Beatrice Quinta ha conquistato il pubblico italiano e non solo con il suo carisma inconfondibile e una presenza scenica che sfida le convenzioni. Dopo il memorabile secondo posto a X Factor, Beatrice Quinta non si è più fermata, consolidando il suo posto nel panorama della musica pop italiana con un mix di ironia e seduzione. Il suo percorso artistico si è sempre distinto per una continua ricerca della libertà personale e artistica, un tema che permea il suo atteso EP d'esordio, Devota (Sony Music Italy).
Il progetto non solo segna un punto di svolta nella sua carriera ma offre anche un'introspezione profonda su se stessa e sulle sue aspirazioni. Con Devota, Beatrice Quinta si spoglia delle inibizioni e si mostra in una luce del tutto nuova, riflettendo su un viaggio personale di autoscoperta e autodeterminazione. Il titolo dell'EP, che potrebbe evocare immagini di fede e dedizione, gioca in realtà con le aspettative, rivelando un'opera che celebra la libertà di essere se stessi, con tutte le complessità e contraddizioni che ciò comporta.
In questa intervista esclusiva, a distanza di oltre un anno da quella in cui avevamo imparato a conoscerla, Beatrice Quinta ci porta dietro le quinte di Devota, condividendo le sfide e le rivelazioni che hanno accompagnato la sua realizzazione. Dal confronto con la solitudine e la fragilità alla riscoperta del suo legame con le radici siciliane, Beatrice Quinta si apre su come la musica sia diventata il mezzo attraverso il quale affronta e trasforma le sue battaglie interne. Parleremo dei singoli brani, delle loro storie, e di come, attraverso essi, Beatrice Quinta intende influenzare e ispirare chi ascolta, sfidando tabù e aspettative.
Esploriamo, dunque, insieme il cuore pulsante di Devota e scopriamo come Beatrice Quinta abbia trasformato le sue prove personali in un trionfo artistico, ribadendo il suo impegno a vivere senza filtri, con una sincerità spesso disarmante che risuona in ogni nota del suo lavoro.
Intervista esclusiva a Beatrice Quinta
“Era per non anticipare che sono il solito troione”, ride Beatrice Quinta quando le faccio notare come, al di là di un titolo che fa pensare a qualcosa che abbia a che fare con la fede e la dedizione, Devota, il suo EP, si riveli essere molto più altro ancora con le sue sei splendide tracce.
Perché hai voluto giocare con questo titolo?
Il titolo ha a che fare con i miei amici e le loro battute sul mio essere totalmente fuori di testa tranne quando si tratta di cose che amo realmente, per cui divento estremamente dedita e determinata. Mi sono resa conto che negli ultimi tempi e spero anche in futuro di essere totalmente devota alla musica, a quello che voglio portare sul palco e a me stessa. Sembra una stronzata ma, se non sei devota a e stessa, è impossibile vivere bene nel mondo, amare gli altri e riconoscere la propria fortuna. È stato quindi un percorso anche di riscoperta e di rivalutazione di me stessa che mi ha condotta all’EP.
Qual è la cosa di te stessa che hai rivalutato?
Ho cominciato a non provare imbarazzo per la mia fragilità e per il senso di solitudine che ho sempre sentito. Non avevo quasi mai lo spazio di stare male o di dirlo. Vedevo persone, anche accanto a me, stare peggio e di conseguenza minimizzavo ogni cosa che mi riguardasse, tendendo a nascondere, nascondere e nascondere, fino a quando dal nulla non straripa tutto perché non hai mai elaborato quello che ti è successo e ti sei sempre messa in secondo piano rispetto agli altri e alle loro emozioni, perché sei sempre stata il collante nelle reazioni e nei problemi degli altri lasciando perdere i tuoi. Così facendo, non ho fatto altro che accumulare negli anni e ora sono al centro di un bel diluvio.
Ti ha ferita il non avere il lusso di star male o il fatto che questo lusso negato non ti faceva essere te stessa?
Entrambe le cose. Quando abitui le persone, comunque, a considerarti autosufficiente, è come se le legittimassi a minimizzare i tuoi sentimenti. Non mi sentivo libera di dire che stavo male, che avrei ritardato per un impegno o che lo avrei rimandato al giorno dopo, ad esempio: avevo sempre paura di risultare come colei con cui è difficile lavorare, la tipa che è complicata da gestire. Ho sempre nascosto tutto per far stare a proprio agio gli altri… il percorso di scoperta è stato cercare di essere assertiva senza ferire i sentimenti degli altri e non bypassare i miei.
Non tralasciare i tuoi sentimenti non ti fa sentire un po’ una strega, per citare il titolo della seconda traccia di Devota, Pure le streghe?
Sì, ma tutti e tutte siamo le streghe di quella canzone: come ti dipingono, non dipende mai da te. In quel caso, mi sono riappropriata di un termine che era stato usato contro di me: me lo sono ripresa proprio per dire agli altri di non farlo mai più. È stato uno dei pezzi più catartici da scrivere.
Ed è anche quello che ti avvicina di più alle tue origini siciliane…
Cita Rosa Balistreri, la cantante siciliana su cui stanno realizzando anche un film. E sono felicissima che lo si faccia perché è stata un personaggio che merita di essere conosciuto anche al di fuori della Sicilia: è un patrimonio culturale non indifferente che può insegnare molto a tutti, un genio assoluto.
Pure le streghe è un inno femminista che fa a pezzi un certo tipo di maschio. Non hai paura di spaventarlo troppo questo maschio?
E infatti non si conclude più niente (ride, ndr). Credo che nel mio modo di pormi ci sia una sorta di selezione naturale all’ingresso: chi non riesce a reggermi, neanche si avvicina. Il problema è che la selezione è talmente rigida che di base poi fa sì che arrivi la solitudine. Mi aspettavo, uscendo da X-Factor, che mi piovessero proposte dagli uomini ma, invece, nulla: piaccio molto più alle donne che a loro.
Rigida selezione all’ingresso che qualcuno però supera portandoti alla sindrome della Bella Addormentata, della principessa che ha bisogno di dipendere dal suo principe azzurro. Perché, in fondo, 10 in un bagno, la terza traccia, parla proprio di questo.
Mi hai scoperta, vorrei poterti dire di no ma è così… Quanto è brutto sostenere l’autodeterminazione e il pussy power e ritrovarsi poi a cascarci con delle persone improbabili! La verità è che in me c’è questa sorta di dualismo che mi porta a stare molto male: sono la persona più indipendente ed emotivamente stabile che nelle relazioni diventata del tutto sottomessa affettivamente. Mi sono ripromessa di non farlo mai più, tant’è che nell’ultimo anno sono cambiata veramente tanto.
Cos’è che ti ha fatto andare oltre la sindrome dell’abbandono?
Il viverla. Finché non ti abbandonano, non la provi e non la superi, non sai che puoi vivere anche senza l’altro. E ho capito che la stavo superando grazie alla musica quando, andando in studio, riuscivo a chiudere i pezzi: era sinonimo che la mia vita stava andando avanti e che in quel momento non avevo bisogno di qualcuno. Non mi sentivo, tra l’altro, con arti mancanti anche perché sono comunque circondata da amore, da amici meravigliosi che sono la mia seconda famiglia e a cui sono molto legata. Oggi penso che la persona che arriverà al mio fianco dovrà essere solo un’aggiunzione a quello che di meraviglioso già c’è: non voglio dipendere più da nessuno.
In Un altro tabù, citi Pensiero stupendo e parli apertamente di un club di scambisti a Berlino, rivendicando forse anche il diritto delle donne a frequentarne consapevolmente uno.
Non credo che ci sia bisogno nemmeno di sottolinearlo che non esistono differenze tra i due generi. Vorrei che nella mia musica non ci fosse mai il pensiero per cui ci sono cose che le donne non possono fare: cantando di quanto sia semplice farlo, le ragazze che mi ascoltano penseranno che sia normale senza porsi troppe domande. Vuoi andare in un club di scambisti, entrare in una dark room o fare l’amore nuda in un terrazzo? Fallo, sono cavoli tuoi e di nessun altro. Anche perché, se non fossi una portatrice sana di vagina, non staremmo neanche qui a parlarne: non può più essere il maschio un playboy e io una puttana.
Pensi con la tua musica di aver aiutato a rompere qualche tabù?
È qualcosa che forse si percepisce più dall’esterno. Dall’interno, ti direi di no anche se ambisco a farlo.
L’ambizione è sempre vista con accezione negativa quando invece è la forza che ci motiva ad andare avanti. Da 1 a 10, quanto sei ambiziosa?
12. L’ambizione, guardandomi indietro, è ciò che mi ha salvato il culo più e più volte. È il motivo per cui non ho mai smesso e per cui non mi sono nemmeno goduta a pieno quello che nel frattempo di bello mi capitava. Ho sempre pensato al passo successivo o a cosa ci sarebbe stato dopo. Purtroppo, non ho un buon rapporto con il presente: nel momento in cui lo vivi, lo hai superato ed è già passato. Di conseguenza, non mi godo niente e ambisco sempre al futuro. Ed è forse un problema…
…perché potrebbe essere anche pericoloso?
Ci si potrebbe ritrovare con il culo per terra.
E cosa fai quando accade?
Da un punto di vista pratico, striscio finché non ho la forza di rialzarmi. Da un punto di vista psicologico, invece, bisogna avere il coraggio di affidarsi a qualcuno e di non isolarsi troppo. Il mio problema è che tendo invece tantissimo ad allontanarmi dall’umanità e, quando te la racconti e te la canti da solo, ingigantisci anche tutto. Ecco perché, quando si è con il culo per terra, si deve trovare qualcuno che invece ce l’ha sodo, sta in piedi e fa alzare anche te.
Nel momento in cui sei da sola cos’è che ti fa maggiormente paura?
Di fallire, ho terribilmente paura di fallire. Tutto dipende dalla mia adolescenza e da come mi ha fatto sentire il mondo esterno: non avendo avuto tantissimi amici, il mio obiettivo è sempre stato quello di dimostrare a tutti coloro che al liceo mi prendevano per il culo e mi isolavano che ce l’avrei fatta. E i mostri non vanno mai via, ne temi il ritorno e ti generano la paura che possano toglierti il terreno da sotti i piedi. Il mio incubo è quello di svegliarmi e di ritrovarmi con 0 follower su Instagram o 0 ascolti su Spotify, di non aver fatto nulla a livello lavorativo. Dipendo, a livello psicologico, terribilmente dal lavoro: se non va, crollo pure io.
Ciò però non ha nulla a che vedere con il “ballo della libertà” di cui canti in Fatima.
Lo dico sinceramente: sono stata un’ipocrita di merda perché io non sono libera. Continuavo a ripetere alla gente di essere forte, di accettarsi per come è e di essere libera, ma allo stesso tempo non riuscivo ad accettare del tutto me stessa e fingevo di accettare il mio corpo quando in realtà sotto c’era un continuo senso di fastidio. Facevo credere di non pensare al giudizio degli altri ma continuava a ferirmi… Devota con le sue canzoni risponde quindi anche al bisogno di dire in maniera onesta a chi mi segue di quanto estremamente fragile sia anch’io: l’immagine che ho finora proiettato e che gli altri hanno visto è solo una parte di me. C’è una parte invece molto più contraddittoria, dolorante e vulnerabile che ha voglia ora di emergere.
Una parte che però rende più facile manipolarti, come canti in Pelle. Lo hanno fatto in tanti?
Mi hanno manipolata in molti ma è anche vero che ne ho manipolati altrettanti. L’amore spesso viene visto da chi non è in grado di viverlo in maniera sana come una merce di scambio o una moneta più che come un riflesso fisiologico della vita. Non vale “amo e basta” ma “amo perché devo possedere”. E, quando vivi un amore egoistico, si tende a farsi manipolare e a manipolare. Credo di essere stata più manipolata che aver manipolato.
“Il mio corpo odia far finta per farti stare bene” è un verso sempre di Pelle. Sembra quasi una presa di coscienza di tutte quelle persone che in generale dicono di sì solo per far felice l’altro.
Fa riferimento al sesso ma anche all’idea di compiacere sempre gli altri. Sin da piccola, a livello di training autogeno, sono stata abituata a compiacere chi avevo davanti, mettendo totalmente da parte il mio piacere. Mi sono ritrovata da più grande a chiedermi quindi cosa fosse il piacere, dal momento che ho sempre inteso il sesso più come un dovere. Forse, tra tutti i brani di Devota, Pelle è il più emblematico.
È come scegliere tra i propri figli ma quali sono i tre brani che preferisci maggiormente dell’EP e perché?
I miei preferiti sono Pelle, Pure le streghe e 10 in un bagno, anche se Devota è bellissimo e ne adoro la base.
10 in un bagno è una delle prime canzoni che ho deciso di inserire nell’EP ed è anche una delle più vecchie che ho scritto: è un po’ come se fosse la morte della fidanzata del re per quanto è sincera sul mio considerare il sesso come medicina e il mio essere disposta a tutto per andare in cima, è una bella ammissione di ambizione e di desiderio di non vivere all’ombra di nessuno.
Pelle perché mi mette a nudo nel vero senso della parola: ogni volta che la provo in versione acustica, mi fa venire un nodo alla gola ed è un buon segno… quando ti risulta difficile cantare le tue parole significa che sono talmente vere da aver paura di essere giudicata.
Pure le streghe perché è girl power puro, un revenge fantasy in cui arrivi a giustiziare tutti quelli che ti hanno fatto male.
Mettersi a nudo: con il nudo ci hai sempre giocato.
Mi sono spogliata spesso in modo che la gente ci concentrasse solo su quello e non mi chiedesse come stavo. Sono ora invece arrivata alla consapevolezza di poter star nuda sia esteticamente sia emotivamente.
E, quindi come stai?
Va bene, anche se onestamente non me lo chiedo spesso per ora. Dovrei chiedermelo di più ma forse non voglio sapere la risposta: ho altro da fare, voglio scrivere i miei brani e ho paura di ciò che potrei rispondermi.
Cos’altro hai da fare?
Sto preparando i live che verranno: non saranno solo le canzoni dell’EP e basta… ci saranno degli intermezzi con altri brani che non sono contenuti in esso, coreografie e tanto altro ancora. Dal mio punto di vista, ne verrà fuori un bel lavoro e spero che risulti tale anche agli altri. Spero anche di riuscire a stare il più possibile nella mia Sicilia, da cui vorrei ricevere più amore possibile.
Ami sempre Palermo solo quando piove?
Sì, la trovo più sincera. È con la pioggia che, soprattutto nei vicoli del centro, emerge quel livello di decadenza e arte che incanta.
Pensi di essere cambiata molto rispetto a quando hai cominciato?
Sì, sono molto meno influenzabile.
Non posso non sottolinearlo: sei stata tra le prime delle artiste di new generation a usare il corpo. Ti hanno seguita poi in molte…
È stupendo vedere come anche altre persone non abbiano problemi con il loro corpo. Ogni volta che vedo qualcuno spogliarsi, penso “Yes, go, girl, go!”. Dovremmo prendere esempio dagli animali, che in questo sono più onesti di noi: slegano il loro corpo dai sentimenti. Siamo noi che li travisiamo: dovremmo essere meno cervellotici.