Arriva su Rai 3 dal 27 aprile alle 20:20, poco prima di Un posto al sole, la serie tv Bangla, seguito del fortunatissimo film di Phaim Bhuiyan. Gli otto episodi della serie tv, già disponibili su RaiPlay, sono diretti dallo stesso Bhuyian con Emanuele Scaringi mentre la produzione è ancora una volta affidata a Fandango, in collaborazione con Rai Fiction.
Le vicende della serie tv Bangla partono da dove era finito il film, con il protagonista Phaim, giovane bangladese musulmano, alle prese con i precetti della sua religione e l’amore per la coetanea romana Asia. Per chi non lo sapesse, la religione musulmana, oltre a proibire la carne di maiale e l’alcool, vieta anche il sesso prima del matrimonio. Phaim, nato e cresciuto in Italia, rispetta i valori che gli sono stati impartiti ma quanto potrà a lungo resistere?
In un clima di spassosa giocosità, la serie tv Bangla ci porta con il sorriso a riflettere su temi come l’integrazione, l’accettazione e la diversità. Ma senza perdere mai di vista quelle tematiche generazionali che non conoscono barriere geografiche, culturali o religiose.
Un passo indietro
Bangla, la serie tv già disponibile su RaiPlay e dal 27 in onda su Rai 3, nasce come proseguimento dell’omonimo film, Bangla, presentato con successo in vari festival del mondo, da Rotterdam a Lisbona.
Protagonista del film è Phaim, un giovane musulmano di origini bengalesi nato in Italia 22 anni fa. Vive con la sua famiglia a Torpignattara, quartiere multietnico di Roma, lavora come stewart in un museo e suona in un gruppo. È proprio in occasione di un concerto che incontra Asia (Carlotta Antonelli), suo esatto opposto: istinto puro, nessuna regola. Tra i due l’attrazione scatta immediata e Phaim dovrà capire come conciliare il suo amore per la ragazza con la più inviolabile delle regole dell’Islam: niente sesso prima del matrimonio.
La serie tv
Bangla, la serie tv di Rai 3, è la prosecuzione dell’ironico e spassoso diario sentimentale di Phaim, ventenne nato e cresciuto a Torpignattara, quartiere multietnico di Roma Est in bilico tra tradizione, modernità e globalizzazione. Il suo sentirsi italiano e allo stesso tempo orgoglioso delle proprie origini bengalesi lo spinge quotidianamente a mettere in dialogo le due identità. Ma lo scontro col sistema occidentale, il confronto con la famiglia che lo invita a rispettare la cultura di provenienza e l’impatto emotivo dell'innamoramento per Asia, anticonformista e ribelle, non l’aiutano tanto. Anzi...
Cosa vuol dire per un giovane italiano di seconda generazione e musulmano praticante vivere in un mondo così lontano dai precetti dell'Islam? Come affronta le relazioni amorose? Cosa accade quando il desiderio bussa forte alla sua porta? Queste le domande a cui è chiamato a rispondere Phaim, il protagonista della serie. Il racconto inizia da qui, dalla stanzetta in cui Phaim sta per fare sesso (o forse no) con la fidanzata Asia, senza soluzione di continuità con l’ultima scena del film omonimo premiato come Miglior Commedia ai Nastri d’Argento e Miglior regista esordiente ai David di Donatello del 2018.
TheWom.it ha avuto la possibilità di intervistare Phaim Bhuyian, il protagonista, regista e sceneggiatore della serie tv Bangla alla vigilia del suo approdo su Rai 3. Ne è venuta fuori una conversazione sincera, personale, genuina, in grado di sottolineare quanto Phaim sia lo stesso ragazzo pulito che vediamo nel film prima e nella serie tv dopo.
Intervista a Phaim Bhuyian
Phaim, cominciamo con una domanda insolita. Anziché parlarci del tuo personaggio, descrivici chi è per te Asia.
Asia per me è una ragazza dalla mente aperta, libera da ogni pregiudizio, spensierata. Ma, allo stesso tempo, anche lei ha le sue insicurezze, i suoi dubbi sul futuro, sui suoi studi, e anche sull’amore che trova per Phaim. Da questo punto di vista, riesce a essere anche realista. È una ragazza in gamba ma non vuole essere presa in giro.
Chi è invece Phaim, il tuo personaggio? Raccontaci di lui come lo faresti a un bambino di tre anni.
È un ragazzo. Lo vedi nero, perché è figlio di genitori del Bangladesh, ma è italiano, lo puoi sentire da come parla. È un ragazzo che rispetta le regole della sua religione: l’Islam. Proprio perché rispetta le regole non può fare determinate cose, cerca di non cedere alle provocazioni di Asia, però deve trovare una soluzione sia per continuare la relazione con Asia sia per non compromettere le regole della religione. Altrimenti va all’inferno.
Phaim, persona e non personaggio, starebbe nella vita di tutti i giorni con una come Asia? Quali ostacoli incontrerebbe?
Perché no? Ognuno di noi deve avere la possibilità di scegliere con chi stare. Mi piace l’idea di vedere prima la persona com’è dentro e fuori. Gli ostacoli sono sempre legati a quelli del film e della serie, quindi alle presentazioni alla famiglia e alla religione. Ma credo che se veramente lo vuoi, una soluzione si trova sempre.
Quanto di Phaim persona c’è in Phaim personaggio? Cosa hai portato della tua personale esperienza?
Principalmente, c’è sicuramente il mio rapporto con la spiritualità. Poi, di contorno ho voluto raccontare dei momenti della mia vita, come il periodo che ho condiviso con la band, i MoonStarsStudio. È stata una bella avventura che è finita con la partenza del chitarrista per Londra.
Il tuo personaggio è musulmano praticante. Rispetta i precetti imposti, seppur a malincuore, e mette a dura prova la propria resistenza, fisica e psicologica. È possibile chiedere a un ventenne del Terzo Millennio di rinunciare al sesso come esperienza formativa? Quali sacrifici comporterebbe farlo?
Credo di sì, se sei osservante. Anche se penso che sia molto complicato. Magari i tuoi coetanei già in età adolescenziale hanno avuto delle esperienze e invece tu rimani più impreparato. Ciò suscita in te molta più curiosità. I sacrifici ovviamente sono legati al fattore religioso, stessi problemi li hanno sia cristiani e gli ebrei. Ci sono delle soluzioni, ci si può fidanzare e attendere il matrimonio. In questi casi, bisogna saper portare pazienza.
Nella serie tv Bangla, ora su Rai 3, il tuo personaggio sottoscrive un decalogo del sesso, una sorta di dieci comandamenti su cosa si può fare e cosa no in coppia. Da dove nasce l’idea? Lo sottoscriveresti nella realtà o ti asterresti dal farlo?
L’idea è nata parlandone con Vanessa Picciarelli (sceneggiatrice) ed Emanuele Scaringi (co-regista e sceneggiatore). Ci serviva una soluzione narrativa che mettesse il personaggio in condizione di poter rispettare le regole nei limiti del possibile. A me personalmente non è capitata una situazione del genere. Per come sono, io mi asterrei. Più che altro mi manderebbe in confusione. Già ne ho di rigole da rispettare, meglio poche ma buone.
Quale ruolo gioca la famiglia nella vita di Phaim, persona e personaggio? Come sono i tuoi genitori? Qual è l’insegnamento maggiore che hai ricevuto?
La famiglia per il personaggio ha un ruolo chiave nella storia, racconta una generazione di migranti della seconda metà degli anni ’80. Phaim considera i suoi un punto di riferimento, ma allo stesso tempo si ritrova in difficoltà perché ha paura che non lo capiscano, più per un gap culturale, legato a usi e costumi completamente diversi. I miei genitori sono generalmente molto tranquilli. Mi hanno insegnato il rispetto per il prossimo, l’essere onesti e il lavorare duramente.
Come hanno preso la tua scelta “artistica”?
All’inizio non erano molto fiduciosi, più per paura. Questo è un lavoro stabile, non hai delle garanzie come le ha un dipendente o come le assicura qualsiasi lavoro con contratto. Non mi hanno supportato né mi hanno negato di continuare su questo percorso. Li devo ringraziare per questo, perché mi hanno dato motivazione e determinazione per continuare ad andare avanti, per dimostrare il contrario. Dopo il successo del film invece hanno cambiato idea, perché non se lo aspettavano. E sono i primi a vantarsene, i soliti genitori!
Che vuol dire per te inclusività? La famiglia di Asia si mostra particolarmente inclusiva.
Per me è sapersi rispettarsi l’uno con l’altro, avere la curiosità di conoscere il diverso e non di averne paura. Poi, per esperienza personale, l’inclusività e il senso di comunità a volte non ci sono, anche semplicemente per una questione linguista. Molte persone della comunità si trovano in difficoltà a parlare in italiano, e gli italiani non riescono a parlare con le comunità straniere. Proprio per questo motivo le seconde generazioni possono essere ponte fra le due culture. La famiglia di Asia è molto inclusiva, forse a tratti esagera, perché prende i problemi degli altri come cause personali anche se non li riguardano. Ma è anche il bello dell’inclusività.
Hai mai sperimentato direttamente episodi di esclusione? Come hai reagito o reagiresti?
No, per fortuna no. Però, se mi dovessi mettere nei panni di una donna, che porta anche il velo, probabilmente avrei più difficoltà. Le donne con il velo, rispetto ai maschi, sono più identificabili per il credo religioso. Spesso ho sentito storie di persone che non ti affittano casa perché semplicemente sei nero, o porti il velo. Che non ti danno lavoro perché porti il velo e ti obbligano a togliertelo, e non è giusto. Ogni situazione è diversa. È difficile dare un giudizio generale ma credo che, in una situazione di esclusione, ognuno di noi non avrebbe il diritto di scegliere e di essere libero di poter avere le possibilità che ha ogni cittadino. Basta anche leggere gli articoli 3 e 4 della Costituzione.
L’amicizia gioca un ruolo fondamentale nella vita di Phaim e Asia. Cosa significa per te la parola amico? Chi sono i tuoi migliori amici?
Per me la parola amico è sinonimo di fratellanza, famiglia, sostegno morale, spensieratezza e divertimento. Con un amico ti puoi sentire più libero di poter sfogare i problemi legati all’amore, allo studio, al lavoro, e dall’altra parte di poter passare momenti di totale adrenalina e grandi avventure. I miei migliori amici sono persone che conosco dai tempi del liceo, che al di là del successo che ho avuto, mi trattano per come mi hanno conosciuto e magari non per quello che sono diventato. Credo sia fondamentale per me saper rimanere me stesso.
La serie tv Bangla, dal 27 su Rai 3 ma già disponibile su RaiPlay, accende i riflettori su un tema importante come lo ius soli. Cosa diresti ai politici italiani che ancora sono vaghi sulla questione?
Eh…, allora premettiamo che una possibilità per prendere la cittadinanza per chi nasce in Italia da genitori stranieri c’è, si fa richiesta a 18 anni, come ho fatto io. Però, se ci fosse la possibilità di ridurre l’età per prendere la cittadinanza non sarebbe male, partendo dallo ius scholae, banalmente. Ma le difficoltà maggiori, purtroppo, le hanno per esempio seconde generazioni che magari sono arrivate da piccole, o anche da adulte, e si sentono italiane. L’iter burocratico per richiedere la cittadinanza ha delle richieste folli, va ridimensionata la modalità per fare richiesta. Ai politici direi di farsi un giro nelle scuole, nei campetti di calcio, nei posti di lavoro, nell’arte, magari di vedere anche la serie, per capire che l’Italia, oggi in un periodo di transizione, diventerà sicuramente molto più colorata.
Stare in ascolto e far sentire la propria voce. Sono queste le regole basilari della moderna società. Cosa preferisci tra le due cose? Perché?
Credo che siano importanti entrambi in egual misura. Personalmente, preferisco molto di più ascoltare. È fondamentale nel mio lavoro saper osservare, comprendere ed empatizzare. È tutto un lavoro di ricerca.
Com’è stato esordire alla regia? Che consigli ti ha dato Emanuele Scaringi? Quali sfide hai imparato ad affrontare? Qual è stato l’episodio più complicato da dove gestire?
Sicuramente per me è stato un momento molto importante, è atipico che a 22 anni esordisci con la regia. Non era semplice, però avevo voglia di fare. Emanuele Scaringi è stato fondamentale nel mio percorso, mi ha aiutato nell’ottimizzazione dei tempi di produzione, ma anche nel come poter gestire bene le inquadrature scena per scena. Gli devo tanto. Le sfide in generale sono legate alla pressione da gestire. Sul set può succedere di tutto e occorre essere pronti agli imprevisti. Ho imparato a prendere delle decisioni rapidamente e a mantenere la calma in ogni situazione. L’episodio più complesso sicuramente è stato il settimo, perché avevamo tantissime comparse e raccontavamo un momento importante della comunità la festa di fine ramadan. Dovevamo ricreare la realtà e non è stato semplice, ma ci siamo divertiti a farlo. Ce ne sarebbero altre ma non voglio annoiare troppo.
Recitare è anche entrare in sintonia. Com’è stato ritrovarsi con Carlotta a un paio d’anni dal film? Quanto siete cresciuti?
È stato bello, la fortuna è stata che avevamo già fatto un film insieme, e quindi le barriere iniziali della formalità erano state rotte. Quindi, se c’era qualcosa che non piaceva sia da parte mia o sua, non avevamo problemi a dircelo. Lei sicuramente come attrice è cresciuta molto, ha avuto modo di lavorare su molti progetti, e ha acquisito un grande bagaglio di esperienze. Io mi sento sicuramente più maturo e consapevole delle mie capacità. Il vantaggio di iniziare giovane ti concede di poter sbagliare all’inizio e di rafforzarti più velocemente.
Com’è lavorare sul set con quello “splendido cinquantenne” che è Pietro Sermonti?
Esilarante, divertente, unico. Ha la capacità di mettere allegria e gioia a tutto il set, ha sempre la battuta pronta e non è mai di cattivo umore. Anche da lui ho imparato tanto, nei piccoli dettagli, sulla direzione degli attori. Ha pensato molto al personaggio e a come valorizzarlo, proponendomi in corso d’opera anche delle idee. Mi ricordo ancora del nostro primo incontro, quando mi disse: “Ti aspettavo da dieci anni”. Da tempo voleva lavorare con le seconde generazioni, e addirittura voleva produrre il film. Mi aveva detto: “Hai due possibilità: o te lo produco o recito nel tuo film”. Credo di non aver sbagliato scelta.
È meglio avere rimpianti o rimorsi? Ripensando alla serie, hai più rimpianti o rimorsi? Quali?
È meglio non avere nessuno dei due! A parte gli scherzi, ripensando alla serie, probabilmente avrei più rimpianti che rimorsi, perché magari avrei potuto girare alcune scene molto meglio, o recitarle meglio. In generale sono piccoli dettagli, che riguardano la mania del perfezionismo. Per il resto, mi sento molto soddisfatto del lavoro svolto.
Come ti aspetti che venga accolta la serie?
Non avevo aspettative sul film, invece si è rivelato un grande piccolo successo. La mia paura questa volta invece è di deludere le aspettative. Spero che non succeda, perché l’impegno l’abbiamo messo, dando sempre il 110%. Speriamo che possa essere compresa, che il pubblico possa farsi due risate e allo stesso tempo possa riflettere sui i tanti temi trattati nella serie: l’amore, le seconde generazioni, la famiglia, le amicizie e tanto altro.
Cosa vorresti che i tuoi coetanei imparassero da Phaim?
Sicuramente a essere intraprendenti, perché nessuno ti regala niente. Ad avere il coraggio di inseguire i propri sogni. Per noi delle seconde generazioni all’inizio può essere più difficile, ma non impossibile. Mi piacerebbe poter essere un punto di riferimento per ispirare gli altri.
E cosa vorresti che imparasse Phaim dai suoi coetanei?
Vorrei imparare tantissime cose ancora. La strada è lunga. Sicuramente vorrei imparare il senso di comunità, ad ascoltare ancora di più e a capire le esigenze dei miei coetanei.
Come ti immagini Phaim tra dieci anni?
Spero di continuare a lavorare, magari con qualche progetto in più nel curriculum. Sennò andrò a vendere le rose (sono ironico!), sempre con rispetto parlando per chi fa questo di mestiere!