Frammenti di un percorso amoroso è il film diretto da Chloé Barreau che I Wonder Pictures sta portando nelle sale italiane dallo scorso 13 settembre dopo averlo presentato alle Giornate degli Autori del Festival di Venezia. Prodotto da Matteo Rovere e Leonardo Godano per Groenlandia, è il racconto della vita amorosa della stessa regista ripercorsa grazie all’ausilio di materiali di repertorio e interviste a 12 tra i suoi e le sue ex.
Da quando aveva 16 anni, Chloé Barreau ha cominciato a filmare i suoi compagni e le sue compagne per preservare dall’avanzare del tempo l’amore che con loro viveva. Riprendeva tutto, fotografava ogni cosa, scriveva lettere e conservava ogni dettaglio, cominciando a costruire un ricordo personalissimo e unico delle sue relazioni. Ma cosa accade quando di quelle relazioni a parlare sono l’altra metà? Cosa raccontano? Coincide con quanto Chloé ha vissuto o ricorda?
La risposta sta nel film Frammenti di un percorso amoroso, in cui 12 ex (tra cui anche la regista Rebecca Zlotowski e l’attrice Anna Mouglalis) dicono la loro contribuendo a un racconto universale sull’amore, sulle sue implicazioni e sulle sue conseguenze. Raggiunta mentre è impegnata nel tour che porta il suo film in sala (prossime tappe con la regista in presenza al Cinema Farnese di Roma, già sold out, e al Cinema Troisi sempre della capitale il 30 settembre alle 19:00), Chloé Barreau racconta la genesi del suo lavoro, le motivazioni e le deduzioni, in un’inedita intervista tra personale e professionale.
Intervista esclusiva a Chloé Barreau
“Mi hanno suggerito di non chiamarlo documentario perché non corrisponde a ciò che la gente si aspetta quando si pensa ai documentari”, è la prima cosa che mi dice Chloe Barreau, la regista del film Frammenti di un percorso amoroso.
La prima curiosità è forse scontata. In Italia non abbiamo un gran bel rapporto con la parola “ex”: non tutte le relazioni finiscono in maniera amichevole e pacifica. Cancelliamo contatti e, se è il caso, blocchiamo anche i vari account dell’altro/a. Come hanno reagito i tuoi e le tue ex quando ti sei messa in contatto con loro? Avevi ancora i loro numeri?
Alcuni ho dovuto rintracciarli e ritrovarli, perché non ero rimasta molto in contatto con loro. E due o tre persone inizialmente mi hanno risposto di non voler essere coinvolti nel progetto. Hanno poi cambiato idea: non le ho convinte io ma la produzione. Non è stato però semplice: tra l’altro, tra le persone reticenti c’erano anche una scrittrice e una cineasta, che hanno accettato e si sono “sacrificate” in nome dell’arte. Una di loro si occupa nello specifico di non fiction novel, scrivendo della sua stessa famiglia e delle sue cose: chiaramente fa un genere letterario che corrisponde a ciò che faccio io nel mio film e non avrebbe potuto rifiutare: sarebbe stata incoerente.
La curiosità riguarda, invece, i tuoi filmati. Cosa ti ha spinta a 16 anni, nel pieno del tuo processo di crescita e formazione, a cominciare a filmare le persone che ti circondavano?
Mia madre scattava fotografie e, quindi, avevo già cominciato a fare le mie prime foto a quattordici anni rubando la sua fotocamera: mi piaceva molto e non so il perché. Forse l’impulso era quello di trattenere il presente e di conservare il momento storico. Mio padre è uno storico e, di conseguenza, avrò ereditato da lui la mania di conservare tutto. Sicuramente non avevo alcun tipo di ambizione cinematografica ma il tutto nasceva dal mio desiderio di conservare parte della mia esperienza amorosa: quando sono innamorata, ho bisogno tuttora di fotografare e filmare.
Il materiale raccolto negli anni sarà stato tantissimo. Come hai scelto quelli che avrebbero composto Frammenti di un percorso amoroso?
Il mio più grande rammarico è stato proprio quello di aver dovuto fare delle scelte arbitrarie. Determinante è stato il lavoro fatto con Fabia Fleri: la responsabilità editoriale è stata fondamentale perché, a un certo punto, avrei voluto mettere meno personaggi e più materiali. È stata Fabia a dirmi che era meglio lasciare quei dodici personaggi, riflesso di tutti gli amori (essenziali, lunghi o semplicemente tresche) che avevo vissuto. Abbiamo dunque favorito la narrazione anziché restituire una storia di repertorio.
Non nego però che è stato frustrante scegliere tra 70 ore di materiale e lasciar fuori tante cose che reputo bellissime. Al tempo stesso, è innegabile come il sentire i racconti da parte delle persone coinvolte porti lo spettatore a mettere in atto un processo di identificazione.
Un processo di identificazione che è molto inclusivo e molto moderno: quando avevi sedici anni, come viene ricordato anche nel film, era quasi impossibile parlare di fluidità, ragione per cui Frammenti di un percorso amoroso sembra rivolgersi ai giovani della Generazione Z anziché a un pubblico più maturo e conservatore.
Mi ha molto sorpreso lo scorso venerdì vedere la sala del cinema Beltrade a Milano del tutto piena e notare tra il pubblico tanti giovanissimi, sorpresi da un lavoro in cui si rivedevano e riconoscevano. Quando avevi sedici anni, non è stato semplicissimo affrontare la fluidità: come si vede anche nel film, non sempre i miei sentimenti venivano ricambiati. C’era chi non li accettava ma io stessa ha faticato ad accettare la mia fluidità, passando attraverso la fase della negazione, della simulazione e della vergogna.
Le testimonianze che hai raccolto restituiscono anche la tua identità nonostante tu non sia mai presente in scena. Sei la protagonista di Frammenti di un percorso amoroso senza che ti si veda mai.
Ho costruito il film sulla mia presenza assenza. Volevo dare allo spettatore lo spazio per entrare nella storia senza sentirsi mai un intruso. Ecco perché per me era importante che tutti parlassero di me in terza persona, come se fossi un personaggio “misterioso” di cui poi non importa tanto: ero solo il pretesto per poter entrare all’interno di un percorso amoroso generico di cui ognuno poteva appropriarsi e far suo.
Non si tratta di un film autobiografico: la protagonista non ero io ma i miei ex, in uno dei quali – vista la loro eterogeneità – lo spettatore può benissimo riconoscersi. Non c’era in me nessuna volontà narcisistica, anzi: la sfida maggiore è stata proprio superare la mia paura di essere giudicata. E ce l’ho fatta solo pensando che non tutti hanno avuto la singolarità e l’opportunità di riprendere la loro vita o il loro percorso amoroso: l’amore è sempre stata un po’ la mia priorità.
Hai trovato nei racconti degli o delle ex ricordi diversi dai tuoi?
Ovviamente, sì. Sui fatti, sulle date e sugli accavallamenti ci sarebbe da discutere: le sensazioni che si hanno quando si ricorda non sempre corrispondono alla realtà. Quando si comincia a raccontare una storia si entra un po’ nella finzione: come dice Anna Mouglalis, ci inventiamo un passato e, quindi, non importa tanto la verità dei fatti, su cui potrei avere qualcosa da ridire ma non sulle relazioni e la loro natura. È stata per me quasi un’operazione rassicurante: mi sono resa conto che la persona di cui parlavano ero io, non ho mai pensato che stessero raccontando qualcun altro. Nel bene o nel male, mi sono riconosciuta in quello che hanno detto, anche nelle cose scomode. Ho tradito, sono stata sicuramente ambigua e complessa, ma non ho mai lasciato io: erano sempre gli altri o le altre a farlo!
A chi appartengono quindi i ricordi? È la domanda con cui si apre il film, del resto.
Direi che appartengono a chi sceglie di raccontare le storie. Amo farlo, penso che sia nella definizione della natura umana il raccontarsi delle storie e il raccontarle. E quando le si raccontano, come dice anche Rebecca Zlotowski, anche se si propone la propria, le storie non ci appartengono più. È come quando mandi una lettera: non è più tua ma dell’altro.
Di lettere in Frammenti di un percorso amoroso ce n’è più di una: ci muoviamo in un mondo in cui gli smartphone e il digitale non hanno ancora preso il sopravvento. C’è qualche rimpianto in te per un’epoca che è stata e che non è più?
Assolutamente sì. Ho vissuto come tutti la rivoluzione digitale e mi sono anche adattata e adeguata ai nuovi linguaggi. Però, francamente, sono molto nostalgica del periodo analogico: ho molta difficoltà, ad esempio, con i social media e con la sparizione degli oggetti fisici, come i cd, i dvd o i libri, è come se sparissero le nostre tracce. Nel film, non c’è niente ricreato in digitale: le fotografie che si vedono sono state filmate, così come le lettere manoscritte, qualcosa a cui ero molto affezionata. È un po’ triste che siano sparite dalle nostre vite: mi piaceva l’idea di cominciarle dando anche informazioni su luogo e data. E poi le lettere di rottura erano sempre molto intense! Sono specializzata in Letteratura e la mia tesi era su Le relazioni pericolose, un romanzo – per l’appunto - epistolare…
Il titolo del tuo film omaggia Roland Barthes.
In un primo momento, Frammenti di un percorso amoroso era solo un titolo provvisorio di lavorazione. Descriveva bene il film ma era ritenuto un po’ troppo alto. Tuttavia. È diventato quello definitivo: non siamo riuscite a trovare un titolo migliore ed è stata la scelta giusta: mi piaceva e permette di far capire alla gente di cosa si tratta. Non c’è neanche un indicazione su di chi sia tale percorso: è generico. Ed è un po’ anche quello che ha fatto Barthes: ha analizzato il linguaggio amoroso per mostrare quanto una cosa così privata e personale sia allo stesso tempo vasta e universale.
Ma è anche un modo per richiamare il fatto che sia un film francese. Produrre un film parlato in lingua francese per la maggior parte del tempo è stata una mossa molto audace da parte di Groenlandia, casa di produzione tutta italiana, e non smetterò mai di ringraziare Giulia Steigerwalt per aver pensato a Lynn, una divisione interamente dedicata a progetti a regia femminile di cui sono stata la prima beneficiaria. Dopo il #MeToo c’è maggior consapevolezza di come manchino le narrazioni femminili e sono felice della sua scommessa.
Cosa c’è nel tuo futuro?
Continuerò a lavorare su documentari che partono dagli archivi privati, su qualcosa di paragonabile ai non fiction novel. È sempre stato il mio sottogenere ed è qualcosa che in Italia non si è mai sperimentato molto: i contenuti sono veri ma il modo di raccontarli è letterario.