Blu Yoshimi emerge come un'attrice di notevole profondità e sensibilità nella sua interpretazione di Caterina nella serie tv di Rai 1 Kostas, evidenziando una capacità straordinaria di esplorare temi complessi sia sul piano personale che sociale. Nell’intervista che ci ha concesso a distanza di due anni dalla prima, Blu Yoshimi delinea Caterina come un personaggio che incarna il cambiamento all'interno di una famiglia tradizionalista, affrontando con naturalezza e autonomia scelte che vanno controcorrente rispetto alle convenzioni imposte.
Questo non solo riflette la determinazione di Caterina nel trovare un proprio percorso di vita, ma anche la maturità con cui affronta le sue relazioni, in particolare quella con il padre, Kostas, con cui riesce a mantenere un legame forte e rispettoso, pur nelle divergenze. Blu Yoshimi dimostra una straordinaria capacità di comprendere le sfide dell’indipendenza e dell’amore, anche attraverso la propria esperienza personale, e di trasmetterle con autenticità e profondità sullo schermo.
Il suo impegno nei confronti della giustizia, come traspare dalla passione di Caterina per la carriera magistrale, si intreccia con una visione del mondo intrisa di consapevolezza sociale, in cui la necessità di proteggere i giovani e di affrontare le ingiustizie globali emerge come un tema centrale. Blu Yoshimi si avvicina alla figura di Caterina con una forte carica emotiva, mescolando riflessioni personali su temi come la famiglia, la giustizia e l’amore, e offrendo un ritratto di grande autenticità, che risuona ben oltre lo schermo. Questo rende il suo ruolo in Kostas non solo una sfida attoriale, ma un’opportunità per esplorare la condizione umana, "da gatto selvatico e unicorno" come ama definirsi, in tutte le sue complessità.
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Intervista esclusiva a Blu Yoshimi
“Caterina rappresenta un po’il cambiamento, il futuro all’interno di una famiglia abbastanza tradizionalista con dei principi e degli orizzonti che possiamo considerare chiusi”, risponde Blu Yoshimi quando le si chiede chi è il personaggio che interpreta nella serie tv di Rai 1 Kostas. “I romanzi da cui è tratta la storia erano ambientati alla fine degli anni Ottanta, la serie invece nel 2009: non sembra nemmeno tanto tempo fa, eppure in così pochi anni sono cambiate tantissime cose”.
“Oltre a essere la figlia del protagonista, sono comunque una giovane donna che si accinge a determinare il proprio percorso e che, come tale, fa delle scelte autonome, com’è giusto che sia, sia sul lato personale sia su quello professionale. In famiglia, è la prima persona non solo a laurearsi ma anche ad affrontare i propri sentimenti in maniera diversa, mettendo davanti a tutto la propria felicità e puntando su un sentimento più sincero. Anche quando ciò vuol dire infrangere delle regole preimpostate, con una certa naturalezza e senza cercare mai lo scontro”, continua Blu Yoshimi.
“Caterina dà per scontato che certe scelte siano proprie e libere. Con il padre Kostas, che la ama da morire, ha un bellissimo rapporto, ragione per cui, anche quando le loro visioni sono opposte, non c’è mai un andare l’uno contro l’altro. Non siamo di fronte alla classica figlia adolescente ribelle: parliamo di una giovane donna che ha già compreso che ciò che fa non è contro qualcuno ma per se stessa”.
Caterina studia Giurisprudenza con il proposito di divenire magistrato. Crede, quindi, nella giustizia. Qual è l’idea di giustizia che hai tu?
Il mio pensiero non può che correre ai diversi genocidi in atto nel mondo, soprattutto nei confronti del giovani. È inevitabile che la mia mente e il mio cuore non pensino a ciò: viviamo in un momento storico in cui si ha quasi l’impressione che i giovani, in generale, siano dimenticati. Non parlo solo dei ragazzi della mia età ma anche di quelli più piccoli: è accaduto anche durante la pandemia da CoVid che non venissero presi in considerazione.
Ci sono oggi migliaia e migliaia di bambini, adolescenti e giovani che vengono uccisi quotidianamente in Palestina e nessuno fa nulla per loro: dovremmo tutti quanti concentrarci solo su questo invece di passare ore e ore a occuparci degli impicci di un ministro con la sua amante. Basterebbe anche solo un minuto per concentrarsi sul Medio Oriente, senza nemmeno pensare alle posizioni ideologiche. Non corrisponde quello che vedo al mio senso di giustizia… la mia idea di giustizia è ben altra, si basa sulle persone e sulla realtà e non sulle dinamiche di potere.
A livello personale, invece, credi ti sia mai stata fatta qualche ingiustizia?
Beh, un po’ tutti viviamo piccoli o grandi ingiustizie. Nel mio caso, appartengo a una famiglia abbastanza disfunzionale e, come tale, da bambina me ne avrò vissuta qualcuna, al di là del grande amore ricevuto da mia madre (l’attrice Lidia Vitale, ndr). I bambini sarebbero i primi da tutelare perché non hanno gli strumenti per difendersi da soli.
Crescendo, chiaramente, anch’io mi sono confrontata con persone che dietro ai loro comportamenti celano ragioni oscure ma penso di essere stata anch’io ingiusta nei confronti di qualcuno. Ed è anche corretto ammetterlo: ho accettato che tutti quanti ogni tanto sbagliamo anche quando pensiamo di essere infallibili.
Caterina con il padre Kostas ha un rapporto molto stretto e intimo. A cosa hai fatto appello per metterlo in scena?
Al sentimento sincero. Qualsiasi cosa un genitore possa farti, si arriva a un punto in cui si arriva a volergli bene perché primo di tutto fa bene a se stessi. Ognuno di noi ha un proprio percorso e ogni famiglia vive dinamiche molto specifiche ma al contempo penso che quello familiare sia un amore interessante da sperimentare ed esplorare.
Kostas rappresenta una delle poche e rare volte in cui mi è stato proposto un rapporto così pieno di amore, solitamente mi propongono storie e personaggi di rapporti difficili… e ciò mi ha permesso di maturare una profonda stima e un grande amore nei confronti di Stefano Fresi, che oltre a essere un padre amorevole nella vita reale è anche una persona che riesce a dare molto a chi lo circonda e a infondere protezione.
Su un set ogni attore ha una sua responsabilità e funzione, il protagonista è colui che deve uscire dal coro per parlare a tutti: Stefano ci è riuscito. È grazie al suo atteggiamento di grande ispirazione ma anche a quello della regista Milena Cocozza e della coprotagonista Francesca Inaudi, che posso dire di essere stata fortunata nel lavorare a questo progetto. È stato facile voler loro tanto bene.
Caterina è divisa tra due differenti uomini: il fidanzato Panos, che rappresenta un futuro segnato dal matrimonio, e il bel dottore Fanis, colui che ha salvato la vita a suo padre. Tra tradizione e indipendenza, dove si colloca Blu Yoshimi?
Non facciamo, però, leggere la risposta ai miei ex fidanzati (ride, ndr). Si tratta di una questione su cui sono ancora un po’ combattuta. Anche nel sentire le mie amiche e le loro esperienze di vita, c’è una parte di me che vorrebbe quella sicurezza rappresentata dal matrimonio, quel tipo di progettualità che ti illude di avere una certa stabilità. Ma poi c’è anche quell’altra parte di me, che ancora si sente piccola e giovane, che ha bisogno di sperimentare. Cerco di abbracciarle entrambe e di capire come far convivere i due aspetti.
Tuttavia, la parola “indipendenza” non l’associo a un solo di tipo di rapporto: la considero una capacità da sviluppare a prescindere. Nei rapporti che ho avuto in passato, è capitato che sia finita incastrata almeno fino a quando non ho realizzato che l’indipendenza era qualcosa che avrebbe portato gioia non solo a me ma anche all’altro.
Ed è stato facile capirlo?
Per niente. Si sono dovute creare nuove abitudini sentimentali e rivedere quelle idee sui rapporti e sull’amore che ci portiamo appresso da generazioni. Spesso, ho avuto la percezione di stare giocando con regole che non avevo nemmeno capito: “si fa così perché si è sempre fatto così”, tralasciando quanto tutti poi siamo diversi sia di nostro sia nell’incontro con l’altro. Con la crescita, poi, si affronta quel putiferio che porta a scoprire parti nuove di te e a cercare nuove regole che si adeguino a chi sei.
Un esempio concreto?
La gelosia. Non sono mai stata una persona gelosa ma ho scoperto che per molti esserlo è direttamente proporzionale all’interesse o all’amore che nutri nei confronti dell’altro. Proprio per questo, mi sono sempre sentita sbagliata nei rapporti interpersonali, anche perché non ho certezze epocali su cosa sia giusto e cosa no.
Mentre giravo Kostas, stavo affrontando una relazione sentimentale non particolarmente felice né per me né per l’altra persona. Ma è stata la lettura di Questo immenso non sapere di Chandra Candiani ad aiutarmi a capire che anch’io, così diversa, potevo trovare una mia forma: da quel momento in poi, la mia nuova regola è stata concentrarmi su chi sono oggi, una ragazza di 27 anni che ha perfettamente compreso alcune cose e che su altre invece non ne ha ancora idea. Continuerò a imparare.
Come intuisci quando una relazione non sta andando per il verso giusto?
Quando vedi mancare la felicità sia in te sia nell’altro. Nello stare insieme, ci si dovrebbe fare del bene a vicenda. Quando ho percepito che nell’altro non c’era felicità, ho realizzato che nessuno dei due stava bene.
E fa male acquisire tale consapevolezza?
Soprattutto, quando si ha la certezza di volersi ancora bene. Ma occorre assumersi sempre le proprie responsabilità e accettare di non essere la persona giusta per l’altro. Mi piace credere all’idea della “persona giusta” ma non solo in amore, anche nelle amicizie.
Anche se, come si può pensare a prima vista che accada tra Caterina e Fanis, spesso è complesso distinguere il confine tra amore e riconoscenza.
Nessuno di noi ne sa poi così tanto sull’amore. Ed è questo il bello: ne parliamo tutti quanti credendo di poterlo definire ma in verità non sappiamo veramente di cosa stiamo parlando. La riconoscenza è ad esempio definibile ma l’amore? Che parole usiamo per definire ciò che ognuno di noi prova a modo proprio? Diamo per scontato di parlare tutti della stessa materia quando invece ognuno di noi ha i propri limiti e le proprie idee.
L’unica cosa di cui sono sicura è che sicuramente è bello stare con una persona che stimi, che sostieni o da cui ti senti sostenuto non solo praticamente. E per Caterina quest’ultimo aspetto è importante perché rientra nel quadro più ampio del suo cammino verso l’indipendenza personale. Da buddista, non posso non pensare a un rapporto di causa interna e manifestazione esterna.
Caterina crede nel lavoro di magistrato che sogna di portare avanti. Cos’è il lavoro per Blu Yoshimi?
Partendo dal presupposto che so di non sapere, credo che la condizione ottimale per il lavoro sia la fortuna. Almeno così è stato per me, sebbene mi faccia sorridere parlare di “fortuna” e ripensare alle volte in cui ho dovuto contemporaneamente fare da cameriera, babysitter e dogsitter. Però, sì, mi sento fortunata nel fare oggi un lavoro che amo e che non è sempre facile amare. Si tratta di un amore che riscopro di volta in volta per motivi diversi…
Mi sento fortunata ma so anche che non è una fortuna caduta dall’alto dei cieli: è stata costruita passo dopo passo perché sospinta da una passione, un privilegio di cui mi sento portatrice. E di passioni ne ho tante: ho iniziato a scrivere, punto alla mia prima piccola regia, mi piace lo sport, amo la montagna…
Qual è la più grande rinuncia che hai dovuto fare per il lavoro?
Tante serate e anche tanti viaggi. Dovevo ad esempio andare in Giappone per la prima volta con un’amica con cui ho legame meraviglioso ma poi mi sono ritrovata a dover girare un film che, comunque, sono contentissima di aver fatto. Accade spesso che le cose arrivino così, senza programmarle.
Ma ricordo anche le rinunce al liceo, quando lavoravo sia come attrice sia come cameriera. Ripenso alle volte in cui accadeva che non andassi a scuola ma anche a quelle in cui, andando, avevo sempre dentro quel motore molto più grande di me che mi spingeva a dire di no a sedici o diciassettenne anni a un’uscita, sentendomi sola. Sono sempre stata severa con me stessa e disciplinata in tal senso. Ho rinunciato a tante cose ma dall’altro lato ho anche guadagnato molto.
Su cosa facevi affidamento quando ti sentivi sola?
A un certo punto ho affidato la mia vita al daimoku, senza il quale sarebbe difficile per me anche svegliarmi al mattino. Ma già al liceo facevo molta attività nel Gruppo Futuro, insieme agli altri. Sono anche stata fortunata nelle amicizie, che mi hanno sempre sostenuta e mai emarginata. Il sentirsi sola era semmai una condizione in cui mi ritrovavo.
Kostas: Le foto della serie tv
1 / 99Kostas andrà in onda su Rai 1. Ti crea ansia sapere di arrivare nello stesso momento a così tante persone?
Ora che mi ci fai pensare, sì. Ma forse più di ogni altra cosa mi crea ansia sapere che si tratta di un prodotto per il piccolo schermo, diventato oramai parte integrante delle nostre esistenze: te lo puoi portare persino a letto. La visione è diventata una pratica molto intima e ciò fa sì che tu sia veramente appiccicata alle persone in ogni momento loro desiderino.
Tuttavia, sono molto contenta che possa arrivare a tanta gente perché parliamo sempre di un prodotto con un target trasversale: lo attende ad esempio una mia cara amica così come mia nonna, che si ritroveranno di fronte all’incredibile lavoro fatto da Stefano Fresi, in grado di dar vita a un personaggio divertente e serio al tempo stesso.
Penso poi che Milena Cocozza sia una regista da ammirare per come abbia reso coesa una troupe comporta da italiani e greci e per come ha restituito in maniera molto personale e non stereotipata la città di Atene. E credo che Francesca Inaudi abbia dato una bella caratterizzazione al personaggio di mia madre, una donna comunque forte nonostante per tradizione sia chiusa in casa. Sono felice che tutta questa bella energia possa essere finalmente condivisa.
Le riprese si sono tenute ad Atene, appunto. Come hai trovato da romana la città?
Nel ripensare alla crisi da cui è stata colpita, tutti tendiamo a pensare che si tratti di una città grigia, privata dei suoi colori. E, invece, è camminando per le sue vie che scopri come tutto sia improntato alla rinascita e alla ricerca della felicità. La gente si è rivelata molto forte e lo è tuttora: abbiamo ad esempio incontrato molte manifestazioni, sinonimo di una passione molto forte nei confronti della sfera sociale e politica.
C’è in Kostas una scena molto romantica che abbiamo faticato quasi a girare perché sullo sfondo si sentiva le voci di una manifestazione in onore di un ragazzo adolescente che anni fa è stato ucciso dalla polizia. Ogni anno si ricorda l’episodio: un bell’esempio di coscienza civile che da noi non è così accentuata.
Saresti pronta per la tua prima regia…
Ho in ballo due differenti progetti e sono in attesa di sviluppi. Nel frattempo, però, a ottobre riprenderò la tournée teatrale di Ciarlatani con Silvio Orlando ma non demordo, anche perché non ho fretta. Sono sempre nell’ottica che sto imparando e crescendo e che avrò ancora tempo per raccontare fino a quando ci sarà qualcuno disposto ad ascoltare. La determinazione e la testardaggine non mi sono mai mancate e, ora che non ho più tre anni, non tralascerò il desiderio di realizzare i miei progetti.
Testarda e determinata?
Sì, la mia psicologa è una delle belle che mi sia capitata negli ultimi anni. Mi ha permesso di capire che per quanto bello sia essere determinati e ambiziosi occorre anche relegarsi per sé un po’ di gentilezza: fa bene, aiuta anche a fare di più.
Qual è l’ultimo atto di gentilezza che ti sei concessa?
Un cammino nella Foresta Nera quest’estate. Volevo farlo da tantissimo e finalmente per dodici giorni ci sono riuscita: stare con gli alberi è per me tendenzialmente un grande atto di gentilezza.
Ha aiutato il clima sul set di Kostas il fatto che alla regia ci fosse una donna?
Secondo me, sì. Ho sempre lavorato con registi incredibili e non ho mai fatto troppa distinzione tra i generi. Tuttavia, Milena si è rivelata stupenda proprio perché punk ma sensibile. Per me, le riprese hanno coinciso con un periodo in cui avevo particolari attacchi di ansia. Me li porto dietro da un bel po’ ma non mi era mai capitato prima di averne uno sul lavoro, per cui ero quasi impreparata a gestirlo. Milena ha intuito mentre giravo una scena quello che stava per accadere, ha chiamato la pausa e mi ha portata fuori con sé, dandomi il tempo di riprendermi. Un gesto di sensibilità che dimostra una grande umanità. E, quando ti prendi cura degli altri, questi stando meglio riescono a essere anche maggiormente produttivi.
Stai provando a risolvere i problemi legati all’ansia?
Partendo dal presupposto che si tratta di qualcosa che affligge tantissime persone, per molto tempo l’ho sottovalutata. L’avevo già sperimentata al liceo ma ho avuto come bisogno di crollare fisicamente per capire che dovevo correre ai ripari. E crollare è stato una fortuna incredibile: i nostri corpi che tanto martoriamo e che tanto non ci vanno bene sono in realtà delle macchine incredibili e stupende che funzionano a dovere, aiutandoti anche a dirti cose che non vuoi sentire.
In quel caso, è stato il mio corpo che ha iniziato a parlare e a urlare facendomi vedere ciò che non volevo. Se oggi sto meglio, è grazie al mio corpo ma anche grazie alla mia psicologa: bisogna sempre ricordarsi, anche nel caos a cui la vita ci sottopone quotidianamente, che ci sono persone belle a cui va bene chiedere aiuto e che andiamo bene così come siamo anche se stiamo facendo delle cazzate in quel momento. Oggi so di stare meglio e ne sono felice.