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Azzurra Primavera: “La fotografia per esperire il mondo” – Intervista esclusiva

Azzurra Pimavera
L’intervista ad Azzurra Primavera, rinomata fotografa, ci offre un ritratto complesso e affascinante di una donna che ha saputo navigare le sfide di un ambiente competitivo, emergendo con una voce unica e riconoscibile. La sua storia è un inno alla perseveranza, alla passione e alla capacità di vedere il mondo attraverso una lente profondamente umana e sensibile.

In un mondo dove la fotografia si manifesta come uno specchio dell'anima, svelando storie celate dietro ogni scatto, Azzurra Primavera emerge come una voce distinta, una fotografa che ha saputo catturare l'essenza di numerosi volti noti, imprimendo nelle sue immagini ben più di semplici espressioni. Nel dialogo con lei, emerge una riflessione profonda sul panorama fotografico contemporaneo, spesso dominato da figure maschili, evidenziando così la sua presenza come un soffio di diversità e talento in un campo saturato di uniformità.

Azzurra Primavera non ha solamente impresso l'immagine di celebrità ma ha anche dato vita a ritratti che si distaccano dai cliché, offrendo uno sguardo autentico e intimo su ciascun soggetto. La sua capacità di far emergere storie attraverso la lente si materializza in una mostra personale, la prima della sua carriera, che si terrà dal 21 marzo al 30 giugno, Azzurra Primavera. 100 ritratti oltre l’immagine, curata da Cesare Biasini Selvaggi e Barbara Santoro e promossa da Arimondi Circle e Luisa Melara & Partners. Questo evento non segna solo un traguardo raggiunto, ma rappresenta un vero e proprio punto di svolta nella sua vita artistica.

Il percorso che ha condotto Azzurra Primavera a questo importante momento è stato tutto fuorché prevedibile. L'idea di organizzare una mostra personale le è stata proposta in modo quasi casuale, durante una cena con i due curatori, trasformando un'ipotetica sorpresa in una realtà concreta. La scoperta di vecchie fotografie dimenticate nel proprio archivio personale ha rappresentato per lei un viaggio nella propria storia, un riavvicinamento alle radici della sua passione.

Il lavoro di Azzurra Primavera, tuttavia, non si limita alla celebrazione dello spettacolo e delle sue figure. La sua attenzione si è spesso rivolta anche a temi di forte impatto sociale, come dimostrano i suoi ritratti della comunità rom e gli scatti realizzati durante il World Pride di Roma nel 2000. Queste immagini raccontano di incontri e di storie che vanno oltre la mera rappresentazione artistica, testimoniando un impegno sociale che si intreccia indissolubilmente con la sua arte.

Nell'intervista che ci ha concesso, Azzurra Primavera riflette sulle sfide e sulle soddisfazioni che il suo percorso professionale le ha riservato. Da un lato, la difficoltà di affermarsi in un ambiente tradizionalmente maschile; dall'altro, la gratificazione derivante dal riconoscimento del proprio lavoro, non solo da parte degli artisti che ha fotografato, ma anche delle comunità che ha saputo ritrarre con empatia e rispetto.

La sua esperienza evidenzia inoltre i cambiamenti portati dall'avvento del digitale nel mondo della fotografia, riflettendo su come questa evoluzione abbia influenzato il suo approccio allo scatto e alla post-produzione. Pur apprezzando le facilitazioni tecniche offerte dal digitale, Azzurra Primavera rimane fedele alla ricerca della lentezza e della meditazione che la camera oscura le offriva, testimoniando un legame indissolubile con la tradizione fotografica.

Azzurra Pimavera
Azzurra Primavera (Press: Lionella Bianca Fiorillo @StoryFinders).

Intervista esclusiva ad Azzurra Primavera

“Non ci avevo mai riflettuto ma è vero che noi donne fotografe, in quest’ambiente, siamo molte meno rispetto ai colleghi uomini”, mi risponde Azzurra Primavera quando le sottolineo come solitamente i credits dei ritratti che riceviamo degli artisti portino nomi maschili. Tuttavia, sono diversi i casi in cui per le nostre interviste abbiamo usato ritratti che ci hanno mostrato attori e attrici attraverso il suo sguardo: da Teresa Saponangelo a Ludovico Fremont, passando per Lidia Vitale e Mario Ermito.

Dal 21 marzo al 30 giugno, esporrai cento dei tuoi ritratti in quella che è la tua prima personale. Più che una meta, sembra nel tuo caso un giro di boa.

In un certo senso, lo è. Mai avrei pensato di fare una personale in vita mia ma l’idea è arrivata così velocemente da non aver avuto nemmeno il tempo di pensarci: me l’hanno proposta una sera a cena i due curatori. “Abbiamo una sorpresa per te”, mi han detto: credevo fosse un regalo contingente quando hanno aggiunto che invece sarebbe stata la mia prima mostra. Ho pensato che mi stessero prendendo in giro ma era la verità… ancora fatico a crederci perché, ripeto, il tutto è avvenuto nel giro di pochi mesi.

Per realizzarla, ovviamente, ho dovuto fare un’intensa ricerca nel mio archivio personale scoprendo di avere delle fotografie di cui neanch’io mi ricordavo. Ed è stata questa la parte per me più interessante: dimentico gli scatti e non ricordo quasi nulla del lavoro fatto… e, invece, scartabellando tra vari hard disk, mi sono ritrovata tra le mani roba non solo dimenticata ma anche sepolta.

La locandina della mostra Azzurra Primavera. 100 ritratti oltre l'immagine.
La locandina della mostra Azzurra Primavera. 100 ritratti oltre l'immagine.

La personale comincia, dunque, da lontano…

I miei curatori hanno pensato di aprire la rassegna con le immagini che ho scattato quando ho iniziato a fare la fotografa intorno al 1995 e m’ero messa in testa di portare avanti un progetto particolare sui teatri romani. Ho sempre amato realizzare ritratti ma, a un certo punto, la gente comune cominciava a limitarmi: avevo bisogno di altro che solo gli attori potevano restituirmi perché facilitati a stare davanti a una camera.

Ed è stato così che presi la mia macchina fotografica e mi fiondai la prima volta davanti a un teatro romano: prima o poi, qualcuno sarebbe passato. Ma non era così semplice: gli attori non entravano o uscivano dall’ingresso principale ma da una porta secondaria, come mi suggerì un tecnico. Grazie alla dritta, la prima che beccai fu Mita Medici. Mi presentai, le spiegai qual era il mio progetto (fotografarla prima dell’entrata in scena) e mi rispose di tornare qualche giorno dopo. Cosa che feci e che, nonostante lei se ne fosse dimenticata, mi permise di tornare a casa con i primi ritratti e di avere un lasciapassare con cui presentarmi agli altri.

“Ho fotografato Mita Medici, mi piacerebbe fare lo stesso con lei” divenne il mio mantra per gli scatti successivi ad artisti come Nino Manfredi, Gigi Proietti, Piera degli Esposti, Anna Proclemer, Ernesto Calindri, Gabriele Lavia… In pratica, nel giro di due o tre anni, avevo fotografato quasi tutti i grandi attori che si muovevano nei teatri romani. Dei quasi trecento personaggi incontrati, solo in pochi risposero no.

Te li ricordi ancora?

Si, me li ricordo. Ma soprattutto li ho incontrati successivamente negli anni perché erano loro che chiedevano a me di essere fotografati. Quando li ho rivisti, è stato come prendersi una piccola rivincita che testimoniava quanto la voglia di non arrendersi fosse stata in qualche modo nel tempo ripagata. Ovviamente, non si ricordavano ma il non ricordarsi è qualcosa che capita anche tra coloro che mi avevano detto sì: è incredibile come un evento che per me è stato fondamentale, per loro era quasi inesistente (ride, ndr).

Gigi Proietti, ritratto da Azzurra Pimavera.
Gigi Proietti, ritratto da Azzurra Pimavera.

Ancor prima del progetto teatrale, la fotografia e la passione per essa ti avevano portato nei primi anni Novanta, quando la soap era all’apice di un successo senza precedenti, a fotografare i divi di Beautiful in trasferta in Italia e a vedere quegli scatti di una ragazzina finire sulle copertine delle riviste di settore.

A quel tempo, io e mia sorella seguivamo Beautiful e i suoi intrecci. Ricordo che lo guardavamo tutti in casa, da mamma a nonna. Mia sorella, che ha tre anni meno di me, rimase colpita dal sentire che gli attori del cast erano a Roma, voleva vederli da vicino ma, per volere di mia mamma, sarebbe potuta andare davanti all’albergo in cui soggiornavano solo accompagnata da me. Non è che a me importasse molto di vederli ma andai, armata della mia macchinetta fotografica: visto che c’ero, avrai scattato qualche immagine e qualche ritratto.

Siamo andate un paio di pomeriggi, abbiamo stretto amicizia con tanti adolescenti che come noi erano lì e ho portato con me anche le foto che man mano scattavo e sviluppavo in un’ora, con annesso rullino in omaggio. Attirata da quelle immagini che avevo con me, una fotografa mi si avvicinò chiedendomi se potesse averle e farle pubblicare. A me non sembrò vero: gliele diedi e le pubblicarono senza nemmeno riportare il mio nome o darmi niente in cambio, cosa che oggi non farei mai più. Ma, nonostante ciò, a me sembrò pazzesco vedere poi le foto nelle varie copertine.

Oggi ovviamente non lo faresti più ma far rispettare i credits da parte della stampa rappresenta tuttora un problema. Non esiste una regolamentazione nel campo della vostra arte?

È un discorso super complesso: ci sarebbe una regolamentazione ma non sempre è facile farla applicare. Nel momento in cui vado in edicola e trovo una mia foto da qualche parte, posso anche chiamare la testata ma la foto è comunque ormai stata pubblicata senza il nome del titolare dei diritti: non ci sarà mai una rettifica. Dovresti ogni volta intentare causa a un editore ma farlo significherebbe anche smettere di lavorare: è un cane che si morde la coda.

È il motivo per cui spesso, soprattutto quando si inizia ad avere un nome, si collabora in sinergia con gli uffici stampa, anche per avere un’idea di dove vadano a finire le foto stesse. Da quando esiste il web, il problema si è accentuato notevolmente.

Facciamo un ulteriore passo indietro: chi ti aveva regalato la prima macchina fotografica?

Ero una ragazzina molto particolare per cui il momento della comunione è stato una tragedia a tutti gli effetti: non volevo la festa, non volevo indossare l’abito da cerimonia e non volevo quei regali anche in oro che solitamente si ricevevano. Per la disperazione di mia madre, non si sapeva cosa regalarmi. Mi sono però arrivati due orologi, tre penne stilografiche e due macchine fotografiche… una di queste, piccola e carina, mi è stata regalata dai miei genitori ed è così che ho cominciato a scattare le prime fotografie.

Non è stata dunque una mia richiesta esplicita: in un certo senso, è stata la fotografia a cercare me e non viceversa. Ma, nonostante la forte passione, non pensavo di dover fare nella vita la fotografa, tanto che mi ero iscritta all’università per studiare Scienze Politiche, abbandonandola per seguire ciò che da sempre ormai facevo: fotografare. Del resto, avevo dieci anni quando ho cominciato a ritrarre gli amichetti di scuola ma mi sono mai definita fotografa: ho capito che lo ero quando un giorno in casa dei miei è arrivata la chiamata di un agente di attori che cercava “la fotografa Azzurra Primavera”.

Barbora Bobulova, fotografata da Azzurra Primavera.
Barbora Bobulova, fotografata da Azzurra Primavera.

Lasci l’università ufficialmente dopo un attacco di appendicite…

Avevo appena sostenuto un esame di Storia Moderna, con il massimo dei voti. Andai poi la sera al cinema e un dolore tremendo mi portò in ospedale per un’operazione. Il giorno dopo l’intervento decisi che basta, avrei lasciato scienze politiche. Non volevo più continuare con gli studi ma dedicarmi al progetto sui teatri che nel frattempo avevo cominciato: sarà stato un effetto collaterale dell’anestesia (ride, ndr)!

A diciotto anni ti eri creata anche la tua prima camera oscura nel bagno di tua nonna, dove passavi le ore nell’attesa di vedere il frutto del tuo lavoro. Cosa ti restituisce la fotografia che altro non ti dà?

È una domanda a cui non so dare una risposta: fotografate è ormai il mio modo di vivere. Sono una persona distrattissima per cui non ricordo le cose se non quelle che guardo attraverso l’obiettivo: è solo quando fotografo che sono realmente attenta, persino ai dettagli. È una caratteristica che mi accompagna sin da quando ero ragazzina… fotografare è dunque il mio modo di esperire il mondo.

La ragazzina aveva però un certo fiuto per gli “affari”: rivendevi le foto ai compagni di classe!

Era per comprare altri rullini e per pagarmi gli sviluppi (ride, ndr). Avevo capito che la cosa più semplice era portare in classe delle foto piccoline, 10x15, fare scegliere ai compagni quella che ritenevano più bella e rivendergliela per cinquecento lire. Stampavo da me quelle in bianco e nero mentre quelle a colori le portavo dal fotografo, che me le faceva pagare trecento lire. Mettevo poi i restanti soldi da parte per comprare le attrezzature o la carta fotografica che mi servivano…

Il tutto sempre da autodidatta.

Sì, non ho mai frequentato nessun corso. Tutto ciò che conoscevo o sapevo fare lo imparavo dalle riviste o dai libri che compravo, tantissimi, di grandi maestri della fotografia: mi servivano per carpire tutti i segreti possibili. Pensa che per fare la mia prima buona stampa in bianco e nero da sola ci ho messo un mese e mezzo solo per capire che il negativo andava messo a rovescio. Non esisteva ancora internet e tutto era molto più lento, oltre che complesso.

L’avvento del digitale ha poi cambiato il tuo modo di lavorare? Lo ha facilitato o reso più “automatico”?

Lo ha di sicuro cambiato ma non so se lo abbia reso più facile. Chiaramente, i clienti grazie al digitale possono subito vedere lo scatto realizzato e scegliere quale cestinare o salvare mentre prima dovevano attendere lo sviluppo del negativo. Si ragionava sicuramente di più, soprattutto in camera oscura, dove stavo tantissimo tempo a fare le prove per avere il risultato che volevo: è come se si fosse persa la bellezza di quelle ore passate in silenzio in attesa della foto, quella fase meditativa che tanto mi piaceva. Oggi è tutto molto più veloce, quasi non si pensa più e non sempre riesco ad avere il tempo che vorrei per lavorare a un ritratto… mi posso permettere di ritrovare quella lentezza solo quando lavoro a progetti miei.

Dall’altro lato, però, non devo più comprare i rullini: mi basta una sola scheda per fare tutto e per restituire in pochissimi minuti anche centinaia di scatti, non sempre di qualità. Anche se, per quanto mi riguarda, provo a conservare la forma mentis di quando lavoravo su pellicola: non scatto mai tanto per scattare. Voglio ad esempio conoscere prima i soggetti… lo faccio soprattutto con i giovanissimi attori, con cui prima del servizio preferisco prendere un caffè e fare quattro chiacchiere.

Usi dei software per la correzione delle immagini?

Utilizzo Photoshop ma non per cambiare i connotati alle persone. Sono contraria alle modifiche, anche se a volte finisco con lo scontrarmi con chi, soprattutto donne, preferisce vedersi in maniera diversa da quello che è. Tutti nell’ambiente sanno che non amo i ritocchi digitali per cui, quando me li richiedono, le telefonate sono anche snervanti.

Ti preoccupano i progressi dell’intelligenza artificiale nel tuo settore?

Dovrebbero preoccupare un po’ tutti quanti, non solo chi opera nella fotografia. Soprattutto per la deriva che può comportare il suo uso spropositato, con la diffusione di immagini ma anche testi fake che finiscono con la loro diffusione per diventare veri: la gente purtroppo oramai non approfondisce più nulla e si ferma alla sola immagine o al solo titolo, facendo diventare reale ciò che non lo era.

Rome World Pride 2000, foto di Azzurra Primavera.
Rome World Pride 2000, foto di Azzurra Primavera.

La tua prima personale non metterà in mostra solo i ritratti realizzati agli artisti ma anche le foto a forte connotazione sociale che hai scattato negli anni, dal World Pride di Roma nel 2000 alla comunità rom. Come sono nati i ritratti ai rom?

Sono una costola del mio lavoro con gli attori. Il mio studio si trova vicino a un posto in cui ogni tanto porto gli attori a scattare delle fotografia per via della bellissima luce che c’è. È un po’ nascosto e nei pressi di una pista ciclabile. Ed è lì che qualche tempo fa ha pensato di far base un gruppo di nomadi, spesso incuriositi dalle mie attrezzature, dai vestiti o da quant’altro. Un giorno, uno di loro mi ha chiesto che lavoro facessi e, alla mia risposta, ha voluto che gli scattassi una foto… quando gliel’ho portata stampata, è impazzito di gioia!

Da quel giorno, sono diventata la fotografa di tutta la famiglia ed è ormai da dodici anni che li ritraggo: li ho visti crescere un po’ tutti. Mi è anche capitato di fotografarli insieme a personaggi famosi, tutti allo stesso piano come esseri umani che posavano davanti a un obiettivo con il solo scopo di far venir fuori una foto bella. Ed è interessante vedere la dinamica di complicità e di rispetto che ogni volta si crea.

Torniamo da dove eravamo partiti: l’essere donna in un campo così maschile come quello della fotografia.

Essere donna di sicuro non aiuta. Nel mio caso, l’essere sempre stata un “maschiaccio” non mi ha fatto avvertire particolari difficoltà… per me, è stato più complicato farsi conoscere: non avevo alcun contatto quando ho iniziato ed è il passaparola che ha funzionato. Anche se non nego che ogni tanto qualche episodio particolare accade: una volta un attore mi ha chiamata per capire cosa si prova a essere fotografato da una donna. Ho risposto che sono un fotografo e che la fotografia non ha un genere: come nel caso delle registe, non esiste lo sguardo al femminile ma esiste lo sguardo, differente per ognuno di noi. Il mio è diverso da quello di un’altra donna come lo è da quello di un altro uomo.

Famiglia Rom, foto di Azzurra Primavera.
Famiglia Rom, foto di Azzurra Primavera.
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