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Carmen Di Marzo: “Da un grande dolore nasce una grande felicità” – Intervista esclusiva

carmen di marzo
Nuovo ingresso nella serie tv Mare fuori 4 nei panni della moglie dell’avvocato, Carmen Di Marzo si racconta a The Wom in un’intervista che ripercorre la sua carriera da attrice e i suoi lati più privati.

Carmen Di Marzo è un’attrice dal lungo curriculum che si appresta a mettere scompiglio nella narrazione della serie tv Mare fuori 4 interpretando il personaggio di Gisella, che fa il suo ingresso nella storia con tutta la sua famiglia. Già apprezzata in successo come Arrivano i prof, Confusi e felici e Gomorroide, l’attrice napoletana ha una formazione artistica poliedrica: non solo recita ma canta e balla, affermandosi in teatro con ruoli che vanno dalla drammaturgia classica a quella contemporanea.

“Credo che i rapporti umani siano la cosa più importante: da buona teatrante, la prima cosa che ti insegnano è a stare in comunità, a stare in gruppo”, mi risponde Carmen Di Marzo quando a inizio intervista, ancora prima di parlare del suo ruolo nella serie tv Mare fuori 4, le chiedo se le va bene il “tu”.

Ed è da questa prima risposta che subito si intuisce come Carmen Di Marzo abbia poco a che fare con Gisella, il personaggio che è chiamata a interpretare dal quinto episodio di Mare fuori 4 stabilendo un punto di non ritorno per uno dei personaggi, l’avvocato interpretato da Giuseppe Tantillo.

“Sono nata a Napoli ma ho vissuto la prima parte della mia vita a Pomigliano d’Arco, un paesino vesuviano, ma conosco molto bene la tua Palermo: ci sono stata in vacanza di recente e sono stata dedotta dalla città”, continua stupendomi Carmen Di Marzo, sapendo chi ha dall’altro lato del telefono (non è mai scontato che sia così). “L’innesto culturale della tua città mi ha emozionato tanto, così come mi ha ricordato Napoli: si somigliano molto e poi si mangia benissimo!”.

Che la discussione sia finita su Palermo non è fuori luogo: dopotutto, Carmen Di Marzo sul set di Mare fuori 4 ha lavorato a stretto contatto con Tantillo, attore palermitano. “Giuseppe è un tesoro: è un collega con cui mi sono trovata benissimo.

Carmen Di Marzo (foto: Azzurra Primavera; Press: Licia Gargiulo @Gargiulo&Polici Communication).
Carmen Di Marzo (foto: Azzurra Primavera; Press: Licia Gargiulo @Gargiulo&Polici Communication).

Intervista esclusiva a Carmen Di Marzo

La tua Gisella è un po’ la dea ex machina dietro Alfredo, avvocato “azzeccagarbugli”. Nella loro relazione di moglie e marito c’è un interessante ribaltamento degli stereotipi.

L’ingresso nella storia di Gisella appare quasi ingenuo. I flashback mostrano come abbia conosciuto l’avvocato, facendola sembrare frivola: dà venti euro al parcheggiatore solo perché non ha monete! È la classica figlia di papà, nata e cresciuta in un benessere che non si sa quanto lei si sia mai guadagnata. Cresciuta nella bambagia, ha uno strano rapporto con i soldi: come molte persone ricche non ne ha la contezza.

Alfredo, quando capisce che lei si è innamorata di lui, realizza di aver fatto un bell’affare e la sposa. Anni dopo, si vede come sia stata lei l’artefice del prestigio di quest’uomo, diventato ricco grazie al matrimonio, come sia stata sempre lei a introdurlo a don Salvatore Ricci, il camorrista con cui inizierà a intrattenere gli affari che conosciamo. E, quindi, Gisella è una donna a cui in qualche modo il suo uomo deve molto. Sebbene in preda alla brama di soldi, Alfredo è comunque legato a Gisella proprio perché sa quanto le deve ma ciò non implica che non le voglia bene, anche quando si innamora di Silvia, che di sicuro non è una delle sue tante avventure.

Gisella, grazie a suo padre, cresce in un ambiente dorato. Carmen invece?

Sicuramente non appartengo a una famiglia ricca ma vengo da una famiglia meravigliosa che mi ha dato e mi dà tanto: ho la fortuna di avere ancora entrambi i genitori e un bellissimo fratello. La mia è una famiglia molto bella ma anche molto legata alle tradizioni: sono cresciuta con valori importanti alle spalle che mi hanno anche aiutato tantissimo nella costruzione della mia carriere. Anche se i miei non hanno nulla a che vedere con l’ambiente dello spettacolo, devo tantissimo a loro: nella loro purezza, ingenuità e semplicità, sono stati lungimiranti e saggi nel capire che per me recitare non era un capriccio ma una ragione di vita. Mi hanno quindi sempre sostenuto, lasciato fare e appoggiato.

Chiaramente, come sempre di fronte a qualcosa di nuovo, inizialmente era un po’ diffidenti ma col tempo hanno acquisito fiducia permettendomi di realizzare i miei sogni. Ed io che oggi insegno recitazione so quanto sia stato fondamentale: vedo fin troppi ragazzi che non hanno avuto la mia stessa fortuna e che vengono ostacoli da genitori che considerano la recitazione “evanescente”. Avere qualcuno che ti sostiene e che crede in te ha invece una grande valenza psicologica: ti fa sentire forte e potente nel sapere di avere delle radici a cui fare affidamento nei momenti di difficoltà e precarietà che questo lavoro comporta.

Quello di attore è un mestiere difficilissimo, fatto di alti e bassi e anche di criticità, soprattutto se sei una donna. Tuttavia, ho visto sulla mia pelle che, quando sei determinato e hai talento, ciò che vuoi può realizzarsi e accadere. Ecco perché credo che nella vita si debba assolutamente osare e credere in sé stessi: sembrano parole banali ma sono le uniche che contano quando vuoi agguantare un sogno.

Ricordi ancora l’emozione che hai provato la prima volta che i tuoi sono venuti a vederti in qualche spettacolo?

La ricordo molto bene. Si trattava di uno dei primi spettacoli che portavo in scena a Napoli: avevo 23 anni, Festa di Piedigrotta di Raffaele Viviani con la regia di Nello Mascia e la direzione musicale di Eugenio Bennato, uno spettacolo magnifico che aveva debuttato al Teatro Bellini. Mio padre, che ovviamente non era un habitué del teatro, era molto divertito e contento nel vedere, fuori dal teatro, le locandine o le foto di scena, che gli facevano capire che in qualche modo c’erano dei riflettori che si stavano accendendo su sua figlia. Mi ha raccontato mia madre di quanto fosse orgoglioso in quel momento…

Quello spettacolo ha spalancato loro una porta: hanno cominciato a vedere da vicino cos’era il teatro, a capire quanto belli fossero gli applausi e a familiarizzare con un ambiente che non conoscevano… hanno iniziato a entusiasmarsi anche loro nel realizzare che il mio non era un sogno campato per aria ma un progetto di vita molto concreto. Rivivo con molto affetto quel ricordo: sembravano due bambini nel paese dei balocchi, meravigliati dal teatro, dai camerini, dalla platea…

Carmen Di Marzo.
Carmen Di Marzo.

Il nome nelle locandine per un attore rappresenta anche una sorta di riconoscimento dell’affermazione della propria identità.

Fa effetto vederlo scritto, soprattutto le prime volte. Ma non per egocentrismo o egotismo: è indice semmai del fatto che ce la stai facendo, che ci sei anche tu e che si sta verificando ciò che desideri. È un po’ la sensazione che vivo anche oggi con l’uscita di Mare fuori 4: sono contenta della riconoscibilità e della notorietà, fanno parte del mio mestiere, ma ciò che realmente mi emoziona è il pensare di avercela fatta, di vivere del lavoro che ho scelto e di condurre la vita che ho sempre sognato. È quello a cui aspiriamo tutti, no?

Si chiama anche autorealizzazione.

Sì, ma senza adagiarsi tanto sugli allori. L’avercela fatta non implica che io debba smettere di imparare: in questo mestiere non si finisce mai di crescere e di studiare. Quando mi chiedono se sono un’attrice o se faccio l’attrice, tendo a rispondere che io sono io a prescindere dal lavoro. Il lavoro è importante in quanto rappresenta una parte di noi ma non identifica in maniera totalizzante la mia identità, è solo un aspetto di chi sono.

Dire “io faccio l’attrice” e non “sono un’attrice” salva dall’ossessione.

Esatto. Per tanti anni sono stata ossessionata dal mio lavoro. È solo quando mi sono liberata dall’ossessione che mi sono goduta maggiormente ciò che arrivava o vivevo: ho imparato a non essere troppo attaccata alle aspettative o ai risultati, mi logoravano dentro. All’impegno ho aggiunto la leggerezza: “faccio questa cosa ma tra un’ora ne faccio un’altra”.

Carmen Di Marzo.
Carmen Di Marzo.

Impegno e leggerezza non nascondo però anni di sacrificio e dedizione. Diffido sempre di chi mi racconta il mestiere dell’attore come se fosse una passeggiata.

E fai bene: non credere a quella mistificazione… non credo neanch’io a chi racconta come tutto sia stato facile o, peggio ancora, una favola: “mi hanno notato per strada e mi hanno preso”… forse, poteva accadere in un’epoca in cui non esistevano i social, internet o le moderne forme di comunicazione, quando ancora i registi andavano a scovare volti per le strade. Di sicuro, è difficile che accada oggi: non impossibile ma raro. Anche perché il bel viso, se non è accompagnato da altre qualità, dura il tempo di un attimo: una carriera si costruisce con impegno e professionalità, anche perché più cresci più i ruoli diventano “maturi”.

Quanto hai dovuto sacrificare di te per essere un’attrice?

Tantissimo. Ho sacrificato, a volte, anche la mia sfera privata, soprattutto quando mi è capitato di incontrare uomini che non capivano, che non comprendevano o comunque a cui dava fastidio quest’aspetto della mia vita. Non li giudico: se non si è dentro a un certo tipo di meccanismo, se ne soffrono le conseguenze. Mi sono quindi sacrificata tanto ma poi ho anche raccolto dei risultati enormi e ancora li sto raccogliendo: rifarei tutto quello che ho fatto e non cambierei una virgola del mio percorso.

Sei felice della strada che hai scelto. Cos’è per te la felicità?

Grazie per la domanda: mi permette in primo luogo di spiegare meglio anche una mia recente intervista, molto bella e fedele, uscita su un quotidiano, ma il cui titolo, per ragioni sensazionalistiche, era fuorviante. Non ho mai sofferto di depressione (non mi vergognerei di certo ad ammetterlo), parlerei di disagio semmai: ho attraversato dei momenti difficili come li attraversano tutti quei giovani che, nel cercare di realizzare le proprie aspirazioni, sono sconfortati dal dover costruire tutto da soli.  

A quarant’anni, ho capito che la felicità è legata alla libertà. Che non significa fare tutto ciò che ci passa per la testa. Libertà per me vuol dire scavalcare le convenzioni e i luoghi comuni per riuscire a far le cose appieno in base a ciò che ci corrisponde. La felicità è per me riuscire a vivere senza paure, senza meccanismi autosabotanti e senza spirito disfattista… è facile raggiungere la felicità, è più difficile mantenerla: la vita ti pone davanti a una serie di sfide, difficoltà e ostacoli, ma l’importante è affrontarli sempre con l’idea che tutto sia possibile. Tutti quanti possiamo essere più potenti di quello che pensiamo.

Quand’è stata l’ultima volta che ti sei autosabotata?

Non mi autosaboto da un po’: è un meccanismo che ho abbondonato da qualche anno e a cui cerco di non far prendere più il sopravvento. Da inganno della mente, una volta che ne capisci il gioco, provi a non prenderne parte e quindi oggi non permetto più a certi pensieri intrusivi di avere spazio.

Qual è il pregiudizio più grande che ti sei ritrovata ad affrontare per fare il tuo lavoro?

Nei primi anni di lavoro, mi sono confrontata col fatto di essere una ragazza bella e anche talentuosa. Sembrava quasi che entrambe le cose, il pacchetto completo, non potessero convivere: per molti, o sei bella o sei brava… non sono preparati a vedere come la bellezza possa essere sorretta anche da talento, passione, preparazione, ostinazione, determinazione e carattere. È uno stereotipo maschilista che ho dovuto combattere, un’idea molto primitiva secondo cui era improbabile, anche per gli addetti ai lavori, che bellezza e talento andassero a braccetto. A nessun uomo si direbbe mai “bravo oltre che bello”.

Carmen Di Marzo.
Carmen Di Marzo.

Che rapporto hai con il tuo corpo? Ti sei mai vista sensuale “oltre che brava”?

Ho sempre avuto un ottimo rapporto con la mia fisicità. Avendo iniziato con la danza classica, ho cominciato presto a familiarizzare con l’idea che il corpo sia comunque uno strumento al servizio dell’arte. Mi è dunque sempre interessato curare sia l’interiorità sia l’esteriorità, il fuori e il dentro. Mi rendevo conto che, comunque, sì, ero sensuale anche quando andavo al liceo e non ho mai avuto problemi ad accettarlo perché mi piacevo. La prerogativa per essere sexy non è piacere agli altri ma a se stessi, coltivando un buon rapporto con le proprie forme (qualunque esse siano) e con i propri difetti. La mia non è una bellezza canonica ma, se sei a tuo agio con il tuo corpo e ti piaci, si riflette anche sugli altri.

È un concetto che cerco di tramandare a tutti i miei allievi, sia maschietti sia femminucce: la rincorsa alla bellezza canonica o alle forme perfette o alla magrezza non ha senso… la sensualità ha più a che fare con la propria personalità o al modo in cui si usa l’espressività o la voce. Non si deve aspirare alla bellezza da copertina o da fotoromanzo ma cercare di valorizzare ciò che si ha e di lavorare sulla propria unicità: è la personalità che rende affascinanti ed è molto più forte di un corpo.

Mare fuori è una serie tv se vogliamo sulla speranza.

La parola “speranza” mi piace poco: preferisco “fiducia”. Seppur abbia sempre una valenza positiva, la speranza sembra essere sempre qualcosa che proviene dall’esterno mentre la fiducia parte dall’interno e porta a farci credere innanzitutto in noi stessi… Mare fuori secondo me è una serie tv che valorizza la fiducia in te, negli altri e nei cambiamenti che puoi mettere in atto.

Mare fuori 4: Le foto

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Qual è stato il più grande cambiamento della tua vita?

Sono statti diversi ma il più grande è stato quello che ha fatto seguito due anni fa alla morte del mio compagno. È stato un grande cambiamento interiore che mi ha portata a ristabilire il concetto di priorità, il concetto di vita e il concetto di lavoro. Esperienze così forti inevitabilmente ti cambiano, spingendoti a dare il valore giusto a ciò che inizi guardare in maniera differente da come eri abituato a fare. Per me, ha rappresentato una sorta di rinascita: ho cominciato a riassaporare la vita diversamente e ciò dopo mi ha portato delle cose bellissime, a una rivoluzione tuttora in corso per cui, per certi aspetti, sono grata a quella morte…

È vero che da un grande dolore può arrivare anche una grande felicità. Il considerare la morte solo una circostanza per cui piangere o stare male è una visione limitata: dopo tanto dolore, che è normale che ci sia, si deve fare spazio ad altro affinché si possa imparare qualcosa dal dolore stesso… il dolore arriva per farti capire qualcosa, non perché c’è qualcuno che ti vuole male. Un dolore non trasformato diventa una maledizione per gli anni avvenire: occorre canalizzarlo in maniera sana. Ed io so di esserci riuscita: ne ho visti i frutti.

Sei stata la protagonista di un cortometraggio, Conciliare stanca, sulla violenza contro le donne. In molti sostengono che devono essere le donne a stare attente. Concordi?

No. Per decenni ci hanno cresciuti con l’idea che le donne devono stare attente a come si muovono, a quello che fanno, a come si vestono o a come si relazionano in amore. In realtà, credo che la questione sia un’altra: una donna non deve stare attenta ma deve amarsi e rispettarsi… è il darsi valore che porta una donna a non accettare relazioni disfunzionali o abusanti, facendolo si è già a metà del lavoro. Occorrerebbe sempre prevenire una relazione tossica: non possiamo cambiare gli uomini (o gli altri in generale) ma possiamo cambiare noi stesse alzando l’asticella della nostra autostima.

Hai preso parte anche a diverse commedia, sia a teatro sia al cinema, facendo ridere gli altri: è quasi d’obbligo che ti chieda cosa fa ridere Carmen…

Mi viene in mente una frase di Paolo Sorrentino: “Il bello alloggia dove c’è l’imperfezione”… mi fa ridere il buffo che c’è in noi. Mi diverte quella leggerezza e quella voglia di essere se stessi anche nelle cose più apparentemente stupide ma che in realtà denotano una grande bellezza… mi fa ridere la bellezza goffa e chi ha il coraggio di manifestarla senza temere il giudizio altrui o senza ricercare quella perfezione maniacale che la società impone.

Quando è stata l’ultima volta che hai riso di te stessa?

Non sono una donna che si prende molto sul serio. Lo facevo i primi anni ma adesso sono diventata molto leggera… mentre prima avevo un atteggiamento molto serioso e molto ostinato, e mi arrabbiavo, ora rido di me quando sul lavoro, ad esempio, faccio delle cose che non si rivelano giuste oppure quando le cose non vanno come io avrei voluto.

Carmen Di Marzo.
Carmen Di Marzo.
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