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Costanza Quatriglio, l’isola vent’anni dopo – Intervista esclusiva

A distanza di vent’anni, Costanza Quatriglio riporta ad Alice nella Città il suo primo lungometraggio di finzione, L’isola, in una versione restaurata da Cinecittà. L’occasione ci permette di tornare con lei a vent’anni fa, alle suggestioni di un mondo che è cambiato per sempre e al suo sguardo in grado di mescolare realtà e finzione in maniera inedita.

Alice nella città, la sezione parallela e indipendente della Festa del Cinema di Roma, torna a ospitare a distanza di vent’anni il film L’isola di Costanza Quatriglio, in una versione restaurata a cura di Cinecittà. Appena presentato alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes, L’isola è stato nel 2003 il film che ha aperto la prima edizione di Alice nella città e tornare a ospitarlo è stato per Fabia Bettini, direttrice artistica, un modo per celebrare i passi fatti sia da Alice sia da Costanza Quatriglio: un cammino che, iniziato insieme, ha portato il festival a diventare grande e la regista a diventare una maestra del nostro cinema, in grado di coniugare con naturalezza realtà e finzione.

Non è un caso che oggi Costanza Quatriglio, oltre a essere una delle registe più apprezzate al mondo (L’isola, suo primo lungometraggio di finzione, è arrivato con successo di pubblico e critica in oltre venti Paesi), sia la direttrice e coordinatrice didattica del corso di documentario del Centro Sperimentale di Cinematografia di Palermo, un impegno che la porta a stretto contatto con quei giovani che, mossi da talento, si preparano a restituire la loro visione dell’oggi e del domani.

Giovani come i protagonisti del film L’isola che, con la cifra del realismo magico, racconta la favola senza tempo di Turi e Teresa, un fratello e una sorella cresciuti amando il mare e la bellezza della natura. Figli di un pescatore, Turi e Teresa affrontano il loro processo di formazione sull’isola di Favignana, a ovest della Sicilia, in un contesto che intreccia le loro esistenze con la vita dell’isola stessa in un momento che la Storia ci dirà di grande trasformazione. Attraverso le emozioni, i turbamenti, i nuovi amori, i conflitti e il passare delle stagioni, Turi e Teresa navigano verso un inevitabile cambiamento scoprendo chi sono e stabilendo la loro identità.

Ma di L’isola, del film ma anche dell’isola stessa di Favignana, abbiamo parlato direttamente con Costanza Quatriglio, da sempre libera da etichette e mossa dall’istinto del racconto, ha sempre portato la sua cifra stilistica e se stessa in tutti i progetti che ha diretto, non credendo in quella distinzione che separa cinema d’autore dal cinema non d’autore. L'isola, in versione restaurata, uscirà in home video il 14 dicembre 2023 con Mustang Entertainment.

Costanza Quatriglio.
Costanza Quatriglio.

Intervista esclusiva a Costanza Quatriglio

Cosa significa per te tornare ad Alice nella Città con L’isola, il tuo primo film di finzione?

È una cosa molto bella tornare con lo stesso film ad Alice nella città a vent’anni di distanza: L’isola ha aperto il festival nel 2003. Ed è molto bello che ci sia questo riconoscimento per un film che riguarda sia la storia del festival sia la mia. Sono anche felice che Cinecittà abbia deciso di restaurarlo perché è un riconoscimento importante al valore non solo del film in sé ma anche del mio lavoro: sono molto grata a chi ha avuto l’idea.

Nonostante sia stato girato più di vent’anni fa, L’isola è un film che riesce a parlare anche con l’oggi, risultando più moderno e attuale che mai grazie all’attenzione riservata al gender gap, che inevitabilmente interessa i protagonisti della tua storia di formazione, e al tema dell’identità maschile e femminile.

Sì. Teresa, la bambina protagonista, si identifica molto con l’isola e con tutti quegli elementi che fanno l’identità dell’isola stessa. Penso alla fatica, al sudore, al mare, al tufo e a tutto quello che riguarda l’ancestralità del rito e del lavoro, elementi che sostanzialmente sono prettamente maschili. Le convenzioni sociali non prevedono e non contemplano che lei faccia il pescatore, lavoro adibito al fratello Turi, che è maschio. Turi dovrebbe fare il pescatore ma vuole fare il marinaio, manifestando il desiderio di uscire fuori da uno schema prestabilito. Sia Teresa sia Turi sono prigionieri di una condizione anche nel rapporto che è in essere tra di loro: fa parte della loro educazione e delle loro possibilità.

Qual è stata l’esigenza che ti ha portata a voler raccontare la loro storia?

Da piccola ho trascorso le mie estati sull’isola di Favignana, mio nonno materno era originario dell’isola. Conoscevo quindi il posto e gli volevo molto bene: quando sei molto giovane, è più facile che racconti qualcosa che conosci da vicino e in cui ti identifichi. Non sono figlia di un pescatore ma ho vissuto quelle esperienze da molto vicino: era un mondo che mi era molto prossimo.

Sei rimasta negli anni in contatto con i due protagonisti?

Con Veronica Guarrasi, che interpreta Teresa, sì: ha sempre quel bellissimo sorriso che, grazie al cielo, non cambia mai. Ignazio Ernandes (Turi), invece, negli anni non l’ho più incontrato: forse è andato veramente via dall’isola come il personaggio di Turi… sarebbe ancora più reale del reale.

Una scena del film L'isola.
Una scena del film L'isola.

L’isola, sebbene sia un film di finzione, viene ricordato come il titolo che ha fatto da apripista a un nuovo modo di fare il documentario in Italia.

L’isola è un film in continuo dialogo tra realtà e finzione: ci sono dettagli di realtà in contesti di finzione e, viceversa. Sono reali il pianto della nonna, la commozione, i bambini che non sanno scrivere… ci sono scene reali con dettagli fortemente radicati nell’essenza delle persone che si prestano a interpretare dei personaggi al servizio di un copione e viceversa ci sono dettagli di finzione dentro a scene reali. Penso ad esempio alla sequenza della mattanza: un dialogo tra la macchina da presa che riprende una mattanza vera e la macchina da presa che filma gli attori che interpretano i pescatori, inseriti in un contesto reale in cui imparano anche a usare le reti.

Grazie a L’isola, hai filmato anche Favignana in un momento di forte transizione: il tuo film è diventato uno spaccato di memoria storica collettiva.

L’isola è stato girato in un momento in cui c’erano ancora elementi identitari di Favignana che sembravano immoti nel tempo e che invece sono cambiati. Non solo ho ripreso una delle ultime mattanze ma, poco dopo esservi entrata con la mia macchina da presa, la tonnara è stata chiusa per poi essere restaurata e diventare un museo. Sono molto consapevole di ciò che ho fatto ma il potere del cinema consiste anche in questo: ci consente di immortalare e testimoniare il tempo che passa.

Favignana è una parte della tua terra. Che rapporto hai con la Sicilia?

Ho un rinnovato rapporto con la Sicilia e con Palermo soprattutto, dovuto anche al fatto che negli ultimi anni mi sono molto avvicinata alla mia terra: un po’ perché l’ho frequentata di più perché sono la direttrice artistica del Centro Sperimentale di Cinematografia (CSC) che ha sede nel capoluogo e un po’ perché, una volta rimasta orfana dei miei genitori, mi ci sono avvicinata molto. Tanto che sto per concludere un film che fa un po’ i conti con le mie radici.

Il CSC ti permette di relazionarti con molti giovani: riesci a vedere in loro la stessa passione che ardeva in te vent’anni fa?

Quella di oggi è una generazione molto diversa la mia: in tutta sincerità, noto anche una passione diversa. Innanzitutto, i ragazzi di oggi sono un po’ più consapevoli degli strumenti che hanno a disposizione mentre quando ho cominciato io non era così. Ho esordito in un momento di grande cambiamento per il cinema in generale: si vivevano gli ultimi fuochi dell’era analogica (ho cominciato con le vhs e ho girato L’isola in pellicola) mentre i ragazzi di oggi sono nativi digitali e hanno una confidenza completamente diversa sia con i mezzi sia con la quantità di girato che possono realizzare.

È diverso anche il loro approccio: sono molto mediati anche nelle relazioni umane. Penso di far parte di una generazione che ha vissuto gli ultimi fuochi di tante cose, compresa anche la voglia di riunirsi e stare insieme. Quindi, se da un lato noto che nei giovani c’è grande ardore (che sia una volontà di fare questo mestiere è fondamentale, altrimenti non entri al CSC), dall’altro lato, insegnando Documentari, mi accorgo della diversa modalità di approcciarsi per esempio ai testimoni che si vogliono incontrare quando invece è fondamentale che si metta il corpo dentro la realtà. Per me era istintivo, per i ragazzi di questa generazione meno.

Una scena del film L'isola.
Una scena del film L'isola.

Libertà è una parola che, guardandoti dall’esterno, sembra averti caratterizzato. Sei sempre stata libera di fare le tue scelte e di girare, a seconda della tua volontà, documentari o lungometraggi di finzione. Ti danno fastidio le etichette?

Le etichette non servono. Grazie al cielo, il cinema è un territorio talmente vasto che registi e registe possono fare tutti i generi che vogliono se ne sono capaci. Le etichette più che darmi fastidio sono un limite, in generale, culturale.

Ti sei sentita limitata nel tuo percorso in quanto regista donna?

A distanza di tanto tempo, posso dire che ci ho messo molti anni a capire che tante difficoltà relazionali che avevo dipendevano dal mio essere una donna giovane, molto giovane e molto donna. Ma non me accorgevo e non me ne rendevo conto perché per me era naturale fare film: non potevo mai immaginare che venissi considerata come una specie di marziana e trattata come un essere strano.

Oggi hai la fortuna di essere ricordata come Costanza Quatriglio e non come la “moglie di…”, come spesso capita in questo paese dove le donne vengono definita in base alle loro relazioni con gli uomini.

Ho cominciato a far cinema quand’ero molto giovane. Ancora prima di L’isola, i miei primi documentari avevano vinto al Festival di Torino ed erano stato proiettati in molto contesti. Poi, la vita mi ha fatto incontrare una persona meravigliosa che fa il mio stesso mestiere (il regista Daniele Vicari, ndr).

Vi confrontate mai a casa sul cinema?

Ci confrontiamo in continuazione sul cinema. Ci confrontiamo sulle storie, sulle sceneggiature, sulle cose che ci piacciono, sui film che guardiamo insieme… è un confronto in cui c’è anche molta libertà e rispetto reciproco: siamo molto diversi, per cui il nostro è un confronto anche molto bello e vivace ma molto sano, che ci porta ad arricchirci e a migliorarci sempre.

Da direttrice del CSC sei anche quella che in gergo viene definita un’educatrice. Qual è il valore più importante che vorresti trasmettere ai tuoi “figli artistici”?

Vorrei che si ricordassero come anche il film commissionato può essere un film personale, in cui portare la propria interpretazione e visione del mondo: se sai ascoltare te stesso, sai anche relazionarti con la vita. Non credo nella dicotomia tra film d’autore e film non d’autore, non l’ho mai amata. Spero di trasmettere ai ragazzi la capacità di metterci del proprio anche nelle cose che apparentemente sono lontane da loro. Tutte le volte che ho lavorato su commissione, l’ho fatto con la stessa identica cura e attenzione, cercando di relazionare tutto al mio pensiero e al modo in cui ho lavorato su altri progetti che erano nati da me. Non rinnego nulla di ciò che ho fatto.

Scorrendo i titoli di coda di L’isola, notiamo che al montaggio ha lavorato un grande interprete: Babak Karimi.

Babak Karimi nasce come montatore. L’ho conosciuto nel 1996, quando ancora vivevo a Palermo, durante un workshop di Abbas Kiarostami, colui che forse è stato il mio unico vero maestro.

È vero o è leggenda che Kiarostami dopo il workshop con i ragazzi di Palermo ha rivisto il finale di uno dei suoi film capolavoro, Il sapore della ciliegia?

È verissimo. Tanto che nei titoli di coda della versione italiana del film ha inserito una dedica a quei “ragazzi di Palermo”, tra cui c’ero anch’io. Con Kiarostami si è instaurato un rapporto molto bello che è durato nel tempo: l’ho frequentato ed è stata una persona molto importante nel momento in cui mi sono trasferita a Roma.

L’isola è un film che conta anche sulla partecipazione dello scrittore Erri De Luca. Come lo hai convinto?

È stato molto semplice. Avevo letto il suo libro Tu, mio che, ambientato a Ischia, racconta la storia di formazione di un ragazzo isolano. L’ho voluto allora incontrare e abbiamo parlato del tufo: ci siamo piaciuti sin da subito. A distanza di tempo, gli ho offerto il ruolo del galeotto e non ha esitato nel dirmi sì.

L'isola: Le foto del film

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