È uscito nei cinema italiani Confidenza, il nuovo film del regista Daniele Luchetti. Tratto dall’omonimo romanzo di Domenico Starnone, edito da Einaudi, il film Confidenza è una produzione Indiana Production e Vision Distribution (che lo distribuisce anche in sala) in collaborazione con Sky e Netflix.
Con una sceneggiatura firmata da Francesco Piccolo e Daniele Luchetti, ha per protagonisti gli attori Elio Germano, Federica Rosellini, Vittoria Puccini e Pilar Fogliati, con Isabella Ferrari. Completano il cast, Roberto Latini, Luca Gallone, Giordano De Plano, Bruno Orlando e Sofia Luchetti. Le musiche e i brani originali portano invece la firma di Thom Yorke.
Confidenza è un film che permette al regista Daniele Luchetti di tornare ad adattare un romanzo di Starnone dopo aver diretto quasi trent’anni fa quel piccolo cult che è La scuola e a un paio d’anni dal bellissimo Lacci.
Al centro della storia c’è Pietro (Elio Germano), un insegnante che è il ritratto perfetto del maschio contemporaneo, un uomo in fuga dalle sue debolezze che può soltanto sperare di essere, finalmente, smascherato. Ma di cosa ha più vergogna Pietro, del segreto inconfessabile che racconta a Teresa (Federica Rosellini), la donna che dice di amare, o della sua intera esistenza, costruita per sembrare migliore di quello che è?
Tra tanti detti e non detti, il film Confidenza può offrire allo spettatore tante chiavi diverse di lettura. Ma, data la natura del tema trattato, TheWom.it tenta di approfondire il suo nucleo proponendo un punto di vista necessario e unico, quello di chi tutti i giorni si ritrova per professione ad avere a che fare con un argomento complesso come il desiderio: la psicologa e psicoterapeuta Valentina Galeotti.
Valentina Galeotti è psicologa e psicoterapeuta a orientamento psicoanalitico lacaniano, responsabile del Centro Jonas Roma e presidente della Società Romana di Psicoanalisi. Svolge attività clinica, co-direttrice della Collana Cromie, collana di Psicoanalisi e arte edita da Castelvecchi e autrice di numerosi articoli. Ha pubblicato La verità della bellezza (Quodlibet, 2021) e Dal taglio, la luce. Passi di Alfredo Pirri (Castelvecchi, 2023).
Confidenza di Valentina Galeotti
“Cosa significa convertirsi all’ordine etico del desiderio? La psicoanalisi, sulla scia di Sant’Agostino, convoca il soggetto di fronte al suo interrogativo cruciale. “Avete agito in modo conforme al desiderio che vi abita?”(J Lacan, L’etica della psicoanalisi, Il Seminario, Libro VII, Einaudi)
Pietro Vella (Elio Germano) è un fantasioso professore di liceo, la sua vita scorre più o meno in modo convenzionale, sino a che un incontro contingente e inaspettato lo sconvolge.
La domanda “avete agito in modo conforme al vostro desiderio” proviene dalla voce di una studentessa, giovane allieva talentuosa, spavalda, promessa della matematica, studiosa dei nodi, occhi guizzanti come le saette. La sfasatura, l’intermittenza, l’impossibilità del rapporto emerge dai primi minuti, i due non si trovano mai, lei dice “Voglio di più”, lui si terrorizza di fronte alla domanda, di fronte al Desiderio dell’Altro, troppo potente, eccessivo, non tollerabile, incarnato da un corpo, quello di Teresa (Federica Rosellini), che sfugge, non prevedibile, volitivo.
Pietro è nel suo dedalo, il ritmo della narrazione è incalzante, l’impossibilità del desiderio è presente ad ogni fotogramma. Pietro è come fosse morto, rintanato in un impossibile inestricabile che lui stesso alimenta.
A metà narrazione un’altra voce incarna un moto di vita, quella di Nadia (Vittoria Puccini), la collega che legge degli appunti di Pietro appesi ad un muro, forse per essere letti da qualcun altro, e lo invita a proporli ad un editore perché interessanti, degni di nota, inediti.
Un incontro di un altro tipo, un moto, un qualcuno che non lo lascia cadere, che lo sveglia, che lo costringe a porsi al centro nonostante lui non voglia e sia comodo nella sua posizione. Nadia dalla posizione di porre il Desiderio dell’altro al centro della sua vita incoraggia Pietro, lo sostiene, lo appoggia, lo ascolta.
Ma in quale posizione sembra abbarbicato il soggetto di questo film? Pietro nel suo muoversi sembra evocare l’Ulrich di Musil, da L’uomo senza qualità, un uomo lunare definito da Musil, un Pierrot, con l’espressione forzatamente felice ma con la lacrima permanente, illuminato da una luce bianca, quasi ultraterrena come se non fosse in nessun modo toccato.
In qualche modo Pietro si colloca nella posizione di colui che non decide, che non sceglie, colui che viene “disturbato” prima da una donna, poi da una seconda, poi da una terza, poi chissà da chi. Tre donne dalle quali, eccetto la seconda, l’unica che sceglie, fugge, come se il pericolo del desiderio e dunque del sentirsi mancante, desiderante fosse tenacemente evitato, con una tenacia ferrea.
Qualcosa della studentessa Teresa accende il suo interesse. Sullo sfondo una perdita comune e, come si direbbe in termini lacaniani, un significante tra tutti pronunciato distrattamente da Pietro mentre si rivolge ad un uomo al quale Teresa si era legata. Ossia “sono orfano anche io”. Un non rapporto destinato a non scriversi direbbe Lacan, sotto il segno dei nodi, quelli che studia Teresa.
Questa è una straordinaria coincidenza del film. Fu proprio Jacques Lacan sulla scorta di Darmon ad utilizzare i nodi per dire del soggetto. Il linguaggio non era più sufficiente, qualcosa sfuggiva al senso e dovette individuare una disciplina della superficie che rappresentasse, senza dirlo, il rapporto tra il simbolico, ciò che diciamo, l’immaginario, il rapporto con l’altro, e il reale, il sintomo che ci denota.
Esiste qualcosa di perduto in ogni soggetto che ne causa il desiderio, nei confronti di Teresa l’essere orfana come lui. Da lì una spinta a prendersi cura di quella ragazza, ad accudirla, quella ragazza come sembiante di qualcosa di sé che ha perso e che vuole recuperare, tuttavia ineluttabilmente perduto.
Nei confronti di Nadia qualcosa si accende, anche se sotto traccia, in modo meno dirompente ma dotato del dono della durata, ossia la mancanza. Nadia con la sua rinuncia ha fornito a Pietro un varco dove accedere, dove collocarsi, un luogo bussola, caldo e rassicurante, a tratti, poiché anche questo segnato dal sigillo dell’impossibilità. Posizione esistenziale di Pietro.
Infatti, l’essere impossibilitato sembra qualcosa che accompagna Pietro dall’inizio alla fine del film; questo lo si vede in tre scene capitali: nel movimento, nell’ultima scena in cui si chiude in una scatola, nell’amare, nei rapporti mai lontanamente soddisfacenti, nel parlare, nella voce che non esce quando prova ad emettere suoni.
La potenza di questo personaggio è forse la verità profonda che rivela ossia che siamo tutti posti nel momento in cui nasciamo di fronte al nostro desiderio e a cosa vogliamo farne di esso. Come direbbe Sartre siamo tutti nati nella nostra fatticità e solo l’amore, la sua illusione, il suo segno, può sollevarci da questa condizione, ossia l’altro che ci aspetta, che ci vuole, che ci attende, ci cerca.
In questo la scrittura del film Confidenza, in sorprendente affinità con la psicoanalisi, centra la questione nelle parole usate da Teresa, ossia “matrimonio etico”. Forse l’invito non è quello di stare insieme, la questione non è lei o un’altra donna, piuttosto quello di occuparsi di sé, della sua gioia, della sua vita con tenacia.
Difatti l’aspetto di Teresa non rimane propriamente seduttivo piuttosto androgino, volitivo, quasi violento, lo sguardo appare quello di un Antigone contemporanea, espressione del desiderio assoluto, un essere quasi inumano, ultraterreno. Leggiamo Lacan: “Antigone porta fino al limite il compimento di ciò che si può chiamare il desiderio puro” (J Lacan, cit.). Intorno a Teresa non vi è una collocazione stabile. Si presenta errante, raminga, imprendibile, sovente su un motorino in velocità, con gli abiti al vento, come il desiderio appunto. Quindi appartenente ad un immaginario, funzionale a disturbare il ritiro dalla vita di Pietro.
La studentessa in una scena del film trova nel frigo di Pietro un limone ammuffito, lo pone davanti a sé e lo fissa, fissa la muffa, fissa le escrescenze violacee che la muffa produce, ne è attratta, catturata, come attirata dal limite assoluto, dal passo precedente alla morte delle cose, come Antigone, borda quel limite senza varcarlo. La scena del film richiama i quadri di Alberto Burri dove le muffe nulla altro sono che il reale del soggetto, la parte più scabrosa, più repellente, più nascosta, collocata però in un’armonia estetica assoluta.
La muffa è nel film la confidenza che i due protagonisti si scambiano all’orecchio. La muffa del sintomo che alberga in ognuno di noi, la parte di cui ci vergogniamo, la parte monca, zoppicante, che a tutti costi ci affatichiamo a celare.
In ultimo, i titoli di coda completamente invasi da sussurri. Che siano tracce, residui, impasti di voci, sonorità antiche del protagonista, dei protagonisti o le nostre?
In questo senso questo film tocca una dimensione tragica, parte da Sofocle, costeggia Musil, tocca Starnone ed arriva alla regia di Luchetti. Un giro acrobatico che lo rende un’opera particolarissima e raffinata.