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“La coinquilina era la ragazza del mio ragazzo, senza che me ne avesse parlato”: Intervista esclusiva alla cantautrice Chiara Cami

Chiara Cami ha appena pubblicato il suo nuovo singolo, La coinquilina, una canzone che parla di una relazione a tre stroncata sul nascere. Ma le disillusioni in amore non sono le uniche che Chiara Cami ha vissuto e ha imparato pian piano a superare con la terapia. Entrate con noi nel suo universo.
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Chiara Cami ha da poco rilasciato il singolo La coinquilina (2o Recors/Artist First). Cantautrice romana definita come la “Taylor Swift di Monteverde”, Chiara Cami racconta nella canzone un episodio accadutole qualche tempo fa. In chiave pop, ripercorre infatti una storia d’amore “urbana” che l’ha vista protagonista inconsapevole di un triangolo amoroso. Lui e lei si conoscono come nella migliore delle tradizioni, chiacchierano molto e sono pronti ad andare al sodo quando casualmente emerge una verità inattesa: da anni, lui ha una “coinquilina”, un modo elegante per dire che è già sentimentalmente impegnato.

Le situazioni “disastrose” in amore sembrano quasi un mantra che accompagna Chiara Cami, il cui percorso è costellato da disillusioni, come ha da sempre raccontato anche nei video che posta sui suoi profili social o su YouTube. Classe 1998, Chiara Cami non ha mai fatto mistero di essere una ragazza particolarmente sensibile a ciò che la circonda. Sin da piccola, si è ritrovata a vivere in un mondo tutto suo, fatto di isolamento. Gli anni della scuola non sono stati facili, come ci racconta nel corso di questa intervista esclusiva, così come non è stato facile tutto ciò che ne è scaturito dopo.

Eppure, Chiara Cami è oggi una ragazza serena e, soprattutto, solare. Appena laureata in Giurisprudenza, sogna di far della musica la sua professione e sorride parecchio. E il segreto del suo essere in pace con se stessa sono state le terapie che ha seguito, consapevole di quanto siano importanti per capire chi siamo e come ci relazioniamo con l’esterno. Se il giudizio degli altri in passato la intimoriva, ora Chiara Cami ha imparato a tenerlo a bada.

E forse la musica è stata una delle sue chiavi vincenti. La sua è una scrittura terapeutica, come si dice in questi casi. Scrivere le permette di esorcizzare tutto ciò che le capita o le è capitato, nel bene o nel male. L’obiettivo di Chiara Cami è quello di creare un universo musicale i cui suoni acustici riflettano l’intimità della cameretta in cui i brani sono stati scritti, ma la cui grinta sia allo stesso tempo coinvolgente per il pubblico dal vivo. Tutto questo, mantenendo a fuoco la sincerità con cui i testi raccontano le giornate più o meno ordinarie di una giovane donna alle prese con una vita che non è esattamente come se l’era immaginata.

Chiara Cami (photo by Guendalina Di Luigi).
Chiara Cami (photo by Guendalina Di Luigi).

Intervista esclusiva a Chiara Cami

Come nasce La coinquilina?

La coinquilina in questione è la ragazza di un ragazzo di cui mi ero infatuata lo scorso anno in questo periodo. L’ho frequentato per qualche settimana, se non addirittura per un paio di mesi, non ricordo o non voglio ricordare molto bene. Tutto sembrava andare a gonfie vele, ci sentivamo spesso e pensavo che ci fosse un interesse molto ricambiato. Finché poi, a una festa che doveva essere anche un momento di felice incontro, un mio amico mi ha svelato senza volerlo che, in realtà, il tipo in questione era fidanzato e conviveva con la sua ragazza da tantissimi anni. Sono rimasta spiazzata da tutto ciò. E, qualche giorno dopo, per rielaborare cosa era successo, ho scritto la canzone.

Quasi per esorcizzare questi maschi moderni che non sanno nemmeno prendersi le proprie responsabilità: bastava essere onesti.

Non l’aveva mai nominata. Mai la sua “coinquilina” era venta fuori nelle conversazioni. Se vivi con una persona, indipendentemente dal grado di relazione, ne parli: avere una coinquilina è un fattore importante anche della vita di tutti i giorni. Come si dice a Roma, sono caduta dal pero.

A proposito di Roma, ti definisci la Taylor Swift di Monteverde.

Io sempre molto modesta!

Al di là della battuta, è un modo per circoscrivere un genere musicale. Come Taylor Swift, sei una giovane cantautrice. Quand’è stata la prima volta che la musica è entrata nella tua vita?

L’ho incontrata per la prima volta da piccolissima. Nonostante i miei genitori facessero tutt’altro, la musica è sempre stata particolarmente apprezzata. Lavoravano durante la settimana ma ricordo dei weekend in cui si ascoltava sempre musica così come ricordo i tragitti da casa nostra a casa dei nonni segnati dalla musica.

Il mio gusto musicale, però, si è formato un po’ più avanti. Frequentavo le scuole elementari quando c’è stato il boom di Disney Channel e delle serie tv musicali. Come ti accennavo, i miei genitori lavoravano e spesso rimanevo tantissimo da sola a casa davanti alla tv: amavo guardare le serie proposte anche in lingua originale, un aspetto che ha poi avuto un risvolto serio nel mio percorso. Disney Channel ha forgiato i miei gusti sia a livello di melodie sia a livello di tematiche.

La musica in quelle serie era fondamentale. Non si limitava alla sigla ma diventava parte integrante della storia, accompagnandola e integrandola. Credo che nasca da ciò anche la mia passione per i musical di Broadway.

E quali sono oggi i tuoi musical preferiti?

Ce ne sono tantissimi. Partirei dagli ultimi che mi hanno affascinato, quelli un po’ più pop. Uno che amo particolarmente è Wicked, del quale stanno realizzando la trasposizione cinematografica. Ma anche Dear Evan Hansen, che ho visto sia al cinema sia a teatro. Se invece dovessi guardare al passato, direi senza dubbio Les Miserables.

Les Miserables è uno di quei musical che non passano mai di moda anche per i temi trattati, primo tra tutti quello della rivalsa. La rivalsa è qualcosa che ha segnato e segna moltissimo il tuo percorso personale. Hai raccontato su Instagram che hai seguito tre diverse terapie per fare pace con te stessa. A cosa ti hanno portato?

La terapia è centrale sia nella mia vita privata sia nella mia presenza online. Ho parlato anche apertamente in uno dei miei video il mio percorso terapeutico. Ne ho seguiti tre differenti perché, secondo me, le terapie come tutte le relazioni transazionali che hanno un inizio e una fine permettono di arrivare a un punto fermo.

La prima che ho seguito mi è servita per capire le ragioni dell’insonnia di cui ero affetta da ragazzina. Ai tempi delle medie non riuscivo a dormire. Rimanevo sveglia per giorni e giorni. Mi hanno spinta verso la terapia, in un momento in cui non rappresentava ancora la normalità di oggi, i miei genitori. Sarò eternamente grata a loro per avermi supportata in ciò.

È vero che rispetto a dieci anni fa la terapia ha subito un processo di normalizzazione sociale ma rimane tuttora una grossa difficoltà: riuscire ad accedervi. La terapia non è accessibile a tutti, eppure è fondamentale andare dallo psicologo: è come andare dal medico di base.

Chiara Cami (photo by Guendalina Di Luigi).
Chiara Cami (photo by Guendalina Di Luigi).

Non fai mistero del fatto che la tua vita è stata segnata dalle delusioni. Quelle grosse sono state fondamentalmente due: l’amore e l’America. Partiamo dall’inquilino

Ma fosse soltanto lui. La storia dell’inquilino è solo quella che finora ho raccontato ma ce ne sono tante altre. Sono una ragazza veramente complicata da conquistare (anche se, forse, lo dicono tutti di se stessi). Mi rendo conto, con cognizione di causa, che trovo sempre dei partner che non mi facilitano la vita. O sono io che li cerco, devo ancora capirlo! Sarà dovuto al fatto che prima di potermi relazionare con qualcun altro devo risolvere i problemi che ho con il mio passato.

E arriviamo all’altra grande delusione: gli Stati Uniti. Da ragazzina ti eri tanto immedesimata nel mondo visto nelle serie tv che a diciassettenne anni sei partita per l’America per andare a vedere da vicino il tanto fantomatico sogno americano. Vuoi raccontarci invece che realtà hai trovato?

Ho trovato una realtà che era molto patinata. Era ciò di cui mi avevano avvertita tutti: l’America non è quella che ci si immagina. Mi sembrava di vivere dentro a un film ma non in senso positivo. Avevo l'impressione che tutto fosse superficiale, di facciata. Mi sono ritrovata in un ambiente particolarissimo, un college, che richiedeva molti sacrifici alla mia famiglia e me stessa. Le persone che lo frequentavano sembravano essere lì quasi per diritto ed era difficile trovare un terreno comune per stabilire delle relazioni.

Ero andata per studiare e non per fare musica. Studiavo relazioni internazionali ma dal punto di vista della didattica, mi dispiace dirlo, ho trovato che i college, vere e proprie istituzioni, non fossero così distanti dai nostri licei. L’unico aspetto positivo era dato dalla capacità che hanno di fare networking ma, al di là, di ciò non offrono molto altro. Per farvi capire cosa intendo: la filosofia che si studiava era talmente basica che mi sembrava di essere tornata alle superiori!

Dal punto di vista relazionale e accademico, mi sembrava tutta una grossa farsa. Avevo caricato talmente tanto di aspettative quel mondo che la delusione è stata cocente. Dopo appena sei mesi, ho dunque deciso di tornare in Italia e non mi sono mai pentita della scelta. Quella era l’età giusta per studiare e non avrei mai voluto perdere quattro o cinque anni. Ho sempre preso seriamente lo studio, tant’è che al rientro in Italia mi sono iscritta in Giurisprudenza. Mi sono laureata giusto un paio di settimane fa: questa è la mia prima estate da “adulta”!

Mi stupisce la maturità mostrata, nonostante i diciassette anni. Da cosa pensi che dipenda?

Eh, bella domanda. Secondo me, dipende dal fatto che sono la figlia maggiore di casa. L’essere i figli maggiori catapulta necessariamente in una dimensione di maturità: non devi mai badare solo a te stesso ma un po’ anche alle dinamiche della famiglia e ai fratelli più piccoli. I miei fratelli sono parecchio più piccoli, quindi per loro sono sempre stata qualcosa a metà strada tra la sorella e la mamma. Ciò, in qualche modo, mentalmente mi ha costretta a crescere molto in fretta.

Anche se già alle elementari ero una bambina fuori dalle righe. Mi chiudevo in me stessa, leggevo tantissimo. E mi attiravo anche parecchie critiche: sono sempre stata convinta delle mie opinioni, avevo le mie certezze ed ero fiera di portarle avanti. Le mie convinzioni sono crollate una dietro l’altra a diciotto anni quando, a fine liceo, credevo di essere fatta e finita.

Quanto pensi che abbia influito nel tuo percorso l’isolamento dai tuoi coetanei? Qual era la stranezza che loro intravedevano in te?

Belle domande, quanto tempo abbiamo per parlarne? (ride, ndr). Si, l’essere isolata mi ha segnato, per forza di cose. Mi ha reso la persona che sono tuttora: per me, i setting di gruppo sono molto difficili da navigare. Non ha invece influito nella mia espressione artistica. Anzi, mi ha dato una carica in più: la mia musica o i miei video su YouTube sono l’unico modo che colmare la mia mancanza di partecipazione nella vita di tutti i giorni.

Ho sempre sentito che avevo tantissimo da dire agli altri, in classe o nei gruppi di amici in cui ogni tanto venivo inserita. Ma ho altresì sempre avvertito che dall’altra parte non c’era particolare interesse nel sentire ciò che avevo da dire. La telecamera, al contrario di loro, non ti può escludere e non ti manifesta un giudizio. Semmai, ti permette di elaborare maggiormente il tuo giudizio su ciò che stai dicendo: in fase di montaggio, hai la possibilità di risentirti e di valutare se stai dicendo qualcosa che ti rispecchia oppure no. Il giudizio altrui arriva solo nel momento in cui posti il tutto online.

Chiara Cami (photo by Guendalina Di Luigi).
Chiara Cami (photo by Guendalina Di Luigi).

Quando pesa oggi su di te il giudizio o il commento che online arriva da chi non ti conosce?

In passato, avevo l’impressione che il giudizio altrui non mi interessasse. Ma ho capito con il tempo che era l’esatto contrario: non è vero che non mi interessasse, anzi cercavo continuamente di provocare un giudizio o di piacere a un selezionato gruppo di persone che nella mia testa erano quelle che dovevo convincere.

Quindi, non so quanto possa contare oggi il giudizio degli haters online. È una battaglia che è stata combattuta anche da gente molto più famosa di me. Forse oggi i toni si sono un po’ calmati rispetto a qualche tempo fa ma non la reputo una battaglia finita. Il commento negativo mi ferisce se viene da parte ci qualcuno che conosco realmente. Anche perché ricevere un commento online è diventato difficilissimo. È un evento quando qualcuno ti scrive qualcosa: si è preso del tempo per scriverti “fai schifo” o “mi piace”.

Un apprezzamento vale più di mille ascolti. E la stessa importanza ha anche un messaggio negativo: è pur sempre segno di interesse. A uccidere è semmai il disinteresse. Per fortuna, non so leggere gli insights di Instagram, altrimenti sarebbe la fine per me! Ogni volta che devo postare un contenuto, mi chiedo come verrà recepito ma questo mi rende la vita social difficile e complicata. Però di una cosa vado orgogliosa: non ho mai comprato un follower. Mi è stata anche proposta come opzione ma l’ho sempre rifiutata: la trovo aberrante, oscena. Preferisco floppare e accettarlo piuttosto che fingere di essere chi non sono.

La coinquilina è la prima tappa del tuo percorso musicale. Immagino ne seguiranno altro. Quanto le tue esperienze personali e i ragionamenti che hai fatto con te stessa vi confluiranno?

Tantissimo. Non ho ancora ben affinato l’abilità di scrivere di cose che non mi riguardano, quello che per me è il livello Super Sayan dei cantautori. Mi esercito nel farlo perché mi piacerebbe un giorno poter scrivere anche per altri.

Scrivo, quindi, per quanto concerne il mio percorso musicale, di aspetti che riguardano me. Sono ovviamente quelli in cui mi sento più ferrata. Ciò che verrà in futuro, rispecchierà la mia esperienza: un’arma a doppio taglio!

La scena indie permette fortunatamente di affrontare anche tematiche che siano poco usuali nelle canzoni. E, a proposito di musica indie, La coinquilina è anche la prima tappa di una nuova etichetta indipendente, la 2o Records. Senti addosso il peso della responsabilità, dato che ne rappresenti un po’ il manifesto?

Ora che me lo si fa notare così… per me è un onore, qualcosa che non si sarei mai aspettata. Ho conosciuto i fondatori a vent’anni quando suonavo, cantavo e basta: non sapevo nulla di produzione o di tutti i meccanismi che si celano dietro alla musica. Mi sento certamente molto responsabile ma allo stesso tempo enormemente grata dell’occasione: spero di essere all’altezza dell’occasione. Stiamo un po’ tutti imparando gli uni dagli altri: sono sicura che presto arriveranno altri talenti, mille volte più bravi di me, a farci compagnia.

Visto che li abbiamo citati, cosa pensano i tuoi fratelli e i tuoi genitori del tuo essere contemporaneamente musicista e appena laureata in Giurisprudenza?

I miei fratelli si sono a loro volta catapultati nella musica: sia il secondo fratello sia la sorella più piccola suonano. Mio fratello, in particolare, è diventato un bravissimo pianista e ha superato il livello a cui stavo io, per non dire doppiato o triplicato. Immagino, quindi, che siano contenti.

Per i miei genitori è stato un po’ più complicato definire il mio percorso. A un certo punto si sono dovuti rendere conto di come non ci fossero altre alternative. Mia madre ha vissuto molto da vicino il periodo in cui mi sono chiusa in me stessa. In qualche modo, è stata lei a spingermi a provarci con la musica quando prima la considerava solo una passione. Oggi, è la mia prima fan, disponibile anche ad accompagnarmi in macchina da una serata all’altra.

La copertina di La conquilina, il singolo di Chiara Cami.
La copertina di La conquilina, il singolo di Chiara Cami.
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