“Rimarrete stupiti dalla seconda stagione di Prisma”, ci anticipa subito Caterina Forza, l'interprete di Nina, uno dei personaggi più amati della serie tv Prime Video prodotta da Cross Productions i cui nuovi episodi debuttano il 6 giugno. La giovane attrice ci rivela che la sceneggiatura della nuova stagione ha riservato molte sorprese anche per lei. Se nella prima stagione Nina appariva estremamente matura per la sua età, la seconda stagione metterà in luce quanto in realtà sia ancora una ragazza in crescita, con tutte le complessità e le contraddizioni che l'adolescenza comporta.
Caterina Forza, con la sua interpretazione autentica e sensibile, ha saputo dare vita a Nina, una ragazza che cerca di trovare il proprio posto nel mondo tra amori, desideri e segreti inconfessabili. L'attrice stessa ammette di aver dovuto affrontare sfide inaspettate nel portare in scena una quindicenne, nonostante la sua età più matura. Questo confronto tra le esperienze personali di Caterina Forza e il viaggio di Nina nella serie ha arricchito la sua interpretazione, rendendo il personaggio ancora più credibile e sfaccettato.
Prisma, sotto la direzione di Ludovico Bessegato, continua a distinguersi nel panorama delle serie TV per la sua capacità di raccontare in modo autentico e inclusivo le storie dei giovani protagonisti. Caterina Forza, con la sua apertura mentale e il suo impegno nel rappresentare temi come la fluidità di genere e l'identità sessuale, incarna perfettamente lo spirito della serie. La sua interpretazione non solo dà voce a questi temi, ma li rende accessibili e comprensibili al grande pubblico.
Con il ritorno dei personaggi di Prisma, gli spettatori possono aspettarsi un'esplorazione ancora più profonda delle dinamiche adolescenziali e della scoperta di sé. Caterina Forza, con la sua interpretazione sincera e toccante, promette di portare sullo schermo una Nina che continuerà a sorprendere e ispirare.
Intervista esclusiva a Caterina Forza
“Rimarrete stupiti dalla seconda stagione di Prisma”, ci anticipa subito Caterina Forza quando le chiediamo quali sono le novità che attendono la sua Nina. “Io per prima sono stata abbastanza sconvolta quando ho letto la sceneggiatura: nella prima stagione, Nina era stata presentata secondo me come una persona estremamente matura per la sua età. Nelle nuove puntate, invece, accadranno delle cose che sottolineeranno quanto in realtà sia ancora piccola: non dimentichiamo, come abbiamo visto nell’ultimo episodio, che ha appena compiuto sedici anni e, quindi, la vedremo reagire come dovrebbe fare un’adolescente. Per certi versi, è come se si riprendesse la sua età”.
Cosa ti ha lasciato Nina e cosa hai portato invece di te in lei?
Quando il personaggio di Nina è entrato nella mia vita per la prima volta avevo 22 anni e credevo che fosse molto semplice interpretare una quindicenne. Avendo vissuto già vissuto quel periodo, credevo di poterlo riportare in scena senza andare incontro ad alcune difficoltà ma mi sbagliavo: siamo tutti diversi e affrontiamo tutti la vita in maniera differente.
In lei, ho ovviamente potuto mettere del mio: Ludovico Bessegato, regista e cosceneggiatore della serie con Alice Urciuolo, sin dai provini aveva intravisto qualcosa di Nina in me ma sono riuscita a capirlo solo quando siamo diventate durante le riprese un’unica persona. Per certi versi, abbiamo un carattere simile: Nina è estremamente sensibile ed emotiva come me, due caratteristiche che non tocchi finché non entri a far parte della sua vita e della sua intimità.
Nina, molto sinceramente, mi ha lasciato un po’ di brio. Me ne sono accorta dopo la fine delle riprese della seconda stagione, quando sono tornata alla vita reale con tutte le preoccupazioni di una venticinquenne, dal pagare l’affitto al fare la spesa.
Nel panorama delle serie tv, Prisma si distingue per come racconta l’unicità dei suoi protagonisti. Non hai avuto paura di portare in scena situazioni che in qualche modo potevano farti uscire dalla tua comfort zone?
No, perché ho sempre avuto dei pensieri che ritengo giusti su temi come la fluidità, l’identità di genere o l’orientamento sessuale. Sin da piccola, sono stata abituata a una certa predisposizione all’inclusività tanto che il racconto della serie tv non mi è sembrato né strano né straordinario: tutto era in linea con ciò che accade nel percorso di ognuno di noi quando cresciamo e cominciamo a porci determinate domande su chi siamo.
Mi sono semmai spaventato quando, per affrontare le storie, siamo entrati maggiormente nel merito delle situazioni raccontate. Per farlo, siamo entrati in contatto con i gay center, abbiamo conosciuto molte persone e abbiamo lasciato che ci guidassero verso quella che doveva essere la nostra nuova vita in scena, soprattutto per quanto concerne la fluidità di genere e la sessualità. La mia paura non nasceva da quello con cui mi relazionavo ma dall’avvertire sulle spalle una grossa responsabilità: temevo di non riuscire a interpretare Nina per come meritava.
La responsabilità derivava anche da un altro fattore che non si può non tenere in considerazione: i personaggi della serie sono credibili e permettono a chi la guarda di rispecchiarsi.
È una novità rispetto alle molte serie tv o film adolescenziali che guardavo io mentre crescevo. Siamo cresciuti con il dire ‘vorrei essere io’ nel mirare qualcuno la cui vita veniva raccontata mentre Prisma ha fatto sì che quel condizionale sparisse e si trasformasse in ‘sono lei o sono come lei’. A chi, tra amici e conoscenti, mi dice di non aver visto ancora la serie scusandosi, rispondo sempre che non deve scusarsi con me ma con se stesso proprio perché il racconto ha come obiettivo quello di educare e formare ma anche di aiutare a capire chi si è.
Tu quando hai realizzato chi eri?
Non ho ancora la minima idea di chi sono e non so ancora nulla di me stessa. Chiedersi chi si è ha un inizio e non ha mai una fine: noi esseri viventi mutiamo tutti i giorni della nostra vita. Cominciamo a farlo sin da quando nasciamo ma non ce ne rendiamo conto fino al giorno in cui non ce la poniamo come domanda.
Ricordo bene, però, quando è stato il momento in cui l’ho realizzato: ero al liceo, consideravo naturali i miei cambi di aspetto e non davo loro peso fino a quando non è arrivata improvvisamente l’ansia per il futuro. È stato quello lo switch che mi ha fatto capire che stavo crescendo: tutto ciò che accadeva prima era il frutto della ricerca di me stessa, una ricerca che si è rivelata continua e che ancora oggi va avanti. Non riesco ancora a darmi una risposta su chi sono o come mi sento…
Da che cosa dipendeva l’ansia per il futuro?
Soffro molto d’ansia, in generale. I primi attacchi sono arrivati quando ancora frequentavo le scuole elementari: mi terrorizza l’ignoto in qualsiasi sua forma. E, ovviamente, il futuro è molto legato all’ignoto: è un’incognita che non ti porta mai a sapere cosa accadrà domani. Ho quindi paura di quello che potrebbe accadermi a livello personale ma anche di quello che ne sarà di noi giovani in questo particolare momento storico.
Non ti fa paura l’incertezza del lavoro precario che hai scelto?
Paura? Io odio il mio lavoro. Vivo con esso un rapporto di odio e amore che è frustrante. E lo odio perché non voglio che vinca su di me, tanto che mi sono data persino un limite: se entro una determinata età non mi permetterà di mantenermi al 100%, nonostante sia l’amore della mia vita, lo lascerò. Non appartengo a quella schiera di persona che si fa bastare il 10% e ingoia il 90% che va male: sono troppi i fattori che non dipendono dalle mie scelte e non vorrei soccombere a essi.
Essere alla continua ricerca della propria identità permette però di individuare aspetti di sé che non si erano mai conosciuti prima. Cosa ti ha sorpreso scoprire di te?
Pensavo di essere una persona dolce, pacata e ragionevole, che teneva tutto per sé e non creava problemi. Più crescevo, più mi convincevo di esserlo davvero. E, invece, ho scoperto che sono molto diversa: sono molto tosta e complicata. Accettarlo è però difficile, perché vorrei essere molto più semplice.
Quando hai scoperto invece di amare la recitazione?
Il mio amore per il cinema è arrivato molto tardi rispetto a quando poteva nascere: paradossalmente, mio padre ha sempre lavorato nel settore e a me capitava molto spesso da piccola di passare su un set per salutarlo. Ogni volta che entravo in quel mondo, mi incantavo ma era un’infatuazione leggera, che lì nasceva e finiva.
L’amore vero e proprio è scattato nel momento in cui, crescendo, ho cominciato a selezionare ciò che guardavo: non mi bastavano più i prodotti iper commerciali, cercavo storie che mi sconvolgessero, emozionassero e cambiassero punto di vista sulle cose. Ed è stato allora che ho capito di voler diventare come gli attori che vedevo, in grado di far provare emozioni e suscitare pensieri anche con una sola scena.
Tuttavia, crescendo, ti teneva compagnia la musica. Che valore ha avuto?
È stata, è e sarà la cosa più importante della mia vita: è arrivata prima di ogni altra forma d’arte e c’è sempre stata. Già a sei anni ho cominciato a studiare pianoforte e frequentare danza mentre la passione per il canto è arrivata quando frequentavo le scuole medie e non mi ha più abbandonata. Al liceo scrivevo e pubblicavo le mie prime canzoni, partendo una volta finite le superiori per Londra pr andare a studiare canto.
Per me, la musica è essenziale. Ma lo è talmente tanto che, anche recitando, continuo a portarla avanti per me stessa. L’ho messa da parte per gli altri ma non c’è settimana che io non mi sieda al pianoforte per cantare. Nonostante anche la recitazione lo sia, trovo la musica molto più intima e personale, qualcosa che custodisco come un primo amore: recitare comporta cercare altro da sé e restituire una voce che non è la tua, comporre e cantare invece significa essere se stessi e basta, guardarsi dentro e ascoltare la propria voce. C’è molta differenza tra le due cose, non assegno priorità o importanza all’una o all’altra ma so quanto diversi siano come mezzi di comunicazione.
Attribuisci alla musica un valore terapeutico?
Assolutamente sì, forse anche troppo. Nei momenti di grande sofferenza, arrivo anche a non suonare, cantare o ascoltare canzoni non solo mie ma anche di altri artisti perché so quanto la musica sarebbe capace di smuovere le emozioni che tengo dentro. Non a caso, per girare le scene di Prisma 2 in cui Nina piange tantissimo il regista faceva partire in sottofondo Je te laisserai des mots di Patrick Watson, che per me è in grado di smuovere l’universo intero.
Cosa ti emoziona?
Tante cose. Se vedo una coppia di anziani per strada che camminano mano nella mano, scoppio a piangere fino a rasentare l’imbarazzo. Non nascondo di piangere molte volte al giorno per cose che ogli occhi degli altri possono apparire insignificanti.
E hai pianto quando non hai superato le audizioni di X-Factor?
In quei giorni ho interiorizzato il pensiero per cui le lacrime non finiranno mai. Sono stata molto male e per un anno e mezzo non ho cantato, autopunendomi in un certo qual modo, fino a quando non ho capito che non potevo soffrire così tanto per qualcosa che in realtà mi fa stare molto bene.
L’hai presa come un fallimento?
Quello era il fallimento, ma per fortuna sono riuscita ad andare oltre: ho poi ricominciato a cantare e sono andata a Londra a fare due anni di musica. Ma sì, l’ho considerato un fallimento, tanto che dentro di me mi detestavo e mi odiavo. Nel frattempo, però, sorrido: ho sempre cercato di custodire per me come mi sono sentita e oggi sta venendo fuori in maniera naturale. Ma è giusto parlarne, anche perché può essere di stimolo per chi continua a tenersi dentro qualcosa che lo logora o lo fa soffrire.
L’aspetto curioso è che ancora oggi non sono in tanti a sapere di quell’esperienza: non è andata mai in onda. Ero ancora un’adolescente, non avevo nemmeno compiuto diciotto anni ed erano le prime audizioni a cui mi presentavo. Con il senno di poi, ero emotivamente instabile: era la prima volta, tra l’altro, che cantavo davanti a un pubblico.
Ti imbarazza la sincerità del racconto?
No. Non riesco a fingere di essere chi non sono e non sostituirei la mia vita con nessun altro: mi sento estremamente fortunata nel guardarmi intorno e considerando il periodo che stiamo vivendo sul pianeta Terra. Rispetto ad altri, mi sveglio ogni mattina, condivido casa con la mia migliore amica (il sogno della mia vita l’ho realizzato), quattro volte a settimana lavoro come baby-sitter, frequento l’università, vedo tutti i giorni le mie amiche e, quando posso, vado a trovare i miei genitori.
Prisma: Le foto della serie tv
1 / 25Cosa studi?
Cinema, al Dams. Ma non per avere una laurea da appendere al muro ma per cultura personale, per arricchimento del mio bagaglio.
Perché lavori come baby-sitter?
Non raccontiamoci cazzate: a quest’età, a meno che non si sia raggiunto un certo livello, quello dell’attore non è un mestiere la cui paga di permette di mantenerti e affrontare ogni spesa. Gli amici pensano che io abbia svoltato e che quando dico di no alle uscite sia perché me la tiri: in realtà, è perché sono occupata come babysitter e quando lo dico tutti si stupiscono… la gente crede che per fare un film o una serie tv ti riempiano di milioni di euro (ride, ndr)!
Al di là della falsa percezione del tuo lavoro, cosa ti dispiacerebbe che si dicesse di te, soprattutto sui social?
Che sono ignorante riguardo ai temi di cui parlo. Mi impegno tanto a non toccare argomenti di cui non sono educata o di cui non cose informata. Cerco semmai ogni volta di parlare di questioni che mi appartengono e a cui tengo particolarmente.
Ti senti una donna libera?
Come donna, in Italia, non mi sento libera. La risposta è molto complessa come l’argomento in sé. Come Caterina, posso sentirmi libera ma ci sono ancora tante questioni sociali aperte che da donna mi impediscono di dire che sono libera. Sono state ad esempio diverse le situazioni in cui non sono stata libera di essere me stessa proprio perché donna dovendo in quei casi fare anche un passo indietro per tutelarmi. Penso a quelle volte in cui rientrando a casa da sola ho dovuto star zitta di fronte a episodi di catcalling o stalking: in questo, mi sento anche codarda perché solitamente tendo a reagire ma solo in presenza di altri.
Da sola, non potrei mai farlo perché non sai chi c’è dall’altro lato o cosa ha con sé. Ma, quando è accaduto in pubblico, ho potuto notare come qualcosa stia lentamente cambiando perché mi sono sentita libera di chiedere aiuto ricevendolo. Forse, stiamo imparando a essere civili: nel momento in cui c’è qualcuno disposto ad aiutarti, significa che c’è qualcuno disposto a cambiare lo stato delle cose.