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“Che tipo di donna sono? Non sta a me definirmi” – Intervista esclusiva a Carlotta Natoli

Carlotta Natoli è la moglie di Enzo, il protagonista di Il Santone. Ma è anche una straordinaria attrice che calca i set da quando a 8 anni ha esordito con il padre. Tra pubblico e privato, racconta la sua esperienza sul set della serie ma anche il suo essere madre e la sua idea dei social.
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Carlotta Natoli è in questi giorni la protagonista femminile di Il Santone - #LepiùbellefrasidiOscio, la serie disponibile su Rai Play. Interpreta la parte di Teresa, la moglie dell’Oscio di Centocelle che si ritrova a dividere il marito con Jacqueline, manager assetata di successo e soldi. A suo fianco recitano Neri Marcorè e Rosella Brescia, a capo di un cast guidato da ottimi attori dalla lunga tradizione e da nuove leve del cinema italiano.

Vedere Carlotta Natoli recitare in pani leggeri è sempre uno spasso. Ha un ritmo e una verve comica che da sempre la contraddistinguono nel panorama italiano. L’abbiamo ammirata in chiave leggera, ad esempio, in Odio l’estate, l’ultimo film di Aldo, Giovanni e Giacomo, ma anche nell’amata serie Tutti pazzi per amore, che il pubblico continua ancora a reclamare.

Ma anche quando indossa i panni più drammatici Carlotta Natoli lascia il segno. Sfido chiunque a non ricordare il personaggio di Angela nella serie Distretto di Polizia o quello della dottoressa Lisandri in Braccialetti rossi. E questo perché recita sin da bambina, fin da quando il padre, mai troppo rimpianto, Piero Natoli l’ha voluta, a otto anni, sul set di Con…fusione, film che segnava il suo debutto da regista e attore.

La comicità della serie nasconde, però, un lato più critico alla società in cui viviamo. Una società che punta più all’essenza che all’apparenza per via di quei social che tutto frullano e mischiano. Carlotta Natoli ha una posizione molto lucida sull’argomento e non ne fa mistero. Il suo atteggiamento è perimetrale, di scoperta. Così come lucida è la sua posizione in termini di differenze di genere, a partire dai suoi studi sull’Antico Testamento.

Ma Carlotta Natoli è anche mamma di un figlio adolescente e moglie di un attore altrettanto famoso, Thomas Trabacchi (che vedremo nella serie Più forti del destino). Con il marito ha girato di recente 14 giorni, un film che indaga sulle dinamiche di coppia. Sarà destinato ad aprire la piattaforma Paramount Plus in Italia e, inevitabilmente, ne abbiamo parlato nell’intervista che segue e che comincia con un errore, di chi scrive, che ha dato adito a una battuta, una di quelle che a Carlotta, romana, non mancano mai.

Carlotta Natoli e Neri Marcorè in Il santone.
Carlotta Natoli e Neri Marcorè in Il santone.

Intervista a Carlotta Natoli

Com’è stato interpretare Enza, la moglie del santone di Centocelle?

Intanto, Teresa. Magari questo sarà fantasticamente la seconda stagione in cui io divento santona. Potrebbe essere, no? Per prima cosa, mi premeva mantenere un carattere romano. Palmaroli e gli sceneggiatori della serie ci tenevano che la storia fosse ambientata in una periferia romana che, allo stesso tempo si potesse immaginare come una periferia in generale. Una qualsiasi periferia dove un uomo qualunque – un po’ scontento, un po’ banale – a cui nessuno darebbe mai due lire si trasforma nel suo opposto., in un salvatore.

A me premevano varie cose del personaggio di Teresa. Innanzitutto, mi premeva darle la sua caratteristica romana, che caratterizza molto perché molto specifica. E, poi, mi premeva molto che Teresa, questo personaggio romano, avesse un tratto di ironia e un tratto di ingenuità importantissimo (l’ingenuità si porta anche una forma di onestà, di rettitudine tipicamente romana, tipica delle fasce più semplici della popolazione).

Chiaramente. per la riuscita del personaggio, era importante sviluppare un contrappunto con Enzo, interpretato da Neri Marcorè, perché la commedia si gioca su uno scambio di ritmi. Per cui, più Enzo era morbido più Teresa doveva essere in qualche maniera pirotecnica.

Teresa è al fianco di Enzo da tanti anni. Nessuno conosce meglio di lei il suo uomo, suo marito. Quindi, non fa altro che essere molto concreta e inerente alla realtà. Per cui, lo interroga, si interroga. Tu ti sei rimbecillito mentre questi ci stanno cacciando di casa e tu non te ne accorgi? Enzo parla anche in un modo un po’ diverso. Teresa un po’ osserva e un po’ sa con chi ha a che fare. È l’unica della serie, insieme alla figlia, che mantiene un po’ di lucidità su questo uomo, che per quanto possa essere diverso sempre lui è.

Il fatto che sia più ancorata alla realtà lo si evince da tantissime scene, a cominciare da quella della bresaola e della mortadella.

La scena della bresaola e della mortadella sottolinea molto dei personaggi. Perché Teresa, comunque, è fedele e sottolinea la semplicità del personaggio. Sia Teresa sia Enzo sono due personaggi sinceri, molto umani, che si sono scelti forse da ragazzi e che vogliono continuare a stare insieme. Nonostante tutto, si amano ancora, Teresa gli vuole bene. Sono legati.

Teresa vuole talmente bene a Enzo da vedere in Jacqueline, interpretata da Rossella Brescia, la sua antagonista.

Non è perché vuole bene a Enzo che Teresa vede Jacqueline come antagonista. È lei che si pone proprio come antagonista. Ma Teresa ed Enzo hanno comunque una dignità. C’è una scena importante in cui Teresa le dice: Bella, ma che te credi? Che sei venuta a comprarci? Io vengo dalle case popolari, eh. Poi chiaramente hanno bisogno gli uni dell’altra. Jacqueline ha bisogno di Enzo per se stessa mentre Teresa ed Enzo hanno bisogno di un po’ di soldi che Jacqueline può garantire. In fondo, non fanno niente di male per cui alla fine si trovano d’accordo.

Però, quando Jacqueline inizia a comandare, Teresa la fa stare tre passi indietro. Le dice: No no. Che pensi? Sono io che me lo sono sposata. Sono io che gli ho raccolto i calzini. E sono io che ho fatto questo e quest’altro. Tu non ti puoi permettere …  Tra l’altro, si tratta di una scena che ho suggerito io. Il sacrificio di stare accanto a un uomo l’ho fatto io. Non è che tu arrivi adesso e gli dici come deve si deve comportare.

  • Com’è stato ritrovare Neri Marcorè dopo l’esperienza di Tutti pazzi per amore? E com’è stato lavorare con Rossella Brescia?

Con Neri abbiamo un rapporto molto diretto, molto simpatico. Ci divertiamo insieme. Lui è veramente così serafico mentre io sono decisamente più “mobile”, più caotica per certi versi, almeno nella presentazione all’esterno. Neri è, comunque, un uomo e un attore che porta serenità sul set. All’inizio delle riprese di Il santone non avevamo chiaro quale fosse lo stile di ciò che stavamo facendo. Le sceneggiature non erano concluse, certe cose non le capivamo. Abbiamo girato pensando di fare una cosa molto diversa, pensavamo più a un film che a una serie. Poi, via via, abbiamo capito qual era lo stile. Lo abbiamo capito lavorando.

Con Rossella mi sono trovata molto bene. Trovo che sia Neri sia Rossella abbiamo un’ottima qualità di ascolto scenico. Peccato non siano state montate alcune scene che ho girato con Rossella. E mi è dispiaciuto molto perché c’erano un paio di momenti che potevano essere sfruttati meglio. Per due scene, in particolare. Una in cui si fa la scommessa su quanti soldi servono. E un’altra, più in là nella storia, in cui Teresa va a cercare Enzo, che non si trova più. C’è un piccolo momento tra Teresa e Jacqueline. Avevamo girato vari tipi di scena ma non le hanno montate. Un prodotto non è mai nelle tue mani fino in fondo. Ti diverti lì per lì ma saranno il regista o il montatore a scegliere per te. Purtroppo: tante volte scelgono bene, tante volte no. Ognuno ha la sua visione.

  • Mi sembra però di capire che vi siete divertiti molto sul set.

Beh, si. Ci siamo divertiti molto. E poi ci sono tanti attori bravi: Fabrizio Giannini, Alessandro Riceci, Guia Jelo…

Carlotta Natoli, Rossella Brescia e Neri Marcorè in Il santone.
Carlotta Natoli, Rossella Brescia e Neri Marcorè in Il santone.
  • Teresa è anche madre di una ragazza adolescente, Novella, particolarmente problematica. Come hai affrontato quest’altro aspetto del personaggio?

Mi è venuto abbastanza facile. Intanto, anche Beatrice De Mei che interpreta mia figlia è una ragazza molto talentuosa, bravissima e carina. Ma va citato anche Claudio Segaluscio, che nel Santone è Mirko, il fidanzato di Novella. Sono molto contenta quando posso improvvisare un po’ anche con i ragazzi. Come è accaduto nella scena in cui Teresa parla dal bagno: aveva una parte di scrittura vera e un’altra parte improvvisata. Quando Teresa va da Novella e le dice “Questo succede perché voi vi drogate, cretina” dandole uno schiaffo, non era previsto sulla carta.  Mi diverto da morire quando un regista lascia liberi di improvvisare: è il pane per i miei denti.

Poi, la crisi adolescenziale la conosciamo tutti. È un grande classico delle famiglie.

  • Tuo figlio quanti anni ha adesso? Che tipo di mamma sei con lui?

Sedici, un adolescente in piena regola con tutte le crisi possibili. Sono una mamma molto giocosa che però ha tentato di dargli delle regole. Dico tentato perché lui è sempre stato un irrequieto. Era un bambino simpaticissimo ma casinaro. Ho tentato comunque di dargli dei ritmi da piccolo. Tanti ritmi e tante scansioni. Come tipo di mamma, sono molto aperta e molto scherzosa. Però, anche molto seria: mio figlio mi prende molto sul serio.

  • Uno degli aspetti interessanti di Il santone è la critica sociale che, direttamente o indirettamente, rivolge all’uso dei social e alle improvvise popolarità che vengono dal nulla. La serie ha una sua posizione e in conferenza stampa hai dichiarato che cerchi di tenerti ai margini. Volevo capire cosa significa per te.

Sono una persona curiosa. Nelle cose troppo estreme, ci passo ma non ci sosto. Preferisco il perimetro: è una posizione molto “scomoda”, in certi casi ti fa cadere o, comunque, non ti fa neanche assurgere. Perché sei laterale. Però, è una posizione che mi consente, da persona curiosa, di osservare come va il mondo e che cosa attrae di più… cosa attrae di più un ragazzo giovane, cosa attrae di più una persona più adulta. In qualche maniera, è come avere anche un termometro sociale. Ogni tanto faccio degli esperimenti sui miei profili: metto qualcosa di cultura e poi magari un primo piano mio. L’abisso è totale.

Arriverà il momento in cui chiuderò tutto perché non è che servano più di tanto. I social, purtroppo, servono a promuovere la propria immagine. Solo ed esclusivamente a questo. Rischiano, quindi, di aumentare il pericoloso narcisismo di questa epoca. E sono molto ambigui come strumento perché in mezzo ci stanno alcune rare informazioni interessanti. Però, per la maggior parte, sono un inno al narcisismo.

È come se fosse tutto un unico calderone. La cosa gravissima dei social è che rendono tutto omologo. Tutto confuso in una grande pasta senza più differenziazione: si può parlare di qualcosa di molto grave o intimo oppure di una passerella accanto alla nascita di un figlio o a che te sei in ospedale con una malattia. E la guerra accanto a tutto ciò.

La cosa più grave che può accadere a livello di comunicazione è non renderla mai soggettiva e individuale. Noi dobbiamo con la comunicazione prenderci un rischio, personale e soggettivo. Nel grande calderone dei social non c’è più uno stile perché non c’è la possibilità reale di mostrarsi per come si è. C’è però una grande necessità di raccontarsi per come si vorrebbe essere o per come si vorrebbe essere visti, percepiti. Da questo punto di vista, potrebbe esserci un’altra indagine interessante: ma questa persona come vuole essere percepita? Come un’attrice arrivata? Io sono molto in crisi con le mie colleghe su ciò. Vedi subito chi è più ironica, chi è più vanitosa, chi vuole dare l’immagine di una donna che lavora molto, che fa molte passerelle. E chi invece ha un profilo più umanoide.

Forse solo sul commento a questo mezzo si può trovare qualcosa di interessante. Il commento è sempre personale. In Il santone, a un certo punto, Teresa dice una frase che ho voluto personalmente, pregandoli quasi in ginocchio, aggiungere: Ho capito che la gente vuole sognare. Io ho voluto come Teresa metterla su questo piano. Vabbè, la gente c’ha bisogno di un santone… ha bisogno di sognare, di sperare, di credere. È molto pericoloso: come sappiamo, a livello politico, basta che ti svegli la mattina e dici uno slogan che funziona che siamo in mano del peggiore dei nemici.

Però, d’altra parte c’è un istinto anche sano del popolo di sognare. Teresa chiude dicendo: Tutto sommato non siamo cattivi, andiamoci a regalare questo sogno.

https://www.instagram.com/p/CafvY02rYbF/
  • Sei protettiva nei confronti della tua vita privata. Hai però recitato con tuo marito, l’attore Thomas Trabacchi, diverse volte. L’ultima in 14 giorni, presentato alla Festival del Cinema di Roma e destinato ad augurare la versione italiana della piattaforma Paramount Plus. Come riuscite a separare il lavoro dalla vita privata.

Normalmente protettiva, non così tanto. Nel caso di 14 giorni, vita privata e lavoro non si potevano separare. È stata una full immersion molto, molto difficile per noi da gestire perché chiaramente dovevamo entrare dentro un processo di crisi di coppia. Entrare dentro quell’energia per tanto tempo e in più tornare a casa con la stessa macchina, dormire nello stesso letto e cucinarsi mentre ripeti le battute del giorno dopo è stato molto, molto impegnativo. Anche in quel caso, come al solito, la donna è raccontata in maniera molto pirotecnica e l’uomo un po’ meno. C’è questo stereotipo, un po’ mi ribello, però forse avrà anche la sua veridicità da qualche parte.

È stato molto impegnativo ma anche un’esperienza bellissima perché abbiamo potuto lavorare in un clima di assoluta intimità. Racconta di 14 giorni di una coppia dentro un appartamento. C’eravamo noi e una piccola troupe. Alla fine, tutti vivevano con noi le giornate come le vivevano i protagonisti della storia. Quindi, è stato anche un grande esperimento, oltre che un lavoro. Un esperimento quasi umano, direi. La piattaforma credo sia stata aperta tecnicamente di recente ma il film si vedrà a settembre: sarà il film di apertura del lancio di Paramount Plus in Italia. Io spero che possa esserci prima la possibilità che 14 giorni, anche per pochi giorni, possa passare in sala: è un film che andrebbe visto sul grande schermo perché, essendo piccolo, in sala risulterebbe più importante. Vedremo.

  • Hai dimostrato di poter dare vita a donne molto differenti sullo schermo passando da ruoli drammatici a personaggi comici e viceversa. Che tipo di donna è invece Carlotta?

È il bello del mio lavoro. Che tipo di donna sono? È una domanda così… è come se ti chiedessero “E tu che tipo di essere umano sei?”. La risposta è troppo ampia… non so se sta a me definirmi. Anche perché, come ogni essere umano, ogni giorno sei una donna diversa, ogni giorno sei un uomo diverso. Ti posso dire che cerco di coltivare molto, sempre, dei valori etici e morali, e di cuore soprattutto. Non sono una persona superficiale.

  • Sei la figlia di un papà importante. È a lui che devi il debutto da bambina sul set di Con…fusione. Come è stato calcare i set già in tenera età? E, soprattutto, con tuo padre accanto?

Sono una figlia d’arte ma di quell’arte che si faceva negli anni Settanta e Ottanta. Quindi, l’arte non digitale. Sono figlia dell’arte analogica, dal punto di vista cinematografico. Per me, era tutto essere in famiglia e un po’ inventare un po’ dire quello che mio padre mi diceva di fare. È come se avessi avuto un papà artigiano e fossi andata a bottega da papà. Non è che mi sia mai fatta chissà quali idee sul cinema, non ho mai avuto certe aspirazioni. Forse, mi distinguo un po’ da alcune mie colleghe, che hanno anche un’aspirazione di successo che io non ho mai veramente avuto. Non ho aspettative, non ho ambizioni di successo particolari ma più che altro di riconoscimento e di qualità del lavoro. E di qualità di relazioni, se è possibile, ma qui arriviamo al non plus ultra.

Carlotta Natoli e il papà Piero Natoli sul set di Con...fusione.
Carlotta Natoli e il papà Piero Natoli sul set di Con...fusione.
  • Perché questo?

Perché venivo dalla relazione paterna. Di conseguenza, per me il set è un luogo di famiglia. Io vorrei ricreare sempre, inconsciamente o meno, una situazione di protezione e di gioco. Sono sempre alla ricerca di ciò, anche se ormai si trova poco. È un gioco molto serio anche, dove le persone si pigliano molto sul serio e anche io rischio di prendermi troppo sul serio quando poi gioco. Ricordo sempre, quando insegno, che bisogna giocare di più.

È questo il segreto del nostro lavoro: giocare seriamente. E forse il segreto anche di un buon essere umano, di una buona donna e di un buon uomo. Perché poi questa distinzione di genere oggi, se mi posso permettere, è obsoleta. Maschio e femmina li creò, poi li disgiunse. Questa è la parola: li disgiunse. Allontanò il maschio e la femmina primigenio solo per farli guardare l’un l’altro e comunicare. Se fossimo stati uniti come lo ying e yang, non ci saremmo accorti l’uno dell’altro. E, invece, il Padre Eterno dalla creazione in poi ci ha dato la possibilità di fronteggiarci, comunicare l’un l’altro.

Non credo ci sia chi è più e chi è meno perché è venuto prima o dopo. Non è così. Anche nell’Antico Testamento, uomo e donna sono un unico essere, maschio e femmina. Poi, c’è un secondo momento creativo, dove viene disgiunta la femmina dal maschio. Non è lei che esce da lui: è un errore interpretativo mostruoso. È semplicemente un allontanamento. Tra parentesi, quello che viene tradotto come “costola” è più propriamente “lato”.

Quindi, il Signore disgiunse a lato, allontanò un lato dall’altro, il lato femmina dal lato maschio. È inutile parlare ancora di generi. Finché uno dirà “Vogliamo un presidente donna”, mi viene da rispondere: perché allora non una zebra? Di che cosa parliamo? Donna o uomo, che senso ha? Perché non una persona capace che ha della qualità? Certo, una donna ha delle qualità e delle caratteristiche differenti dall’uomo: solo in questo senso uno può dire “beh, la donna… beh, l’uomo”. Siamo molto, molto indietro ancora.

Thomas Trabacchi e Carlotta Natoli in 14 giorni.
Thomas Trabacchi e Carlotta Natoli in 14 giorni.
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