Come John è il nuovo singolo del cantautore siciliano Armando Cacciato. È uscito in occasione della Giornata della Legalità, lo scorso 25 settembre, e la data di rilascio non è casuale: in Come John, Armando Cacciato rende omaggio a Stefano Saetta, uno dei tanti, troppi giovani rimasto vittima, innocentemente e inconsapevolmente, della mafia.
Era infatti il 25 settembre 1988 quando Stefano trovava la morte a colpi d’arma da fuoco insieme al padre magistrato, Antonio Saetta, sulla statale 640 che da Agrigento conduce a Caltanissetta. Padre e figlio erano in macchina per far ritorno a Palermo dopo aver assistito a Canicattì al battesimo di un nipotino. Per uno strano scherzo del destino, il giorno dopo sarebbe morto anche il giornalista Mauro Rostagno, segnando una due giorni triste per la storia dell’intero Paese.
Se il giudice Saetta era in qualche modo consapevole dei rischi che correva con la sua professione, Stefano no. era un giovane come tanti altri, con la sua vita e le sue passioni. Tra l’altro, la sua figura è sempre stata raccontata male anche a causa della rappresentazione che ne è stata fatta in un film, Il giudice ragazzino, in cui veniva dipinto quasi in stato vegetale. In realtà, chi volesse conoscere la storia di Stefano può approfondirla grazie a un delicato documentario firmato da Davide Lorenzano nel 2020, L’abbraccio – Storia di Antonio e Stefano Saetta.
Partendo dalle passioni di Stefano, Armando Cacciato in Come John mette a confronto la figura del giovane con un’altra vittima della follia umana: John Lennon, vittima anche lui a quarant’anni della follia omicida degli uomini. Cosa unisce John e Stefano ce lo spiega Armando Cacciato nel corso di questa intervista in esclusiva.
Intervista esclusiva ad Armando Cacciato
In Come John, crei un parallelismo tra John Lennon e Stefano Saetta, due vittime della follia umana. Quanti anni avevi quando è morto Saetta?
Avevo dieci anni. L’attentato al giudice Saetta è stato il 25 settembre del 1988. Tanto che era mia intenzione fare uscire la canzone domenica 25 ma per ragioni commerciali è stata rilasciata il 23. Per chi non lo sapesse, il 25 settembre è anche la Giornata della Legalità, passata quest’anno quasi inosservata per la concomitanza con le elezioni politiche. E personalmente mi è dispiaciuto che non sia stata data la giusta attenzione alla giornata: la stampa era impegnata su tutt’altro fronte.
Come è nata Come John?
Come spesso accade a me ma anche un po’ a tutti i cantautori in generale, la canzone è nata quasi per caso. Da un paio di anni avevo in mente l’armonia e la conservavo per parlare di qualcosa di interessante, di non scontato. Era un’armonia molto orecchiabile e radiofonica e mi piaceva l’idea di associarla a un testo che avesse qualcosa da dire.
E così è stato. Il testo di Come John si racconta di qualcuno che è stato dimenticato, degli ultimi e di società. Parla di legalità e non poteva essere diversamente: sono originario di Canicattì e ho vissuto sulla mia pelle ciò che rappresenta la mafia a livello sociale. Ricordo bene ciò che la piaga della mafia ha disseminato per le strade durante la stagione delle stragi: gli effetti collaterali arrivavano a tutti. Negli anni Novanta, nel mio paese, io, i miei amici e tutte le persone che conoscevo eravamo veramente terrorizzati, anche se poi a un certo punto ci è sembrato quasi normale quando sentivamo i colpi di pistola con cui le cosche rivali si “scannavano”, per usare un termine siciliano, tra di loro.
Nella guerra insensata che si portava avanti, le cosche mietevano anche tante vittime innocenti, gente che si trovava nel posto sbagliato nel momento sbagliato, o personalità che provavano a combattere quel tumore maligno che è la mafia, come il giudice Saetta o il giudice Livatino, entrambi originari di Canicattì.
Poiché di mafia in tanti hanno già raccontato, per Come John mi sono concentrato proprio sui suoi effetti collaterali. Fortunatamente oggi, rispetto al passato, la mafia non è più un tabù: se ne parla nelle scuole e i ragazzi sono più informati e hanno maturato i giusti anticorpi. Occorre tuttavia mantenere alta l’attenzione per evitare che ci si dimentichi del passato: gli anticorpi vanno stimolati ogni tanto con dosi booster, come ci insegna la scienza degli ultimi tempi.
E come mai hai scelto Stefano Saetta come simbolo della tua canzone?
Per una semplice ragione. Stefano, il figlio del giudice Saetta, è stato ucciso mentre viaggiava in macchina con il padre. La sua unica colpa è stata quella di essere il figlio di un magistrato. Di Stefano, purtroppo, s’è sempre parlato poco. È stato però realizzato un bel ducumentario dal titolo L’abbraccio, diretto da Davide Lorenzano.
E quei pochi che ne hanno parlato lo hanno fatto anche in maniera sbagliata. Nel film Il giudice ragazzino, biopic sul giudice Livatino, Stefano Saetta viene descritto al pari di un vegetale. In realtà, Stefano ebbe qualche problema psicologico da ragazzino ma al momento della morte era quello che si direbbe un giovanotto di sana e robusta costituzione.
Vero. Aveva avuto problemi degli anni della sua giovinezza ma ne era uscito già in adolescenza. Era un ragazzo sanissimo, colto, studioso, amante dell’arte e con una forte coscienza politica. Nel film Il giudice ragazzino viene descritto come un vegetale ma non era così: aveva solo avuto problemi psichiatrici da ragazzino ma li aveva brillantemente risolti.
Ho saputo da amici e familiari che era anche appassionato di musica e dei Beatles, una circostanza che me lo ha fatto sentire ancora più vicino: anch’io sono legato alla musica dei Fab Four. Ed è da qui che è nata la voglia di immaginare un incontro fantastico, surreale, tra John Lennon e Stefano Saetta. Hanno in comune il fatto di essere morti inconsapevolmente per mano di un’altra persona, anche se per motivi diversi: uno per mano di un criminale psicopatico ossessionato da lui e l’altro per via di un agguato mafioso. Tuttavia, nessuno dei due avrebbe mai immaginato di dover morire così giovane, a 40 anni e a 35, in un’età curiosamente vicina.
L’incontro tra i due è evidenziato metaforicamente nel videoclip della canzone dall’abbraccio tra un palazzo di via Maqueda a Palermo e il Dakota Building di New York, dove ha vissuto Lennon negli ultimi anni. Un’idea molto bella che è figlia dell’immaginazione della regista. Stefano e John entrano quasi in simbiosi nel loro viaggio eterno, riconsegnandoci quasi una dimensione epicurea.
Epicuro, il filosofo greco, parlava della felicità. Spiegava che per raggiungerla bisogna andare alla ricerca del piacere non materiale ma legato alle cose essenziali della vita. Nel loro viaggio, Saetta e Lennon vengono privati dal dolore e dal fardello che si portano dietro. E la loro dimensione deve arrivare anche a chi ci è stato dopo di loro, a chi deve seguire il loro percorso. Concretamente, tale idea di felicità si traduce in voglia di riscatto, giustizia, principi sani, legalità e pace. All You Need is Love, come cito in inglese nel ritornello: è l’amore che salverà l’umanità.
L’attenzione ai temi sociali e civili è qualcosa che torna spesso negli ultimi anni del tuo percorso. Basti pensare a un intero album dedicato all’esperienza degli immigrati ma anche all’uscita di una tua cover in chiave elettronica di Bella ciao.
In effetti, sì. Anche se spesso tendo a non ricordarmi del legame e degli obiettivi. Nelle ultime interviste, scavando a fondo, ho scoperto di aver detto cose che non ricordavo e sulle quali non avevo molto riflettuto nel tempo. Ho realizzato solo così come esistano vari legami tra le cose che ho fatto.
Ho registrato Bella ciao in una nuova versione anche all’inizio del 2022, durante i primi mesi di guerra. A chi sostiene che sia un canto comunista, ricordo che Bella ciao è un canto di rivoluzione e di resistenza. L’hanno ricantata gli ucraini contro gli invasori russi così come le ragazze iraniane in questi giorni segnati da tragici episodi. È dunque un canto di libertà contro ogni forma di oppressione, anche se usato spesso durante le guerre. La ciclicità della storia purtroppo non ci insegna niente e ci si ritrova anche in Italia, dopo poco meno di un secolo, a parlare di razzismo, supremazia, bramosia di potere e politica corrotta, sempre a danno dei più deboli.
A Christmas Dream è invece una canzone che ho scritto nel 2008. Lavoravo con degli immigrati che venivano dai centri di accoglienza e m’è venuto spontaneo pensare ai loro sogni di un futuro migliore. Purtroppo, per molti di loro la realtà è molto diversa da quella che si prospettano e c’è anche chi, compresi i bambini, perde la vita già sui barconi o arriva in un paese che non lo rispetta come avrebbe desiderato.
Penso anche a Let the Children Play, una canzone scritta contro la guerra quando c’è stato il massacro sulla Striscia di Gaza nel 2008 sempre a danno dei bambini. Una canzone che è tristemente tornata d’attualità lo scorso anno. Mi piacerebbe poter cantare di altro ma le tematiche d’attualità prendono in me il sopravvento. A quanto pare occorre ancora resistere!
Immagino non sia facile resistere anche da un punto di vista musicale. Come si tiene alta l’asticella dei temi quando tutti aspirano invece alla spensieratezza o all’evasione?
Tocchi un punto caustico. Il mainstream punta a contenuti che quasi non esistono per non dire pessimi, c’è una sorta di appiattimento da questo punto di vista. Il fatto che i Maneskin stiano avendo il successo che hanno fa ben sperare per diversi motivi. Al netto delle preferenze personali, grazie a loro molti ragazzi hanno ripreso in mano gli strumenti, attività un po’ abbandonata negli ultimi anni, e hanno ripreso a suonare dal vivo, ricordandosi che la musica è prima di tutto condivisione. E in più il rock dei Maneskin veicola contenuti e messaggi anche dal grande valore sociale, una caratteristica di cui occorre tenere conto.
E che a te da pedagogista interessa. Come si fa a coniugare una laurea in Pedagogia e l’impegno per la musica?
È molto più semplice di quello che sempre. Continuo a lavorare come pedagogista e in passato ho lavorato a stretto contatto con bambini diversamente abili portando avanti dei progetti anche musicali. Per me, l’aspetto pedagogico è sempre stata la priorità: i bambini vanno educati, nel senso più puro del termine, ai comportamenti e alle regole sociali.
Cerco di usare la pedagogia nei diversi progetti musicali che tengo o seguo e provo a portare la musica nel mio lavoro di pedagogista, aiutando spesso i ragazzi a stare meglio con se stessi o a vincere le loro piccoli o grandi paure. Ricordo sempre con affetto il caso di un bambino che non sopportava le porte chiuse: sua mamma si è commossa quando lo ha visto tranquillo a registrare musica in una stanza che per questioni di acustica era chiusa, era una piccola vittoria. Tutti tendono purtroppo a sottovalutare il potere terapeutico della musica.
Porti avanti anche l’attività di produttore musicale.
Gestisco un’associazione culturale che si chiama Circuiti Sonori. È un luogo in cui si ascolta musica e si produce musica. Io stesso produco giovani artisti emergenti.
E quanto è facile far capire loro il valore della fatica e della gavetta?
È difficile se non impossibile. Non per fare un discorso da boomer ma la colpa è anche dei social. Hanno fatto credere che tutti possono diventare milionari con scemenze legate alla visibilità. Il talento passa in secondo piano e si pensa di poter diventare musicista seguendo un tutorial su YouTube. La gavetta è un concetto che non viene quasi preso in considerazione: si vive tenendo come obiettivo un momento di notorietà legato all’apparenza. Non so quanto durerà tutto ciò ma temo per il futuro dei nostri figli.
Vorrei ricordare a tutti che i Maneskin hanno alle spalle anni e anni di gavetta per le strade di Roma. E non puntano solo all’apparenza, c’è dietro molta sostanza. Ho rivalutato molto Damiano e Giorgia: si stanno rivelando molto impegnati anche nel sociale e non hanno paura di ciò che pensano. Sanno quello che fanno e hanno studiato per arrivare dove sono ora. Non hanno paura di esporsi e non hanno interesse a piacere a tutti. Possono risultare anche divisivi ma non si fanno mettere il bavaglio: ognuno di noi ha il diritto di manifestare il proprio pensiero, altrimenti si chiamerebbe fascismo.