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Astrid Meloni: “Ho smesso di essere ribelle quando ho capito che ero libera” – Intervista esclusiva

Astrid Meloni
Attrice di talento e donna dalle molte sfaccettature, Astrid Meloni riflette sul proprio percorso di crescita, intrecciando esperienze personali e radici multiculturali. Con una gioventù segnata dalla ribellione, si apre sulla maternità, sulla ricerca di sé e sul coraggio di scegliere il proprio cammino.

Astrid Meloni, attrice di grande sensibilità e talento, ci offre una riflessione profonda sul suo ruolo nella serie tv Nudes 2, presentata alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Alice nella città e in programma dal 25 ottobre su RaiPlay, e sul viaggio psicologico che questo ha comportato. Interpretando Laura, una madre alle prese con l'adolescenza della figlia Silvia, Astrid Meloni porta in scena una figura femminile complessa, intrappolata in un difficile equilibrio tra protezione materna e rispetto per la libertà della figlia. Il legame simbiotico che Laura ha con Silvia richiama molte sfide che ogni genitore incontra, amplificate dalla fragilità dell'età adolescenziale e dalla pressione di un mondo digitale pericoloso.

Astrid Meloni ci spiega come, per interpretare Laura, non sia stata sufficiente una semplice comprensione del personaggio, ma un’indagine profonda delle dinamiche tra madre e figlia. L’attrice esplora i limiti del ruolo genitoriale: quando è il momento giusto per intervenire? Come si può essere presenti senza soffocare l'altro? Il tutto è amplificato dal contesto del revenge porn, una tragedia che scuote le fondamenta della fiducia tra i personaggi.

Astrid Meloni, da madre, riflette su come la maternità reale l'abbia aiutata a capire e interpretare Laura, rendendo il suo personaggio una donna che osserva, soffre e infine prende decisioni complesse in nome dell’amore per sua figlia. La sua riflessione si estende alla condizione universale di chiunque attraversi la genitorialità e l'adolescenza, facendo emergere il desiderio profondo di proteggere i propri cari dalle insidie del mondo moderno, senza tuttavia limitarne l'individualità. Una testimonianza che ci ricorda la difficoltà, ma anche la bellezza, del crescere e lasciar crescere.

Ed è crescendo che Astrid Meloni ha ad esempio messo da parte la sua voglia di ribellione. Nel ricordare i suoi anni di conflitto contro tutto, non può che riflettere su come l'adolescenza sia un periodo in cui tutto sembra assoluto, bianco o nero, e le energie sono concentrate sull'affermazione di sé, spesso in opposizione alle regole e alle convenzioni familiari.

Ma emerge molto altro ancora dall’incontro con Astrid Meloni, una donna profondamente curiosa, senza pregiudizi, in perenne ricerca di nuove esperienze e insegnamenti, un tratto che ritroviamo anche nel suo approccio al lavoro di attrice.

Astrid Meloni (Foto: Adriana Abbrescia; Press: Simone Pellino).
Astrid Meloni (Foto: Adriana Abbrescia; Press: Simone Pellino).

Intervista esclusiva ad Astrid Meloni

“Mi sono trovata a lavorare con una regista che amo molto, Laura Luchetti, con cui avevo precedentemente girato Il Gattopardo”, esordisce Astrid Meloni quando le si chiede di raccontare la sua esperienza per Nudes 2. “Laura è una regista profonda e sensibile, in grado di creare la giusta atmosfera su un set, di darti la possibilità in qualche modo di riconoscerti nella storia e di connetterti con tutte le persone che ti circondano… lo diamo spesso per scontato ma un set è come una grande famiglia di cui devi sostenerne gli equilibri e capirne le dinamiche”.

“Sono madre di un bambino di due anni per cui non sono ancora entrata in quella fase in cui da genitore mi confronto con l’adolescenza ma sono stata comunque anch’io un’adolescente, una di quelle che ha dato del filo da torcere ai suoi genitori, e ciò mi è tornato utile per entrare nei panni di Laura, la madre di Silvia, la protagonista di una delle tre storie”, prosegue Astrid Meloni nel descrivere il ruolo che interpreta nella serie tv giunta alla sua seconda stagione.

Hai cercato di capire quali fossero le motivazioni che muovevano il tuo personaggio?

Più che capire Laura, ho cercato di capire Silvia e di comprendere quale fosse la sua posizione rispetto ai suoi desideri, ai suoi sogni e alle difficoltà di comprensione, a volte anche cognitiva, che si hanno in quella fase così complessa che risponde al nome di adolescenza, quando tutti siamo scombussolati dagli ormoni e la vita è tutta una scoperta… lasciamo l’infanzia, che è un luogo protetto o almeno così dovrebbe essere, per affacciarci al mondo degli adulti senza ancora esserlo.

E, quindi, per me era importante capire Silvia: Laura è spettatrice di ciò che accade prima di trovarsi davanti a un bivio in cui decidere se stare accanto silentemente o parlare, rompendo gli argini come spesso i genitori si ritrovano a fare per istinto o per preoccupazione. Una delle difficoltà maggiori che si possono incontrare da genitori è quella di capire qual è il momento giusto in cui parlare senza essere in alcun modo autoritari, imponendo la propria visione. Nel caso di Laura e Silvia, è ancora più complicato perché le due hanno un rapporto simbiotico: la figlia è cresciuta senza un padre al fianco…

Qualcosa che risuona molto con la tua esperienza personale.

Laura e Silvia hanno lo stesso tipo di legame che io ho avuto con mia madre. I miei si sono separati quando ero molto piccola, vedevo mio padre ma non viveva con noi. Ho sì una sorella ma, essendoci molta differenza d’età tra me e lei, è andata via di casa per studiare all’università quando io avevo solo dieci anni. Come spesso accade agli attori, ho dovuto ripescare anche dal mio ricordo adolescenziale non solo le esperienze vissute in prima persona ma anche lo sguardo di mia madre: una donna che tutti i giorni cercava di fare del suo meglio sia come genitore sia come medico.

Astrid Meloni ed Emma Valenti nella serie tv Nudes 2.
Astrid Meloni ed Emma Valenti nella serie tv Nudes 2.

Il lavoro di transfert psicologico messo in atto per interpretare Laura cosa ti ha fatto capire dell’adolescente che sei stata? Ti sei rivista con un occhio differente?

Sì. E accade che in qualche modo ti perdoni e diventi clemente con te stesso. Sono stata un’adolescente particolarmente caotica che aveva tantissime cose da dire, era molto diretta, cercava sempre lo scontro e aveva una sua posizione nel mondo. Tutto per me era estremo: in quella fase di vita, i colori pastello o i grigi spesso sono meno possibili da toccare, è più facile che sia tutto o bianco o nero. Piena di energie, ero molto indipendente e ho voluto fare le mie scelte. Crescendo, ho anche chiesto scusa perché sicuramente non è stato facile avermi accanto…

Ma ho capito che a un certo punto occorre anche regalarsi una certa clemenza per ciò che si è fatto in un certo modo. Forse a volte si avrebbe bisogno di un po’ più di calma, che la vita non andasse così di corsa per capire le cose mentre accadono: abbiamo tutti la necessità di mettere a volte in pausa per comprendere passaggi che ancora non ci sono chiari, di respirare e ci capire come mettere insieme i pezzi…

Ho anche capito che sentivo l’urgenza di dire la mia, oltre che di capire tutto. Continuavo a chiedermi chi ero, una domanda che mi ha ossessionata e che mi sono posta anche prematuramente: sarebbe bastata un po’ più di pazienza e di consapevolezza per realizzare che una risposta definitiva non arriverà mai, nemmeno in punto di morte quando puoi capire chi sei stato ma non chi sei.

La tua ribellione è stata in qualche modo inficiata dal non aver avuto una famiglia “tradizionale”?

Bella domanda ma… credo di no. Ho avuto comunque dei genitori molto presenti: penso che sia purtroppo dipesa dalla mia natura esplosiva: sono sempre stata in continua evoluzione e ricerca. Due genitori che si separano possono essere due genitori vicini e attenti. E poi, ripeto, con mia madre avevo un rapporto bellissimo: è lei che mi ha avvicinato al cinema, alla letteratura e alle arti in generale… Ero riconosciuta nel mio modo di stare al mondo e venivo guardata a vista, per cui credo che sia stata frutto del mio temperamento, quella roba con cui purtroppo già si nasce.

Riconosco però che l’ambiente, con il suo peso specifico, ha finito con l’avere qualche influenza. Sono cresciuta ad esempio in un ambiente molto libero, in campagna, dove ho avuto la possibilità di sperimentare una libertà diversa, di stare fuori a giocare con gli animali e di vivere in una specie di grande famiglia allargata, con i cinque figli dei vicini che per me erano come fratelli. L’essere dunque stata curiosa e selvaggia nell’infanzia ha poi contribuito nell’adolescenza alla ribellione nei confronti del sistema e delle regole. Ma ero anche brava, eh: rimanevo una secchiona a scuola (ride, ndr)!

Quando si è placata la tua ribellione?

Nel momento in cui ho capito che ero libera di scegliere. E cioè quando ho lasciato la Sardegna, sono arrivata a Roma e ho realizzato che la vita era mia: non c’era nessuno che poteva in qualche modo indicarmi la strada. Da lì in poi, le mie scelte sono state più ponderate: avevo scelto io l’università, mi piaceva e a essa mi dedicavo, non sentendo più la necessità di andare contro qualcosa, un limite o un confine. I genitori servono anche a mettere dei limiti per spingerti a riconoscere quali sono i tuoi: in quel frangente, a centinaia di chilometri di distanza da casa e in una metropoli enorme, avrei potuto veramente fare qualsiasi cosa ma ho scelto la mia direzione.

Sono però rimasta indomita: la mia testa va velocissima e ha sempre un obiettivo da voler raggiungere. È una caratteristica che mi accompagna e di cui sono felice. Così come la curiosità e il mio non aver pregiudizio alcuno rispetto alle scelte da fare nella vita: sono state i motori che mi hanno portata a laurearmi in Psicologia prima, a scegliere il DAMS dopo, a frequentare il Centro Sperimentale di Cinematografia quando ho capito che potevo essere un’attrice e a fare l’Anica Academy come sceneggiatrice molti anni dopo quando ho avuto l’idea per un film.

La mia vita è sempre orientata con libertà al futuro e a ciò che di nuovo posso imparare. È anche il motivo per cui faccio questo mestiere: ho la grande fortuna di vivere e di indagare tantissime vite diverse dalla mia indagandone sogni, bisogni e motivazioni, che mi aiutano a capire anche i miei, a esplorare e farmi domande.

Nudes 2: Le foto della serie tv

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L’essere diventata madre è stato propedeutico a placare le tue ansie o la tua ricerca di te stessa?

La nascita di un figlio è una rivoluzione: improvvisamente non sei più solo e non lo sarai più per sempre. È quel qualcosa che accade e che diventa una certezza, la propria cartina tornasole. Le domande ci sono sempre ma cambiano le risposte: l’egocentrismo e l’individualismo cedono il passo a una nuova relativizzazione, tutto si marginalizza e ci si mette, soprattutto all’inizio, al servizio di una nuova vita che cresce.

Ed è complicato: se da un lato il relativizzare tantissime cose ti alleggerisce, dall’altro lato non smetti di porti domande su te stesso.. te ne fai anche di più ma te le fai rispetto allo specchio nuovo che hai davanti, in relazione a quell’altro essere umano che ti vede come il suo supereroe fino a quando a un certo punto scoprirà che non lo sei. Quell’essere umano impara soprattutto per imitazione e ciò fa sì che ti concentri nel cercare di essere migliore, di essere quel genitore che avresti anche tu voluto avere ma che non hai avuto. Il “Chi sono?” lascia spazio al “Come voglio che cresca? Che tipo di scene familiari voglio che veda? Che tipo di socialità deve avere?”.

Tra l’altro, sembra quasi paradossale, ma la nascita di mio figlio Enea ha in qualche modo dato anche una spinta al mio lavoro. Da quando ho voluto un po’ meno (il volli, volli, fortissimamente volli mi ha sempre caratterizzata) allentando anche la presa da un mestiere che comunque è anche molto richiedente, ho lavorato molto di più… Ed Enea è partito prestissimo con me: aveva cinque mesi quando è stato la prima volta su un set.

Non c’è mai stata la paura che l’arrivo di un figlio interferisse con la tua carriera?

Volevo da sempre diventare madre ma ho aspettato di essere emotivamente nel momento migliore e di incontrare la persona che desideravo fosse il padre di mio figlio, non sempre è facile trovare la persona giusta. Non mi sono dunque posta la questione e, evidentemente, ho fatto anche bene: non ho nemmeno pensato ai cambiamenti del mio corpo…

“Devi fare qualcosa quando la desideri” è il più grande insegnamento che mi ha lasciato mia madre: dobbiamo ascoltare noi stessi e non procrastinare per evitare che poi tutto diventi impossibile… Il nostro corpo, ad esempio, non è infinito così come non lo sono i nostri ovuli. Come mi ha insegnato anche Christiane Jatahi con cui ho fatto l’Ecole des maitres, “quando qualcosa cambia, cambia anche il sistema intorno a essa”. Non bisogna aver paura del cambiamento quando il nostro istinto ci dice che è quello il momento giusto per attuarlo: non può mai essere qualcosa di esterno a noi a condizionare le nostre scelte.

E, per come la vedo io, la vita premia sempre per il coraggio di scegliere, regalandoti qualcosa in cambio. Bisogna dunque avere coraggio, avere cuore e seguirlo: sarà una banalità ma, facendolo, tutto trova sempre un modo per rimettere il puzzle a posto.

Cosa vedi quando ti rifletti in uno specchio?

Quando mi fermo a guardarmi, da qualche parte vedo la donna che volevo essere, anche con tutti i suoi dubbi, le difficoltà e il suo modo di stare al mondo con tante domande e un pensiero che non si ferma mai. Mi vedo dove volevo stare: ho un compagno che amo, ho un figlio che adoro e che è tutta la mia vita, e lavoro abbastanza per poter dire che faccio il mestiere di attrice. Ciò non vuol dire che non abbia dei progetti, degli obiettivi o delle mire, ma sono come mi volevo: ho faticato per arrivarci ma mi dico ogni tanto “Brava!”.

Colpisce la pacatezza che hai nel raccontarti. Da cosa deriva?

Proprio da ciò che ho appena detto: quando mi fermo a parlare di me come accade nelle interviste che scavano in profondità, mi accorgo che sono molto fortunata. Ho desiderato delle cose nella vita che sono poi arrivate, anche se alcune più tardi: forse avrei potuto fare un figlio a trent’anni, l’ho fatto a quaranta ma pazienza…

Coraggio, dicevi prima: c’è stato mai un momento in cui ti è venuto a mancare?

Il coraggio di per sé mi viene a mancare spesso ma è il come reagisco che fa la differenza: vado comunque. Ho paura tutte le volte che faccio una replica a teatro, devo girare una scena per il cinema o sostenere un provino, ma nella vita ho imparato a pensare che non tutto dipende da me: ci sono sempre delle variabili che sfuggono al mio controllo e che condizionano l’andamento delle cose per cui non si può pretendere di manipolare ogni istante della propria esistenza… Forse devo imparare ad ancora ad ascoltarmi meglio e a lasciar andare che le cose vadano per il loro verso.

Spesso è dagli inconvenienti che arrivano altre possibilità (e la scoperta della penicillina ce lo insegna!). Di recente, ad esempio, mi è capitato di presentarmi a un provino molto importante nella peggiore delle condizioni, bagnata zuppa per via di un temporale in corso. Ma è andata bene perché in quell’istante i vari inconvenienti della mattinata mi avevano privata di ogni maschera, aprendo finestre oltre le quali qualcun altro oltre me poteva vedere.

Sul lavoro, mi sono resa conto di come, in assenza di coraggio, debba cercare di andare oltre fidandomi del mondo intorno. Non potrei ad esempio esistere senza il mio compagno di scena o senza il regista: regalo loro la mia interpretazione e loro regalano me tantissimo altro ancora.

Astrid Meloni sul set del film La terra dei pastori.
Astrid Meloni sul set del film La terra dei pastori.

Ti abbiamo visto al cinema in La terra dei pastori, un film che omaggia la Sardegna. Oggi vivi a Roma, cosa ti manca della tua terra?

Il mare, inteso come elemento della natura di cui mi manca la forza e la maestosità. Tutte le volte che riesco a meditare, è la sua immagine che mi aiuta a respirare… Il mare è quel qualcosa che c’è sempre, che non finisce e che non si ferma mai: è una costante, una sicurezza. L’acqua è poi il mio elemento, ciò che più di ogni altra cosa mi calma.

Quando mi sono trasferita a Roma, pensavo di non poter resistere più di tanto in questa città e di dovermi presto spostare a vivere altrove, da Livorno a Ostia, proprio perché mi mancava il mare. Poi, ho imparato a custodirlo nel mio immaginario tanto che nell’arredo delle mie abitazioni c’è sempre qualcosa che ricorda una casa di mare.

In Sardegna, quando avevo bisogno di essere rinfrancata, andavo sempre al mare, anche d’inverno. Sono nata a Sassari e con mia madre spesso, quando si era tristi, andavamo ad Alghero, il luogo che, un po’ come nella canzone di Giuni Russo, era diventato per noi sinonimo di libertà e apertura.

Nei tuoi geni scorre sangue eritreo e sloveno per via dei nonni materni. Che rapporto hai con le tue origini?

La parte slovena è quella che conosco meno perché non ho mai conosciuto mio nonno: era già morto quando sono nato. Ma mi è capitato un episodio molto strano: a un certo punto della mia vita, ho lavorato a lungo con lo Stabile del Friuli-Venezia Giulia a Trieste, la città d’azione di nonno. In quell’occasione, nel ho approfittato per andare in Slovenia  e mi ha sorpreso come riuscissi a comprendere ciò che la gente del posto diceva.

Non capivo ovviamente tutto ma era come se i concetti espressi fossero per me intellegibili, come se da qualche parte in me risuonasse l’appartenenza a quel popolo. Potrei anche essermi autoconvinta che fosse così: sono molto brava in questo (ride, ndr) ma ho sentito sin da subito una certa vicinanza persino alle canzoni che mi facevano ascoltare: qualcosa mi faceva sentire a casa, regalandomi calma e serenità.

Diverso è il legame con le origini africane. Ho conosciuto mia nonna: dopo essere stata a lungo separata da mia madre, è venuta a vivere da noi in Sardegna e ho potuto conoscere quella mia parte in maniera meno superficiale, impararlo anche a cucinare i piatti eritrei.

Oggi, è come se le mie origini convivessero in me in maniera subliminale senza mai rivelarsi. Ma è per loro che sono la persona che sono, in grado di contemplare mille possibilità e aperture. Adoro ad esempio vivere a Piazza Vittorio perché è un bel meltin’ pot di popoli, viaggiare e assaggiare ogni cibo.

Cosa ti fa paura?

Mi fa paura la stasi ma anche il fatto che possa un giorno rinunciare ai desideri… la mancanza di stelle e di quel moto che ci porta verso ciò che vogliamo mi spaventa, così come il rinunciare a ciò potrei essere o a dove potrei andare. Ma mi fa molta paura anche la depressione, una possibilità della vita che non ho mai conosciuto ma che temo.

Hai mai avuto paura dell’altro sesso o delle derive a esso legate?

La violenza mi fa molta paura, nonostante io sia sempre stata un’interventista: tutte le volte che vedo qualcuno che si mena, mi metto in mezzo rischiandone anche le conseguenze… non riesco a farmi i fatti miei! Non ho dunque paura soltanto della violenza del maschio ma della sua deriva in generale: all’aggressività preferisco la gentilezza, dote che oramai sembra mancare sempre più.

Basta anche aprire semplicemente i social per accorgersi di quanta mancanza di gentilezza ci sia: chiunque si arroga il diritto di dire la propria su tutto, anche per questioni in cui non si è direttamente coinvolti. Dall’anonimato della propria cameretta, al sicuro, si scrive qualsiasi cosa sui profili altrui senza andare incontro ad alcun tipo di provvedimento, ferendo e andando anche sul personale. Bisognerebbe invece esercitarsi un po’ di più sulla gentilezza e sulla tolleranza: lo ripeto anche a me stessa come monito… interroghiamoci sul mondo in cui vogliamo vivere e o che vogliamo lasciare in eredità agli altri: continuando a essere così territoriali anche nei rapporti quotidiani, che ne sarà?

Ma poi, dando sfogo ai nostri impulsi offendo qualcuno, qual è il nostro obiettivo? La persona oggetto delle nostre attenzioni o la necessità di esternare qualcosa che ci teniamo dentro? Nel secondo caso, il tutto diventa davvero molto pericoloso.

Astrid Meloni
Astrid Meloni (Foto: Francesca Marino).
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