Alla vigilia del suo esordio come conduttore su Food Network, David Fiordigiglio ci apre il suo cuore in un’intervista intima e profonda. Il giovane chef, noto come “lo chef dei VIP”, si racconta con la vulnerabilità di chi ha vissuto un percorso di crescita personale complesso, ma carico di amore per la cucina e di legami familiari forti, in particolare con i nonni, figure centrali nel suo cammino professionale.
In un dialogo che spazia dai ricordi d’infanzia ai sogni realizzati, David Fiordigiglio ripercorre le sfide che lo hanno condotto a diventare l’uomo che è oggi. La cucina, che per lui è stata sin da piccolo una passione travolgente, ha rappresentato al contempo il luogo della sua crescita personale e il rifugio sicuro in cui ha trovato se stesso.
Dietro la figura brillante e sicura che vediamo oggi, si nasconde un ragazzo che ha lottato con l’insicurezza e che ha dovuto affrontare sfide sia personali che professionali. Da una parte, un’infanzia segnata da un rapporto complicato con il proprio corpo, dall’altra, un costante desiderio di affermarsi, non solo per se stesso ma anche per rendere orgogliosi coloro che hanno sempre creduto in lui, come la sua adorata nonna Carmela.
In un mondo dove la pressione del successo e dell’apparenza è spesso schiacciante, David Fiordigiglio ci ricorda che la vera forza risiede nella capacità di riconoscere le proprie fragilità, di accettarsi e di continuare a crescere attraverso ogni sfida. Sul set di Oggi cucino con lo chef, tra risate, consigli e tanta cucina, David Fiordigiglio porta avanti un sogno che è nato tra i fornelli della sua infanzia, insegnando non solo ricette, ma anche l’arte di mettere amore e autenticità in ogni piatto.
Questa intervista ci offre un ritratto inedito di un giovane chef che, pur avendo raggiunto importanti traguardi, non ha mai perso il contatto con le sue radici, con quel bambino che sognava davanti ai fornelli, e con il desiderio profondo di condividere il suo sapere con il mondo, ereditato dalla nonna, un piatto alla volta.
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Intervista esclusiva a David Fiordigiglio
“È stata bella tosta”, risponde David Fiordigiglio quando gli si chiede com’è stata l’esperienza di Oggi cucino con lo chef, programma (su Food Newtwok dal 16 settembre alle 22) che per la prima volta lo vede assumersi sulle spalle il peso della conduzione portando in tv la "cucina a domicilio". “Ho già preso parte a È sempre mezzogiorno, il programma di Antonella Clerici su Rai 1, e a Ricette d’Italia con Benedetta Rossi, su RealTime. Entrambe sono state due avventure in altrettante realtà importanti ma in entrambi i casi ho fatto da ‘spalla’, se così posso definirmi. In questo caso, sono stato invece da solo a dover gestire il tutto, senza Antonella che mi spronasse a parlare con le sue domande”.
“Ho dovuto far ricorso a tutta quella spontaneità che per fortuna Dio mi ha dato: non sapevo di averne così tanta ma è venuta fuori”, continua David Fiordigiglio. “Ma i giorni antecedenti alle riprese della prima puntata sono stati devastanti per l’ansia da prestazione. Mi chiedevo cosa avrei dovuto dire o fare: pensavo a tutto tranne a che cucinare, quello che in realtà è poi il nucleo del programma. Fortunatamente, è andata poi bene o, almeno, così spero in attesa di vedere come sarà accolto il programma”.
Oggi cucino con lo chef ha un grosso pregio: insegna a cucinare senza essere pedante.
Per me, per la riuscita del programma, era fondamentale il rapporto che si instaura tra me e chi mi ospita a casa sua. Ho cercato di essere così come sono nella vita di tutti i giorni, un ragazzo che proviene da una famiglia normalissima che aiuta qualcun altro a cucinare, chiacchierando e dispensando consigli. Ho voluto che non fossi solo io a spadellare ma anche i padroni di casa: se avessi cucinato io, non avrebbero poi “imparato” poi a replicare da soli le stesse ricette, di cui si danno scrupolosamente dosi e pesi degli ingredienti che io stesso provvedevo a comprare.
Nel dare una ricetta in tv credo sia fondamentale non solo spiegare il procedimento ma anche le dosi esatte: solo in questo modo, il piatto potrà avere un sapore simile a quello preparato da uno chef. La cucina, dopotutto, è chimica.
Personalmente, lo ritengo un valore in più: odio tutte le ricette con il “quanto basta”…
…un quantitativo variabile da persona in persona. Che vuol dire ad esempio “un pizzico”? Il pizzico di chi ha le mani da muratore è diverso dal pizzico di chi invece ha le mani più fini: tutte le volte in cui mi è capitato di dover dire “quanto basta” per scelte autoriali sentivo montare la furia dentro me (ride, ndr).
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Qual è stato il primo pensiero che hai avuto quando il primo giorno di riprese si è accesa la telecamera?
Ho guardato davanti a me e mi son chiesto se quei dieci operatori presenti fossero lì per me: ero davvero io a stare realizzando il tutto? Non appartengo alla schiera di persone che si fa i complimenti da solo, anzi: sono solitamente tra coloro che si vogliono non male ma di più, che si rimproverano in continuazione e a cui non va mai bene niente di quello che fanno. In questo caso, invece, mi sono messo una mano sulla spalla contento di ciò che stavo per realizzare: un programma tutto mio di cucina, qualcosa che sognavo da quando ho imparato da piccolo a muovermi tra i fornelli.
Ho imparato a cucinare in casa con le pentole di mamma ma già allora mi immaginavo un pubblico davanti con le sue domande: lo sognavo e lo visualizzavo. Certo, non credevo si sarebbe mai verificato ma dentro me ho sempre avuto il desiderio di farcela. Ed è quel bambino che ho rivisto quando è stato battuto il primo ciak. Mi sono poi mosso senza un copione o una scaletta che mi indicasse cosa fare: lo scopo era quello di restituire la dimensione di quando qualcuno mi chiama realmente a cucinare a casa sua.
Quanti anni avevi quando hai cominciato a muoverti nella cucina di mamma?
La prima volta che ho cucinato non è stato in casa di mamma ma in quella di nonna Carmela. E ricordo anche la data: 19 marzo, festa di San Giuseppe. Si preparavano le zeppole e vedevo mia nonna in difficoltà con la sac à poche: avevo sette anni, la presi nelle mie mani e, sotto lo sguardo meravigliato di mia nonna, la usai senza alcun problema. Non l’avevo mai fatto prima e mia nonna mi ringraziò con un ‘ma che bravo che sei’ che da quel momento in poi mi ha portato a innamorarmi subito della cucina: non vedevo l’ora che me lo ridicesse ancora e ancora.
I miei genitori lavoravano, mamma come bidella e papà come operaio, e io trascorrevo molto tempo in casa dei nonni, ragione per cui quando mia nonna cucinava restavo a osservare ciò che faceva, davo una mano e attendevo i suoi complimenti. È stato ciò che mi ha spinto poi ogni giorno a voler fare sempre di più…
Se sono poi andato a La prova del cuoco è proprio per vedere felice nonna, amava Antonella Clerici: poiché a mezzogiorno era sempre intenta a cucinare (e la cucina napoletana si sa che richiede tempo), non riusciva a guardare il programma in diretta ma lo registrava, in modo da rivederlo poi insieme nel pomeriggio. Ogni volta che lo facevamo mi diceva che il suo sogno sarebbe stato quello di vedermi diventare tanto bravo in cucina da prendervi parte anch’io. E così, non appena ho avuto i primi peli sul viso, sono andato a fare il provino: non avevo neanche 17 anni.
Nonna forse intravedeva in te le stesse doti di nonno Pietro, per anni maître?
Secondo me, sì. È stata l’unica a credere in me anche quando neanch’io mi vedevo come cuoco: da piccolo, la mia aspirazione era farmi prete per poi diventare Papa. Ma nonna mi ha poi portato su una strada diversa con il suo ‘da grande farai il cuoco perché sei bravo e forte’. Per me, quelle parole erano le uniche di incoraggiamento che arrivavano da qualcuno e da queste mi lasciavo coccolare.
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Non c’era nessun altro che ti ‘coccolava’ alla stessa maniera?
Ho avuto un rapporto molto complesso con mio padre, di origine napoletana. Cresciuto in una famiglia di undici figli a pane e cipolla, è sempre stato una persona tutta d’un pezzo che si è fatta da sola e che ha provveduto a non far mai mancare nulla né a mia madre né ai figli. Ha voluto anche trasferirsi da Napoli a Bergamo per far nascere e crescere i figli in una terra diversa ma, dall’altro lato, non ci sono mai stati tanti complimenti: la sua durezza, ad esempio, mi è pesata molto.
Da bambino sovrappeso, molto in carne (ho perso poi qualcosa come 26 chili), ai suoi occhi non ero buono a far niente, dal nuoto al calcio, ma la cucina ha forse rappresentato il punto di svolta. La prima volta che mi ha fatto un complimento per un piatto ho avuto la conferma che quella era la strada giusta per me, tanto che ho voluto iscrivermi alla scuola alberghiera e intraprendere la carriera che mi ha portato fino a qui.
Oggi i rapporti sono migliorati ma non ho dei ricordi del passato particolarmente felici.
Nel dirmi quanto hai perso, il tuo tono di voce si è abbassato: è qualcosa di ancora irrisolto?
L’obesità mi ha fatto stare male a livello interiore (mai subito bullismo, però) e crescere con l’insicurezza, fino a quando un evento imprevisto mi ha spinto a voler perdere peso. Ogni estate, finite le scuole, partivo da Bergamo per passare quei due o tre mesi di vacanza a Napoli con i cugini in casa degli zii. Un giorno, in spiaggia con tre amici, si sono avvicinate altrettante ragazze: mentre due iniziavo a flirtare con gli altri due ragazzi che erano con me, la terza mi ha esplicitamente detto che non le piacevo perché ero “ciccione”… mi ha devastato completamente.
Sono rientrato a casa, zia era già pronta con i suoi piatti ma la mia risposta è stata chiara: “Da oggi, solo insalata e petto di pollo”. E così è stato: quell’estate ho perso venti chili. Quando sono tornato a Bergamo, mamma quasi non mi riconosceva per quanto fossi dimagrito: la pancia era scomparsa e anche papà mi guardava con ogni differenti. È stata una bella botta per la mia autostima. Il cibo mi ha sia rovinato l’infanzia sia salvato la vita e ancora oggi ho un rapporto con esso che è assurdo: è il mio salvatore ma anche il mio nemico, amore e odio. Fortunatamente, non ho mai maturato comportamenti del disturbo alimentare e con il tempo ho imparato a dire che sono così come sono, non permettendo a nessuno di etichettarmi per il mio aspetto.
Se oggi dovessi dire quale parte del mio corpo non apprezzo, risponderei senza dubbio ‘gli occhiali’: non riuscire a vedere mi dà fastidio. Fisicamente, mi trovo bene: finalmente vedo un bel ragazzo ma mi preoccupo più della salute che dell’aspetto. Per esperienza personale, credo, però, poco nella filosofia della body positive esasperata a tutti i costi: in molti casi, ho come la sensazione che si finga di stare bene… un po’ come quando su Instagram mostriamo solo il bello che ci capita nascondendo sotto il tappeto ciò che non va o ci fa star male.
Con la salute, non si scherza. E ne so qualcosa: a novembre dovrò sottopormi a un delicato intervento chirurgico per le conseguenze delle 16 o 17 ore al giorno di lavoro in piedi. Non è normale che a 27 anni abbia per questo una vena da operare.
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Tornando a quel bambino che perde peso, quando quella ragazza ti ha rivisto ha cambiato idea?
Mi ha incontrato l’estate successiva con venti chili in meno ma sono stato io ad aver cambiato idea su di lei.
E come vanno oggi le cose in amore?
Vivo un periodo in cui sono super tranquillo. Non cerco grandi impegni, sto bene con me stesso e sono felice delle molte cose meravigliose che ho fatto quest’anno: mi sto godendo quello che ho creato. A breve ad esempio parto per fare delle masterclass su Costa Crociere: insegnerò a cucinare… sono patito delle crociere, mi piacciono molto: in questo, sono un vecchio dentro. E concedersi una vacanza mentre lavoro per me è oro colato.
Questo ci riporta inevitabilmente a nonno Pietro…
È il mio secondo papà, quello in grado di dirmi parole dolci quando queste mancavano o di calmarmi quando ce n’erano altre che mi ferivano. Nonno Pietro è stato una persona straordinaria e avrei voluto tanto essere come lui e non questo carattere fumantino che mi ritrovo: non si incazzava mai, era sempre pacato e avevo un sorriso per tutti. Lo considero il mio esempio di vita… oggi è malato di Parkinson così come nonna Carmela ha il morbo di Alzheimer. E forse per questo uno dei miei obiettivi principali con il mio lavoro è quello di portare avanti la memoria di nonna con i piatti che preparava: mi ha insegnato tutto sulla cucina napoletana. Non c’è evento, consulenza o singolo giorno in cui la sua presenza non sia forte nelle mie ricette. Purtroppo, quando i nonni si ammalano, è un po’ come perderli.
È stata felice nel vederti nel programma di Antonella Clerici?
Sì. Per fortuna, sono riuscito ad andarci un anno prima che si ammalasse. La stessa Antonella, conoscendo la sua passione, l’ha voluta come ospite anche se solo in collegamento. Purtroppo, oggi non ricorda più nulla di tutto ciò… ma io continuo a far tutto nel suo nome senza pensare che sia malata. E sarà sempre così.
Qual è il piatto che più vi lega?
Gli spaghetti allo scarpariello, un piatto di pasta semplice con pomodorino, basilico e pecorino. Ricordo le domeniche in cui nonna lo preparava con nonno che prendeva i pomodori e tagliava il basilico con una forbice, facendola arrabbiare. Ho davanti a me la fotografia nitida di nonna che preparava il condimento e di nonno che grattugiava il formaggio. Ed è solo una delle tante immagini di loro che visualizzo mentre cucino. Mi ripetono spesso che tutto ciò si riflette nei miei piatti ma se non avessi avuto dei nonni come loro non credo che avrei mai cucinato così bene. Sono proprio devoto a entrambi.
Uno dei segreti della tua cucina è l’acqua frizzante…
Frutto di un puro caso. Un giorno, mi serviva dell’acqua per cucinare ma, poiché il comune aveva chiuso l’acqua corrente, con me ne avevo solo una bottiglia frizzante. Stavo preparando del ragù e per evitare che si attaccasse ho dovuto usarla: si è formata una schiuma di mille colori che restituiva l’arancione della carota, il verde del sedano e tutti gli altri colori degli ingredienti. Sembrava quasi che ci fosse del sapone colorato ma, assaggiando il tutto, il sapore sprigionato era così intenso da non poter non apprezzarlo.
Grazie a un amico all’Università di Catania, è stato possibile poi studiare la reazione ed è venuto fuori come l’acqua frizzante chimicamente estraesse il massimo dai sapori. Da quel momento in poi, ho usato sempre e solo acqua frizzante per le mie ricette, portando l’idea anche in televisione.
“In fondo mi voglio male”: perché?
Forse perché sono una persona molto insicura. Di fronte a ogni cosa che faccio, mi chiedo se sto facendo una cazzata o meno. Vado in crisi totale e mi carico di ansie inutili…
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