Davide Nanni è per tutti lo “Chef Wild” che cucina senza troppi orpelli in mezzo alla natura sui social o che presenzia nella trasmissione di Rai 1 È sempre mezzogiorno, condotta da Antonella Clerici. L’aggettivo “wild” tradisce chi sia in realtà Davide Nanni: di “selvaggio” nel suo animo c’è ben poco e ve ne renderete conto nel leggere l’intervista in esclusiva che ci ha concesso e durante la quale il suo racconto è stato interrotto per ben due volte per via della commozione.
Ragazzo semplice che ha fatto dell’autenticità e della tradizione il suo valore aggiunto, Davide Nanni si emoziona ogni volta che parla del nonno, quella figura essenziale della sua vita che lo ha aiutato a trovare un equilibrio a Castrovalva, borgo tra le montagne d’Abruzzo. 15 sono gli abitanti totali del posto, dove Davide Nanni ha scelto oggi di prendere in mano la Locanda Nido d’Aquila, agriturismo di famiglia finendo con il rivitalizzare l’intera aria circostante.
Non è stata una scelta facile, soprattutto dopo aver conosciuto la ristorazione in giro per il mondo, dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti. Ma a indicargli la giusta strada è stato più che un segnale fortuito: qualcuno ha forse deciso per lui e per il suo bene dall’alto. E Davide Nanni ne è fortemente convinto, così com’è convinto che credere nella tradizione non significhi assumere comportamenti maschilisti per autocompiacersi: i numeri non sono tutto e non è ciò che cerca per autodefinirsi.
Intervista esclusiva a Davide Nanni
“Sono appena tornato dalle Seychelles, dopo ho vissuto un’esperienza anche abbastanza emozionante. Sono rientrato a casa con tante sensazioni diverse e tante domande”, mi risponde Davide Nanni quando gli chiedo della recente vacanza che lo ha portato a postare una particolare storia sui suoi profili social.
Cosa è accaduto nello specifico?
È stata la prima vacanza che mi sono concesso realmente in vita mia. È vero che ho lavorato per tanto tempo negli Stati Uniti ma, sebbene fossi a poche ore da Miami, non ho mai staccato la spina dal lavoro. Sono solitamente alle prese con le attività della mia struttura e non ho mai chissà quanto tempo a disposizione: d’estate c’è da mandare avanti il ristorante mentre d’inverno c’è da curare tutta la produzione. Ho voluto quindi fare uno strappo alla regola e concedermi un viaggio insieme a Giulia, la mia ragazza arrivata come un valore aggiunto in più a quello che era già un periodo per me bello. Dopo la mia ultima relazione non particolarmente felice, mi ero abbattuto ma lei ha saputo farmi ricredere vincendo ogni mio timore e paura. Pensavo di essere un fallito, un troglodita bravo solo a cucinare e invece…
Perché tale pensiero?
Ho sempre fatto il confronto con mio padre, da questo punto di vista. Lui già a 31 anni era genitore e avrei voluto anch’io ripetere la sua stessa esperienza per dare a mio figlio ciò che lui aveva dato a me in termini di attenzioni, cure e giochi. Tuttavia, non è accaduto ma speriamo che Giulia sia la ragazza giusta con cui costruire insieme qualcosa. Ritornando alla vacanza, è la prima che ho trascorso anche con lei: ci siamo spostati di isola in isola, organizzando tutto da soli. Ed è così che siamo ritrovati a vivere quell’esperienza che molto ci ha insegnato sulla solidarietà e sulla condivisione.
Stavo un giorno preparando una delle mie ricette all’aperto quando, non rendendomi conto che la legna era bagnata, il fuoco non partiva. Vicino a noi c’era una di quelle postazioni in cui i ragazzi locali preparano quel po’ di pesce fresco che riescono a pescare per venderlo ai turisti. Nel vedermi in difficoltà, i due giovani che lo gestivano si sono avvicinati chiedendomi se avessi bisogno d’aiuto: mi hanno offerto così tutta la loro postazione stupendomi del loro altruismo. Mi è sembrato più che corretto a fine ricetta far assaggiare loro la pasta che avevo cucinato. E, anziché mangiarla solo loro due, hanno chiamato tutti gli isolani intorno per condividerla con loro.
In più, mi ha colpito anche la dignità con cui inizialmente hanno rifiutato i soldi che ho deciso di lasciare loro. Saranno stati più o meno l’equivalente di 15 euro ma, nonostante ne avessero bisogno, non volevano nemmeno prenderli. Ecco, in quel momento mi sono sentito davvero molto piccolo nel constatare quanto poco altruismo c’è nel nostro mondo occidentale, così attento alle futilità e alla paura dell’altro. Mi hanno ripagato con un abbraccio che non scorderò mai più.
L’emozione è qualcosa su cui hai sempre puntato.
In tanti, sui social cucinano mettendosi in evidenza con la comicità o con il “travestimento”. Quando accendo la telecamera per registrare un video, penso solo a ciò che amo fare da quando sono nato, ovvero cucinare. È cucinando che mi piace trasmettere emozioni, le stesse che provo io quando sono davanti a una ricetta da preparare. Vivo ogni mio video come un’emozione: cucinare è l’unica attività che mi ha fatto sentire tranquillo anche nei momenti più brutti. Non penso ai followers o a cosa mi farebbe aumentare il loro numero. Anche chi viene al mio ristorante non viene perché sono simpatico ma per capire come cucino io, per conoscere me o mio padre e per passare una giornata con noi in mezzo alla natura.
Hai già citato due volte tuo padre. Che rapporto hai con papà Mario e mamma Maria?
Sono due pietre miliari. Provo molta riconoscenza nei loro confronti ed è questa riconoscenza che mi porta a essere così legato a loro e ai sacrifici che hanno fatto. Da 26 anni, ad esempio, non si concedono una vacanza, da quando hanno rilevato l’attività dei nonni. Mio nonno è stato senza forse una delle figure più importanti della mia vita, colui che ha gettato le basi del Davide di oggi. Sono stato un bambino molto vivace e dispettoso, ero quello che combinava sempre guai.
Fino all’età di sei anni ero cresciuto a Roma e ritrovarmi tutto ad un tratto a vivere in un paesino di poche anime non è stato facile, sebbene da unico bambino in giro ero un po’ il nipote di tutti. Ogni volta che combinavo un guaio, mio nonno mi portava in campagna con lui, lasciandomi libero di pascolare le pecore e di fare ciò che più mi piaceva. Ed è lui che mi ha insegnato ad accendere il fuoco, a sopravvivere con quel poco che in mezzo ai campi si aveva, ad apprezzare l’essenziale e a adattarmi. A volte vorrei che guardando i miei video la gente si rendesse conto di quante cose superflue abbiamo e di come, nonostante ciò, non ci accontentiamo mai.
La morte di mio nonno, sopravvenuta quando avevo 16 anni, ha contribuito al mio cambiamento di carattere. Ero stato sospeso dal dormitorio perché accusato di aver incendiato un cestino (avevo dato fuoco in realtà a un pezzo di carta): era semplicemente la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. La sera mi chiamò mia madre e piangendo mi disse che non ero in grado di combinarne una giusta nella vita. Di fronte a tutto quel dolore non sono rimasto inerme: decisi di cambiare radicalmente il mio atteggiamento, diventando uno dei migliori studenti della mia scuola. Studiavo, non reagivo alle provocazioni e porgevo sempre l’altra guancia: non ero più io la persona sbagliata. Era un po’ anche l’insegnamento di nonno: se fai del male è sicuro che prima o poi ti torna indietro.
Esperienza dopo esperienza, abbandoni il lavoro a Londra dallo chef Locatelli perché non in sintonia con la sua filosofia culinaria per ritrovarti negli Stati Uniti. Ma anche in quel caso qualcosa ti ha fatto cambiare idea.
Stanco del trattamento economico, della non gratificazione e del trattamento riservato ai professionisti in Italia dai datori di lavoro, decisi di andare negli Stati Uniti per andare alla conquista del mio sogno americano. A contribuire al mio ritorno a casa da Londra era stata anche la lontananza dalla mia famiglia. Era il 2010 e non esistevano ancora le videochiamate mentre nel 2018, anno della partenza per gli USA, la situazione era cambiata: le videocall mi avrebbero fatto pesare meno la distanza.
Portai con me il mio sous chef romano, Marco, uno dei più bravi che abbia avuto, e insieme trovammo lavoro nello stesso ristorante. La goccia che fece traboccare il vaso fu la richiesta da parte del titolare di mettere un giorno delle polpette sulla matriciana. Non ho resistito: non potevo svendere la mia cucina e la mia italianità per un pugno di dollari. E me ne sono tornato in Italia: preferisco fare il regresso per il progresso anziché tradire i miei ideali.
La gente pensa talvolta che io sia un retrogrado ma non è così. Amo semmai la semplicità dei valori della tradizione, il mio rapporto con la famiglia, la natura, la montagna, la buona cucina, i ricordi e ciò che mi ha insegnato mio nonno. Sui social propongo ciò che amo e sono io ma questo non significa che non sia capace di fare il gourmet: se ne possono rendere conto coloro che al mio ristorante mangiano sette portate con 50 euro.
Così poco per sette portate gourmet?
Sì. A me basta ripagare i costi della materia prima. Il ristorante è mio, non pago affitto e l’80% della materia prima usata è di produzione della mia famiglia. Quel margine di guadagno che ho mi permette di vivere bene: perché dovrei lucrare alle spalle della gente che spesso fatica anche ad arrivare a fine mese? A me non importa far pagare la mia notorietà o la mia immagine, mi sentirei al pari di un ladro. Mi interessa semai dare l’opportunità di offrire un certo percorso gastronomico anche a chi in un ristorante gourmet non potrà mai andare. Per me, è un modo per ripagare l’affetto e l’amore di chi quei soldi li mette anche da parte per entrare nel mio locale.
Ti rende felice tutto ciò?
Sì. Non mi interessano i numeri, nemmeno quelli sui social: non definiscono una persona. Non mi reputo inferiore a nessuno, ho accanto una ragazza che non pensa alla mia situazione economica e sto pian piano facendo ciò che voglio senza dovermi inventare chissà che trovata o star male. E mi rendo conto che la gente apprezza questo mio modo di essere e il mio desiderio di migliorarmi sempre. Quando lavoravo alle dipendenze di qualcuno, andavo via nel momento in cui mi rendevo conto di cucinare meglio dello chef: cercavo un nuovo posto per continuare a crescere senza fare male a nessuno.
E quando hai deciso di tornare a Castrovalva per prendere in mano l’attività di famiglia?
Quando neanche fare lo chef mi gratificava più perché costantemente sottovalutato o sottopagato. È stata mia madre a darmi l’idea di prendere in mano il ristorante di famiglia con la cucina a base dei prodotti che il nostro agriturismo produceva. Non è stato semplice, soprattutto decidere di ascoltarla. Avevo trent’anni e non ho preso bene la sua proposta. Sono anche stato due settimane senza rispondere alle chiamate di casa, volevo semplicemente essere lasciato in pace mentre la mia vita naufragava. Poi un giorno ho sentito mio padre: gli ho proposto di andare a mangiare qualcosa nella campagna che era stata di nonno, l’unico posto in cui fino a quel momento mi ero sentito felice.
Così abbiamo fatto e ho realizzato un video mentre preparavo una zuppa di cipolle: 700 mila visualizzazioni su Facebook. Forse nonno mi stava dicendo qualcosa e avrei dovuto ascoltarlo. Per me, è stato un segnale chiaro e preciso: tutto è cominciato da là, da dove con quel bastoncino mi aveva insegnato ad accendere il fuoco, tra la natura e in piena libertà. Realizzare i video per i social fa bene soprattutto a me: guardo in questo momento il soffitto come se vedessi il cielo per ringraziarlo (gli si spezza per la seconda volta la voce per la commozione, ndr).