Danilo Turco, con lo pseudonimo di Danjlo, ha da poco pubblicato il suo nuovo album, Post Internet (Soundinside Records – Believe Digital), suo terzo lavoro da solista anticipato dal singolo Nella testa dello scemo e accompagnato da una serie di primi concerti di presentazione (a Cava de Tirreni, a Milano e a Roma i prossimi).
Accompagnato da un particolare packaging per il supporto fisico, frutto di un’idea di Danilo Turco, Post Internet narra un distopico spazio senza tempo, un destino umano non troppo distinto (e non troppo immaginario) nel quale le relazioni umane non saranno (o furono?) più necessaria. La premessa da cui sembra partire Danilo Turco in Post Internet sembra apocalittica, per dirla con un termine caro alla comunicazione. Eppure, i brani pian piano assumono significati chiari e lineari, quasi politici.
In un momento in cui la rete tende a unificare e rendere tutti uguali, Danilo Turco in Post Internet immagina come dovranno comportarsi gli esseri meno umani in un futuro non troppo remoto quando non saranno più costretti a sentire l’altro, a parlare e ad amare, desiderando solo cose poco materiali.
Di ciò parliamo con Danilo Turco nel corso di quest’intervista in esclusiva su Post Internet, dove però il confine tra lavoro e privato si fa sempre più labile e apre le porte al mondo di un giovane uomo che è del tutto cambiato da quando ha mosso i primi passi con il collettivo The Jackal o ha partecipato ai bootcamp di X-Factor.
Intervista esclusiva a Danilo Turco
“Ogni tanto quello che fai ti ritorna”, mi risponde subito Danilo Turco quando gli faccio notare che lo scorso anno avevo parlato tanto di lui con Raiz, dal momento che è l’autore di uno dei brani, Figlio, presenti nell’ultimo disco degli Almamegretta, Senghe.
Ci ritroviamo però oggi a parlare di un altro tuo “figlio”, l’album Post Internet, nove tracce che sembrano rispondere a una vecchia teoria sempre valida sulla comunicazione, la suddivisione tra integrati e apocalittici. Sembri un apocalittico del web. Come nasce il disco?
È un po’ più complessa di così. Ti riassumo come nasce Post Internet. Per prima cosa, il mondo ha bisogno necessariamente di etichette e chi dica qualcosa di un po’ più brutto è un vecchio, un boomer, e chi dice qualcosa di bello e simpatico è un giovane, un millennial. Nell’arte vera, però, tale distinzione non esiste: l’arte non ha età, l’artista non è altro che un ricettore di suggerimenti che vengono, secondo me, da una dimensione che non conosciamo. Mentre si diverte a suonare con la chitarra o studia il pianoforte, l’artista si allena a ricevere informazioni che vengono da altre dimensioni che coesistono e non deve far altro che rivelarle. Ed io, anziché allenare muscoli in palestra, sviluppo la capacità di ricevere le informazioni trasformandole in canzoni…
Spesso si chiede a un musicista com’è nata una canzone. E la risposta talvolta è spiazzante. Non sempre l’artista lo sa perché non ha fatto altro che prendere qualcosa che già esisteva e l’ha soltanto realizzata: l’idea era già da qualche parte e non sta facendo altro che concretizzarla, suonandola, dipingendola o riproducendola.
In Post Internet non credo di raccontare qualcosa che esiste o potrebbe accadere con molta tristezza o violenza. Ho realizzato semplicemente delle canzoni che, quando hai finito di ascoltarle, ti spingono a riflettere e a capire se sei d’accordo o meno su quanto detto. E, personalmente, mi sento anche molto a posto con la coscienza perché, secondo me, ciò che dico nei testi non è molto lontano dal vero, non si può negare. La verità, sbattuta in faccia, fa sempre male ma, se non la si dice, l’arte smette di essere tale e diventa solo puro intrattenimento e tecnica, con il rischio di farsi governare dalle macchine.
Ma le macchine, come le chiami tu, spesso aiutano anche a scrivere, come abbiamo visto ultimamente.
Aiutano come aiuta la lettura, così come il pennello non aiuta a dipingere con il pollice. Sono semplicemente mezzi raggiungere un solo scopo: dire la verità. E se non la dici sei un bugiardo. Un concetto semplice, che non ho di certo inventato io. Non è complicato come sembra (ride, ndr).
Quasi in barba alle macchine e al digitale che va tanto di moda anche per le uscite discografiche, hai pensato a un formato fisico per Post Internet realizzando una scatola, una sorta di time-lapse arrivata dal futuro.
Quando uscì Random Access Memories dei Daft Punk, tutti sottolinearono come le vendite dei cd aumentarono del 3% ma quasi subito dopo computer e automobili smisero di avere un supporto per leggerli. Quindi, si compravano i cd ma non si potevano quasi più ascoltare, trasformandoli quasi in oggetti inutilizzabili. Un po’ come i vinili, belli e in grado di creare un feeling differenti, ma non trasportabili per l’ascolto. Cd e vinili sono dunque dispositivi non autonomi.
Partendo da questo presupposto, mi sono chiesto come far ascoltare un disco senza avere il supporto per riprodurlo. Ed è nata così l’idea della scatola: nel momento in cui ce l’hai tra le mani, la apri e trovi tutto ciò che ti serve per ascoltarlo, cuffie comprese. Ne ho anche disegnato il profilo e deciso la palette dei colori e ne è venuta fuori una scatola senza tempo dentro cui c’è un disco che non ha epoca con tutto ciò che è necessario per riprodurlo e ascoltarlo: oltre alla scatola, non serve altro.
Una versione quasi futuristica del carillon: il disco assume così il sapore della memory box, della scatola dei ricordi da seppellire e ritrovare in futuro senza che perda il suo valore.
Esattamente. Mentre ne parliamo e registriamo l’intervista, mi sto chiedendo se potrò mai usarla come mezzo per certificare il copyright sull’invenzione nel caso in cui a qualcuno venga fuori la stessa idea (ride, ndr).
Ascoltando il disco, ci si fa l’idea che tu sia una persona molto seria e seriosa. E, invece, ti sento ridere in continuazione e devo anche prestare molta attenzione alle tue parole per capire quando sei serio e quando invece ironico.
È forse uno dei miei più grandi difetti (non so se in futuro, riguardandomi, mi avrà portato vantaggi o svantaggi). Rido come quando davanti a te hai qualcuno che inciampa e cade: è talmente vera quella cosa che non posso non riderne. Forse dovrei cominciare a rispondere a monosillabi alle interviste o mostrare maggiore appeal ma poi non sarei più io.
Mi diverto come accade nei concerti (che sono l’anima dei dischi): mi piace interpretare un po’ questo personaggio. C’è un brano di Post Internet che mi piace molto: si chiama Gemelli e arriva a un certo punto in cui io sto veramente dando fastidio per le cose gravi dette. In poche parole, sostiene che la soluzione a tutto quello che ci accade e non ci piace consiste semplicemente nell’imparare ad amare di più le persone, a percepire di più l’altro e ad entrare in empatia: la tristezza è fuori moda, non è più trendy come poteva esserlo nel 2015, quando tutti i miei amici erano nichilisti e si vantavano di essere tristi.
La vera svolta nella vita può arrivare solo specchiandosi negli altri. Ti aiuta anche a ridefinire te stesso: tutte le entità che scegli avere intorno non sono altro che un prolungamento di te stesso e di scelte che fai. Ogni nostro gesto è frutto di una scelta. Anche le situazioni peggiori non nascono dal non avere scelta: puoi sempre scegliere di essere onesto, di avere un’etica e di essere buono. Altrimenti ti ritroverai prima o poi a vivere la vita come una macchina e le macchine prima o poi si scaricano o vanno in cortocircuito.
Sul non avere scelta si basa tutta la comunicazione della serie tv Mare fuori: tutti i personaggi hanno fatto qualcosa perché non avevano scelta.
Mi piace molto quella serie tv perché alla fine ogni personaggio, a differenza di quanto avviene in altri prodotti, può diventare persona se ha un ruolo all’interno della società. È quello che non vogliono le persone che scelgono invece di stare nella criminalità: è semplice e comoda da scegliere. I personaggi di Mare fuori ti infondono speranza e ti fanno venir voglia di fare una passeggiata al sole mostrandoti che esiste la possibilità di essere positivo, buono e di pensare all’amore: il domani non è troppo tardi.
Il disco si apre con Alieno. Quali sono state le volte che ti sei personalmente sentito un alieno?
È qualcosa su cui rifletto spesso, anche da producer. Ascoltando Post Internet, qualcuno può pensare che abbia fatto canzoni strane. Ma, se le mettiamo su una lavagnetta, sono come tante altre: strofa, ritornello, strofa, ritornello, fine. Non mi sono inventato niente di nuove, non ho inciso pezzi di 9 minuti strumentali o di solo rumore. Eppure, sembra che io stia portando avanti qualcosa di strampalato e mi fa ridere anche quest’idea: magari tra due anni, rivaluteranno il disco e avrò una serie di emuli. È una condizione molto umana quella di non accettare qualcosa fino a quando qualcun altro non seguirà la tua stessa strada.
Io non mi sento strano. Faccio cose normalissime: guardo Mare fuori così come guardo Un posto al sole e mangio come tutti gli altri. Ho semmai un lavoro per cui spingo a riflettere, come deve fare l’arte in generale. Ecco perché anche con il mio lavoro di producer tendo a considera la musica come una sottolineatura di un testo che ha qualcosa da dire e non viceversa: sarebbe intrattenimento e non più arte.
Guardi realmente Un posto al sole?
Ne sono un grande appassionato. Soprattutto in questo periodo: la coppia storica, Marina e Roberto, è tornata insieme anche se lui ha fatto un figlio con un’altra ragazza (che ha finto di essere incinta e ha comprato un bambino): tutto molto intrigante. E poi è un prodotto molto raffinato e ben recitato, attento anche alla concomitanza con le feste come Pasqua o Natale e a volte anche con il clima: a me fa emozionare vedere una puntata in cui piove proprio mentre a Napoli sta piovendo anche nella realtà!
Chi sono gli scemi nella cui testa vorresti entrare?
È un desiderio che ho spesso ma credo che capiti anche a te, tutti i giorni direi. A me, ad esempio, fa emozionare il fatto che io e te si stia conversando (è un peccato che poi tutta la conversazione non possa essere ascoltata) e ci si stia capendo. Mi è capitato spesso di avere a che fare con persone che, di fronte alle mie risposte, erano convinte che volessi provocarle: il clima del sospetto, soprattutto dopo il CoVid, è sempre in agguato. Il sospetto era già intrinseco prima ma il lockdown ci ha portati a scrutarci sempre più da lontano, a non fidarci l’uno dell’altro, a lanciare il sasso e a nasconderci dietro al vicoletto per osservare le reazioni.
L’incomprensione è notevolmente aumentata così come si è abbassata la soglia di attenzione. Se non c’è voglia di ascoltarsi o di ascoltare il pensiero dell’altro meglio rimanere da soli in casa a parlare davanti allo specchio. Credo di sia raggiunto un punto di non ritorno: dovremmo cominciare a volerci un po’ di bene in più.
E tu ti vuoi bene?
E come faccio a non volermi bene? Tutti dicono di amare qualcuno ma è difficile farlo se prima non si ama se stessi, il modo in cui si è fatti e le proprie origini. A me preoccupano sempre quelli che, dopo due giorni dal trasferimento in un’altra città, dimenticano il loro dialetto e assumono il nuovo: per me è un esempio lampante del non volersi bene, del non avere un’identità.
Per non parlare poi di come si seguano mode e modelli che fanno sembrare tutti manichini perché altrimenti ci allontaniamo dal mito della perfezione. Avere un’identità significa avere una storia: dobbiamo farci strada con la nostra intelligenza e i nostri pensieri, non ripetendo come un mantra qualcosa che qualcun altro ha già detto o fatto. Dobbiamo imparare a capire che la mente è un dono meraviglioso che va sfruttato.
Cosa che in qualche modo hai fatto anche tu, se ripenso ai tuoi primi passi con i The Jackal o al lavoro con Frank Matano.
Sono arrivato a fare le cose che faccio senza rendermene nemmeno conto. Non so spiegare cosa mi ha portato a stare in un collettivo, i The Jackal, che era appena nato e a farmi carico di tutto l’immaginario sonoro. A vent’anni non stavo lì a pormi tante domande: stavo semplicemente al computer a far delle musiche. Poi, però, sono cresciuto e diventato proprio adulto.
Anche se, come tanti altri, avevo paura di diventarlo: mi sono buttato a far diverse cose semplicemente perché nella mia testa mi avrebbero fatto rimanere in uno spazio di semi notorietà che mi piaceva tanto. Tutte quelle esperienze hanno contribuito a darmi una macro esperienza che mi ha portato a capire come non voglio più fare certe cose, come non mi piacciano più. Oggi mi affascina invece l’idea di diventare grande, di crescere e divenire sempre più adulto.