Chadia Rodriguez, tra le pioniere dell’hip hop femminile italiano e apripista per molte sue colleghe, è tornato con un nuovo singolo dal titolo Criminale. Ancora una volta, Chadia Rodriguez si mostra una donna determinata e sicura di sé, consapevole di quanto l’autodeterminazione sia una chiave vincente per non soccombere a chi vorrebbe prendere in mano le sorti delle nostre esistenze e scegliere al posto nostro.
Con Criminale (il cui videoclip ufficiale uscirà a breve dopo vari “antipasti” lanciati sui social), Chadia Rodriguez prosegue il percorso iniziato con il precedente singolo, Bitch 3.0, avvinandosi a una marcata attitudine latin. “Ho voglia di sfidare i miei stessi limiti e approcciarmi a un genere musicale diverso dal puro rap”, ha lei stessa spiegato, consapevole di quale potrebbe essere la risposta da dare a chi potrebbe intravedere nella sua nuova direzione una scelta un po’ più commerciale. Risposta che ci rivela nel corso di quest’intervista esclusiva, in cui ancora una volta Chadia Rodriguez si mostra senza timore di apparire a tratti vulnerabile (come quando ricorda i giorni a scuola) e a tratti “casalinga”.
E quando le facciamo notare che stiamo, parola per parola, decostruendo la sua immagine da criminale, Chadia Rodriguez sorride: è l’altro lato della medaglia, quello della venticinquenne che prima di partire per un viaggio si prende cura dei suoi gatti per lasciarli nel pieno comfort della sua casa. E, in fondo, un po’ di spirito felino alberga anche in lei: fiera e indipendente, Chadia Rodriguez è con le sue imperfezioni il simbolo di è sempre pronta a evolversi e a sfidare lo stereotipo del non si può.
Intervista esclusiva a Chadia Rodriguez
Sentire Chadia Rodriguez spiazza sin dal primo momento. Laddove altri cominciano le conversazioni con un tu che appare ormai scontato, Chadia Rodriguez usa un rispettoso lei: “Non voglio farti sentire vecchio”, risponde alle mie rimostranze, “ma è solo che la mia mamma mi ha sempre insegnato che si dà prima dei lei e che si usa il tu se ti danno il permesso di farlo. È la forza dell’abitudine: riesco a dare del lei anche a ragazzini che hanno meno della mia età”.
Trascorsa bene la Pasqua?
In questi giorni di Pasqua mi sono concentrata più sulla mia casetta. In realtà, ho pulito e mi sono rilassata. A breve parto e, quindi, prima di andare via, ho deciso di dare un bell’aspetto alla mia casa per lasciare i miei gattini nel comfort, come sempre. Mi piace pulire ma no stirare: lasciatemi portare ancora ancora le cose in lavanderia!
Allora così criminale, come da titolo della tua canzone, non sei?
È l’altra faccia della medaglia: Criminale nasce per ricordarmi in primis da dove vengo perché, comunque, sono cresciuta in una brutta zona con tante brutte situazioni che sono successe veramente… ma ho deciso di voler cambiare la mia vita e, quindi, oggi sono una donna di casa… quasi una casalinga, anche perché ormai anche l’età comincia a farsi sentire!
Togliamoci subito il sassolino della scarpa: hai voluto anche un po’ prenderci in giro con il titolo, giocando con una storia di cronaca che qualche tempo fa ti ha riguardata…
Eh, sì: è un po’ goliardico… ma io mi diverto ma mi diverte soprattutto che le persone si applichino un po’ per capire cosa intendo veramente. Non c’è niente di più bello per me dei gesti per poter capire un’artista, le sue canzoni o il messaggio che sta cercando di mandare.
A proposito: hai visto la terza stagione di Mare fuori? C’è un personaggio appena introdotto che in qualche modo ti ricorda…
Devo essere sincera? No, non l’ho visto. Ma sono a conoscenza del personaggio: che cavolo! Avrebbero potuto chiamare me, però… così non vale!
Criminale segue il percorso già intrapreso con Bitch 3.0, con il rap che va incontro a sonorità più latin. Mamma marocchina, papà spagnolo: c’è dietro il desiderio di riscoprire le proprie origini?
Smentiamo una volta per tutte anche Wikipedia: sono del tutto marocchina. I miei genitori sono entrambi marocchini, io sono cittadina italiana ma sono nata in Spagna. Le origini spagnole in molte le hanno attribuite al mio cognome, Rodriguez, ma… Rodriguez è un cognome d’arte che ho scelto io: accanto a Chadia suonava bene, era abbastanza musicale!
Mi sono avvicinata alla musica latina dopo essere stata in Argentina. Mi sono resa conto che il loro modo di vivere, di pensare, di fare musica e di rivolgersi alla sessualità mi appartiene.
La sessualità è un tema cardine del tuo percorso artistico: hai pubblicato un libro sull’argomento e condotto un programma per Discovery…
Per me parlare della propria sessualità è molto importante soprattutto al giorno d’oggi, nell’era dei social. Un adolescente può ricevere informazioni sbagliate anche attraverso un video o tramite il compagno di classe che ne sa tanto quanto lui o addirittura meno di lui. Quindi, è necessario parlare di educazione sessuale per mettere al corrente i ragazzi di oggi su quali siano, in primis, i rischi e ciò che possono fare e scoprire con se stessi. Che i maschi, ad esempio, non consultino mai uno specialista a meno che non abbiano dei problemi è tremendo, considerando poi come siano i primi a sperimentare: scusate il francesismo ma con tutte le seghe che si sparano sin dalla giovane età, una visita potrebbero anche farsela! Oltre quelli alla prostata che arrivano con il tempo, ci sono tantissimi altri problemi legati ai genitali e alla sfera sessuale.
Cresciuta tra baci e pistole, come ricordi in un verso di Criminale…
Non c’è un bacio o una pistola concreta, non faccio riferimento a un episodio in particolare. Sono metafore per indicare qualcosa di bello e di brutto. Le pistole ricordano sempre qualcosa di terribile a cui non vorremmo mai assistere realmente. I rapper e i trapper emergenti ma anche quelli della vecchia scena parlano delle pistole come se fossero qualcosa di bello ma vivere per davvero in mezzo a quello che è il mondo della strada non è per niente piacevole, soprattutto quando vedi i tuoi genitori in lacrime o assisti a situazioni dove altri perdono i loro figli o i propri cari. Non credo sia bello vedere persone che si vantano delle pistole come se avessero una valenza quasi goliardica…
Ero consapevole che chiunque sarebbe stato colpito dalla parola attribuendole una propria interpretazione: io ho il mio pensiero, tu hai il tuo e ognuno può interpretarla come meglio crede!
E cresciuta sin da bambina con la voglia di abbattere gli stereotipi: anziché giocare con le Barbie, cominci a giocare a calcio rivelando già una parte importante di quello che diventerà la parola chiave del tuo percorso: autodeterminazione.
Ho sempre avuto quell’aria di sfida che tutti abbiamo contro il mondo: quando mi dicevano di non poter fare qualcosa, mi imponevo nell’impararla e nel farla. È un aspetto che ha caratterizzato anche negli anni a venire, sia nella mia vita sia nella mia carriera. Sono sempre stata una ragazza molto istintiva: se mi si dice che non posso, voglio e devo dimostrare il contrario. Tutti mi dicevano che non potevo giocare a calcio perché ero una femmina ma, quando facevo tunnel e li facevo vincere, non ero più una femmina ma ero quella che sapeva giocare…
Ho sempre combattuto contro le imposizioni facendo quello che mi pareva. Non trovo giusto il dover etichettare sempre tutto e il dover attribuire una valenza diversa, anche in ambito lavorativo, alle donne: quante ce ne sono ancora oggi che guadagnano molto meno degli uomini nonostante si facciano il mazzo molto più degli uomini?
Trovo poi quasi assurdo e aberrante che ci vogliano sempre mettere contro per trovare il pretesto di farci sentire inferiori. Se ci venissimo tutti incontro, saremmo tuti più felici e potremmo levare delle rotture di coglioni. E scusate di nuovo il francesismo.
Del self empowerment femminile sei un po’ il simbolo anche sui tuoi profili social…
Più che autodeterminazione è il bisogno di vivere senza il giudizio appiccicato addosso. I social oggi non so più cosa siano diventati: vedo gente che li usa per sponsorizzare qualsiasi tipo di cosa, per prendere più like mostrando i figli o per parlare di alcuni problemi che sarebbe invece meglio che rimangano a casa. È giusto parlare e sensibilizzare su alcuni argomenti ma dipende sempre dal come lo si fa e da come si decide di portare agli altri il proprio pensiero: modo e intenzione cambiano parecchio il risultato soprattutto quando dall’altro lato c’è chi ti osserva.
Con il rischio di favorire ansia da prestazione o perfezione…
Esatto: la perfezione non esiste e, sembra quasi un paradosso, sarebbe anche triste. Che idea vogliamo dare? Quella di un mondo più che altro finto? I miei follower mi seguono perché sono più un modello di imperfezione: sono semplicemente me stessa e non mi va di fingere solo per piacere agli altri. Non accetterò mai di mostrarmi diversa, piuttosto muoio da sola con i miei gatti!
Gattara nell’animo?
Si, sono come la gattara dei Simpson!
Negli anni ti sei esposta in prima persona affrontando temi molto caldi per la Generazione Z. Tra questi c’è il bullismo, una piaga che immagino avrai conosciuto in prima persona soprattutto da bambina…
Più che altro quando da piccola frequentavo la scuola. Tutti mi dicevano che ero stata adottata perché non assomigliavo ai miei genitori: secondo loro, mio padre (che evidentemente non guardavano attentamente) non era troppo scuro e mia madre era troppo bianca. Oppure, sono stata insultata per il modo in cui mi vestivo e perché non mi potevo permettere abiti firmati: i miei genitori non navigano nell’oro e cercavano di fare quello che potevano…
Mi sono sempre sentita a disagio, come nessun bambino si dovrebbe mai sentire per quello che vivendo in famiglia, che siano cose piacevoli o sgradevoli… provar disagio ti fa sentire fuori posto in tutto e con tutti, non ti fa vivere bene l’infanzia o l’adolescenza. Ecco perché vorrei dare un consiglio anche a tutti quei mini influencer giovanissimi che stanno apparendo sui social: siate voi stessi, non cercate di imitare gli altri, che tanto tutto il resto è già stato preso. Il dono più bello che potrebbero fare all’umanità è essere loro stessi: potrebbero magari scoprire o fare delle cose incredibili per l’umanità ma se non sono loro stessi non potranno mai saperlo.
Stupisce ogni volta come gli episodi di bullismo avvengano nelle scuole, contesti in cui gli adulti dovrebbero far da garanti.
Tante volte sono anche gli adulti che alimentato determinate dinamiche. Ho visto tantissimi professori e insegnanti che non erano proprio il massimo. Io mi auguro che i giovani di oggi, gli adulti del domani, abbiano un minimo di buon senso. Spero che solo così si possa smettere di tramandare razzismo, misoginia, omofobia e quant’altro. Sono tutti disvalori che ci tramandiamo in famiglia di generazione in generazione: ciò che insegnano i genitori rimane con noi per tutta la vita. Ci sono aspetti che possono variare ma la base rimarrà sempre uguale: mi sembra assurdo che ci siano certe famiglie che insegnino cose che vanno contro tutto quello per cui poi dicono di combattere: è un controsenso e mi fa anche schifo. A volte mi sembra di vivere quasi in Matrix: stiamo arrivando al multiverso ma non vuol dire che non possiamo essere intrappolati nel multiverso di qualcun altro.
Siamo il frutto di ciò che ci insegnano i nostri genitori. Delle cose imparate dai tuoi, cosa hai sempre rispettato?
La prima cosa che mi hanno insegnato è condividere anche se non si ha nulla. Mio padre mi ha insegnato a non riempirmi troppo la pancia perché altrimenti prima o poi esplode. Anche solo quando avevo qualcosina, anziché non condividere, rimanevo io senza.
E mi hanno insegnato a portare rispetto a me stessa, prima di tutto. Non nego nella mia vita di aver sbagliato, così come sbaglia qualsiasi altro essere umano (non facciamo i finti moralisti), ma ho sempre cercato di fare la cosa giusta. Ma anche questo è un po’ un controsenso: non sempre la cosa giusta per me è tale anche per qualcun altro: non potremmo mai essere tutti d’accordo…
E tu quando hai capito che andavi d’accordo con il tuo corpo?
L’adolescenza è stata una merda a voler essere sinceri, uno schifo incredibile. Ho iniziato a prendere confidenza con il mio corpo dai 19 anni in poi, da quando ho cominciato a posare come fotomodella di nudo. È allora che ho iniziato a capire il potenziale che poteva avere il mio corpo: da piccola mi sentivo molto maschiaccio ma pian piano ho scoperto un lato di me che cominciava a piacermi… e l’ho cavalcato in tutte le sue onde ma anche nei suoi tsunami.
Cos’è rimasto in te di quella bambina che da piccola cantava con un deodorante in mano a mo’ di microfono?
Sicuramente la solarità. È una dote che ho sin da bambina: anche se passavo delle giornate veramente brutte, non lo lasciavo mai intravedere alle persone che mi circondavano. Ma non per cattiveria: tutti quanti abbiamo i nostri problemi e ho sempre pensato che non sia carino appesantire gli altri con tutto ciò che ci succede giornalmente.
A volte, è giusto ritagliarsi dei momenti per se stessi per prendere maggior consapevolezza di chi siamo da soli: io parlo spesso da sola con me stessa, mi ha aiutata a capire i miei errori e i consigli che mi avevano dato. Perché, poi, ascolto tutti i consigli che mi arrivano ma a tocca sempre a noi fare la scelta: non è né bello né giusto delegare la nostra vita agli altri, dobbiamo prenderla in mano e fare ciò che decidiamo, anche se sarà difficile.
Quando ho cominciato a fare musica, ad esempio, avevo paura di sembrare la classica ragazza stupida che ci sta provando e che avrebbe fallito. Non mi ero creata chissà quali aspettative o obiettivi e forse era anche quasi giusto: se ci si crea mete troppo grandi e si fallisci, si rischia di andare in depressione e di mettere in dubbio se stessi, la propria vita e le proprie potenzialità. Ma ho imparato che occorre vivere e fare quello che si è in grado di fare: ciò di cui non si è capaci si impara… se non ci si riesce, occorre avere la maturità di mettersi da parte.
Il tuo primo ep si chiamava Avere vent’anni. Ora di anni ne hai 25. Cos’è cambiato?
Tantissime cose. adesso sono più consapevole e conscia della persona che sono e di cosa posso fare.
Sei in partenza, come hai detto prima, e in sottofondo c’è il rumore delle cerniere delle valigie che si chiudono. Dove andrai?
A Barcellona perché voglio avvicinarmi sempre più alla musica latina e al modo in cui i latini vivono e pensano. Voglio anche imparare a parlare perfettamente in spagnolo.
E se dovessero dirti che l’avvicinarti alla musica latina è una scelta commerciale?
A chi mi dice una cosa del genere, rispondo che è il classico italiano medio che oltre il raggaeton non va. Gli direi che non ha idea di cosa voglia dire fare musica latina e di mollarmi che ho altro da fare! Siamo artisti ed è giusto sperimentare: se non lo facciamo noi, chi deve farlo?
Qual è il commento che ti dà più fastidio come artista?
Ho sentito così tanti insulti che oggi non mi tocca più niente. Ho sentito e letto di tutto.
Ma perché fossi donna in un ambiente prevalentemente maschile come quello del rap italiano?
Anche. Ma le donne non sono ancora tantissime perché si fanno intimidire. Ma dimostriamo sempre quanto valiamo perché più ci facciamo intimidire più diamo agli altri la possibilità di sminuirci.
Cos’è la libertà per Chadia Rodriguez?
Ci aspettiamo sempre che la libertà ci venga concessa dagli altri quando dovrebbe invece partire da noi stessi. Nelle mie canzoni non parlo sempre di me perché voglio che anche le altre persone si sentano rappresentate e non giudicate. È questa la libertà!
E tu ti senti libera?
Delle volte sì, altre un po’ meno. Però, nella vita bisogna venirsi incontro.
Cosa sogni?
Una vita serena, senza troppi se e senza troppi ma. Anche se la maggior parte delle volte sogno a occhi aperti: mi faccio certi viaggi…