È uscito il 18 novembre Spuma, il nuovo album dei Basiliscus P. Band messinese che combina diversi ingredienti, i Basiliscus P si presentano con nove brani all’insegna di chitarre spumose, fuzz e distorsioni. Il titolo dell’album fa subito pensare al mare ma i Basiliscus P tendono a precisare che il riferimento è alla spuma, la bibita dal sapore graffiante e dolce al tempo stesso come la loro musica.
Frutto di lunghe sessioni di improvvisazione in sala, che poi sono state sviscerate e riarrangiate da Marco Fasolo (leader dei Jennifer Gentle), Spuma è stato concepito durante il lockdown e rifinito in uno studio ricavato all’interno di un ex forte militare di fine Ottocento: un luogo suggestivo che, a livello inconscio, ha influito sul lavoro dei Basiliscus P.
Del progetto, abbiamo parlato in quest’intervista esclusiva con Marco (basso e voce), che compone i Basiliscus P insieme a Federica (chitarra) e Luca (batteria), tre millennial con alle spalle già una decina di anni di esperienza tra live e dischi (il loro primo lavoro, Placenta, è uscito nel 2017).
Intervista esclusiva ai Basiliscus P
Siete tutti giovanissimi ma suonate insieme da dieci anni, dal 2011.
Luca ha 34 anni, Federica 32 e io ne ho da poco compiti 31. Io e Luca abbiamo cominciato anche prima a suonare insieme: eravamo in un altro gruppo, entrambi alla chitarra. Anche Federica ha fatto parte di quella band ma è arrivata a suonare il basso quando quell’esperienza stava per concludersi. In un primo momento, non facevamo nemmeno brani nostri ma cover. È poi arrivato il momento in cui abbiamo sentito l’esigenza di cimentarci con inediti ma è stato tutto abbastanza naturale.
Che formazione avete alle spalle?
Federica suona la chitarra da quando era piccola. Luca, invece, ha cominciato con il suonare la batteria per poi passare alla chitarra e dopo ancora riprendere la batteria. Io, infine, sono autodidatta e ho iniziato tardi a suonare, intorno ai 17 anni, andando contro il pregiudizio secondo cui per suonare bene devi cominciare da bambino, come dicono tutti e come vuole il luogo comune.
È uscito lo scorso venerdì il vostro secondo album, Spuma.
Come il primo (Placenta), è stato realizzato in piena autonomia, anche se abbiamo potuto contare sull’appoggio di Marco Fasolo. Tuttavia, abbiamo cercato di dare il nostro meglio: il nostro obiettivo è migliorare sempre.
Desiderio di migliorare che vi porta a inserire un quarto innesto nel gruppo per la dimensione live, Bruno Bonaiuto con il suo sax.
È stato un suggerimento di Fasolo e lo abbiamo ben accolto, rimettendo anche in mano agli arrangiamenti di alcuni dei brani per dare delle reference alle sue atmosfere.
Non sposta gli equilibri del gruppo l’introduzione di un nuovo elemento?
Non credo. Noi tre in tutti questi anni non abbiamo mai litigato. Abbiamo sì superato dei periodi particolari ma non legati all’idea musicale, i dissidi avevano semmai a che fare con il nostro carattere. Un quarto elemento rappresenta per noi un ascolto in più.
È vero che per la lavorazione di Spuma Luca si è fatto male a un occhio?
È un po’ colpa mia. Tempo fa mi ero fissato con l’idea che dovevo utilizzare oggetti particolari per cercare nuovi suoni. E mi ero concentrato con i pezzi delle lavatrici: mi ero trovato ad aggiustarne una con mio padre e mi ero reso conto che alcune parti producevano dei suoni interessanti se percosse. Per sperimentare, con Marco abbiamo cominciato a smontare una lavatrice per recuperarne il cestello ma era quasi del tutto impossibile smontarla. Abbiamo allora cominciato a usare una sega manuale con dei grandi denti quando, fregando sulla plastica, una piccola scheggia è finita nell’occhio di Marco.
Lì per lì, non se n’è nemmeno reso conto, tanto che ancora oggi nutriamo qualche perplessità su quanto successo. Sappiamo però che subito dopo ha cominciato ad avvertire problemi all’occhio al punto di dover andare in ospedale. Il medico che lo ha visitato gli ha anche detto che se si fosse preso ancora del tempo avrebbe rischiato di perdere l’occhio stesso.
Da dove nasceva l’esigenza di trovare nuovi suoni con materiali insoliti?
Siamo sempre stato alla ricerca di nuovi suoni. Non dico che siamo un gruppo innovativo ma da sempre cerchiamo qualcosa che si trasformi in un punto di forza. Ed io non sono mai contento di ciò che raggiungiamo. Ma quella è una mia debolezza: avrò cambiato ad esempio decine e decine di pedali ma anche amplificatori.
E insolita è anche la location in cui sono nati i brani di Spuma: un’ex forte di fine Ottocento.
È tuttora la nostra sala prove, il disco è stato poi registrato al The Cave, uno studio di Catania usato anche dagli Afterhours. Si tratta del forte Petrazza a Messina: chi lo gestisce ce lo ha dato in concessione ed è lì che abbiamo fatto la preproduzione dei brani. Si trova in pieno centro su una collina.
Il forte ha al suo interno una certa atmosfera. Ha influito sulla composizione delle canzoni?
Non so dare un perimetro reale del modo in cui ha influito. Lo avrà fatto sicuramente a livello inconscio. È molto panoramico e affacciandosi è possibile guardare lo stretto di Messina. Di sera, è buio e suggestivo. è un posto che ispira.
Però, nonostante da lì si vede il mare, chiamate l’album Spuma non per le onde ma in riferimento alla bibita. La spuma ha un sapore molto particolare, non facilmente individuabile come quello di altre bibite.
Già. Nonostante in copertina ci sia il mare, la nostra spuma è la bibita, insolita e un po’ più difficile da ricordare rispetto ad altre. Ha però un sapore unico: la spuma sa di spuma: io non ho mai capito realmente di cosa sappia. È quindi un prodotto molto autentico, tanto quanto speriamo di essere anche noi.
E perché scegliete di mettere in copertina la spuma del mare?
È una foto che ha dietro una storia. Ce l’ha proposta il grafico che ha curato l’aspetto visual dell’album e ci ha raccontata essere stata scattata da suo nonno o suo padre che aveva parcheggiato la macchina in riva al mare e nel giro di un paio d’ore se l’era ritrovata totalmente inondata. Ci è piaciuta l’idea della spuma che si impadronisce di tutto.
Tu sei la voce del gruppo. Tuttavia, la maggior parte dei pezzi sono strumentali. Non avete mai pensato di fare un album cantato per intero?
In Spuma abbiamo cercato di proporre qualcosa di diverso a livello vocale rispetto al primo album. Ci sono dei brani in cui la voce ha degli effetti particolari o altri con un minimo di voce. Ma non ci siamo imposti delle regole o delle direttive a riguardo.
Se ci pensiamo, è una scelta poco mainstream. Quanto conta per voi l’idea del successo?
Il successo è qualcosa che tutti desideriamo, indipendentemente dalla professione che facciamo. Ma al successo in quanto tale preferiamo rimanere noi stessi e fare la nostra musica: siamo tutti d’accordo su questo. Preferiamo avere pochi fan ma veramente buoni.
Un album del genere è sicuramente più rischioso, anche perché per produrre un album si spendono anche diversi soldi. Ma è anche più interessante a livello live, una dimensione in cui siamo più apprezzati. Nel corso degli anni, ci siamo resi conto che abbiamo una resa migliore dal vivo e ci piace molto: è come se subissimo lo studio. Nonostante ciò, abbiamo uno scatolone di brani cominciati e mai finiti. In Spuma ad esempio c’è Acidi, un brano molto vecchio che abbiamo deciso di riarrangiare: ce lo tiravamo dietro da un bel po.
Avete un metodo preciso per scrivere le canzoni?
No. Può capitare che ci si concentri tutti insieme ma anche che ognuno di noi porti un’idea che ha già maturato da solo a casa. Non abbiamo uno schema: se esce fuori qualcosa che ci piace, la registriamo sempre.
A parte suonare, cosa fate nella vita?
Io sono uno sviluppatore, mi occupo di elettronica e informatica. Luca ha studiato Ingegneria Meccanica e lavora in uno studio di termotecnica. Federica invece lavora a scuola.
E com’è fare musica nel messinese?
Messina è una città un po’ particolare. Ma è la nostra città e abbiamo un po’ di gente che ci vuole bene, almeno lo spero. Fare musica al sud è sicuramente più difficile a livello logistico. Spesso siamo costretti a rinunciare a delle tappe proprio per le difficoltà legate agli spostamenti. Ecco perché anche le etichette sono restie a investire su chi viene da oltre lo stretto: è più complicata la gestione.
Come mai avete scelto di chiamarvi Basiliscus P?
È un nome che abbiamo scelto quando abbiamo cominciato a suonare insieme e facevamo anche dei brani meno impegnati. Avevamo fatto una canzone che parlava di un rettile, che poi era la cosiddetta “lucertola di Gesù Cristo”. Il nome scientifico sarebbe basiliscus plumifrons. La canzone piaceva a tutti e, quindi, abbiamo pensato che il rettile fosse di buon auspicio. Tuttavia, plumifrons era impronunciabile. Abbiamo allora scelto di tenere solo l’iniziale: la “p”.
Per finire, a quale canzone di Spuma siete maggiormente legati?
Magenta. È una di quelle che è uscita quasi subito per intero all’arrivo in sala prove, nonostante sia molto lunga. Non so nemmeno come abbiamo fatto. Tra l’altro, non mi piaceva nemmeno quando Federica me l’aveva fatta sentire registrata in una versione prova.