personaggi femminili. Tu donna stavi in questo caso recitando in panni maschili. A dimostrazione del fatto che non esistono differenze di genere nella recitazione.

E spero di poterlo interpretare nuovamente, ovviamente in maniera diversa da quando avevo sedici anni (ride, ndr). Per quanto riguarda il repertorio dei classici non vedo nessun problema nel far interpretare alle donne ruoli maschili e agli uomini ruoli femminili. Trovo che sia molto grave come la maggior parte delle narrazioni di oggi siano a prevalenza maschile: solo di recente abbiamo cominciato a vedere storie (al cinema, a teatro o in televisione) con al centro donne protagoniste ed è importante che queste non siano sempre madri, sorelle, figlie, amanti o mogli di.

È fondamentale che le donne vengano considerate come persone che hanno una vita a prescindere dagli uomini che le circondano. Tuttavia, è complicato combattere contro un’ideologia così antica come quella patriarcale e specificatamente maschilista: è un lavoro che si deve fare anche su noi stessi. Il maschilismo e il patriarcato albergano in tutti noi, sono un modo di pensare e stare al mondo che riguarda ognuno di noi cresciuto in una società capitalista e, per l’appunto, patriarcale. Spesso capita che si dicano delle parole o delle frasi del cui peso non ci rendiamo conto solo perché siamo abituati a farlo.

Io non sono per la guerra delle donne contro gli uomini. È una battaglia che dobbiamo fare tutti insieme, senza distinzione di genere: dobbiamo allearci per combattere contro le dinamiche e le tendenze maschiliste che abbiamo dentro.

Qualcosa di radicato contro cui hai dovuto combattere da attrice?

Una volta, durante uno spettacolo, un regista mi chiese se avessi dei tacchi. Risposi di no. “E che attrice sei se non hai i tacchi?”, controbatté lui. All’apparenza, sembra una frase innocua ma non lo è: non direi mai a un uomo “che uomo sei se non hai una cravatta?”. Una frase del genere va a minare anche l’identità che ci si è costruiti, oltre che rispondere a uno stereotipo: non è detto che io, in quanto donna, debba necessariamente avere dei tacchi in casa. Bisogna stare anche attenti alla nobilitazione della femminilità come qualcosa di magico e misterioso: non c’è nulla di magico o misterioso nell’essere donna, siamo persone prima di tutto.

A proposito di femminile, hai portato in scena a teatro diversi personaggi femminili molto peculiari, come Anastasia Romanov o Penelope.

Fanno parte di un progetto che sto portando avanti con Martina Balduzzi e con Barbara Chichiarelli. Tutto è cominciato nel 2019 quando abbiamo vinto il bando della Biennale di Venezia con un premio di produzione per fare un lavoro originale a Venezia, appunto. Abbiamo voluto raccontare la biografia di alcune donne particolari: la prima era Anastasia o, meglio, Anna Anderson, colei che per tutta la vita ha sostenuto di essere Anastasia Romanov. Poi è arrivata Penelope, di cui sono stata aiuto regia e aiuto drammaturgia. E nel 2024 arriveranno Le sorelle Bronte.

Queste figure femminili sono tutte accomunate dall’aver vissuto vite piene di dolore: per essere quelle che sono state, hanno dovuto combattere con l’ambiente circostante e a volte anche con le persone a loro più care, dai padri ai fratelli. Ma anche con le altre donne della loro famiglia, un aspetto ancora più tragico: in una società patriarcale non c’è spazio per la sorellanza tra donne, esistono sono la fratellanza e il cameratismo maschile.

In una società in cui la voce dominante è quella degli uomini, per le donne non c’è spazio: non sorprende che queste finiscano poi per farsi la guerra tra di loro per avere lo spazio che le manca… e invece di spazio ce n’è tanto e ce n’è per tutte.

Ci voleva una grande forza interiore per sopravvivere a una società che ti osteggiava in modo così forte. Alcune ce la facevano, altre no. Penso nello specifico a Virginia Woolf.

È strano che tu la citi. Mi stupisce perché proprio nella messa in scena di Tre sorelle ci sono dei riferimenti a Virginia Woolf. Non sarà una messa in scena canonica dell’opera di Cechov ma ‘è stata una riscrittura che al suo interno contiene tanti riferimenti a Virginia Woolf, dai suoi diari alla sua drammaturgia.

Arianna Pozzoli
Arianna Pozzoli.
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