Conversare con Brenda Lodigiani richiede un momento di riflessione che vada oltre la superficie dei personaggi che interpreta. Perché, come lei stessa ammette, dietro ogni risata e imitazione si celano sfumature personali e psicologiche che spesso vengono fraintese o sminuite. Il suo ritorno nel ruolo dell’Imbruttita in Ricomincio da taaac non rappresenta solo la ripresa di un personaggio iconico, ma anche l’evoluzione di una carriera e di una visione più matura della comicità e della vita.
“Il personaggio dell’Imbruttita non ha mai smesso di esistere, nemmeno nei momenti in cui non lo interpretavo sul grande schermo,” ci confida Brenda Lodigiani (in passato, da noi incontrata per LOL). “Ho sempre continuato a osservarlo, a nutrirlo con quelle nevrosi che ho incontrato vivendo in una Milano che non è solo una città, ma un microcosmo di ansie e sfide che tutti affrontiamo ogni giorno.”
Ma chi è veramente l’Imbruttita? La sua comicità esplosiva è il riflesso di un’anima inquieta? Forse c’è un parallelismo tra il personaggio e la donna dietro di esso. Brenda Lodigiani, con una sincerità disarmante, rivela come, pur essendo molto diversa dal suo alter ego, riesca a canalizzare parte delle sue paure e insicurezze per dare vita a una figura che è allo stesso tempo fragile e potente.
Nel corso dell’intervista che Brenda Lodigiani ci ha concesso, emergono temi profondi come il senso di appartenenza a una città in continua trasformazione, l’ansia di restare al passo con i tempi e la difficoltà di conciliare la carriera con la vita personale. Tutti elementi che non solo plasmano la sua interpretazione ma che riflettono la condizione di molti di noi, che si trovano a cercare un equilibrio tra ciò che siamo e ciò che desideriamo diventare.
Brenda Lodigiani ci invita a un viaggio introspettivo, in cui comicità e profondità convivono, e ci svela come, alla fine, è proprio dalle nostre vulnerabilità che nasce la forza necessaria per reinventarsi.
Intervista esclusiva a Brenda Lodigiani
“Tra Mollo tutto e apro un chiringuito e Ricomincio da taaac sono passati tre anni ma quello dell’Imbruttita è un personaggio che, insieme al resto degli altri, ha continuato a vivere nei reel da tre minuti massimo sui vari social: non mi sono quindi mai fermata”, risponde Brenda Lodigiani quando le si chiede com’è stato riprendere i panni del suo celebre personaggio nel film uscito nei cinema con Medusa lo scorso giovedì. “Di sicuro, tra il primo e il secondo film, ha più peso nella narrazione, con una sua piccola storia”.
Più peso per via del successo personale che in questi tre anni hai nel frattempo incontrato?
Non ho una risposta: so che comunque per me è un piacere lavorare con Shewants, il team dietro al Milanese Imbruttito, un brand partito da una pagina Facebook più di dieci anni fa, e con Il Terzo Segreto di Satira, il gruppo di cinque registi e sceneggiatori che si celano dietro ai film e ai video. Sì, probabilmente sono cresciuta non solo anagraficamente ma anche a livello lavorativo e, quindi, dici che non mi hanno preso perché sono loro amica? (ride, ndr).
Tornando seria, la storia del film, affrontando temi molto attuali come l’inclusività e il body shaming, necessitava secondo me dell’inserimento anche di una figura femminile. E l’Imbruttita si prestava benissimo alla narrazione: è una vita che non fa altro che lavorare!
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Dici di riconoscerti molto in lei. Sul serio?
Alla fine, un po’ sì. Quando mi chiedono a chi mi ispiro per il personaggio, rispondo sempre che non c’è un riferimento specifico: mi limito e ci siamo limitati a osservare le nevrosi delle persone che a Milano lavorano. Di mio, ho aggiunto quell’ansia che risiede dentro di me e dentro ciascun lavoratore, anche oltre la Lombardia… ho come fatto tesoro delle mie preoccupazioni, delle mie angosce e delle mie nevrosi, riportandole nel personaggio all’estrema potenza. Ma non potrei mai essere come lei: mi avrebbero già portato via i figli e sarei sola!
Di che angosce parliamo?
Di angosce legate alla città in cui vivo, Milano. Sono giargiana: originaria di Lodi e mi sono trasferita a Milano quindici anni fa, senza aver visto com’era prima. Spesso, anche dai racconti di Germano Lanzoni, sento di una Milano che oggi non c’è più, maggiormente improntata all’accoglienza per esempio.
Non ho fatto in tempo a conoscere quel lato lì ma ho comunque in questi quindici anni essere testimone dei cambiamenti che sono intercorsi e che l’hanno modificata: molto banalmente, quando mi sono arrivata io, non esistevano i rider così come non c’erano altre professioni che sono poi nate e gli affitti delle case non erano ancora alle stelle. La Milano di oggi è una città basata esclusivamente sul lavoro e incentrata sul fatturare.
Ricomincio da taac si chiede, tra le altre cose, quanto siamo capaci di reinventarci e di adattarci. Com’è stato per te trasferirsi da Lodi a Milano?
A essere sincera, in questo sono stata molto privilegiata: non ho vissuto il precariato che hanno sperimentato alcune delle mie amiche che hanno fatto il mio stesso tragitto. Ho cominciato a lavorare quasi subito adattandomi alla città. Seppur vero che anch’io all’inizio sono stata ospite e ho condiviso stanze e casa, non ho vissuto il trasferimento come traumatico. Anche perché non vedevo l’ora di lasciare la piccola città per spostarmi: Lodi non era di certo un paesino ma una città di provincia ma, ai miei occhi di bambina, Milano sembrava Hollywood.
Il film affronta il tema dell’adattamento ma lo fa perché comunque il Milanese Imbruttito si ritrova in qualche modo a ricominciare la sua vita da capo in una città che, seppur sua, non riconosce e non gli appartiene più per vari motivi. Il suo essere boomer fa sì che adattarsi gli costi un grande sforzo ed è in ciò che racconta molto della società attuale, del modo di vivere contemporaneo e delle fatiche che ognuno di noi fa.
Qual è la più grossa fatica che ti viene richiesta per vivere nella società di oggi?
La domanda è molto ampia: respirare mi sembra un buon punto d’inizio. Mi piacerebbe rispondere con una risposta ironica e sarcastica à la Milanese Imbruttita ma in questo momento non mi viene in mente assolutamente nulla. Anche perché poi mi sento comunque una privilegiata rispetto a tutto ciò che quotidianamente leggo sui giornali e vedo accadere nel mondo: tutto sommato, quando faccio i conti con le mie fatiche, mi rispondo che va benissimo così… mi è andata di culo!
Però, di sicuro una grossa fatica come tutti ha accompagnato il tuo percorso…
…intendi l’aprire la partita IVA? Beh, quella sì, è stata una grandissima fatica, scriviamolo pure (ride, ndr)!
Con buona pace dei commercialisti, parlavo del capire chi si è. Quando hai scoperto la tua vocazione artistica?
Da molto giovane e inconsciamente, senza alcun tipo di progettualità. È accaduto quando ho iniziato a studiare danza, frequentavo le scuole elementari e nel preparare i saggi di fine anno mi sentivo bene: in scena era uno di quei posti in cui stavo assolutamente a mio agio. Avevo voluto io frequentare danza e fino a qualche anno fa non ho mai smesso di ballare: era quello il luogo giusto per me, in cui incanalare tutta la mia energia…
…o poter sfogare quel dolore che secondo un famoso scrittore un giorno ti sarebbe stato utile?
I dolori prima poi arrivano per tutti e non ne possiamo fare a meno, purtroppo. Non so però se saranno utili a qualcosa: so che intanto ci devi passare in mezzo e prenderne atto.
Qual è stato il dolore che hai fatto più fatica a canalizzare?
Abbiamo già parlato della partita IVA? Ce l’ho dal 2006… Oddio, è diventata maggiorenne: porca vacca, dovrò portare fuori a cena il mio commercialista per festeggiare. Commercialista che è sempre lo stesso, il mio babysitter (ride, ndr)!
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Che tu sia particolarmente legata alla danza è tuttora evidente dall’uso che fai del tuo corpo.
È vero: in ogni parodia o in ogni imitazione cerco sempre di metterci qualcosa che arrivi dalla danza o dal movimento. Mi serve per rendere davvero mie le cose che faccio.
È evidente nella pole dance di Annalisa. Ma come nascono le tue imitazioni? Detto tra noi, la mia preferita è sempre stata quella della Contessa De Blanck.
Sei un intenditore: è anche la mia preferita. E lo è perché in quel momento ero incinta: la pancia non era frutto di qualche protesi ma della mia gravidanza giunta al nono mese. Nell’imitare Patrizia camminavo piano perché rischiavo di partorire a ogni passo!
Le imitazioni nascono spesso da ispirazioni o stimoli che possono arrivare anche dall’esterno, dagli autori, dall’attualità o dal cazzeggio che può nascere durante una riunione di lavoro. Annalisa per Gialappa’s Show, ad esempio, è nata così, da Marco Santin che ha lanciato l’amo quasi per caso: ho raccolto la provocazione e ho provato a capire come concretizzarla. Nessuno di noi si sarebbe mai aspettato che diventasse poi così virale o popolare. Anche perché non penso mai alla potenziale viralità di una parodia: mi limite a soffermarmi su ciò che diverte me fare. Se noto qualcosa che mi stimola in un personaggio, comincio a lavorarci: alcune volte ne vien fuori una cagata pazzesca, altre invece danno origine a quello che poi vedete.
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Citando una battuta del film, hai mai pensato di far qualcosa per ritrovarti poi a fare esattamente l’opposto?
Tutti i giorni della mia vita: sono come una banderuola al vento, cambio idea ogni cinque secondi. In tal senso, vado molto d’accordo con l’Imbruttita: anche lei è un po’ matta e non molto sicura delle sue idee, caratteristiche che secondo me la rendono molto fragile e molto umana. Quella dell’Imbruttita è una maschera fortissima: alle volte può stare veramente sulle palle, non è simpatica come il Milanese Imbruttito ma ha dalla sua una fragilità enorme, non è così sicura di se stessa come vuole apparire. E ciò vale anche per me: mi metto continuamente in discussione.
E come fai a capire qual è la cosa giusta da fare?
Eh, chiamo la mia analista, che grazie a me ha già una casa in Sardegna (ride, ndr). In realtà, vado e faccio, anche se poi sbaglio: concediamoci nella vita il lusso di poter sbagliare, fallire e da lì ricominciare. Chiedendo anche scusa se serve, come dico sempre ai miei figli, e poi da lì ripartire.
Le scuse sono presenti anche sul finale di Ricomincio da Taaac: “Scusa se sono stato assente”. Sono le assenze qualcosa che risuona nella tua vita?
Non direi. Ci sono state semmai grandi presenze: ho avuto ad esempio delle grandi maestre, come le mie prime insegnanti di danza, che mi hanno accompagnato e iniziato al mondo dello spettacolo. Sono state propedeutiche al lavoro che avrei poi abbracciato ancora prima che io sapessi di volerlo fare. Penso a Cristiana Vimercati, la prima maestra di danza che ha proposto ai miei genitori, quand’ero ancora minorenne, di iscrivermi a un’agenzia. O a Francesca Varagnolo, la persona che mi ha preso per mano quasi maggiorenne e che mi ha accompagnato nel mondo del lavoro preparandomi per delle audizioni per dei musical. Sono stata veramente fortunata a incontrare grandi maestri…
… solo in ambito lavorativo?
No. Sicuramente il mio compagno è una persona che è molto presente sia per me sia per i nostri figli: su di lui, posso contare. Ma anche i miei amici: non ne ho molti perché sono una persona orrenda ma tra di loro ci sono persone vere che considero la mia famiglia.
A proposito di famiglia, è stata una scelta consapevole e ponderata quella di diventare madre così giovane? Non hai temuto che la maternità potesse in qualche modo intaccare il tuo percorso professionale?
Giovane, non direi (ride, ndr). Ponderata sì, anche perché non li ho fatti da sola ma con il mio compagno. Ci siamo dovuti aiutare a vicenda riuscendo a spartirci le responsabilità: non sono quindi mai stata sola.
Il tuo compagno, citando sempre una battuta del film, è l’unico di cui tu possa fidarti?
Rimango sempre un Capricorno ascendente Toro: di base, mi fido solo di me stessa nonostante sbagli continuamente (ride, ndr). Sicuramente, è una di quelle persone di cui posso fidarmi.
Ricomincio da taaac: Le foto del film
1 / 47Ricomincio da taac parla anche di diversità, un tema con cui personalmente hai dovuto confrontarti dopo l’uscita del tuo primo romanzo, Accendi il mio fuoco, in cui hai svelato le tue origini per metà sinte. E lo fa utilizzando un certo linguaggio.
Bisogna sempre stare attenti a come si usano le parole. Negli anni Novanta, si era liberi di usare termini che oggi non vanno nemmeno pensati sia per quanto riguarda l’orientamento sessuale di una persona sia per quanto concerne l’aspetto fisico di qualcun altro. Oggi, invece, no: le parole hanno un peso e vanno usate nella giusta maniera. Per chi come me lavora come comico e fa anche satira deve trovare il modo di scrivere sketch o gag che facciano ridere di tutto ma senza ferire nessuno: bisogna saper contestualizzare e avere consapevolezza di chi sei, dove sei e in quale periodo storico vivi. E, quando capita di sbagliare, occorre ammetterlo anziché arrampicarsi sugli specchi: “Scusatemi, ho fatto una battuta orrenda, mi dispiace”.
Tra i temi attuali affrontati da Ricomincio da taac c’è anche il caro affitto e la conseguente difficoltà di trovare casa a Milano. Cosa significa per Brenda Lodigiani la parola “casa”?
Negli anni ho imparato a non affezionarmi troppo alle cose, agli oggetti e ai posti. Sto facendo un percorso che mi porta a lasciar andare ciò che è materiale. E, quindi, per me casa sono le persone, ragione per cui mi sento a casa dappertutto… mi sentivo a casa quando lavoravo in Rai e mi ci sento quando ancora mi capita di tornare nella sede di corso Sempione: ci sono tutti coloro che mi hanno vista crescere, tutte zie e cugine. Ma mi sento a casa anche dalla mia migliore amica e potrei continuare ancora.
Casa per me non è solo il luogo in cui vivo: bello, in centro e in un quartiere che mi piace… a far la differenza sono sempre le persone, un concetto che trasuda anche dal film, il cui mood è l’importanza delle persone e non dei numeri. Sembra tutto molto retorico, me ne rendo conto, ma è alla base di ogni cosa.
Cosa vedi oggi quando ti guardi allo specchio?
Una ragazza che sta crescendo e che sta diventando abbastanza adulta, non solo a livello anagrafico. Più diventi grande, più sposti l’asticella… Ricordo che, quando da piccola guardavo le foto dei miei genitori alla stessa età che ho io oggi, mi sembravano anziani: le rivedo oggi che ho la loro stessa età e li trovo dei fighi pazzeschi. E, quindi, a 37 anni ti dici che sei ancora giovane e sposti l’asticella della maturità ai 40, poi ai 50 e così via. Immagino che il trucco sia quello di procrastinare e non pensarci troppo.
Qualsiasi cosa?
Sì, anche se poi quando la faccio mi sento meglio. Però, boh, mi piace vivere nello stato in cui mi governa l’ansia… anche se a volte mi piacerebbe anche lasciare spazio alla noia, per dirla à la Inside Out 2, e vivermela a pieno. Ma non si può soprattutto nelle grandi città e quando hai un lavoro legato alla partita IVA: non puoi mai fermarti o rilassarti un secondo perché arrivano subito i sensi di colpa!
Ti ritroveremo con la Gialappa’s Band: stai studiando a qualcosa di nuovo?
Ma io studio sempre qualcosa di nuovo, fossero solo le evoluzioni dei miei personaggi: Ester, ad esempio, dalla prima alla terza stagione è cambiata tantissimo. Così come è stato per Annalisa. Studio sempre un’evoluzione ma anche personaggi inediti: adesso vi toccherà guardare il programma per capire cosa succederà!