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“Chiudere una storia d’amore è come saltare nel vuoto dal Burj Khalifa”: Intervista esclusiva al cantautore Daniele Coletta

Burj Khalifa è il nuovo singolo di Daniele Coletta. Il cantautore, sulla scena da quando era poco più che un bambino, chiude definitivamente i conti con un percorso sentimentale che lo ho portato a rivedere la sua intera esistenza.
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Daniele Coletta ha appena pubblicato il suo nuovo singolo, Burj Khalifa (Cantieri Sonori/ADA/Warner), una canzone che chiude un ideale percorso sulla storia d’amore a distanza vissuta dal giovane artista. Si, perché per la prima volta Daniele Coletta si è cimentato nella scrittura di quattro brani, basato su una delle sue esperienze sentimentali più dolorose.

Il rapporto che legava Daniele Coletta al suo ex è stato dapprima al centro di Tasto rotto e Piove sulla luna. Erano due brani che guardavano al passato e parlavano a “mente lucida” della fine relazione, come lo stesso Daniele ci ha raccontato nel corso di questa intervista. La storia poi è ritornata al passato, ai suoi inizi, grazie a Trastevere, una canzone che ripercorreva gli istanti in cui i due ragazzi si sono conosciuti e innamorati.

Burj Khalifa è tutto ciò che sta in mezzo tra Trastevere e le altre due canzoni. Nel brano, Daniele Coletta apre una parentesi sul presente pieno di dubbi e di bilanci da fare ma guardando a quello che la storia è stata. I ricordi degli inizi pian piano passano in secondo piano, così come il mondo condiviso quando a dividere Daniele e l’ex era solo la pelle. È rimasa solo la consapevolezza di dover proseguire il viaggio da soli, cadendo dal 163° piano del grattacielo più alto del mondo.

E di viaggi da solo Daniele Coletta ne ha affrontati tanti nella sua vita, con sensibilità e spesso lucida razionalità. Raggiungerlo per un’intervista esclusiva ci ha permesso di sentire la sua storia, fatta di cadute e risalite, sin da quando adolescente ha preso parte a Ti lascio una canzone, il programma dagli ascolti record di Rai 1. Il successo più grande è arrivato con X Factor ma, purtroppo, Daniele Coletta non si sentiva a suo agio nel vestito musicale che gli avevano confezionato. Quello che è successo dopo, potete leggerlo di seguito.

Daniele Coletta.
Daniele Coletta.

INTERVISTA ESCLUSIVA A DANIELE COLETTA

Burj Khalifa chiude un percorso che hai racchiuso in quattro canzoni. Le altre tre sono Tasto rotto, Piove sulla Luna e Trastevere. Parlano di una storia d’amore vissuta a distanza e finita.

Buji Khalifa, in realtà, è una delle prime canzoni che ho scritto in assoluto, nonostante abbia deciso di farla uscire alla fine. Ho voluto creare una sorta di percorso in cui ho raccontato da tutti i punti di vista quella che è stata la storia più importante della mia vita.

Ne ho parlato a mente lucida, guardando al passato, in Tasto rotto e Piove sulla Luna. Ne ho raccontato gli inizi in Trastevere. E mancava appunto quello che è stato il mezzo. Burj Khalifa sopperisce a questa mancanza e apre una parentesi al centro di quella che è stata la storia: è come se fosse ancora viva, come se fosse ancora il presente. Ma è quel presente in cui ho iniziato a pormi le prime domande e a nutrire dei dubbi: era quella la storia o la persona giusta per me?

Quindi, Buji Khalifa racconta quel momento in cui tutte le sensazioni e le emozioni che avevano segnato l’inizio della storia cominciavano a svanire. Chiaramente, il titolo rimanda a quello che è il grattacielo più alto del mondo, lo stesso usato in Mission: Impossible – Protocollo fantasma. È una metafora utile a sottolineare quanto male poi faccia la caduta.

Cadere nel vuoto da 163 piani non è indolore. La tua è stata un’esperienza in cui possono rispecchiarsi tantissimi altri.

Ogni storia è unica in sé, non ce n’è una uguale a un’altra. È in comune l’amore, un sentimento che almeno una volta nella vita, spero, proviamo tutti quanti. È diversa la forza, l’intensità e il modo in cui amiamo, ma chiunque può ritrovarsi nelle parole della mia canzone, così come in quelle di tantissime altre che parlano d’amore.

E quanta forza ha dato a te scrivere in musica l’evoluzione della tua storia d’amore?

Scriverne è stata la chiave di svolta per me. Questa storia mi ha cambiato la vita, prima non avevo mai scritto una canzone. Mi ha spinto a esprimere quello che stavo provando in quel momento: era tutto talmente doloroso, talmente forte e talmente nuovo, che non riuscivo a dirlo soltanto a parole. Ho dovuto buttar giù un testo per farlo, un testo che solo dopo è diventato una canzone. Mi è servito lentamente a esorcizzare quello che mi era successo. Scrivere è stato una parte del processo di guarigione.

Il percorso della storia è in qualche modo richiamato dal videoclip della canzone, in cui ritorna come coprotagonista Emanuele Mariotti. Avevate girato insieme anche il video di Tasto rotto e in quello di Burj Khalifa vi ritrovate per continuare l’evoluzione “cinematografica” della storia. Sembra quasi che il nuovo video sia il prequel e sequel al tempo stesso del precedente, perché mischia elementi antecedenti alla rottura e altri in cui sei oramai consapevole della fine. È quasi un film.

Grazie per l’averlo notato, prima di tutto. Si tratta di un’idea voluta e ricercata: così come in Tasto rotto ho aperto il percorso con Emanuele, in Burj Khalifa volevo chiuderlo con lui. Volevo che Emanuele, che interpreta il mio ex ragazzo, facesse da filo conduttore. Non era invece nel video di Piove sulla Luna perché raccontava di quando la storia era già finita.

Musicalmente, hai chiuso con il racconto di questo episodio del tuo percorso personale? O dobbiamo aspettarci qualche altro capitolo?

Sicuramente continuerò a scrivere canzoni, inizierò un nuovo progetto ma non credo che parlerò della stessa storia: credo di aver detto tutto quello che c’era da dire. Punterò su altre esperienze, anche se probabilmente l’amore sarà sempre centrale. Soprattutto se è doloroso: sono la classica persona che scrive canzoni quando soffre per amore. Se sono felice da quel punto di vista, preferisco godermi il momento.

Beh, come dico sempre io, l’amore è quell’errore che tutti ripetiamo nella vita.

Esatto, è quello che ci unisce tutti, come sottolineavo prima.

Daniele Coletta.
Daniele Coletta.

Tu hai oramai una lunga esperienza alle spalle nel mondo della musica. Suoni da quando hai poco meno di dieci anni e a sedici anni eri tra i protagonisti del programma di Rai Uno presentato da Antonella Clerici, Ti lascio una canzone. Qualche anno dopo, nel 2012, hai anche partecipato a X Factor, classificandoti quinto. A un certo punto, però, il tuo cammino si è interrotto: hai scelto per un paio di anni di lavorare a bordo di una nave da crociera. A prima vista sembra strano che all’apice del successo, con un singolo come Ora che sei grande scritto da Jacopo Ratini, tu decida di allontanarti dalle scene. Come sono andate le cose?

È un po’ difficile da spiegare, ci sono meccanismi che chi non li vive non conosce. Avevo vent’anni quando ho partecipato a X Factor, ero molto giovane e non ero seguito dalle persone giuste. Tutto ciò che mi stava succedendo era in realtà molto frustrante per me: avrei voluto far uscire all’epoca determinate cose ma mi scontravo sempre con i no. Mi hanno spinto a cantare canzoni che, seppur mi piacessero, non rispondevano a quelle che sarebbero state le mie scelte.

Non è che volessero creare su di te aspettative che erano totalmente diverse da ciò che sei?

Il problema non era neanche quello. Se avessero voluto creare delle aspettative, avrebbero avuto un piano. E, invece, non c’era nessun piano. Cercavano il mio parere ma poi non lo seguivano. Era tutto molto disorganizzato e ci si muoveva in una direzione che non mi piaceva. A vent’anni non sempre si ha il carattere e la forza di imporsi: almeno era così ai miei tempi, oggi le nuove generazioni sono cambiate tantissimo. Dicevo sì che alcune cose che mi proponevano non mi rappresentavano ma venivo invitato a stare al mio posto.

Ho aspettato per un periodo che le cose cambiassero, anche perché ero legato contrattualmente con una casa discografica. Quando è saltata fuori la possibilità di andare a cantare su una nave da crociera, ho semplicemente deciso di provarci: in quel momento non ero felice, tanto valeva provare qualcosa di nuovo. Ho iniziato e ho scoperto poi la passione per il viaggio. Come esperienza è andata avanti per tre anni ma sono stati “stagionali”: lavoravo per sei mesi e poi tornavo per sei mesi a casa. E, quando rientravo a casa, non succedeva mai niente: era questo stato di impasse che poi mi spingeva a ricominciare quando si ripartiva.

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Come hai vissuto invece da adolescente l’esperienza di Ti lascio una canzone, un programma che macinava ascolti record durante le prime edizioni. Come si gestisce la notorietà a sedici anni?

Ho preso parte alla prima edizione di Ti lascio una canzone: nessuno di noi ragazzi sapeva come sarebbe andato quel progetto. È stata una sorpresa bellissima quando si sono raggiunti una percentuale d’ascolto altissima. L’aspetto bello delle prime edizioni è che non c’era la gara tra i ragazzi: vincevano le canzoni, non noi. L’idea di sfida non era contemplata, non interessava chi era il più o meno bravo. E ciò non ha minimamente influito su di noi o sui nostri stati d’animo. Per dire, quando andavamo in giro a far serate (e ne abbiamo fatte tantissime), la gente non accorreva per questo o per quel ragazzo: veniva ai nostri spettacoli perché amava il progetto legato al programma.

Eppure, spesso si tendono a demonizzare i programmi che fanno leva sui ragazzi o sui bambini paventando ripercussioni sulla loro psiche.

Accadeva semmai in altri programmi che sono nati dopo sulla scia del successo di Ti lascio una canzone o nelle ultime edizioni dello stesso programma. Si portava avanti un altro genere di discorso: si puntava l’attenzione più sui ragazzi, sulla dimensione talent.

E il pubblico da casa se n’è reso conto. Non esiste più alcun programma di quella tipologia.

Beh, è anche vero che l’idea è stata spremuta talmente tanto che si è raggiunta la saturazione. Se in tv qualcosa funziona, tendono a ripeterla all’infinito finendo con lo stancare lo spettatore. A un certo punto, hai come l’impressione di vedere sempre la stessa cosa per anni. Capita lo stesso con X Factor: è una trasmissione che ho sempre adorato ma adesso ho smesso di guardarla perché è sempre uguale a se stessa.

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Quanto pensi che abbia influito il tuo orientamento sessuale nel tuo percorso artistico?

Non credo abbia influito. Ho fatto outing molto presto, quando ho conosciuto il mio primo ragazzo. Non è che prima lo nascondessi, semplicemente non lo dicevo perché non mi veniva chiesto. Nessuno mi ha mai imposto di non parlare delle mie preferenze: per come sono fatto, anche se non avessi ancora fatto outing, avrei reagito. Sono sempre stato molto sincero: non oso immaginare la mia reazione!

Al di là delle esperienze televisive, il tuo percorso da cantante si è basato molto sulla formazione. Hai cominciato a studiare canto da bambino, come dicevamo. Ma non hai studiato solo in Italia. Hai studiato a Malta, in Finlandia e a Los Angeles. Al di là delle doti personali, che evidentemente hai, quanto conta lo studio?

Studio da quando avevo otto anni. Oggi, per come vanno le cose nella musica, il talento non serve: c’è gente molto talentuosa che rimane a casa proprio perché il talento è l’ultimo dei fattori che viene preso in considerazione. All’estero, se non hai talento o non hai studiato, rimani a casa: non è come in Italia, dove un cantante mediocre va bene lo stesso perché tanto è carino.

Vedendoti in azione nei videoclip delle tue canzoni, mi viene spontaneo chiedertelo: ti piacerebbe fare un musical?

Forse no. Per il semplice fatto che mi annoia fare sempre la stessa cosa. A me piace molto la spontaneità: anche durante i live non canto mai una canzone allo stesso modo in cui l’ho cantata la volta precedente. Per fare un musical, devi seguire una parte e non hai molta libertà di scelta: durerei una settimana, dopo mi romperei!

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Sei in partenza per Oslo per lavoro. Hai un mercato anche fuori dall’Italia?

Assolutamente sì. Porto però delle cover perché, chiaramente, non conoscono le mie canzoni. Oramai oserei dire che ho più mercato all’estero che in Italia. C’è un modo diverso di considerare l’arte: non ti viene se hai dei materiali da sentire, che genere fai o quanta gente porti. Da noi ti chiedono per un live in un locale quanta gente porteresti: ma che ne so io di quante persone verrebbero? È ridicolo. All’estero invece ti presenti, porti il tuo progetto, se piace lo accettano e ti mettono a disposizione un budget indifferentemente da quanto pubblico attiri. C’è un modo diverso di vedere l’artista.

Credo che sia una deriva dei social. Come se avere 2 milioni di follower significasse avere poi 2 milioni di persone disposte a venire a un tuo concerto.

Esatto. Un’altra grandissima stupidaggine di gente ignorante: puoi avere due milioni di follower ma in quanti sono disposti a spendere dei soldi per seguirti?

Tu hai tra l’altro un profilo social in cui mostri ogni aspetto della tua vita, da quella professionale a quella privata.

Forse pure troppo. Mi sa che ho sbagliato: quando parlo di cose inerenti alla musica sembra che poi non interessi niente a nessuno. Mi piacerebbe che lo stesso interesse che i miei follower mostrano al mio fisico lo riservassero anche alla musica. Dovrei forse aprire un profilo only fans: farei prima! (ride, ndr).

Daniele Coletta.
Daniele Coletta.
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