Carolina Crescentini è la voce narrante di Il Cercasuoni, la nuova serie animata in partenza su Rai Yoyo da giovedì 23 novembre alle 16 e disponibile in boxset su RaiPlay, prodotta da Enanimation. Serie inclusiva dagli elevati standard tecnici audio e visivi che uniscono per la prima volta la stop motion e la live action, Il Cercasuoni ha per protagonista un bambino parzialmente sordo, appassionato dei suoni e della natura. Ogni giorno, il piccolo Cercasuoni, con l’aiuto dei suoi apparecchi acustici e della sua comica amica talpa di nome Mole, si mette alla ricerca di nuovi suoni e rumori della natura. Suoni che colleziona con il suo registratore per poi mixarli fra loro e modificarli creando nuove composizioni musicali.
Il viaggio di scoperta del Cercasuoni e di Mole è reso ancora più coinvolgente dal racconto fuori campo di Carolina Crescenti che, come se fosse un personaggio in scena, accompagna con passione e naturalezza i piccoli spettatori e li aiuta a comprendere meglio i pensieri, i gesti e le emozioni del protagonista, consentendo loro di entrare ancora più in empatia e sintonia con lui e la narrazione stessa.
Destinata non solo a un pubblico in età prescolare, Il Cercasuoni ha il grandissimo pregio di avere al centro un bambino con disabilità acustica. Sebbene il CENSIS nella sua ultima ricerca stimi che più di un italiano su 10 (il 12,1%) soffra di problemi uditivi e l’Organizzazione Mondiale della Sanità conti nel mondo che le persone ipoacusiche siano circa 466 milioni, la disabilità acustica è ancora oggi scarsamente rappresentata nei media. Il Cercasuoni non pone l’accento sulla disabilità del protagonista ma la rappresenta come una delle sue caratteristiche non identitarie attraverso storie delicate che mostrano come egli affronta la sua vita quotidiana in modo positivo. Il ritmo e lo storytelling sono pensati per rilassare gli spettatori, tramite tecniche usate nelle scuole per ridurre lo stress nei bambini e aumentare la concentrazione e la creatività, grazie in primis all’immedesimazione nel protagonista.
Di Il Cercasuoni e non solo, abbiamo avuto la straordinaria possibilità di parlare direttamente con Carolina Crescentini subito dopo la conferenza stampa di presentazione della serie animata. Su una cosa ci troviamo subito in totale accordo con Carolina Crescentini: i cartoni animati hanno il dovere di educare al rispetto delle unicità. Sono la prima forma di educazione “indipendente” con cui i bambini si confrontano e come tale hanno il compito di rappresentare l’individuo ad ampio raggio e di far comprendere che non esiste alcun gap.
Come non esiste alcun gap di genere tra uomini e donne. È quasi inevitabile che la cronaca entri nell’intervista a Carolina Crescentini, partendo da quanto ha annunciato di fronte ai giornalisti presenti: il 25 novembre prenderà parte a Roma alla Manifestazione per la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
LEGGI ANCHE - Tutto chiede salvezza 2: su Netflix la serie tv che racconta di salute mentale tra i giovani
Intervista esclusiva a Carolina Crescentini
C’è una domanda che durante la conferenza stampa di Il cercasuoni nessuno ti ha posto. Perché gesticolavi così tanto durante il doppiaggio?
Perché cercavo di darmi un ritmo. Nel doppiaggio, devi rientrare in tempi ben precisi: avevo il cuffia la voce del doppiaggio originale e cercavo di seguirne il ritmo, anche se una frase creata in inglese è molto differente da una in italiano.
Il cercasuoni è una serie tv animata dalla connotazione inclusiva, con un protagonista un bambino parzialmente sordo. Finalmente, anche un piccolo spettatore con problemi di udito potrà riconoscersi in un racconto animato proposto dalla televisione.
Il bisogno di rispecchiarsi è fondamentale soprattutto in quelli che sono i primi anni di formazione. Il cartone animato è la prima forma di educazione a cui vanno incontro i bambini senza l’autorità dei genitori, che penseranno poi al resto. Ed è un suggerimento verso quel processo di normalizzazione di una caratteristica unica, un primo passo per non sentirsi diversi.
Il sentirsi diversi è una sensazione che accompagna tutti noi durante la crescita, sia in rapporto con gli altri sia in rapporto con noi stessi. Ti sei mai sentita diversa?
Beh, sì. Non ho mai subito forme di bullismo estreme, se non quelle piccole cattiverie che a volte alcuni bambini sanno mettere in atto. Mi sono sentita più diversa da grande quando ho fatto delle scelte differenti. L’avere studiato teatro e prima ancora lettere in un mondo di persone che non avevano alcuna curiosità artistica mi faceva percepire come “strana”. Mi avranno chiesto mille volte cosa volessi fare come lavoro vero.
Il protagonista di Il cercasuoni va in ascolto dei suoni della natura. Il tuo lavoro comporta moltissimo lo stare in ascolto.
Per capire un personaggio devo cercare di capire dove ho conosciuto nella vita una persona simile: mi serve un riferimento concreto. Ed è dando confidenza vera, ascoltando ciò che le persone raccontano, che puoi trovarlo: è solo così che comprendi perché si dice o si fa qualcosa. Mi serve per rendere un personaggio credibile e vero.
Ancora oggi vai alla ricerca dei suoni. Quali ricercavi da bambina?
Sono sempre stata molto curiosa. Ricercare i suoni è qualcosa che mi piace e mi incuriosisce. Da bambina, avevo la fortuna di avere una zia meravigliosa che viveva in campagna. Trascorrevo da lei l’estate e di fronte la sua casa c’erano una stalla e i campi con le balle di fieno. Era lì che scoprivo rumori e suoni che in città era impossibile trovare.
Mole, la talpa che accompagna il viaggio di scoperta del Cercasuoni, ha dei tratti che ti risultano molto familiari.
Mole mi ricorda un cane che ho molto amato. Si chiamava Thelma ed era esattamente come lei: pigra, pasticciona, combinaguai ma molto tenera e dolce. Mole è un personaggio che i bambini sicuramente ameranno: non mi stupirei se a Natale volessero tutti quanti regalata una talpa! (ride, ndr).
La versione inglese del Cercasuoni ha la voce narrante di Keira Knightley. Avete però avuto due approcci molto differenti.
Lei è molto più calma nel narrare mentre io ho proprio partecipato al racconto, come se fossi un’amica dei protagonisti e vivessi con loro le loro avventure. Mentre Keira con la sua voce rassicura i bambini, io li carico a molla: è questa la grande differenza tra le due interpretazioni (ride, ndr).
Li carichi a molla perché forse ti ricordi di te bambina?
Divento bambina con loro, è diverso. Il narratore di questa serie animata è come se fosse un terzo personaggio in azione e come tale vive le avventure insieme al Cercasuoni e Mole.
Il Cercasuoni: Le foto
1 / 59Con un pensiero più lato, parlare di inclusività significa oggi fare il punto sul gender gap. Durante la conferenza stampa della serie animata, hai dichiarato che il 25 novembre scenderai in piazza per manifestare contro la violenza sulle donne. Chiaramente, parliamo di un tema molto caldo e che ha un conteggio a oggi (22 novembre, ndr) allarmante: 107 donne uccise da un uomo in Italia dall’inizio del 2023.
Ogni giorno sentiamo di una nuova vittima: evidentemente c’è qualcosa che non va e su cui si deve intervenire. E, quindi, visto che l’educazione, il garbo e il silenzio, non mi pare che abbiano interrotto niente, è arrivato il momento di fare un po’ di casino, di rumore, come ha giustamente sottolineato Elena Cecchettin: ha avuto una grande lucidità e ha detto delle grandi verità. Sono stupefatta dalla quantità di insulti che le stanno scrivendo su Twitter, la più grande terra di odio che abbiamo a livello virtuale.
Sono stupefatta dall’ignoranza ma anche dalla paura che hanno gli uomini che una donna possa difendere i propri diritti: è questo che fa scaturire una strana rabbia da parte di un genere nei confronti dell’altro. Ed è il rimanere stupefatta che mi fa capire che è arrivato necessariamente il momento di fare rumore: primo, perché non vi potete permettere di dire le atrocità che state dicendo; e secondo, perché occorre cambiare. A tutti quelli che sostengono che non si possa dire più niente, suggerisco di non dire più niente: cambiate il vostro linguaggio, semmai.
Il problema del linguaggio è da estendere a tutti i cambi, dai social alla musica, dalla letteratura al cinema e alla televisione. È una questione culturale e strutturale: da secoli, si è trasmessa culturalmente la differenza di genere. È ora arrivato il momento di cambiare lo status quo perché ricordiamoci sempre che è la cultura che influenza la società in cui viviamo. Poiché la classe dirigente sembra perseguire interessi molti diversi da quelli che la società stessa ha, dobbiamo noi far qualcosa: non possiamo stare perennemente in attesa di qualcosa che forse non arriverà mai.
Non sei mai stata vittima di violenza fisica ma di violenza psicologica sì.
Come la maggior parte delle donne. Tutte noi abbiamo vissuto almeno un episodio, più o meno, grave che può aver scatenato conseguenze anche molto aggressive nei nostri confronti. Quella della violenza psicologica è una strada diabolica che molto spesso comincia in maniera sottile quando un uomo sminuisce pian piano una donna: si creano così una serie di infinite insicurezze che non ci permettono di essere indipendenti dall’opinione e dal giudizio altrui.
Non è più accettabile o pensabile che accada. Non lo dico solo per me e per tutte le donne come me: lo dico per mia nipote e per il futuro. Visto che gli adolescenti sono stati già compromessi dalla mentalità patriarcale come dimostrano alcune recenti ricerche, dobbiamo investire sui bambini perché sono gli unici che possono avere una direzione differente. Se ci pensiamo, il cartone animato come dicevamo prima è il primo strumento di educazione: usiamolo ovviamente in una forma favolistica anche per cominciare a parlare davvero di parità, di educazione sessuale o di educazione civica, altro tema ormai dimenticato.
Senza voler sminuire la questione, per chi fa il tuo lavoro, violenza contro le donne è anche non scrivere il nome di un’attrice in un poster dando risalto soltanto ai protagonisti maschili.
È una totale mancanza di rispetto, che si perpetua da troppo tempo. Ma sai quante volte è successo? Troppe. Ci sono mie colleghe che potrebbero raccontare episodi aberranti accaduti giusto un paio d’anni fa. Tutto nasce da quell’assoluta convinzione che sia l’uomo a trainare il cinema. E ho detto tutto.
Sono domande che ti poni quando ti arriva una sceneggiatura?
Più che altro mi chiedo chi interpreterà un ruolo. Posso anche interpretare “la moglie di” ma spero che dietro a quel marito ci sia un grande attore perché altrimenti, in maniera molto sincera, non mi ci metto ad aiutarlo.
Ti dà fastidio essere definita in scena “la moglie di”?
L’importante per me è che dietro quell’espressione ci sia un personaggio con una sua dignità e qualcosa da raccontare.
E a livello privato?
Sono molto fiera di essere la moglie di Francesco Motta ma so che anche lui è molto fiero di essere il marito di Carolina Crescentini: anche questa è parità di genere.
Il tuo nome negli ultimi anni è stato legato alla serie tv Mare fuori. Gira voce che non ti si debbano fare domande in merito.
Più che altro è un percorso per me oramai concluso. Ma è un progetto che ho amato sin dall’inizio: ho tenuto a battesimo tutti quei ragazzi e ho ricevuto tantissimo amore da parte del pubblico. Continuare a parlarne mi sembra quasi una mancanza di rispetto verso la nuova attrice che interpreta la direttrice del carcere. Ma per me è stata una bella esperienza. Quando vedo quei giovani attori partecipare a tanti altri film, ne sono molto fiera: erano un po’ come figli miei. Per loro, sono stata madre, sorella, amica, coach e confidente. E sono stata colei che ogni tanto doveva anche sgridarli…
Giusto un’ultima curiosità: che cartoni animati guardavi da bambina?
Ho amato molto Il libro della giungla: mi sentivo e forse mi sento ancora un po’ Mowgli ma anche Balù o Bagheera. Però, sono cresciuta negli anni Ottanta quando in televisione passavano serie animate un po’ bizzarre dal punto di vista del sottotesto. Pensiamo ad esempio a Lamù: è l’icona dell’amore tossico. Era ossessionata da Ataru: gli faceva scenate di gelosia, lo perseguitava e se lo andava a riacchiappare in mutande e reggiseno. Se ci pensiamo, è inquietante. Come lo è Georgie, con i due fratelli che se la contendevano, o Pollon, con quella polverina che sembrava talco ma che ancora oggi non si capisce cos’era.
In più, c’era anche di sottofondo l’idea per cui la donna si doveva sempre sacrificare: penso a Mimì che si allenava con le catene ai polsi… siamo cresciuti così, sullo sfondo di messaggi diseducativi che nessuno ci spiegava quanto fossero sbagliati.