In un’epoca in cui i pronomi sono importanti, chiedo subito a Carlotta Vagnoli se possiamo darci del tu. “Del tu o del lei non importa: basta che qualcuno mi parli!”, è la sua risposta immediata. “Quando si lavora da sola a casa, è bellissimo ricevere una telefonata”. E chi scrive sa quanto sacrosanta verità ci sia nelle sue parole: scrivendo, si vive come in una sorta di bolla, con fusi orari e abitudini proprie che spesso finiscono con l’alienare dal mondo esterno.
Tuttavia, tutto mi sembra Carlotta Vagnoli fuorché alienata. È consapevole di tutto ciò che accade intorno a lei, a noi e a tutti quanti, ragione per cui nel corso di questa intervista esclusiva tanti saranno gli argomenti toccati e tanti, beffardamente, i nuovi amici che ci faremo. Lo spunto di partenza è Basement Cafè by Lavazza, il talk più seguito dai giovani e dai giovanissimi tornato online dal 23 febbraio. Ha aperto le danze Antonio Dikele Distefano ospitando i rapper Izi e Bresh e continuerà Carlotta Vagnoli il 9 marzo ospitando Roberto Saviano ed Elodie, un’accoppiata che, insolita sulla carta, farà invece scintille.
Scrittrice e attivista fiorentina, Carlotta Vagnoli con Saviano ed Elodie spazierà tra diritti e libertà accompagnando i suoi ospiti lungo un percorso di conoscenza e scoperta dei temi del presente tenendo come punto cardine la celebrazione di un testo fondamentale della vita democratica di ieri e di domani: la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che proprio nel 2023 compie 75 anni.
Basement Café: le foto
1 / 6“È stata una bella esperienza a tutto tondo. La produzione mi ha contattato ormai qualche tempo fa: abbiamo iniziato a lavorare in primavera e volevamo occuparci dei 75 anni della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani rendendola il più attuabile possibile. Casualità ha voluto che, pur girando a dicembre, tante cose che si dicono in puntata con Roberto ed Elodie siano, a distanza di tre mesi, ancora più attuali”, spiega Carlotta Vagnoli. “Soprattutto per quanto concerne la situazione dei migranti o il processo contro Saviano. Abbiamo cercato di partire dall’attualità per poter parlare del generale e del teorico”.
“Di sicuro, mi sono trovata davanti due ospiti immensi. E avevo un po’ paura”, confessa Carlotta Vagnoli, smorzando quell’immagine sicura di sé che in tanti abbiamo imparato a costruirci nella nostra testa. “È stata la mia prima intervista di tutta la serie, la prima che ho girato… ma dopo due minuti eravamo già dentro a flusso molto buono che ha permesso cose a cui non ero preparata perché escono dei lati molto umani, molto sinceri, molto timidi e molto personali di entrambi gli ospiti mentre raccontano sia la loro vita sia quello in cui credono”.
Intervista esclusiva a Carlotta Vagnoli
La puntata di Basement Café by Lavazza è stata registrata ancor prima del Festival di Sanremo, a cui Elodie ha partecipato in gara. Marco Mengoni, il vincitore, ha parlato dell’assenza delle donne sul podio a premio in mano e non prima che il televoto da casa lo decretasse vincitore anche grazie al sostegno del target femminile.
Il problema è strutturale perché ovviamente ognuno porta acqua al proprio mulino. L’industria musicale sa che di pancia scegliamo gli uomini perché cresciamo in una cultura che ci porta a idolatrare l’uomo. Punta e spinge su quello: se non si indirizza anche a casa a guardare con critica quello che ci si propone, tenderemo sempre a votale i cinque maschi di turno per la finale. Anche perché, parliamoci seriamente, se avessimo dovuto giudicare in base alla qualità, Mr Rain e Ultimo sul podio non ci sarebbero mai arrivati. Prendiamo Mr Rain: capisco la buona fede ma se avessi voluto ascoltare una canzone così, sarei andata in chiesa la domenica!
Un serio problema di fondo è legato anche alle statistiche e all’accessibilità. È chiaro che se hai solo otto donne su ventotto, la probabilità che una di loro arrivi in finale è molto più bassa rispetto ai restanti venti uomini.
Ma non solo a livello di interpreti ma anche a livello di autrici delle canzoni di Sanremo. C’è un profilo Instagram di un’autrice che ha analizzato i testi degli ultimi dieci anni del festival e le percentuali di autrici sono imbarazzanti: solo 15 donne su non so quante centinaia di autori. È qualcosa di molto indicativo sull’industria musicale: a scrivere le canzoni di donne sono per lo più uomini che ci vogliono “dolcemente complicate” ignorando come siamo anche sfaccettate.
Basta guardare intorno a noi per capire che non siamo tutti uguali e che non partiamo dalle stesse parità. Lo scopo del grande gioco della vita sarebbe iniziare a cercare di allineare i blocchi.
Carlotta Vagnoli
A far da filo conduttore a Basement Café by Lavazza è la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Il primo articolo sostiene che “tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti”. Con te mi prendo la prima di giocare rigirandoti alcune delle domande che hai posto ai tuoi ospiti. Partiamo dalla prima: siamo tutti uguali?
Intanto, mi fa molto ridere rispondere alle domande: ormai sono io che le pongo agli altri non solo in Basement Café by Lavazza ma anche a Rai Radio 1 e in tutte le interviste in generale. Quindi, mi sento strana nello stare dall’altra parte… però, per risponderti, posso dire che sicuramente è molto bella la teoria ma la pratica è un’altra cosa: dobbiamo sempre tener conto che le i famosi blocchi di partenza non sono sulla stessa linea per tutte le persone sia per i diritti sociali sia per i diritti civili.
Condizioni socio-economiche, provenienza, etnia, lingua, religione, sesso di appartenenza, identità di genere e orientamento sessuale sono ancora aspetti che allontano da alcuni blocchi di partenza. In prima linea ci stanno i famosi uomini bianchi etero benestanti, che nella partita della vita sono sicuramente più avanti rispetto a tutti gli altri. Ma possiamo anche individuare interi Paesi o continenti che stanno più avanti…
In questi giorni, abbiamo sentito il Ministro dell’Interno, Piantedosi, ricordare che è stata “una scelta sbagliata” quella dei migranti (della strage di Cutro, ndr) di salire su una nave pagando uno scafista con i propri risparmi: “potevano rimanere a casa loro, è stata colpa loro alla fine se è andata così”. Ecco, questo ci fa capire esattamente il senso del blocco di partenza: ignorare che gli altri non hanno mezzi uguali ai nostri perché provengono da Paesi magari profondamente segnati da conflitti che abbiamo contribuito ad accrescere anche noi stessi.
Basta guardare intorno a noi per capire che non siamo tutti uguali e che non partiamo dalle stesse parità. Lo scopo del grande gioco della vita sarebbe iniziare a cercare di allineare i blocchi.
Non è una questione affrontata dal talk ma il discorso sui migranti, con un volo pindarico, mi fa tornare alla mente la rivoluzione delle donne in corso in Iran. Secondo te, perché l’Occidente non si sta appassionando a quello che sta accadendo laggiù dove in piazza sono scesi i giovani senza alcuna distinzione di sesso?
Il grande paradosso, tra l’altro, è che la protesta viene portata avanti anche da una grandissima fetta della comunità lgbtqia+, che rischia la vita ancora più delle donne… è una rivolta di proporzioni incredibile ma anche disastrosa dall’altro lato per la repressione che sta provocando sulle donne, sugli uomini e sulle persone della comunità lgbtqia+!
Noi abbiamo purtroppo un’attenzione molto selettiva. Ne parlavo giusto qualche giorno fa con Valerio Nicolosi presentando il suo ultimo libro, Il gioco sporco. Ci confrontavamo sull’accoglienza e sull’attenzione che abbiamo riservato al popolo ucraino ritrovatosi sotto le bombe della Russia: abbiamo aperto le frontiere e mantenuta altissima l’allerta per una guerra che si svolge in linea d’aria in una zona lontana tanto quanto l’Iran.
Per tutto ciò che concerne l’Iran abbiamo un’attenzione selettiva di circa una settimana. Le proteste in corso sono durate nei nostri media e nella nostra informazione veramente poco. Si contano sulle dita di una mano i quotidiani che hanno riportato la notizia relativa all’avvelenamento di un gruppo di studentesse finalizzato a impedire loro di andare a lezione. È come se avessi girato la testa dall’altra parte.
La nostra cultura è profondamente razzista con chi è tanto diverso da noi: quando pensiamo che una società è anni luce dalla nostra, la nostra attenzione si limita al dire “poverini”, al fare una carezza o allo scrivere un trafiletto solo per sentirci in pace con noi stessi. Pensiamo ad esempio a quanto si è parlato del movimento delle donne afghane dopo il ritorno dei talebani a Kabul: dopo un mese, non se ne sapeva più niente quando in realtà avremmo dovuto continuare a parlarne per il grande senso di colpa che dovrebbe affliggerci per aver appoggiato gli Stati Uniti. Dovevamo essere forse un po’ più consapevoli, presenti e responsabili… ma sappiamo guardare solo da un lato del mondo.
E poi esiste sempre quel retro pensiero per cui se hai guadagnato anche una certa visibilità è perché hai fatto visita a qualcuno di importante. L’hanno pensato in tanti quando ho cominciato a scrivere un po’ di più rispetto al passato… e invece, purtroppo, ho sempre fatto fellatio per passione e, quindi, verso uomini sbagliati.
Carlotta Vagnoli
Ti sei mai sentita uguale rispetto a chi ti circonda?
Ho un carattere che in psicologia, con un termine che andrebbe rivisto, viene ancora definito maschile: quando si ha un carattere abbastanza forte, lo si chiama maschile. Ho un corpo conforme, sono bianca, eterosessuale e cisgender, e quindi sicuramente parto molto più avvantaggiata nello scontro con i titani. Mi passano il microfono e questo è il mio unico privilegio.
Posso però dire che essere donna è uno svantaggio: lo si vede anche all’interno dell’editoria stessa con le differenze salariali o di trattamento sugli anticipi. Non si parla di noccioline ma di cifre con differenze di due zeri.
E poi esiste sempre quel retro pensiero per cui se hai guadagnato anche una certa visibilità è perché hai fatto visita a qualcuno di importante. L’hanno pensato in tanti quando ho cominciato a scrivere un po’ di più rispetto al passato… e invece, purtroppo, ho sempre fatto fellatio per passione e, quindi, verso uomini sbagliati. Quando ho deciso di raccontare la mia storia di violenza, ho ricevuto (e ricevo tutt’ora) tanto di quell’odio gratuito che rende il mio privilegio relativo, come se l’avessi fatto per avere una non so quale visibilità per essere stata nella vita una donna menata.
Avere un microfono in mano è un privilegio perché lo si può passare a tante altre voci solitamente silenziate. Mi sto ad esempio interessando alle tante nuove voci all’interno dell’editoria, a voci che non siano quelle solite classiche, e al cercare di metterle in contatto con i tanti contatti che ho a disposizione. Purtroppo, nel mondo dell’editoria sono sempre tutti molto chiusi: io cerco di far invece da staffetta perché vorrei che cambiasse finalmente qualcosa. Non se ne può più!
Quanto ti infastidisce quando qualcuno dice una frase come “prima che arrivi la Carlotta Vagnoli di turno a farci la morale”?
È bellissima (ride, ndr). So che mi hanno anche inserita in un testo rap: per me significare scavallare, avercela fatta… pensa a quanto poco presenti al mondo si deve essere per farsi fare la morale da Carlotta Vagnoli, pensa a quanta povertà intellettuale se io ultima degli stronzi devo venire a ricordarti che forse stai uscendo fuori dal seminato. Sono un essere umano terribilmente basico e iper turbolento, però se serve, perché no?
Ho imparato da colleghe che sono diventate amiche che purtroppo, nei movimenti femministi in special modo, c’è ancora tanto bisogno di quelle che si chiamano “parafulmine”. Ovvero di una che si prende gli insulti mentre le altre o gli altri vanno avanti. Ha funzionato e funziona ancora così: basta vedere come Michela Murgia viene continuamente insultata sulle prime pagine dei giornali o come Roberto Saviano stesso sia diventato un altro grande parafulmine degli intellettuali di sinistra.
Pensate che sfiga quando Carlotta Vagnoli deve far la morale: stiamo tutti veramente male!
L’idea di dover performare ogni aspetto della mia vita e doverne rendere conto mi fa molta paura. Siamo tutti persone molto sfaccettate e quello che vediamo sui social non corrisponde mai del tutto alla verità. Mi auguro di esserne ancora più libera negli anni a venire: ormai sono una gallina abbastanza vecchia e inizio a subire sempre meno il fascino dei riflettori social e dei grandi numeri che dovrebbero darci sicurezza… anche perché è falso: più numeri hai, più merda prendi.
Carlotta Vagnoli
Hai mai sentito sul collo il fiato della performance?
Certo, assolutamente: è il dramma più grande della nostra società. Basti pensare che siamo sempre spinti a pubblicare, scrivere e parlare tanto, per quella famosa paura di finire nel dimenticatoio… un dimenticatoio che è sempre più grande visto che il bacino dei social ci porta sempre più volti e sempre più voci. Purtroppo, è figlio della forma capitalista del mondo: abbiamo iniziato a capitalizzare sulle nostre stesse immagini e la paura di dire qualcosa in meno o di sparire per un po’ è diventata folle.
Quando è uscito il mio primo libro, Maledetta sfortuna, ho vissuto un anno costantemente in tour, pensando che se perdessi una tappa chissà cosa succedeva… In realtà, non sarebbe successo nulla. E infatti dopo mi sono fermata tantissimo e ho cercato di lavorare su meno cose, molto più centrate, per avere un po’ più di tempo per me stessa. Il burn out è il male del secolo: il famoso esaurimento nervoso è sempre dietro l’angolo. Per fortuna ne sono esente perché mi faccio molto i cavoli miei e la mia vita non è sui social: li uso solo per lamentarmi e parlare di libri.
L’idea di dover performare ogni aspetto della mia vita e doverne rendere conto mi fa molta paura. Siamo tutti persone molto sfaccettate e quello che vediamo sui social non corrisponde mai del tutto alla verità. Mi auguro di esserne ancora più libera negli anni a venire: ormai sono una gallina abbastanza vecchia e inizio a subire sempre meno il fascino dei riflettori social e dei grandi numeri che dovrebbero darci sicurezza… anche perché è falso: più numeri hai, più merda prendi.
Non so quanto il gioco possa valere la candela: non è detto che chi ti segue ti ascolti. Nel mio caso, in molti mi seguono solo per insultarmi: è paradossale ma è davvero un indice dei tempi.
E qual è la tua reazione all’insulto?
I primi insulti facevamo male, anche perché nel mio caso è tutto arrivato molto in fretta. Nel 2020 ero una disoccupata in pandemia e vivevo con seicento euro sul conto… Rimasta senza le lezioni di formazione che tenevo nelle scuole a causa del CoVid, ho pensato di migrare quello che insegnavo alle superiori sui social e gli hater sono arrivati in tempo zero: non c’è niente di più divisivo delle donne menate, forse è il tema più divisivo della nostra cultura.
Gli insulti sono arrivati in massa gli insulti e ne ho sofferto parecchio. Accrescevano il senso di claustrofobia che già vivevo per il lockdown: chiusa in casa senza poter uscire, quelle parole rimbalzavano dallo schermo ed erano parole d’odio contro me, la mia famiglia o le persone vicine. C’era persino chi cercava i miei amici: li insultavano per insultare me, era una catena disumana.
Poi, mi sono abituata ma mi piacerebbe molto studiare a fondo perché ci si abitui all’odio: è un procedimento che fa terribilmente paura. Quando adesso vedo arrivare gli insulti, non provo nulla: è diventata routine. Ma l’insulto via social, un effetto collaterale considerato oramai molto comune e noto, è di fatto un preludio di strage: non va mai a finire bene quando si normalizza l’odio.
Non c’è niente di più divisivo delle donne menate, forse è il tema più divisivo della nostra cultura.
Carlotta Vagnoli
Com’era Carlotta Vagnoli da bambina?
Contrariamente a qualsiasi pronostico, ero una bambina iper silenziosa e solitaria da morire. Sono figlia unica e sono cresciuta in mezzo a tanti adulti. Gli amici di famiglia erano sempre grandi così come i miei cugini. Per quanto la mia fosse una famiglia numerosa, non c’era nessuno della mia età ed io ero molto timida.
Ho scoperto il valore della parola al liceo quando ho cominciato a fare casino. Erano i tempi della riforma Moratti (siamo nel pleistocene!) e sono stata eletta rappresentante d’istituto: sempre in prima fila, portavo avanti un sacco di politica e mi lanciavo in tanti progetti. Ma da bambina dove mi mettevi stavo, ero molto molto buona: pensa che da neonata non piangevo mai. È crescendo che sono diventata una bestia di Satana e mi sono evoluta come un Pokémon!
Ricordi ancora una delle battaglie che hai portato avanti come rappresentante d’istituto?
Parliamo di più di vent’anni fa ma mi ricordo quelle contro la sovrappolazione scolastica e l’assenza di spazi, contro alcune discriminazioni presenti nel nostro istituto ma soprattutto contro la riforma Moratti.
Fortunatamente oggi molte cose sono cambiate. Ma quello fu un periodo in cui aumentò tantissimo anche il classismo tra chi frequentava i licei e chi sceglieva le scuole di avviamento alla professione. I secondi erano considerati dall’opinione pubblica come gli svogliati che non avrebbero mai combinato niente nella vita mentre i primi coloro che avrebbero retto le sorti del Paese. Beh, pure Guido, Izzo e Ghira avevano frequentato il classico ma non mi pare che il massacro del Circeo sia stato garanzia di qualità…
Ho sempre dato molto poca serietà al corpo: non l’ho mai considerato un sacro tempio e, quindi, mi è sempre piaciuto abbellirlo o renderlo anche meno solenne. Volevo dargli davvero poca autorità in maniera. Probabilmente, è sempre stata un’idea autosabotante, come direbbe qualsiasi analista…
Carlotta Vagnoli
Una delle domande che in Basement Café by Lavazza rivolgi ad Elodie e Roberto Saviano riguarda il corpo come atto politico. Il tuo ha molti tatuaggi. Sono politici anche quelli?
In realtà i miei tatuaggi hanno smesso di avere una valenza simbolica da tanti anni, sono figli più di un processo mentale. Un tatuaggio non può diventare politica al pari di un corpo però si porta dietro qualche pregiudizio da bar. Fortunatamente, comincia a non essere più una discriminante sui luoghi di lavoro, seppur continui a essere tale in altri ambiti. L’arma, ad esempio, non accetta le persone con tatuaggi ignorando come rimanere immobili che degli aghi che trattano la pelle per sei ore di fila sia già una prova di resistenza e dedizione.
Detto questo, ho una mezza luna sul petto che ho tatuato nei giorni successivi a quando uscii dalla casa in cui vivevo con il mio ex violento. È una barchetta che simboleggia una rinascita non del tutto indifferente. Per il resto, per me il tatuaggio è un processo molto personale di purificazione: provare dolore per creare qualcosa di bello è ancora un meccanismo che mi affascina. Ho sempre dato molto poca serietà al corpo: non l’ho mai considerato un sacro tempio e, quindi, mi è sempre piaciuto abbellirlo o renderlo anche meno solenne. Volevo dargli davvero poca autorità in maniera. Probabilmente, è sempre stata un’idea autosabotante, come direbbe qualsiasi analista…
Sul finale del tal, chiedi ai tuoi ospiti qual è la prima cosa che direbbero se venissero eletti Presidente della Repubblica. Quale sarebbe il discorso che farebbe invece Carlotta Vagnoli eletta anche solo Presidente del Consiglio?
A parte “grazie a tutti quelli che mi conoscono”? (ride, ndr). Politica, società e governi hanno sempre analizzato le problematiche di vita da un punto di vista differente da quello che è poi il mondo reale. Ci hanno abituati e abituate così tanto a discorsi profondamente classisti, razzisti e misogini, che abbiamo imparato a pensare che la responsabilità del successo (dove per successo si intende semplicemente un lavoro che ti permetta di arrivare decentemente a fine mese) o dell’insuccesso nella vita di una persona sia responsabilità della persona.
A me piacerebbe che finalmente si smettesse di parlare alle bambine: “dovete impegnarvi tantissimo e non arrendervi all’odio: solo così riuscirete a fare qualcosa”. Ecco, io vorrei dire “bambine, questa volta state tranquille, sedetevi comode: ci pensano gli adulti a cercare di rendere il mondo un posto meno fatico per le persone in tema di accessibilità ai diritti, al lavoro sicuro e all’asilo politico”. Cerchiamo di capire chi deve lavorare e chi no.
E a te bambina che dicevano?
A me da bambina non hanno mai parlato con le vocine che si fanno ai bambini. Ciò mi ha catapultata già in una dimensione di responsabilità: il tono di voce con cui mi parlavano era sempre uguale e non usavano dei diminutivi del mio nome per chiamarmi. Quindi, mi sono sempre trovata davanti a un mondo adulto che mi ha fatto capire che ci sarebbero state tante cose da gestire e che forse avrei dovuto iniziare molto presto a pensare a quello che avrei voluto fare nella vita.
Le bambine devono iniziare prima a pensarci e questa cosa non la capivo bene. L’ho capita solo con gli anni: alle donne viene richiesta molto più preparazione che agli uomini per essere considerata brave. La donna deve eccellere mentre all’uomo viene richiesto di essere bravo a parità di lavoro. Lo vediamo anche in politica: quando ascolto i discorsi in Parlamento, da una parte sento grandi voci mentre dall’altra parte noto il minimo sindacale. Vorrei che nel futuro nessuna bambina – termine ombrello che racchiude per me tutte le categorie marginalizzate – debba correre il doppio degli uomini.
Sono terrorizzata da quello che potrà succedere sui giornali a livello di narrazione. Come si manovrano due donne? Per i giornali sarà una lotta del fango e nei prossimi mesi prevedo una narrazione terrificante a cui dovremmo sottostare.
Carlotta Vagnoli
Abbiamo citato la politica. L’Italia è il primo Paese al mondo ad avere un presidente del consiglio e un leader all’opposizione entrambi donne…
Il bello è che nel 90% degli articoli di giornali ci si rivolge a loro solo con il nome di battesimo: la mattina, comincio a imprecare già quando sono ancora distesa a letto mentre faccio la rassegna stampa. Usano tutti i nomi di battesimo, Giorgia ed Elly, cognomi non pervenuti… Ma noi abbiamo mai visto Prodi e Berlusconi per fare un esempio, essere chiamati sui giornali solo Romano o Silvio?
Sarà interessante vedere che cosa succederà adesso in politica, penso si possano intavolare anche discussioni notevoli. Tuttavia, sono terrorizzata da quello che potrà succedere sui giornali a livello di narrazione. Come si manovrano due donne? Per i giornali sarà una lotta del fango e nei prossimi mesi prevedo una narrazione terrificante a cui dovremmo sottostare. Ci sono già le foto delle due antagoniste come se fossero, paragone già venuto fuori, Paola e Chiara. Cosa c’è di più eccitante del racconto di due donne, molto diverse fisicamente e caratterialmente, che litigano?
Il cognome mancante delle donne è una battaglia sacrosanta che va portata avanti su diversi fronti. Penso anche ai casi di cronaca nera in cui si parla delle donne solo per nome o come mogli, figlie o sorelle di…
È molto emblematico. Consiglio la pagina Instagram @ladonnacaso, che è geniale. Fa un lavoro meraviglioso sulla ricerca della narrazione giornalistica delle donne che compiono imprese eccezionali… ma tanto eccezionali secondo i giornalisti da meritare solo il nome di battesimo o l’appellativo di moglie, figlia e via di seguito. Quando venne scoperto il primo vaccino per il CoVid, la notizia recitava “Tizio (nome e cognome dello scienziato) e la moglie scoprono il vaccino”: ma la moglie che faceva? Gli passava le provette o gli portava il caffè? E si parlava di due tra i più grandi scienziati del mondo che hanno trovato una cura salvavita.
I prossimi appuntamenti di Basement Café by Lavazza
- 9 marzo: Elodie & Roberto Saviano (host: Carlotta Vagnoli)
- 23 marzo: Serena Dandini & Piuttostoche (host: Carlotta Vagnoli)
- 6 aprile: Cecilia Sala e Barbascura X (host: Carlotta Vagnoli)
- 20 aprile: Federico Buffa & Ghemon (host: Antonio Dikele Distefano)
- 4 maggio: Ambra Angiolini & Jonathan Bazzi (host: Carlotta Vagnoli)
- 18 maggio: Alessandro Nesta & Stefano Borghi (host: Antonio Dikele Distefano)
- 1° giugno: Sangiovanni & Marco Cappato (host: Carlotta Vagnoli)
- 15 giugno: Frank Matano & Maccio Capatonda (host: Carlotta Vagnoli)
Qui, invece, il link per la puntata del 9 marzo.