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Beatrice Quinta: “La mia attrazione fatale… per me stessa” – Intervista esclusiva

Beatrice Quinta
Attrazione fatale è il nuovo singolo di Beatrice Quinta, che torna in radio dopo il successo di Se$$o e del mini tour che l’ha vista esibirsi live nelle principali città italiane. Invitando a credere in se stess* e a non sentirsi mai sol*, Beatrice Quinta si racconta a TheWom.it in un’intervista esclusiva dal sapore intimo e divertente.

Beatrice Quinta, artista rivelazione dell’ultima edizione di X-Factor (dove si è classificata seconda), torna oggi in radio e su tutte le piattaforme digitali con il nuovo singolo Attrazione fatale (Sony Music Italy). Poliedrica, talentuosa, esplosiva, travolgente, provocatoria ma profondamente sincera, Beatrice Quinta prosegue quel percorso che dopo la partecipazione al talent l’ha già vista pubblicare un singolo che ha travolto tutto e tutti, Se$$o, e affrontare un Club Showcase Tour 2023 che l’ha portata a Palermo (sua città d’origine), Milano e Roma nel mese di marzo.

In Attrazione fatale, Beatrice Quinta canta le sensazioni che rimangono addosso dopo un’importante parentesi di vita. Il suo desiderio è quello di manifestare la forza che si scopre quando si inizia a credere in se stess* perché, nonostante sia bello condividere la vita con qualcuno, bisogna riuscire a stare bene anche da sol*.

E scoprire è uno dei verbi che torna speso in quest’intervista in esclusiva con Beatrice Quinta, una conversazione che è nata in un modo, all’insegna del divertimento e della riflessione, e che si è conclusa in un altro, sotto il segno del racconto intimo e privato di un’adolescenza non proprio facile. Le risposte di Beatrice Quinta sanno essere leggere ma non sono mai banali, così come sanno toccare l’anima e fenderla come un coltello. A 23 anni sembra aver vissuto già due vite differenti riassunte in un’espressione da lei stessa usata, “sono una pensionata vestita da stripper”.

Oggi Beatrice Quinta sa chi vuole essere e cosa vuole fare. Ha le idee ben chiare sul concetto di arte e come portarle avanti, giocando con la moda e il corpo ma anche con la professionalità e quell’estro che di certo non le mancano. Sul palco come nella vita privata, dove ha realizzato che l’attrazione fatale più importante è quella che ci fa alzare al mattino per farci sentire bellissimi, senza trucchi o orpelli. E volere bene a se stessi non sempre è così scontato: ecco perché Attrazione fatale è un brano che serve a tutti quanti per sentirci invincibili in mezzo alla folla o per urlare a squarciagola in cameretta.

Beatrice Quinta.
Beatrice Quinta.

Intervista esclusiva a Beatrice Quinta

“Come preferisci fare quest’intervista? In italiano o in palermitano?”, chiedo scherzando a Beatrice Quinta non appena mi risponde dall’altro lato del telefono. “Oh, I speak English un pochino: facciamola in un mix di siciliano e inglese, siamo più internazionali e coniamo una nuova lingua”, controbatte con la verve che la caratterizza. “Anche se è difficile: io già non so parlare in italiano, aggiungiamo altre due lingue e i miei due neuroni rimasti cominceranno a sbattere contro le pareti del cervello!”.

Esce oggi Attrazione fatale, il tuo secondo singolo dopo lo straordinario successo riscontrato da Se$$o. Come nasce?

Attrazione fatale è uno dei pezzi che ho scritto dopo essere uscita da X-Factor. Ta l’altro, è stato l’ultimo pezzo nato da una session lunghissima in qui ho scritto altre cose ed è venuto fuori in maniera super organica: l’ho scritto di getto e non l’ho mai più ritoccato. Per me, rappresenta la fotografia di un momento, il post X-Factor, e sintetizza un’esperienza di vita che per me è stata molto importante. È stato dentro al talent che ho scoperto soprattutto quanto può cambiare la percezione di sé quando si inizia a credere in quello che si fa: mi sono resa conto a poco a poco che si possono avere relazioni sane con gli altri soltanto quando sotto c’è una solida base di amore per se stessi.

Quando hai chiamato la canzone Attrazione fatale hai pensato in qualche modo al film?

No. Ma ho pensato a un altro film con Michael Douglas: Basic Instinct. La referenza era l’accavallamento di gambe di Sharon Stone e il potere sessuale che emana: “I’m a fucking bitch, my friend”!

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La canzone si apre con un verso che tutti quanti dovremmo tatuarci: “Oggi mi sento bellissima”. Il superlativo, ovviamente, non ha alcun riferimento all’aspetto fisico ma all’attitude con la quale ognuno di noi dovrebbe relazionarsi con se stesso.

Assolutamente sì. È una cosa super banale ma credo che sia uno dei problemi più diffusi sia tra gli adolescenti che conosco (ho un fratello più piccolo di me) sia tra i giovani della mia generazione quello di considerare la bellezza esclusivamente come un fattore estetico. Questo è il momento storico perfetto per riuscire ad apprezzare la bellezza di ognuno, lontani dai canoni a cui eravamo abituati: la bellezza dipende dalla modalità di vita e dalla personalità che si hanno. La bellezza è la personalità, quella che porta la luce in una stanza, e non è il naso all’insù o la bocca pronunciata.

Tu quando hai capito che la bellezza era la luce che portavi in una stanza e non quella fisica?

Lo sto imparando adesso: era una delle mie più grandi insicurezze. Per amarmi, ho dovuto riprogrammare il mio cervello negli ultimi anni e X-Factor mi è servito molto anche da questo punto di vista. Prima di partecipare al programma, nessuno mi aveva mai vista struccata, nemmeno i ragazzi con cui stavo. Mi svegliavo al mattino e la prima cosa che facevo era truccarmi, e ciò connota già una certa insicurezza latente. Rivedendomi in tv senza trucco, ho cominciato a vedermi finalmente per quella che sono e non per quella che apparivo in un selfie con 400 chili di trucco addosso. Ho scoperto che il pubblico ma anche le persone che fanno parte della mia vita amavano la mia personalità e quella rimane per sempre. E di conseguenza ho semplicemente iniziato a dare meno peso al mio aspetto.

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Come si spiega allora la cura per tutto l’immaginario che stai costruendo a partire da Se$$o, il tuo primo singolo post X-Factor?

Amo la moda, amo il trucco, amo essere trasformista. Non è una moda per essere bella, per piacere o per farsi sessualizzare, ma è una moda dettata dalla voglia di divertirmi e dal piacere per quell’arte. In Attrazione fatale, come concept visivo, c’è la voglia di prendere per il culo me stessa e quando mi definivano “queen”: la gente mi vede in un determinato modo, sicura, mentre io dentro mi sento totalmente in un altro.

Se$$o ha riscontrato un ottimo successo di pubblico e critica. Quanto è forte il peso delle aspettative che grava su Attrazione fatale? C’è quella famosa vocina che ti porta a chiedere “come andrà”?

Si, c’è. Ma allo stesso tempo è razionalizzata in un concetto più ampio secondo cui per me la musica parla: se questo pezzo deve andare bene e piacerà, ottimo; se questo piacerà di meno e il prossimo di più, va bene lo stesso. Sono sempre stata convinta che sia una questione di azzeccare i pezzi giusti ma non tutti devono essere giusti per tutti.

C’è sempre un punto interrogativo in ogni progetto che si porta avanti, l’importante è essere contenti del lavoro fatto: a livello psicologico, a lungo andare ti fa stare molto meglio. Cerco di allontanarmi il più possibile dall’ossessione dei numeri perché non rende sincera la propria arte: quando si comincia a pensare di voler fare un singolo per avere tanti numeri, diventa anche difficile fare musica. Con i miei collaboratori si è sempre detto “facciamo musica bella” e le cose belle arrivano solo quando ti senti bene con ciò che fai, senza avere addosso la pressione continua di dover raggiungere degli standard prestabiliti.

Non si tratta di pensare in piccolo: io ho grandi obiettivi nella mia vita ma non ho fretta di raggiungerli. Qualsiasi cosa vada male, non può e non deve buttarti a terra: ogni cosa richiede il suo tempo e tutto andrà fluido come deve andare. Nessuno ha la formula magica, ragione per cui sarà una continua salita: possono esserci passi alti, medi o piccoli, ma bisogna sempre credere in quello che si fa. Il mestiere del cantante o del cantautore è ad esempio quello di credere nella propria arte anche quando gli altri non lo fanno: è uno dei rischi di questo mestiere, da accettare ancora prima di scegliere di farlo.

In Attrazione fatale canti “Io da sola so starci”. Quando hai realizzato che da sola potevi starci?

Devo essere onesta: sempre a X-Factor. Non è una questione solamente emotiva ma anche artistica. Mi sono resa conto che lì potevo sentirmi anche molto sola ma che nella solitudine mi sentivo le spalle larghe: avevo la consapevolezza di sapere chi volevo essere e dove volevo andare. E, quando vuoi qualcosa, lavori per esserlo. Mi sono allora detta che una persona nella mia vita avrebbe dovuto essere solo un più: non avrebbe mai potuto togliermi niente, io vado bene così… se poi qualcuno vuole aggiungere qualcosa a una vita che ha l’ambizione di essere felice che ben venga però is not fondamentale, not.

E questo qualcuno non dovrà essere confuso per avere una donna, come ricorda anche Attrazione fatale… è un chiaro riferimento alla crisi del maschio moderno?

Siiiiii, mamma mia, queste situationships: io-non-ne-posso-più! Non ci posso believe che veramente è un amore fast food quello che viviamo e che mi è capitato di vivere nell’ultimo periodo. E io onestamente non ho tempo emotivo per sprecare le mie giornate con una persona che non sa cosa vuole dalla vita o da una relazione. Io so cosa metto sul piatto: se tu non sai cosa metti sul piatto, amo’, a casa mia non mangi! Molto semplice, no?

Ma non credi che abbiano paura di te? Che non riescano ad andare oltre alla tua immagine?

Hai beccato una questione di cui parlavo in session la scorsa settimana: da quando ho un po’ più di follower, i maschi dove sono? (ride, ndr). Io mi aspettavo di uscire dal programma ed essere assalita dai maschi e invece no… Mi sono resa conto che il mio modo di presentarmi e la mia schiettezza nell’esprimere le mie pulsioni, le mie idee e la mia “artisticità”, generano qualche scompenso: accettare che io faccia il mio mestiere in un determinato modo, attirando una certa attenzione, sembra mettere gli uomini in una posizione scomoda. È difficile trovare un uomo che non si senta minacciato: sotto sotto, c’è un po’ di paura…

Da me si aspettano forse che non sia affidabile: non sono materiale da fidanzamento, della serie “Questa no, fa vedere le zinne! Non ci voglio stare!”. Mi considerano per come mi presento: mi piace provocare a livello estetico ma ciò non vuol dire che nella vita cerchi cose così pazze… Sono in realtà una pensionata vestita da stripper! Quindi, in una relazione cerco cose molto semplici ma sono consapevole di attirare tutt’altro tipo di personalità.

Beatrice Quinta.
Beatrice Quinta.

La session a cui fai riferimento di che tipo era? Con un terapeuta?

No, anche se è la mia versione della terapia. Session per me è quando mi chiudo in studio…

Te lo chiedevo perché qualche tempo sui social scrivevi che avresti dovuto andare da uno psicologo…

E lo riconfermo: dovrei, mamma mia, come dovrei! Però, per adesso, il mio psicologo sono lo studio di registrazione, le persone che incontro per scrivere e quelle che mi ispirano a scrivere. Per me, è veramente terapeutico. Uscita da X-Factor, ho cominciato a scrivere in maniera diversa: entro in session e parlo prima dell’argomento da trattare mentre prima non lo facevo, scrivevo di getto e basta. Anche Attrazione fatale è nata in questo modo. Il pensiero di base era indipendentemente da quante persone mi scrivono, mi invitano a cena o passano per la mia vita, nessuno può perturbare la mia calma o entrare nel mio spazio senza la mia autorizzazione.

A proposito di uscita dal talent, come ti ha accolta Palermo, la tua città?

Provavo tanta ansia da prestazione nei confronti della mia città: è come se avessi avuto qualcosa da dimostrare ai miei concittadini. A Palermo non ci sono molti progetti pop ma ci sono tanti cantautori: c’è una wave molto intimistica e intellettuale e, quindi, esibirmi di recente Ai Candelai è stato per me un banco di prova. È un locale con uno storico di live gigantesco: è stata un’esperienza stupenda perché non mi aspettavo che venissero ad ascoltarmi così tante persone.

Per tutti quelli che sono nati al Sud ritornare alle proprie radici è sempre difficile: nessuno è profeta in patria… Sotto il palco avevo persone che mi conoscevano da quando avevo 12 anni e ciò mi ha spinta a immaginare di poter dire alla me adolescente super insicura “Guarda quanto sei cresciuta”: è stata una piena dimostrazione a me stessa di cosa avessi realizzato. È stato un bel momento.

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Cos’è che da adolescente ti generava insicurezza?

Tutto, dall’aspetto fisico al pensare di non essere abbastanza. I rapporti con gli altri per me sono stati sempre problematici. Ho accumulato nel corso dell’adolescenza una serie di micro traumi che mi hanno portata a chiudermi tanto e di cui mi sto liberando soltanto adesso. In quel periodo non avevo molti amici, non avevo un gruppo e non avvertivo senso di appartenenza. Mi sentivo molto sola: la mia famiglia è sempre stata il mio scudo, ho passato gran parte degli anni del liceo con mia mamma… sono andata con lei a far l’esame di maturità!

E, quindi, ritornare a Palermo con la mia crew ha avuto un sapore differente: ride or die… L’avere tante persone al seguito e altrettante che mi amano è stato il mio grow up. “Pensa alla quattordicenne che credeva di non essere chissacché e guardati adesso da quanto amore sei circondata”, mi sono detta… e non è una questione di quanta gente ci fosse: a Palermo, ho realizzato di quanto amore mi stesse tornando indietro.

Il non avere amici era una scelta tua o era un’imposizione esterna dettata dagli altri che non volevano essere tuoi amici?

Più la seconda.

Apparivi così strana?

Secondo me, sì. Gli adolescenti, quando qualcuno rappresenta qualcosa che non capiscono, tendono a essere molto giudicanti. E i giudizi a quell’età possono pesare veramente tanto. Adesso scherzo e dico di non avere problemi con la mia sessualità ma certe parole pesano quando te le senti dire a quattordici anni. Come pesano i commenti su quanto tu sia ingrassata o sia poco seria perché hai già avuto esperienze sessuali che i ragazzi già avevano: loro erano dei playboy mentre tu una poco di buono.

Per me erano traumatici i gruppi di coetanei. Giravo tra vari gruppi ma mi rendevo conto che nessuno era amico sul serio: finivano sempre per dire cagate su di me che non corrispondevano nemmeno al vero. Ci rimanevo male, di sasso: non sapevo più di chi fidarmi o di chi riusciva a vedere dietro tutto il make-up e gli stivali in pelle. Era come se io esistessi solo a livello caricaturale: nessuno mi conosceva sul serio… e io mi lasciavo dipingere: a un certo punto, mi sono assuefatta, potevano dipingermi come volevano.

Il momento in cui è avvenuta la svolta e ho cominciato a crescere è stato quando mi sono riappropriata di tutti gli insulti ricevuti per far nascere da questi qualcosa di buono. Da allora, ho sempre cercato di trasformare tutto ciò di brutto che c’è stato nella mia vita in uno stimolo a fare di più, a fare meglio o a prendere semplicemente consapevolezza: anche se chiunque la pensa in maniera diversa, non può toglierti nulla.

A cosa facevi affidamento quando ti sentivi sola? Cosa puoi dire a chi vive la stessa situazione che hai vissuto tu?

Alla musica e ai miei genitori. Ho avuto la grandissima fortuna – sono stata benedetta – di avere una famiglia accanto che mi ha sempre sostenuta, una famiglia molto liberale che non mi ha mai giudicata, anche quando il mondo fuori lo faceva. Erano i primi a dirmi “Loro non ti capiscono ora, devi solo dare tempo: ti capiranno quelli giusti”. I miei genitori mi hanno insegnato che va bene non piacere a tutti e che va bene che non tutti ti amino

A chi vive la stessa situazione, dico: “Finché sai che hai la tua rete stretta, quelle tre o quattro persone che chiamate attraversano tutta la città anche a piedi per sostenerti, puoi stare tranquilla. Costruisci rapporti veri intorno a te e, quando provi solitudine, non fingere di non provare emozioni: non fingere di essere ferita, devi accettare il fatto di essere ferita e rielaborare il dolore”.

Quest’intervista rivela molto del tuo animo e della tua personalità. Con uno switch, ti porto su un’altra dimensione. Hai dichiarato: “Ho tante cose da fare e voglio farlo con le tette al vento”. Perché le tette al vento?

Intanto, le ho fatte già (ride, ndr). Ho 24 anni e le mie tette sono in primavera, mi stanno chiedendo di andare fuori. Ne hanno bisogno: sono un fiorellino… ed è il momento di andare in giro nuda! Anche se, ora, con Attrazione fatale dalle tette stiamo passando al culo: abbiamo preparato un po’ di outfit in cui si dà spazio a quello, sottovalutato finora!

Che estate ti aspetta?

Bellissima. Stiamo mettendo in piedi il tour estivo e andare in giro è una delle cose che più mi piace fare in assoluto. Il live è la mia dimensione: mi sento me al 100%. E poi ho scoperto di amare gli hotel… credo di avere un fetish per gli alberghi e, se mi capita anche la vasca in stanza, potrei starci per tutta la vita! Live ogni sera e hotel nuovi ogni giorno…

L’hotel però non è casa. Così è come se cambiassi casa ogni giorno…

Vuoi che ti pago la seduta alla fine? (ride, ndr). Sono una persona che vive a casa: per farmi uscire, mi si deve venire a prelevare con il carro attrezzi. Il tour e gli hotel rappresentano l’unico modo grazie a cui posso vedere il mondo. Con il Covid mi sono completamente chiusa in casa: già ero pessima prima, figuriamoci con la pandemia! Quando avevo 19 anni, ad esempio, agli amici di Palermo avevo detto che ero a Milano e quelli di Milano che ero a Palermo proprio per non uscire! L’hotel per me è una maniera per vedere cose nuove stando comunque nel mio spazio: nella mia camera d’hotel ma in un altro posto, non sono a casa… Esploro ma non troppo, esploro ma con comodità!

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