Chiara Bassermann torna a deliziarci con la sua presenza scenica in Il Santone 2 – Le più belle frasi di Oscio, la serie tv prodotta da Stand by Me in collaborazione con Rai Fiction disponibile su RaiPlay dal 19 aprile con Carlotta Natoli, Rossella Brescia e Francesco Paolantoni. In questa nuova stagione, Chiara Bassermann torna a rivestire i panni di Fabiola, un personaggio che promette di esplorare nuove profondità e sfaccettature, molto più complesse rispetto alla prima stagione. La serie, amata per la sua capacità di intrecciare humor e dramma attraverso una narrativa avvincente e personaggi vibranti, vede Fabiola evolversi in una figura chiave, esplorando temi di autodeterminazione e fragilità umana.
Nell'intervista che segue, Chiara Bassermann condivide il suo entusiasmo per il ritorno del personaggio, il processo creativo dietro la sua evoluzione e le dinamiche di lavorazione che rendono Il Santone un progetto per lei tanto speciale. Chiara Bassermann discute anche delle sfide e delle soddisfazioni del ritornare a un ruolo già noto, arricchito ora da nuove intriganti direzioni narrative.
Scopriamo dunque insieme come Chiara Bassermann ha vissuto questa esperienza, le novità della seconda stagione e come il suo personaggio sia diventato un simbolo di trasformazione e resilienza. Ma anche chi si nasconde dietro una giovane attrice che ha fatto della formazione il suo cavallo di battaglia e il termine ‘cavallo’ non può che essere appropriato considerando il suo passato nel mondo dell’equitazione.
Intervista esclusiva a Chiara Bassermann
“Per me, aprile è un mese generalmente abbastanza positivo: sa proprio di rinascita”, scherza subito Chiara Bassermann quando ci si scambia i rituali come stai?, accompagnati dalle curiosità su dove ci si trova e in quale città si vive. “Di Palermo, sono anche i registi con cui ho girato il film Iddu, Antonio Piazza e Fabio Grassadonia”, mi risponde subito. “Tra l’altro, sul set erano tantissimi i siciliani e ho stretto una bellissima amicizia con Alessio Piazza, lo speech coach. Ma, al di là, del film sono stata decine di volte in Sicilia, per lavoro o per vacanza”.
Nella serie tv di RaiPlay Il Santone 2, torni a rivestire i panni colorati di Fabiola. Cosa ha significato per te riprendere il personaggio?
Per me, è stato molto gratificante a livello professionale perché è stato dato uno spazio maggiore a un personaggio alla cui costruzione avevo collaborato come attrice anch’io nel corso della prima stagione, suggerendo idee che sono piaciute (non sempre capita che vada così) e che hanno permesso a Fabiola di andare incontro a un percorso meno limitato e più largo. In un primo momento, lei era anche molto meno divertente, ironica e frizzantina di com’è adesso. Anche perché, per conformazione fisica, sarebbe stato per me inarrivabile restituirla come quel ‘donnone tatuato’ che doveva essere.
Fabiola mi dà anche la possibilità di cimentarmi con qualcosa del tutto diverso da me divertendomi. Ci sono aspetti di lei che non mi sono mai appartenuti e non mi appartengono, come il modo di camminare o parlare. Sono cresciuta in un contesto familiare e in un mondo in cui non si parla con la bocca aperta, non si mastica la gomma davanti agli altri e non si parla nella sua maniera.
Fabiola nella seconda stagione, al di là dell’essere una macchietta, si rivelerà una donna con molte fragilità e altre peculiarità che ancora non avevamo potuto vedere.
Caratteristiche anche molto moderne, se vogliamo. Fabiola scopre ad esempio qual è la sua reale inclinazione, seguendo la parabola della sua autodeterminazione: il centro estetico aperto per lei dal marito non è il sogno della sua vita. Tu quando hai capito cosa volevi essere da grande?
A sedici anni, quando ho fatto la mia prima esperienza di recitazione nel gruppo teatrale del liceo americano in cui mi trovavo per uno scambio culturale di un anno. Studiavo in Tennessee ed è lì che ho avuto modo di confrontarmi su come il teatro fosse percepito come una materia scolastica a tutti gli effetti, con laboratori che spesso sono anche migliori di molte produzioni che vediamo in giro. Negli Usa, c’è un certo investimento scolastico sui giovani, preparati al pari di professionisti e pronti ad affacciarsi a questo mondo con tutto ciò che serve.
Siamo abituati a immaginare l’America delle grandi metropoli ma in Tennessee la realtà è molto diversa: si è persi nella provincia e non si ha molto da fare, soprattutto a livello extrascolastico. Tanto che desideravo stare a scuola il più a lungo possibile praticando le attività più disparate. Mentre d’estate ho praticato tutti gli sport possibili tornando a casa alle 6 del pomeriggio, d’inverno ciò non sarebbe stato possibile e sarei dovuta rientrare alle 2… dovevo quindi cercare qualcosa che mi tenesse occupata e tra i tanti laboratori ho individuato quello teatrale. Ho capito che mi interessava e, scegliendolo, mi sono trovata in un mondo che mi piaceva in modo incredibile.
Non me lo sarei ad esempio mai aspettato: amavo teatro, cinema e televisione da spettatrice, esercitavano su di me un potere magnetico sin da bambina (mia madre racconta che ero capace di rivedere i classici Disney in maniera compulsiva) e mi permettevano di evadere ma mai li avevo presi in considerazione fino al momento in cui ho dovuto cercare una soluzione per quella situazione così strana per un’adolescente abituata a Roma, al motorino, alla prima autonomia o alle uscite con la propria comitiva.
Sbattuta in una fattoria americana in mezzo al nulla, la scuola e il teatro rappresentavano per te la sola via d’uscita…
Se non avessi trovato sfogo nella squadra di calcio prima e nel laboratorio teatrale dopo, avrei rischiato di impazzire nello stare in quei luoghi così sperduti e privi di tessuto sociale, a cui noi italiani non siamo abituati. Mi sentivo come bloccata, immobile, almeno fino a quando non è arrivata la miccia del laboratorio di recitazione.
Tornata in Italia, è stato semplice decidere di continuare?
Inizialmente, no. Non avevo avuto il coraggio di manifestare subito ciò che volevo fare e di proseguire con quel percorso. È stato poi al primo anno di università che ho deciso di riprendere quelle fila: continuavo a dire che, se avessi avuto un’altra vita, mi sarebbe piaciuto fare l’attrice ma poi, guardandomi, ho deciso che arrivato il momento di provarci per davvero, iniziando un percorso di studi seri in accademia. E da allora non mi sono più fermata, proseguendo la formazione tra Italia e Stati Uniti.
Piccolo passo indietro: da donna, praticavi calcio?
Sono molto sportiva ancora oggi e ho sempre giocato a calcio. Ero sin da piccola circondata da coetanei maschi, a partire da tutti i miei cugini, per cui in famiglia l’unica attività prevista era il calcio: nei weekend si stava in campagna, si giocava ed io ero anche molto forte. Le abilità erano così evidenti che a sedici anni, in Tennessee, sono stata il capitano della squadra di calcio femminile…
Tuttavia, il mio sport d’eccellenza rimane l’equitazione, il mio grande amore prima che arrivasse l’epifania della recitazione. Fino ai diciotto anni, sono stata presa dall’essere un’amazzone ed ero lanciatissima nel salto con gli ostacoli. Però, sì, per inclinazione familiare e per motivi familiari, ho praticato tutti gli sport del mondo: la fisicità è una mia caratteristica decisamente spiccata… gioco a tennis, pratico surf e snowboard e ho partecipato a gare di atletica.
Il tutto perché per me fare sport è un modo per riposarmi, rilassarmi e ricaricare le batterie. Lo reputo una sorta di meditazione attiva: il mio corpo riesce a staccare e si immerge del tutto in un momento presente, cosa che magari è difficile fare nel resto della giornata tra i mille pensieri che ho sempre in testa. Mi accade soprattutto con l’equitazione: richiede un’attenzione totale perché sei a contatto con un animale e alle prese con tutta una serie di componenti che ti obbligano a essere qui e ora.
Da un lato, c’è l’equitazione che prevede rigore, eleganza e controllo. Dall’altra, invece, c’è il calcio, che prevede strategie, tattiche e lo sporcarsi. Tra i due estremi Chiara dove si colloca?
Anche l’equitazione richiede grinta e tattica, soprattutto quando si parla di salto ostacoli. A differenza del calcio, manca solo il contrasto con l’avversario ma hai a che fare con un partner che è una bestia di 700 kg sotto di te, con cui devi trovare un equilibrio. Non puoi essere solo tu a comandare: è un lavoro di sinergia e collaborazione… E anche nell’equitazione ci si sporca e rompe tantissimo: sarò caduta migliaia di volte, mi sono già rotta varie parti del corpo e ho montato a cavallo sotto la pioggia e nel fango.
L’eleganza, quindi, non è altro che la vetrina di un mondo in cui ci si sporca molto le mani che spesso il cavaliere della domenica nemmeno conosce: si impara ad esempio una marea di cosa, dal medicare le ferite a nozioni di veterinaria alla pulizia delle stalle. È un contesto fatto anche di cose molto brusche, a cominciare dagli istruttori che ti urlano qualunque cosa addosso, come capita in tutti gli sport pericolosi.
Ma, in compenso, si crea un bellissimo rapporto col cavallo, un rapporto di equilibrio, come dicevo prima, e di comunicazione, che nel mio caso mi torna un po’ utile anche nel lavoro di attrice, in cui al posto dell’animale trovi un collega… non puoi prescindere dall’ascolto ma devi portare anche del tuo: una scena funziona bene solo se c’è sintonia, non puoi farti divorare dall’altro e non puoi divorarlo.
Nella serie tv Il Santone 2, Fabiola si inventa un lavoro che non esiste, coniugando yoga e gin, all’apparenza due elementi agli estremi.
Sono due estremi che aiutano effettivamente le persone a staccare dalla loro quotidianità e dai loro problemi. Nella sua purezza, Fabiola offre agli altri ciò che serve per riposare la testa: c’è chi ha bisogno di fare yoga e chi di un gin tonic, senza eccedere. Ciò che mi fa tenerezza di lei è l’idea di unire in maniera infantile due cose che non si sposano e di insegnare una spiritualità per cui non ha le competenze: non ha il know how che dovrebbe avere qualsiasi istruttore di yoga ma, nel suo percorso di autodeterminazione, si autoconvince di poter aiutare le persone e, di riflesso, anche lei. A modo suo, anche lei è una santona che cerca di fare del bene, peccando di ingenuità.
Traslando la conversazione su di te, in cosa Chiara pecca di ingenuità e in cosa è infantile?
Ho peccato di ingenuità tutte quelle volte che mi sono trovata a vivere delusioni professionali per aver affrontato il mio percorso di attrice in maniera quasi “accademica”: a 21 o 22 anni, quando ancora studiavo, ho rifiutato delle proposte perché convinta che, prima di affacciarsi al mondo del lavoro, dovevo essere pronta, preparata e formata, al pari di un medico o di un avvocato… sottovalutando così come il mio lavoro sia fatto anche di network e pubbliche relazioni: reduce dall’Actor’s Studio, sono tornata in Italia con un bagaglio enorme di preparazione ma senza conoscere nessuno.
Eppure, pensavo che da ventenne, di bell’aspetto e più preparata di altre, tutto sarebbe stato più semplice, scoprendo che così non era. Ho realizzato dopo che forse a vent’anni c’è meno concorrenza o competizione di quando a 25 o 26 anche le altre hanno terminato le scuole, hanno cominciato a farsi strada e hanno un volto più noto del tuo.
Infantile lo sono in molte cose… a cominciare dal non saper dosare il mio entusiasmo, dal voler mangiare anche tre gelati e non smettere di mangiucchiare caramelline gommose: assaggiata una, devo terminarle tutte pur sapendo che dopo mi verrà mal di pancia, sarò nauseata, starò malissimo e mi sentirò così in colpa dal saltare la cena.
L’essere stata bionda con gli occhi azzurri ti ha aiutata o svantaggiata?
Svantaggiata, penso. Anche se non ancora il bilancio non è definitivo, è sicuramente più difficile essere presi sul serio. L’aspetto fisico è la tua carta d’identità, il tuo biglietto da visita immediato: l’essere bionde con gli occhi azzurri ha degli aspetti che sono positivi ma che spesso finisco per attrarre per motivi sbagliati… e, quando sei distante da quell’immaginario, diventa tutto ancora più complicato proprio perché devi superare lo scoglio della tua estetica.
Ci sono dunque dei pro e dei contro… Esserlo forse non è proprio un pro in Italia: evoca quasi sempre qualcosa di non italiano, di poco comune e non da ragazza della porta accanto. Mi sono infatti trovata spesso a interpretare ruoli di donne straniere, aiutata anche dal fatto di avere un grande orecchio e di essermi, grazie a esso, specializzata nel riprodurre gli accenti stranieri di diverso tipo. Ho interpretato ragazze nord-europee o dell’Est, come nel film che mi ha decisamente svoltato la carriera, Ai confini del male di Vincenzo Alfieri, in cui ho avuto il mio primo ruolo da protagonista.
L’aspetto ironico di tutta la vicenda è che evoco qualcosa di straniero pur somigliando a mia madre, che è di origine siciliana!
Quante volte hai dovuto spiegare che eri italiana?
Molto spesso. Chiaramente, il cognome appartiene alla famiglia di papà, che effettivamente straniero è: dalla sua parte, ho una nonna tedesca (della Foresta Nera) e un nonno austriaco ma il mio aspetto estetico deriva dal lato materno. Tutti dimenticano che nel sangue siciliano scorre anche sangue normanno, tanto che i miei tratti sono totalmente differenti da quelli dei miei parenti tedeschi, biondi compresi.
Parlo ovviamente tedesco ma anche francese, per aver studiato in una scuola francese. Forse è stato proprio l’essere stata abituata sin da bambina a muovere la parola al servizio della lingua che parli che oggi ho l’orecchio allenato agli accenti… accenti che non invento ma che studio immergendomi nell’ascolto: ho sempre bisogno di qualcuno madrelingua che mi legga le battute in modo che io registrandole possa poi ascoltarle 800 mila volte.
Pretendi così tanto da te stessa?
Non sono mai contenta di niente. Credo di essere insicura, perfezionista (anche se non raggiungo mai la perfezione) e iper critica nei miei confronti. Del mio lavoro, forse la cosa che mi interessa di più è il processo creativo, la creazione di un personaggio nella sua totalità. Non avrei mai potuto essere Fabiola senza quelle pettinature, quelle unghie, quei gingilli, quelle scarpe o quei leggins: determinano anche come parla, come si muove o come pensa. La parte che mi interessa meno è invece il rivedermi: conta maggiormente il set e l’energia che restituisce vedere il progetto comporsi.
Che legame hai con le tue origini tedesco-austriache?
Molto profondo. Mia nonna è stata molto presente nella mia vita, soprattutto nei primi anni di infanzia. Al di là del sangue che ci caratterizza semplicemente da un punto di vista biologico, ciò che siamo è il frutto delle esperienze vissute in quel periodo di vita e stare con mia nonna mi ha molto segnato. Era nata nel 1916 e si era trasferita in Italia durante la Seconda guerra mondiale: parlava italiano con il suo forte accento e si portava appresso un universo che non era quello della tipica donna italiana… aveva un’attitudine alla vita determinatissima che mi ha influenzato: molto dura, sportiva e forte, di fronte alle avversità si rialzava e andava avanti finché non otteneva ciò che voleva.
Possiamo dire che era decisamente moderna?
Decisamente. In più, non sapeva cucinare: non era la nonna accogliente da cui andare e farsi consolare con un piatto di pasta. Anche perché fino a 95 anni è stata a dieta: se si fosse concesso un vizio alimentare, il giorno dopo sarebbe stata a stecco. Ci teneva alla sua linea e faceva yoga, anche se non era consapevole che si chiamasse così: mens sana in corpore sano era il suo motto, con un’educazione molto spartana. Essendo cresciuto con lei, anche mio padre è figlio del suo modus operandi.
Il Santone 2: Le foto della serie tv
1 / 33Nonna stava costantemente a dieta: qual è invece il rapporto che hai tu con il tuo corpo?
Anche se è un po’ più pacifico rispetto al passato, è basato su una sorta di equilibrio, per cui cerco di seguire sempre un certo schema o rigore nella mia testa. In passato, non sempre è stato così semplice, soprattutto da adolescente e post adolescente.
Avevo un rapporto molto conflittuale con il mio fisico che non partiva da nessuna concretezza ma da una questione psicologica su cui ho dovuto lavorare. Ho avuto bisogno di aiuto per risolverlo ma non è stato facile trovare quello giusto. Ne parlo perché mi auguro che possa essere d’aiuto a qualcuno il condividere la mia esperienza: nonostante il mio aspetto estetico da bionda, con gli occhi azzurri e atletica, non avevo la giusta percezione del mio corpo e ciò ha richiesto un percorso psicologico importante, faticoso e doloroso.
Dopo quella lunga parentesi, ho però come ricominciato a vivere una vita completamente diversa. Forse anche per questo non so dire se il mio aspetto fisico sia stato una condanna o un regalo: per molto tempo, non ho avuto di me la percezione che ne avevano gli altri. Percepirmi come sono mi ha dato anche quella libertà che mi mancava… e, professionalmente, ho la necessità di essere molto libera con il mio corpo senza sentirmi in difetto o dovermi giudicare.
L’entrare nuovamente in sintonia con il tuo corpo ti ha aiutata nelle relazioni con gli altri.
Si: è impossibile creare un rapporto sano con gli altri se non lo si ha con se stessi proprio perché misuri tutto in relazione alla frustrazione o alla contentezza che hai con il tuo corpo. Se non sei a posto con te stesso, tutto l’universo davanti a te va nella tua stessa direzione. È stato quindi fondamentale per me essere presente anche nei confronti degli altri, una presenza che è stata una conquista. Sembrava impossibile ma la notizia buona è che è invece possibile.
Sorridendo, non sei la prima Bassermann del cinema…
È vero, ho avuto un membro della mia famiglia paterna che ha avuto un ruolo molto importante in ambito cinematografico: lo zio di mia nonna. Si chiamava Albert Bassermann ed era decisamente molto più famoso di me: importante attore della prima metà del Novecento, ha lavorato anche con Alfred Hitchcock ed è stato candidato all’Oscar. Ma è l’unico ad aver lavorato nel mondo dello spettacolo: in famiglia sono tutti avvocati, salvo mia madre che è un’artista, una pittrice acquarellista. Forse ho preso da lei la componente artistica!