Claudym appartiene appieno alla schiera dei procrastinatori seriali. E, dopotutto, chi di noi non ha mai fatto una lunga lista di propositi da attuare che ha poi dimenticato da qualche parte nei meandri della propria mente? Ed è da una situazione più comune a quella che si pensi che nasce Cose che si dicono, il nuovo brano con cui Claudym si è ripresentata in radio e su tutte le piattaforme digitali dallo scorso 30 giugno.
Uscito per Island Records (Universal Music Group), Cose che si dicono è il terzo singolo di Claudym e anticipa l’album d’esordio a cui la cantautrice sta lavorando. Reduce dal successo dell’ironico vademecum sull’infedeltà di Bugia e della dichiarazione d’amore atipica a un’amica con Joanne, Claudym punta questa volta la sua speciale lente di ingrandimento su quel procrastinare continuo e consapevole che contraddistingue quasi tutte le relazioni moderne.
Con un ep alle spalle (Un-popular), Claudym si è servita della produzione di Okgiorgio (Giorgio Pesenti) per raccontare con originalità il suo mondo ma anche quello che la circonda. Ma com’è il mondo di Claudym ce lo spiega lei stessa nel corso di un’intervista in esclusiva fuori da ogni regola. Prendendo spunto dal testo di Cose che si dicono e dall’elenco di cose, per l’appunto, procrastinate, tra il serio e il divertente abbiamo voluto conoscere la donna dietro l’artista.
Ed è emerso il ritratto di una millennial che, tra ansie e preoccupazioni ha le idee chiare di quello che sarà il suo percorso, una strada a cui è arrivata relativamente tardi (secondo lei) perché aveva paura del contatto diretto con il pubblico. Ed è la ragione per cui aveva scelto il mondo del disegno, in cui è attiva da tempo
Nome d’arte di Claudia Meccechini, Claudym è nata a Luino, in provincia di Varese, ed è considerata a oggi una delle artiste emergenti più interessanti del panorama italiano. E, conoscendola, chi può asserire il contrario?
Intervista esclusiva a Claudym
“Pensavi che fossi un call center che voleva venderti un abbonamento in palestra?”, è la prima cosa che chiedo a Claudym quando mi risponde al telefono e pare sorpresa.
Anche l’iscriversi in palestra è una di quelle cose che si dicono e che poi non si fanno, come ricorda la tua nuova canzone…
La nostra esistenza è piena di cose che si dicono, che si ripromette di fare e poi nulla. Tutta la mia vita è basata su ciò: Cose che non si dicono mi rispecchia molto perché per indole tendo a rimandare sempre e poi mi perdo, fino a quando non dimentico cosa volessi fare. Mi sono accorta con il tempo che è un meccanismo di difesa: da persona molto ansiosa, stavo malissimo nel pensare a ciò che avrei dovuto fare e, non so come, mi sono ritrovata a risolvere la questione non pensandoci più proprio… salvo poi all’ultimo minuto ritrovarmi a dover gestire tutto! Quindi, a volte il non pensare e il procrastinare mi ha aiutata mentre altre volte mi ha reso il tutto ancora più complesso. In poche parole, la canzone è ispirata a fatti realmente accaduti. È così che si dice, no?
Prendendo spunto dal testo della canzone, vediamo insieme di capire cosa hai procrastinato, cosa hai fatto realmente e cosa no. Quand’è l’ultima volta che hai rigato la macchina di un tuo ex?
Per fortuna, mai fatto né agli ex né agli sconosciuti. Non vorrei portarmi sfiga da sola dicendolo ma non ho mai fatto danni alla guida. Ammettiamo pure che non ho mai avuto fantasie simili!
Come frutto della fantasia è il riferimento al bicchiere di whisky…
Sono astemia. Ogni tanto mi è capitato di bere ma niente vino o birra: semplicemente qualche amaro solo quando mi viene offerto dagli amici.
Qual è invece la buona intenzione che ti trascini dietro da tanto tempo e che non hai mai concretizzato, pentendotene dopo?
Ce ne sono tantissime. Una fresca e molto stupida: l’altro giorno sono entrata in un negozio e ho visto un paio di pantaloni che volevo assolutamente prendere. Ho voluto ripensarci sopra ma quando sono ritornata perché li volevo non c’erano più: un grande classico! Guardando, invece, ad altro di più profondo, ho rimandato per troppo tempo il voler far musica: fortunatamente, ho poi trovato il coraggio di farlo ma ho un po’ di rimpianto per non aver perseguito prima quello che era il mio desiderio. Mi capita di pensare che se avessi cominciato prima, avrei già fatto un po’ più di strada e accumulato un po’ più di esperienza.
Perché non ne avevi il coraggio?
L’ansia mi accompagna sin da quando ero piccolina. Di conseguenza soffrivo un po’ di attacchi di panico e l’idea di dover cantare davanti a un pubblico mi terrorizzava. Non mi ci vedevo su un palco, non pensavo di avere il carattere giusto per affrontare la situazioni. Ed è anche la ragione per cui mi sono cimentata prima nel mondo dell’illustrazione: mi permetteva di nascondermi e di non avere un confronto diretto con la gente. Dopo i disegni, ho iniziato pian piano a pubblicare i primi video e a cucirmi addosso quello che avrei fatto successivamente: mi è stato d’aiuto per sbloccare le problematiche che vivevo.
Eppure, ti sei ritrovata a dover aprire concerti sold out come quelli dei Pinguini Tattici Nucleari…
Vivo la dimensione live in maniera un po’ più tranquilla ma c’è sempre parecchia ansia prima di ogni esibizione. Sto imparando solo ora a godermela e a divertirmi con i ragazzi della band ma prima era come se il tempo si dilatasse: potevo stare seduta per ore senza far o dire nulla. Per controllare l’ansia, ho trovato una mia tecnica: mi muovo molto e mi sfogo sul palco tanto che la gente che guarda pensa che io tranquilla. In realtà, più faccio così più me la sto facendo sotto! Ma così facendo sfogo l’ansia con l’energia e l’adrenalina: più mi muovo, più mi rilasso e mi stanco! La paura di sbagliare, comunque, persiste… anzi, se deve essere, preferisco sbagliare all’inizio, dopo non posso che far meglio.
Anche i capelli color verde fluo nascono dall’essere agitata?
È un colore che ho scelto quattro o cinque anni fa, ancor prima che lo sdoganasse Billie Eilish, ma non nasce dall’essere agitata. In un primo momento, avevo optato per il platino ma poi mi son detta che avrei voluto qualcosa che non si vedeva tanto in giro e che in qualche modo mi avrebbe “messa in difficoltà”: chi se lo sarebbe mai accollato il verde? Una volta fatto, l’ho sentito mio, mi ha aiutata a sbloccarmi e ho voluto dunque mantenerlo perché, comunque, mi ci riconoscevo.
Il colore dei miei capelli è anche un po’ il simbolo della mia sensibilità e dei picchi di emozioni che vivo. Così come posso essere super sexy, so improvvisamente diventare super negativa. Mi muovo sempre tra due dimensioni agli antipodi, o vedo bianco o vedo nero. Non vedo mai vie di mezzo, sono per gli eccessi happy o unhappy.
Convivi quindi con questi due stati d’animo diametralmente opposti?
Ho vissuto un momento di rottura negli ultimi messi. Quando si lavora a un nuovo disco, ci sono sempre momenti faticosi da affrontare ma me li sono lasciata alle spalle. Quindi, adesso sto vivendo meno momenti fortemente tristi… e poi, ammettiamolo, da buon Leone ho una certa tendenza alla drammaticità: quando attraverso una fase down, me la vivo appieno. Ho bisogno di toccare la disperazione per poi ripartire molto più energica rispetto a prima.
Per sentirci più energici, ci si potrebbe anche iscrivere in palestra, per ritornare al punto da cui eravamo partiti…
E l’ho fatto. Mi volevo muovere e ho cominciato a seguire delle lezioni e ad allenarmi, con tutti i buoni propositi del caso. Pensavo finalmente di aver trovato la forza di reggere: non andavo in palestra da cinque anni almeno e due volte alla settimana mi sembrava gestibile. Morale della favola? Mi ha chiamato giusto qualche giorno fa la mia personal trainer per dirmi che non mi vedeva e sentiva da un bel po’. Lei mi manda i video con gli esercizi da fare, le ho detto che ero indietro di qualcuno ma in realtà sono indietro da un botto di settimane. Anzi, spero proprio che non legga mai quest’intervista!
Da millennial, hai un buon rapporto con il tuo corpo?
Da adolescente, ho passato degli anni faticosi. Non c’era ancora negli anni tutta quell’attenzione alla body positive che c’è oggi, che permette agli e alle adolescenti di crescere in un clima un po’ più sereno e “protetto”. Esagero nel dirlo ma oggi non guardo nemmeno il mio aspetto e non mi è mai piaciuto essere guardata: anche quand’ero più piccola, andavo al mare in spiaggia con dei costumi da maschio, i pantaloncini quelli tutti fiorati, perché mi dava fastidio l’idea di scoprirmi. Sarà forse per questo che ancora oggi non amo andare in spiaggia?
Anche sui social, per esempio, non mi piace mostrarmi molto. Cerco sempre di pormi un po’ come l’amico o l’amica di tutti. Non mi va di essere vista in altro modo o di ricevere certi tipi di commenti: anche questo è un meccanismo di difesa che attuo.
Quand’è l’ultima volta che ti sei presa un bel rischio?
È stato in studio di registrazione. Tendo a fregarmene delle logiche e questa settimana ho lavorato a un brano che è un bel rischio. Al di là della musica, è stato un bel rischio prendere in casa due ratti domestici. E lo è stato perché, come dico anche nella canzone, non riesco nemmeno a prendermi cura di me. Con loro, invece, mi sto impegnando molto, anche se nel frattempo le mie piante muoiono!
Che rapporto hai con i tuoi genitori? Davvero dovresti chiamarli più di frequente?
Con loro ho un bellissimo rapporto ma sono sempre un po’ sulle mie. Tra l’altro, vivo molto vicino a casa loro ma, nonostante ciò, non li vedo tantissimo. Ogni tanto mi dimentico di sentirli e rispunto dal nulla chiedendo magari a mia madre come si prepara il pollo. Sono un po’ una figlia non proprio top ma ho un bel rapporto con mamma e papà.
“Amarmi e non punirmi sempre”…
In generale, sono super critica con me stessa. E lo sono tantissimo: non mi va mai bene niente. Anche se qualcosa va bene, trovo che poteva comunque andare meglio o potevo farla meglio. Risulto anche un po’ pesantina con me stessa. È la ragione per cui ho la tendenza a impegnarmi tanto: non essendo mai contenta emotivamente, è un continuo spronarmi a fare di più.
Prima di debuttare in musica, hai frequentato l’università e cominciato con le illustrazioni. Da dove nasce la passione per il disegno?
Ho una sorella più grande di me di otto anni, una bella differenza d’età, e da piccola volevo far tutto quello che faceva lei. Frequentava il liceo artistico e, approfittando anche del fatto che mi piaceva già disegnare, ho seguito le sue orme.
Ricordi ancora i primi disegni?
Più che altro li ricorda la mia famiglia: ho rovinato tutte le foto disegnando occhiali a tutti colore che erano ritratti!
Nonostante il liceo artistico, hai scelto tutt’altro all’università…
Tutti quanti, familiari e amici, mi hanno sempre percepita come quella creativa e portata per le materie artistiche. Ma mi sono iscritta alla facoltà di Scienze e Tecnologie e all’inizio è stato un po’ faticoso. Volevo far qualcosa di serio perché un po’ influenzata dalle retoriche della società: l’arte non andava bene, dovevo mettere la testa a posto… ma poi la vita mi ha riportata sulla mia strada.
Stai lavorando ora al tuo primo album. Che direzione prenderà?
A chi mi chiede che musica faccio rispondo sempre “alternative pop”. In questo modo, riesco a fare entrare di tutto in una sola definizione. I focus del mio sound sono l’elettronica e la chitarra ma per me ogni pezzo deve avere una propria anima proprio perché figlio di tante influenze diverse. Nel nuovo album, tutti i brani saranno molto collegati tra loro sia per l’approccio alla scrittura e le tematiche che racconto sia perché a livello sonoro hanno tutti una matrice comune. Di sicuro, saranno brani più maturi in cui ho cercato di raccontare le tematiche che affronto con un punto di vista quasi esterno. Il mio primo ep era quasi come se fosse un diario intimo mentre ora ho ampliato la mia visione a livello di scrittura.
Avevi un diario da adolescente?
Certo. Ma son sempre stata fuori di testa. Ero super precisa e avevo quasi un’ossessione per la cancelleria. Ho avuto un sacco di diari ma tutti con poche pagine…
Come mai?
Iniziavo sempre a scrivere “Caro diario”… ma se poi non mi piaceva come avevo scritto qualcosa, strappavo via la pagina per ricominciare. Ma strappavo le pagine anche quando il giorno dopo realizzavo che non mi piaceva quello che ho scritto. Quindi, ho diari con pochissime pagine perché dovevano essere perfetti: erano gli albori di una perfetta serial killer! (ride, ndr).
Hai conservato la stessa sindrome da maestrina nello scrivere oggi le canzoni?
No, anzi… nei fogli c’è un tale casino che chi li vede mi dice che sembrano le prescrizioni di un medico. Riesco a capire solamente io il caos che c’è. È l’evoluzione: sono passata dall’armonia totale al caos della creazione!
Senti sulle spalle il peso delle aspettative?
Il mio obiettivo è arrivare il più lontano possibile. Sin da quando sono piccola, ho sempre avuto la sensazione che avrei parlato un giorno a un giorno vasto: non so come spiegarlo… sembra anche molto arrogante da dirsi ma sin da bambina mi vedevo a fare una determinata cosa. Adesso visualizzo il cammino sempre per obiettivi ravvicinati, sapendo che voglio che mi portino il più lontano possibile.
Vedrò con il tempo che tipo di contesto mi voglio ritagliare intorno e cosa mi fa stare bene: può essere anche la mia dimensione ideale sia quella di un pubblico piccolo. Me lo dirà il tempo… intanto ragiono a piccoli step concentrandomi su quelli vicini: chiudere il disco non sarebbe male!