Caterina Shulha è uno dei quattro ingressi della seconda stagione della serie tv Il Re, il prison drama Sky Original che, prodotto da Sky Studios con Lorenzo Mieli per The Apartment e con Wildside (entrambe società del gruppo Fremantle), in collaborazione con Zocotoco, andrà in onda dal 12 aprile su Sky Atlantic con due nuovi episodi a settimana.
Negli otto nuovi episodi diretti da Giuseppe Gagliardi, la storia riprende laddove si era interrotta nella prima stagione. Bruno Testori (Luca Zingaretti), Il Re, è ora un detenuto rinchiuso nel suo stesso carcere. Almeno finché Gregorio Verna (Fabrizio Ferracane), capo dei servizi segreti, fa cadere le sue accuse e lo reintegra nel ruolo di direttore. In cambio vuole che faccia parlare un detenuto che sta per essere trasferito al San Michele: Vittorio Mancuso (Thomas Trabacchi), un magistrato molto conosciuto accusato dell’omicidio di una dipendente della Slimpetroil S.p.a., rinomata e importante compagnia energetica di bandiera.
Nonostante l’uomo proclami la propria innocenza, Verna sostiene che è colpevole e vuole che Bruno scopra cosa il magistrato e la vittima si siano detti per mesi e perché poi lui l’abbia uccisa. E questo tassativamente prima che Mancuso vada a testimoniare davanti a un GIP. Hanno dieci giorni di tempo per avere quelle informazioni. Nello sviluppo del racconto, Caterina Shulha interpreta il fondamentale ruolo di Claudia Agosti, giovane avvocatessa, determinata e ambiziosa. Suo padre Ottavio Agosti, capo di un prestigioso studio legale, le ha affidato il caso di Vittorio Mancuso, il magistrato arrestato con l’accusa di omicidio. Claudia ritiene il suo cliente innocente.
Alleandosi con Bruno, scoprirà che dietro a quell’accusa di omicidio c’è un intrigo di menzogne e interessi insospettabili. E voler fare giustizia a tutti i costi potrebbe risultare particolarmente rischioso e controproducente.
Intervista esclusiva a Caterina Shulha
Torniamo a incontrare Caterina Shulha a un anno di distanza. Da allora, diversi progetti a cui ha preso parte hanno raggiunto il pubblico: il film The Land of Dreams è sbarcato su Netflix, la serie tv di Rai 1 Sopravvissuti ha richiesto una seconda stagione la cui lavorazione è appena terminata e il film The Boat è stato distribuito in quasi 20 Paesi nel mondo. “In Italia siamo in attesa di novità: sto chiedendo anch’io aggiornamenti ma, a meno che non ci nascondano informazioni, non si sa ancora nulla”, scherza Caterina Shulha, “anche perché, secondo me, è un film molto bello”.
Come bello e raro è un ruolo come quello di Claudia Agosti, l’avvocatessa che ti ritrovi a interpretare dal 12 aprile nella seconda stagione della serie tv Sky Il Re. Il tuo è un ruolo femminile ben delineato lontano da certi cliché e luoghi comuni che nella serialità televisiva circondano solitamente la figura dell’avvocatessa.
Vedendo le prime quattro puntate, anch’io ho avuto una sensazione di novità nello specchiarmi dall’esterno: ho sentito il regista Giuseppe Gagliardi e gli ho fatto i complimenti perché mi sono vista molto diversa da tutto ciò che ho fatto in precedenza. Ma non solo: quello di Claudia Agosti è anche un ruolo femminile differenti da quelli che vedo ultimamente anche per come abbiamo lavorato sul set. Divido la scena soprattutto con Luca Zingaretti e i nostri dialoghi sono molto pacati, molto calcolati e ben scritti.
Se vogliamo usare una metafora, sono delle belle partite a scacchi…
Esatto. I dialoghi sono molto mirati. Siamo abituati a vedere avvocati molto veloci e sbrigativi, molto dinamici, ma nel creare Claudia insieme a Gagliardi abbiamo scelto una chiave differente. E, ripeto, vedendomi dall’esterno ho avuto una piacevole sorpresa: mentre sei sul set sai quello che stai provando ma rivedersi è sempre una novità… mi ha dato una sensazione nuova.
Come hai delineato il personaggio di Claudia mentre lo interpretavi?
Sono stata in linea con come mi sentivo io sul set, c’è stato come un allineamento tra quelli che erano i miei sentimenti interiori e i suoi. Claudia è una donna che conosce il suo mestiere ma che, vista la giovane età, non ha tantissima esperienza. Un po’ come me: ho lavorato ma ancora neanche troppo… Sia per lei sia per me si è trattato di entrare in un mondo nuovo, in qualche modo già formato: non provenivamo dalla prima stagione e dovevamo trovare il nostro posto in un cast e in una crew già affiatata. In più, lavorare con un professionista del livello di Luca Zingaretti comporta un grande senso di responsabilità.
Una bella sfida da affrontare, anche per il carico di aspettative…
Luca è stato un compagno di viaggio veramente meraviglioso, paterno e comprensivo. Ma, considerando la grandezza della carriera che ha alle spalle, è anche un compagno di viaggio che inevitabilmente mette timore. Tuttavia, ciò mi ha dato una bella carica dall’inizio alla fine delle riprese: non c’è stato mai un momento in cui mi sia rilassata un pochino, tanto che tornavo a casa esausta. È stata però una bella sfida: si capiva che operavamo in ambito diverso anche da come veniva affrontata la tipologia di lavoro o da come veniva dosato il personaggio sul corpo di una donna.
E, da donna, ti muovi nella serie più a stretto contatto non con i personaggi femminili ma con quelli maschili. È stato facile vivere il confronto con gli uomini?
Per quanto mi riguarda, non vivo mai il confronto: sono più per il gruppo che per il singolo. Un progetto, per me, ha un’ottima riuscita se tutti quanti remiamo dalla stessa parte e lavoriamo per il medesimo obiettivo e non ognuno per i propri primi piani. Però, è vero che è stato sicuramente un set diverso da quelli a cui ero abituata: c’è un cast prevalentemente maschile ed io interpreto un personaggio “scomodo” sia per la storia sia per la parte visiva.
Claudia, ad esempio, è molto solare e luminosa non solo per i suoi tratti fisici ma anche per i costumi dai colori chiari che indossa: è stato molto interessante portarla in un mondo completamente opposto al suo. Mi sono ritrovata molto nei suoi sentimenti perché anche per me si trattava di entrare in un territorio che non conoscevo, a contatto con persone con cui non avevo mai lavorato prima e in un contesto prevalentemente maschile, dove se sei una ragazza con i capelli biondi e con dei pazzeschi cappotti di cashmere devi dimostrare subito cosa sai fare.
È un pregiudizio che è duro a morire quello dei capelli biondi?
Un po’, sì. Ma devo ringraziare Giuseppe per aver fatto in modo che Claudia fosse anche una bella donna: perché un’avvocata oltre che brava non può essere bella? Giuseppe ha preso alla fine un’attrice di una fisionomia non proprio ‘classica’ per il ruolo e per la professione proprio per sfidare lo stereotipo per cui non si può essere brava e bella. Il suo nei miei confronti è stato un bell’atto di fiducia.
Ti sembra che si fatichi ancora molto ad accettare l’idea che bellezza e bravura in un’attrice possano coesistere?
Sì. Tanto che spesso, quando mi presento ai casting per il ruolo, che ne so, di una romana di borgata, sulle prime non vorrebbero nemmeno provinarmi perché non sarei adatta all’immagine che hanno in mente. Tutte le volte provo a spiegare che il lavoro di un attore consiste anche nel cambiare e nel cambiarsi, tant’è che spesso mi sono ritrovata a dover tagliare i capelli, a rasarli o a tingerli. Sarebbe bello che ci fosse maggiore apertura in tal senso, come fanno nelle serie soprattutto americane, dove non ci sono limiti per certi tipi di ruolo e l’aspetto fisico può convivere con la bravura.
Claudia crede profondamente nella giustizia. Cos’è la giustizia per Caterina Shulha?
È un argomento molto vasto. Però, giustizia ultimamente è anche avere la libertà di esprimersi senza essere attaccati o sentirsi subito in difetto. In un mondo pieno di molti pregiudizi, non solo sui luoghi di lavoro ma in ogni ambito sociale, cerchiamo tutti di portare avanti il motto dell’apertura mentale ma spesso sul piano pratico alle parole non corrispondono i fatti. Sarebbe molto bello invece poter collegare teoria e pratica.
Giustizia sarebbe anche non essere interrotti mentre si parla, soprattutto dagli uomini.
Cerco sempre di non fare distinzioni tra uomini e donne. Quando sento ad esempio parlare di un bando in più per sole registe donne, mi irrita: se già pensiamo a priori alla differenza tra registe donne e registi uomini, vuol dire che siamo i primi a tracciare un confine. Per me, siamo tutti esseri umani e persone che lavorano insieme. Non mi capita spesso di essere interrotta proprio perché cerco sempre di dimostrarmi aperta e ben disposta sin da subito, evitando che l’altro arrivi alla mancanza di rispetto. È un po’ come quando in due si litiga: se nel farlo, tu abbassi la voce, all’altro passa anche la voglia di farlo.
Claudia si muove in un mondo di menzogne: tutti hanno qualcosa da celare. Quali sono le menzogne che invece tu ti sei raccontata per stare bene?
Quelle che fanno parte del nostro quotidiano. Esempio stupido: mi alleno un po’ di più in inverno per un lavoro mentre con l’arrivo della primavera, con l’arrivo del caldo e l’aumento delle uscite, rallento la preso, mangio un po’ di più e bevo qualcosa… ed è lì che scatta la menzogna, al mattino, quando mi alzo: “Non fa niente, stai bene lo stesso”. In realtà, no: avrei dovuto allenarmi di più (ride, ndr)! fa comunque parte dell’essere umano raccontarsi bugie per sentirsi meglio, dalle più piccole alle più grandi.
E sul lavoro?
Forse dovrei qualche volta farmi qualche lode in più. Tendo sempre a sottrarre più che a sentirmi arricchita da qualcosa di bello.
Passato da modella, carriera da attrice, due gravidanze portate a termine di cui una gemellare: che rapporto hai oggi con il tuo corpo?
Sicuramente è cambiato perché mi ha dato degli stimoli differenti rispetto a prima. Arriva a un certo punto della tua vita il momento in cui ti accetti e impari a stare bene con te stesso e nel tuo corpo. Inevitabilmente, non posso essere la stessa persona che ero dieci anni fa, sia psicologicamente sia fisicamente: da perfezionista talvolta mi racconto le menzogne di cui prima ma a mente lucida so che non posso essere quelle che ero a vent’anni. È anche giusto abbracciare quell’evoluzione che è ancora in corso in me, accettare il cambiamento ma non subirlo passivamente: se c’è qualcosa che non piace, non ci si dovrebbe arrendere… si può sempre far qualcosa, si può sempre migliorare.
Hai comunque solo 31 anni ma sembra quasi che tu ne abbia di più. Forse perché sei cresciuta in fretta e hai fatto scelte che solitamente si fanno molto più avanti nel tempo. Nessun rimpianto?
No, assolutamente. Rifarei ogni scelta, tra cui la più grande: quella di avere dei figli subito, da giovane. Anche perché vedo con l’esperienza quanto complicato possa essere gestirli con il passare degli anni e organizzarsi, soprattutto quando il lavoro ti richiede un po’ di studio in più. Nonostante tutta l’organizzazione che si possa avere, i figli richiedono un’occupazione costante non solo fisica ma anche mentale: sono un pensiero fisso nella tua testa. Però, nessun rimpianto: rifarei tutto.
Guardandoti allo specchio, rivedi ancora i sogni che avevi da adolescente?
Ci pensavo stamattina durante un’intervista con una tua collega, che mi ha ricordato i tantissimi progetti, molto diversi tra loro, a cui ho preso parte. Solitamente, mi agito tantissimo durante la promozione di un nuovo lavoro ma il momento forse più bello è quando i giornalisti mi ricordano tutto quello che ho fatto proprio perché da sola mi direi di non aver ancora fatto niente di niente. Finita l’intervista, mi sono guardata allo specchio e di essermi detta per la prima volta di aver fatto un bel po’ di cose. Quindi, sì, decisamente sì: rivedo quello che avrei voluto allora, quel desiderio di far qualcosa che mi desse tanta soddisfazione da grande.
Ti senti dunque autorealizzata?
Sì.
In questo processo di autorealizzazione hai anche fatto la regista. Ne abbiamo parlato approfonditamente lo scorso anno. Guardandoti intorno pensi che sia cambiato qualcosa nel mondo circostante?
È solo peggiorato. Gli avvenimenti degli ultimi mesi hanno dettato un cambio nell’agenda setting: si parla meno della situazione in Ucraina per concentrarsi maggiormente sugli scontri tra Palestina e Israele. Ma il punto rimane sempre lo stesso: il senso di angoscia che mi cresce dentro. In Bielorussia, invece, da quando ci siamo parlati la prima volta, la situazione non solo non è cambiata ma è anche peggiorata.
Eppure, in mezzo a tanti pensieri che possono sembrare deprimenti, da persona molto cerebrale ho potuto constatare qualcosa di molto bello a cui prima non facevo caso: ho pensato a quanto sono fortunata e a quanto siamo fortunati rispetto a quello che sta succedendo altrove. Ho trovato forse un po’ di bene nel male… ho smesso anche di lamentarmi, anche delle piccole cose molto stupide.
Al tuo film, era legato anche un progetto di case accoglienza al confine tra Bielorussia e Polonia. Siete riusciti a raggiungere qualche obiettivo importante?
Sì. Come si può ben immaginare, anche il solo fatto di continuare a mantenerle è un ottimo traguardo: sono strutture che si auto-mantengono grazie ai fondi raccolti. Non arrendersi alle varie difficoltà è già una soddisfazione, anche se siamo sempre in prima linea per cercare di migliorare le strutture esistenti e di capire come superare anche i piccoli ostacoli.
Un anno fa, abbiamo parlato anche a lungo del tuo trascorso. La Caterina di oggi è più serena a riguardo? Ha metabolizzato tutto per andare avanti?
Sì. E mi ha aiutato anche tutta la consapevolezza e la riflessione a cui accennavo prima: da un momento all’altro, potrebbe scoppiare tutto ed io vorrei che quella capacità di apprezzare il presente ogni giorno non rimasse solo una frase scritta sui libri ma anche un bellissimo gesto da mettere in pratica. Ho gettato le basi provando a vedere del bene anche nella mia esperienza personale.
Cosa apprezzeresti di più di te guardandoti con un occhio esterno?
Forse la tenacia e la sincerità, non solo verso gli altri ma anche verso me stessa. Non sono mai stata in luoghi, posti, situazioni o pensieri in cui non mi andava di stare: è stato un grande regalo il poter gestire tale libertà e non essere intrappolata in dinamiche che non mi piacciono. Ho sempre avuto sia la fortuna sia il coraggio di dire “No, non mi va”.
Pretendi ancora tanto da te stessa?
In parte, ho rivoluzionato anche quel lato del mio carattere. Anche se è molto difficile farlo: quando sei abituato a essere responsabile di tante cose, in primis di te stessa, non è facile allontanarsi da quel tipo di mentalità. Ho imparato però a saper delegare, a trovare le persone giuste a cui nel momento giusto e nelle modalità giuste affidare qualcosa. Di tempo non ne abbiamo molto e non va sprecato.
Il Re: Le foto della serie tv
1 / 45Ti vedremo in Blackout 2?
Sì, abbiamo appena finito di girare. Ma sto cominciando anche una nuova serie tv per Rai 1, a Roma: si intitola Costanza e sarò una storica, un personaggio del tutto nuovo, a fianco di Miriam Dalmazio e Marco Rossetti, con cui abbiamo girato insieme proprio Blackout.
Quanto tempo impieghi per preparare un nuovo personaggio?
Più o meno, le ore che dormo. Mi sveglio spesso mentre dormo pensando ad aspetti che mi segno sul telefono, ad esempio. Appartengo alla categorie di coloro che cominciano a pensare ai ruoli dal momento in cui vengono confermati: anche se sto lavorando a un altro progetto, raccolgo idee e suggestioni unendo più persone dentro me.
Riesci poi a scrollarti di dosso facilmente i personaggi portati in scena?
Purtroppo, non ho il lusso di portarmeli dietro per molto tempo: quando torno a casa, sono assalita dai miei tre bambini. Forse, è anche per questo che per certi versi preferisco lavorare fuori: mi riposo la testa e riesco a staccare del tutto. Mentre giravo Il Re ero molto tesa anche per questa ragione: mi aspettavamo scene molto lunghe e complicate anche verbalmente e avrei avuto bisogno di concentrarmi maggiormente. Mi è però stato di grande aiuto il fatto che l’avvocata era uno dei lavori che avrei voluto fare da piccola: al liceo, mi gasava tantissimo studiare Diritto.