Chiara Tron ci accoglie con un sorriso radioso, nonostante sia in mezzo alla strada per garantire una migliore ricezione telefonica durante la nostra chiacchierata. Al suo fianco, il fedele Thiago, un vivace bastardino che, come ci racconta, ha scelto lei come sua umana in una storia di incontro fortuito e reciproca scelta. È chiaro fin da subito che Chiara Tron non è solo un'attrice di talento ma anche una persona di grande cuore, che vive la sua quotidianità con passione e autenticità.
Mentre Thiago annusa curioso l'aria, Chiara Tron anticipa il suo ritorno sullo schermo nei panni di Tamara Graziosi nella seconda stagione della serie tv di Canale 5 Viola come il mare. La prima stagione ha lasciato i fan in attesa di scoprire il futuro di Tamara, e Chiara Tron promette che ci saranno nuove sfumature da esplorare: "Tamara si mostrerà più morbida, più umana," dice Chiara Tron, spiegando come il personaggio abbia superato vecchie barriere emotive, aprendosi a una sincera amicizia con Viola, interpretata da Francesca Chillemi. È una crescita che riflette le proprie esperienze personali, nelle quali l'amicizia ha giocato un ruolo fondamentale.
"Devo dire che sono stata incredibilmente fortunata con gli amici," confessa, con un tono riflessivo. Le sue amicizie, che risalgono ai tempi del liceo e si sono allargate nel mondo dello spettacolo, sono una fonte continua di forza e ispirazione. Chiara Tron parla delle gioie e delle sfide di questi legami, riconoscendo come alcune amicizie passate, nonostante le difficoltà e i momenti dolorosi, abbiano lasciato lezioni importanti. "Le batoste emotive che ho ricevuto," ammette, "mi hanno insegnato molto su me stessa e su come voglio vivere le relazioni. Mi hanno resa più forte, più consapevole".
La conversazione si sposta poi sul tema della fiducia e della sincerità, elementi che Chiara Tron considera inseparabili e fondamentali in ogni rapporto. "Non puoi avere l'una senza l'altra," spiega con passione. "Ma la sincerità non deve mai trasformarsi in brutalità. Dobbiamo ricordarci che dietro ogni parola c'è una persona con le sue emozioni, le sue insicurezze". Chiara Tron enfatizza l'importanza di comunicare con gentilezza e rispetto, qualità che cerca di portare sia nella sua vita personale sia nei suoi ruoli sullo schermo.
Chiedendo se si sia mai vista mimetizzare come il suo personaggio Tamara, Chiara Tron ride: "Assolutamente no! Sono sempre stata molto visibile, molto presente." Anche in questo, Chiara Tron dimostra una coerenza tra la vita e l'arte che è rara e affascinante. Nonostante le sfide del mestiere, Chiara Tron rimane fedele a se stessa, una "caciarona" come si descrive, che non ha paura di mostrare chi è davvero.
Man mano che la conversazione volge al termine è chiaro che Chiara Tron non è solo un'attrice talentuosa ma una persona profondamente riflessiva e genuina, che affronta la vita e la carriera con un'integrità impressionante. Mentre Thiago guida il ritorno verso casa, è evidente che Chiara Tron non ha solo raccontato una storia di successo professionale, ma ha condiviso un pezzo del suo cuore, qualcosa che, come il suo fedele compagno a quattro zampe, sceglie attentamente a chi mostrare.
Intervista esclusiva a Chiara Tron
“Sono a spasso con il mio cagnolino: casa mia è come un piccolo bunker per la ricezione telefonica e, quindi, mi sono fatta trovare per strada affinché la linea rimanga stabile”, mi risponde Chiara Tron quando le chiedo dove si trovi nel momento dell’intervista. Da canaro sfegatato, non posso che domandarle chi sia il suo cane: “Thiago è un bastardino che tre anni fa è stato abbandonato… tanto ha fatto affinché si facesse prendere da me: è come se mi avesse scelta lui e io non potevo lasciarlo là”.
Da venerdì 3 maggio ti vedremo riprendere i panni di Tamara Graziosi nella seconda stagione di Viola come il mare, la serie tv di Canale 5 i cui primi tre episodi sono già disponibili su Mediaset Infinity. Cosa dobbiamo aspettarci da Tamara nelle nuove puntate?
Sicuramente più morbidezza. Ha ormai affrontato e superato il problema che aveva con la famiglia e, una volta scoperti gli altarini, non ha più bisogno di giocare a fare la persona dura che non è mai stata: indossava semplicemente una maschera per evitare di essere ferita e di farsi scalfire dagli eventi e dalle persone che incontrava. Con Viola ha ormai bypassato la fase in cui capire se fidarsi o meno e ciò ha fatto sì che siano diventate pienamente amiche: la ritroveremo più morbida anche nei suoi confronti ma sempre più apprensiva e grillo parlante. Insieme formano una coppia di amiche a cui, solo guardandole, non ci si può che affezionare e pensare a quanto sarebbe bello avere un’amica come una delle due.
C’è stata un’amica così nella vita di Chiara?
Sì, devo ammettere che in amicizia sono stata molto fortunata: tuttora ho amici e amiche che risalgono ai tempi del liceo. Il lavoro di attrice mi ha poi permesso di conoscere tante persone meravigliose che considero come fratelli e sorelle. Mi reputo molto fortunata in amicizia, sebbene abbia avuto in passato anche qualche batosta che mi ha particolarmente segnata… Forse adesso vivo l’amicizia in un modo più sano di prima: quando sei più piccolo, tendi a sentire l’altro sempre per evitare che prenda il sopravvento dell’ansia di perdere qualcosa. Ho capito crescendo di doverla vivere in maniera molto più tranquilla: anche se non ci si sente per giorni, settimane e mesi, non temi di perdere un rapporto che si è consolidato.
Per quale ragione sono arrivate le batoste?
Mi è capitato spesso di stare in dei trii e i trii sono sempre difficili da gestire. Sono stata ferita e ciò ha cambiato qualcosa dentro di me: ho smesso ad esempio di essere dipendente dall’amicizia diventando una persona che invece ne giova in maniera sana. Le batoste in qualche modo si sono rivelate terapeutiche e molto probabilmente lo sono sempre: anche quando sembrano insormontabili, ci insegnano qualcosa.
Cosa non sopporteresti che mancasse in un rapporto di amicizia?
La fiducia.
Più della sincerità?
Fiducia e sincerità vanno di pari passo: se mi fido di qualcuno, do per scontato che sia sincero mentre, se non mi fido, è perché non gli credo. Vanno quindi a braccetto, anche se capita spesso che dietro la sincerità si nasconda brutalità: bisognerebbe essere sempre sinceri con gli altri tenendo a mente che non esiste mai una ragione valida per denigrare l’altro. E lo si fa non venendo meno a quello che si pensa ma tenendo conto che l’altro è una persona diversa da noi: non si può né pretendere né aspettarsi di essere identici.
L’aprire una frase con “scusa se te lo dico ma” è un esempio sbagliato di come non vanno dette le cose, soprattutto quando si affronta un argomento che può fare meno piacere all’amico. Sincerità e brutalità non sono sinonimi: essere sinceri è una responsabilità che ci si assume e come tale occorre saperla gestire, esprimere e porgerla… non è una tazza al veleno!
E tu sei sempre stata sincera con te stessa?
Sì, anche quando percepivo che c’era qualcosa che non mi piaceva e fingevo dentro di me sapevo la verità. Fortunatamente, so comunicare molto bene con me stessa, che non vuol dire che poi predico bene e razzolo bene… anzi, a volte razzolo molto male però quantomeno so che sto sbagliando. Mi rende molto umana questa cosa (ride, ndr).
Viola come il mare 2: Chiara Tron
1 / 12Come umano è ciò che abbiamo visto fare a Tamara nel corso della prima stagione di Viola come il mare, ovvero mimetizzarsi. Chiara si è mai mimetizzata per scappare dalle sue responsabilità?
Domanda interessante ma direi di no. Tendenzialmente non sono una persona che si mimetizza e che cerca di non farsi vedere: caratterialmente, sono molto l’esatto opposto… mi rendo conto che sono caciarona e che combino macelli e, quindi, vuoi o non vuoi, non si può non notarmi. Non ho mai fatto da carta da parati: se sono presente, te ne rendi conti: è un po’ la mia arma a doppio taglio.
Ecco, se fossi intervistata da Francesca Fagnani, non diresti allora di essere un camaleonte…
Non sarei un camaleonte anche se quello è l’animale che solitamente uso per descrivermi. Mi definisco camaleontica in un altro senso: riesco a trovare un modo per stare bene in ogni situazione.
Tamara è anche una cameraman (o, sarebbe meglio, camerawoman), dotata della straordinaria capacità di guardare la realtà intorno e filmarla. A Chiara, da donna, piace la realtà che vede intorno a sé?
Da donna, dico di sì. Ragiono molto nel mio piccolo e a livello individuale sono molto soddisfatta di quello che vedo, di ciò che ho creato e dell’ambiente in cui mi sono trovata. Non mi sono mai sentita in difficoltà per il mio essere donna e sono felice anche di dirlo perché mi rendo conto che non sempre è scontato che sia così. Di mio, ho sempre avuto un rapporta abbastanza particolare con la mia femminilità: quando a nove anni ho cominciato a recitare sembravo un maschiaccio… la femminilità è arrivata successivamente e l’ho vissuta bene, non sentendomi mai niente di più o niente di meno di qualsiasi altro essere umano.
A nove anni eri in scena con Il pifferaio magico. Cosa lasciava il recitare in quella bambina?
Era la classica recita scolastica della quarta elementare. Il mio essere stata sempre estroversa mi ha portato a buttarmi e a provarci. Credo che sia stato quello a spingermi e, nel ripensarci, non ricordo cosa ho provato lì per lì: so solo che è stato quello il momento in cui ho capito che non avrei mai più lasciato la recitazione. Non ho mai valutato l’ipotesi di cambiare idea o di avere un piano B: deve essere scattato dentro di me qualcosa di molto forte… avevo anche la capacità di memorizzare tante cose velocemente e non avevo problemi anche a mettermi alla gogna.
Dici di non aver mai valutato un piano B, eppure hai cominciato a dedicarti alla recitazione dopo aver seguito un percorso canonico fatto di diploma al liceo classico e laurea in Lingue…
Non ho mai abbandonato la recitazione: il frequentare l’università non mi ha impedito di continuare a seguire corsi o laboratori. E non è stato nemmeno un peso farlo, sentivo l’esigenza di conseguire una laurea ma non perché fosse un riconoscimento o un qualcosa per fare contenti i miei genitori: no, l’ho fatto per me. Oltretutto, le lingue mi sono sempre piaciute molto per cui non è stato nemmeno faticoso mantenere l’impegno per tre anni… non era di certo come studiare Medicina, come gran parte della mia famiglia ha fatto. Non c’è stato nulla di premeditato: è semplicemente andata così e, se tornassi indietro, non cambierei nemmeno idea.
Solitamente si pensa che sia una tappa obbligata dal volere dei genitori.
Ho avuto la fortuna immensa di avere due genitori che non mi hanno obbligata a fare nulla al di là di quello che fosse opportuno, come mandarmi a scuola da piccola (ride, ndr). Non mi hanno mai remato contro, mi hanno sempre sopportata e credo che siano stati anche molto più coraggiosi di me nel supportare una bambina dai nove anni fino a oggi che desiderava fare l’attrice, consapevoli comunque di quanto questo lavoro non sia facile.
Non mi hanno mai spinta a elaborare altri propositi, nemmeno sottobanco: per me, è stata una prova oltre che di amore immenso anche di estremo coraggio… la passione era la mia, non era la loro ma, nonostante ciò, non mi hanno mai fatto pensare che dovessi fare altro o che fosse meglio ripiegare su qualcosa di diverso.
Qualcosa di diverso lo hai fatto quando per diversi progetti ti sei cimentata con l’aiuto alla regia.
L’ho fatto spesso e c’è anche una ragione. Frequentare il laboratorio di Massimiliano Bruno mi ha permesso di indagare varie parti dell’essere artista: sono stata ammessa come attrice ma mi ritrovavo con dei compiti diversi da svolgere a casa, come lo scrivere un pezzo su un determinato argomento per poi dirigerlo da sola. Mi hanno dunque preparata come artista a 360°, cosa che mi ha permesso di scoprire di essere abbastanza portata anche per la regia. Ed esserlo mi aiuta tantissimo anche quando sono su un set ma non ho mai pensato di fare la regista e di non fare più l’attrice.
Non è mai stato un aut aut: mi piace pensare di avere acquisito altre skills che, nel caso volessi cimentarmi in qualcosa da sola, mi permetterebbero di farcela. Quello di attrice è pur sempre un mestiere che contempla, volente o nolente, tanti momenti di fermo: si potrebbero sfruttare per realizzare eventualmente qualcosa di proprio, no?
Di recente, a teatro ti abbiamo vista impegnata in qualcosa di abbastanza impegnativo e molto lontano dal mondo di Tamara: Yerma di Garcia Lorca.
Lontano non solo da Tamara ma anche dalla maggior parte dell’ideologia femminile di oggi perché, comunque, Yerma era nel testo originario una donna che riconosceva la sua femminilità soltanto nel suo essere madre. È un pensiero a cui sono assolutamente contraria: una donna deve sentirsi tale per quello che è e non solo in base alla sua funzione sociale.
Quando ho letto il testo, l’ho trovato interessante ma poi ho pensato che necessitasse di qualche modifica, tant’è che con i registi Massimo Giustolisi e Giuseppe Bisicchia abbiamo scritto un finale alternativo proponendo la storia di una donna degli anni Settanta che legge la storia di Yerma mentre è incinta di un uomo violento e che decide di indursi l’aborto… perché da una relazione senza amore non può nascere nulla. La protagonista è dunque una donna che sceglie di non far nascere nulla da qualcosa di sterile: un amore non è amore quando è violento. È una chiave di lettura molto forte, non lo nego, ma sicuramente più attuale e più emancipata.
…e in grado di sottolineare per una donna l’importanza di poter scegliere, argomento di cui si discute molto spesso anche a vanvera.
È dalla possibilità di scelta che dovrebbero partire tutti i discorsi sulla parità di genere: è solo quella che ti rende padrone del proprio destino. Yerma poteva scegliere di essere madre se solo i limiti socioculturali dell’epoca non l’avessero imbrigliata all’uomo a cui era sposata. Fortunatamente, abbiamo fatto grandi passi avanti.
Quando ti sei sentita libera di fare le tue scelte?
Non c’è un momento della mia vita in cui ho cominciato a essere libera di scegliere: lo sono sempre stata perché sono stata educata alla libertà di pensiero, a prendermi le mie responsabilità e a non subire le imposizioni. Non sono mai stata assoggetta a niente o nessuno e non mi è mai stato imposto nulla, cosa per cui sono grata quotidianamente.
Neanche alle costrizioni che implica crescere in una città come Roma?
No. Il mio percorso è stato molto, molto lineare e per certi versi inusuale per come vanno le cose a volte nel campo in cui ho studiato: ho lavorato per essere pronta nel momento in cui sarebbe arrivata la mia occasione. L’occasione è poi arrivata, ho lottato, l’ho vinta ed eccoci qua. Per questo, mi sento orgogliosa di darmi da sola una pacca sulla spalla e di dirmi di essere stata “brava” per essere arrivata fino a qua facendo le scelte giuste o sbagliate che mi hanno condotta a essere la persona che sono. Occorre sempre orgogliosi anche delle scelte sbagliate che si sono fatte: senza quelle, non potrei oggi guardarmi allo specchio ed essere contenta della donna che vedo. Chiaramente, poi, i momenti negativi ce li abbiamo tutti, quelli per cui “che disastro è la mia vita!” (ride, ndr).
Hai 31 anni: sei una ragazza di oggi…
Mi piace, “ragazza di oggi” (ride, ndr).
Perché? Senti il peso degli anni?
No, assolutamente: per me, i trent’anni sono stati migliori dei venti per come mi sento umanamente. Si dice che all’approcciarsi dei trenta ci sia sempre un po’ d’ansia ma la mia unica preoccupazione era organizzare una festa della quale essere contenta. Non sento il peso del tempo che passa, tutt’altro.
Cosa significa dunque per te essere una ragazza di oggi?
Prima di tutto, fare ciò che mi piace con impegno e senza mai dare nulla per scontato, anche quando si raggiungono certi traguardi. Dare qualcosa per scontato è controproducente in qualsiasi ambito, non solo sul lavoro ma anche nella vita. Essere una ragazza di oggi significa per me riconoscere anche il valore delle cose importanti come l’amicizia, la vicinanza che persone che amo e il trascorrere del tempo con il mio cane. Per me, felicità è ad esempio sentire il rumore delle zampe di Thiago sul pavimento quando entro in casa…
Thiago come qualche giocatore della Roma?
È un po’ il cruccio della mia vita: tifo Juventus. Mio nonno materno era juventino e ci ha contagiato tutti quanti: nello specifico, sono la meno tifosa della famiglia ma mio zio e i miei cugini sono dei bei gobbetti!
Nonno è stata una figura fondamentale della tua vita…
Mio nonno è stato l’uomo che mi ha salvato la vita ripetute volte. Era pediatra ed è lui che da piccola mi ha curato cinque polmoniti e tre broncopolmoniti. Passavamo tanto tempo insieme nella sua casa di Rieti: quando stavo male, mia mamma mi metteva in macchina e andavamo da lui per restarci intere settimane. Stavo male perché ero cagionevole di salute ma non ho ricordi negativi di quel periodo: il tempo passato con i nonni era per me una benedizione… Nonno era colui che mi faceva morire dal ridere: lo chiamavo “l’indiano” per come prendeva la mira quando doveva farmi le punture ma è anche la persona che vorrei avessero conosciuto tutti coloro che amo.
Tron, il tuo cognome, non è tipicamente romano…
Ho scoperto infatti che era veneto quando, capitando a Venezia, mi sono imbattute in continuazione in ponti o calli che si chiamavano Tron, come alcuni doge. Ma non so datare quando i Tron sono arrivati a Roma dal momento che da parte di papà sono romani da intere generazioni. So solo che mi porto addosso un cognome che da piccola ho odiato tanto quanto mi piace adesso.
Perché odiato?
Quando frequentavo la scuola, era appena uscito Harry Potter, una delle cose che più preferisco in assoluto, ma nella storia c’erano i Troll: era facile per gli altri storpiare il mio cognome (ride, ndr).
Non per il film cult degli anni Ottanta?
No, dovevi avere una certa esperienza disneyana per associarlo a quello. I bambini delle elementari di allora non sapevano assolutamente cosa fosse, lo conoscevano semmai i loro genitori: tutte le volte che mi dicevano “come il film” non avevo idea di cosa parlassero. Oggi so invece che è quel film di fantascienza che fece tanto clamore da meritarsi persino un sequel negli anni scorsi. Preferisco comunque pensare a Tron come a un’ellisse di “Trono” (ride, ndr).
Ti senti una regina?
No, per nulla. È solo perché è una parola italiana abbastanza riconoscibile: chiunque la capisce… Per indole, non mi sono mai sentita una regina: al di là della nobiltà d’animo, sono una del popolo!