È uscito lo scorso 14 ottobre Lilith, il nuovo album di Decrow, classe 1995. È composto di undici canzoni che Decrow considera come la bibbia dell’amore giovanile e rappresentano tutte le sfaccettature della relazione con una donna demone sullo sfondo di una Roma simile alla Gotham City di Batman. Atmosfere dark e testi di sensibile poesia si mischiano in un mix unico, all’insegna del “fate ciò che volete”.
Lilith è un viaggio nella testa di Decrow, in cui la lei è una femme fatale in grado di apparire diversa in ogni canzone: capace di donare amore ma anche, quando vuole, disgrazia e amore. Ci siamo fatti raccontare Lilith, la sua idea di amore e le sue percezioni direttamente da Decrow, con un’intervista esclusiva in cui tra le righe ci racconta molto di sé. Dalla sua personale visione dei tatuaggi alle volte in cui si è salvato riconoscendo di avere un problema.
Intervista esclusiva a Decrow
Lilith è il tuo secondo disco. Ed è composto da undici tarocchi che sono stati prodotti da quattro demoni. Definisci così le canzoni e i loro produttori.
Tutto è collegato al titolo del disco: Lilith è stata la prima donna demone. A differenza di Eva, nata da una costola di Adamo, Lilith è nata dalla polvere e non voleva sottostare al volere di Dio: la sua missione non era quella di procreare ma di divertirsi. Per tale ragione è stata esiliata nell’oceano. In lei è racchiusa è la doppia essenza del disco: è il tipo di donna che mi piace e in cui allo stesso tempo mi rivedo. Seguendo tale logica, i produttori sono diventati demoni e le canzoni tarocchi.
Quanto giochi tu con l’immagine del duro? Hai un’immagine molto forte che gioca con il gotico ma i testi delle tue canzoni sono molto poetici, mettono in risalto la tua personalità e la tua emotività.
A livello visivo propongo l’estremo di me stesso. È un po’ quello che facciamo oramai tutti: cerchiamo di estremizzarci per difenderci. L’immagine per me è come se fosse sperimentazione mentre nei testi riporto tutte le cose che ho in testa. Ce ne sono alcuni molto più duri e altri in cui riporto le mie debolezze come persona.
In questo senso, all’interno di Lilith colpiscono particolarmente Ora d’aria o Amarena. Quest’ultima poi è particolarmente insolita per tutta la tua produzione.
Per questo disco per la prima volta ho lavorato con tante persone. Ogni produttore ha portato al suo interno un filone diverso e un’atmosfera differente. Con Edd Bateman ho lavorato a tracce che, a parte Sonar, sono nate dopo serate di puro divertimento: le canzoni raccontano quello che può succedere dopo una serata (Sonar, invece, è un down che deriva da un altro tipo di serata). I brani più pop ma allo stesso tempo sentimentali sono frutto del lavoro con Daily Bedini. Con Pablo Limo, il più giovane di tutti, ho lavorato a canzoni che parlano un po’ più dell’amore adolescenziale, mentre con i Kinder Garden, il gruppo che mi accompagna in concerto, a quelle più acustiche. Ognuno ha affrontato il suo viaggio e io ho cercato di portare la mia personalità al suo interno.
L’amore nelle tue canzoni è descritto in maniera bidimensionale: poetica ma anche fisica. Hai 27 anni ma dimostri una certa maturità sull’argomento.
Non mi ritengo un esperto di relazioni, per me sono sempre state un macello. Le canzoni parlano un po’ delle mie esperienze e di quello che io vorrei che fosse una relazione in generale. Non necessariamente le canzoni d’amore fanno riferimento a una relazione solo d’amore: possono raccontare di ogni tipo di legame, anche quello amicale. Alla base c’è sempre un rapporto molto vissuto ma non è riconducibile esclusivamente alla dimensione sentimentale. Si fa riferimento all’esperienza in due e qualsiasi tipo di esperienza va bene.
Scegli di chiamarti Decrow e il riferimento è chiaro: Il Corvo, il film cult con Brandon Lee. L’universo cinematografico ha per te particolare importanza. In Sonar, ad esempio, troviamo una citazione, anche se capovolta, di Il fantastico mondo di Amelie. Come si concilia il mondo di Amelie con quello del Corvo?
Per come lo canto io, il fantastico mondo di Amelie è al buio. Quella canzone racconta di due persone che si trovano a una festa. Si chiama Sonar proprio perché riescono a muoversi al buio come i pipistrelli. E parla di una relazione che non si riesce a conciliare.
Da dove nasce la tua passione per il cinema?
Ho sempre avuto la passione per il cinema e visto tanti film: ho rallentato solo ultimamente perché l’uscita di un disco prevede ovviamente diversi impegni. Ma sono sempre stato in fissa per il cinema: mi piacciono molto i film tributo alle band ma anche tutti quei film che vanno dagli anni Novanta ai primi anni Duemila che richiamano le atmosfere di Il Corvo. Mi fanno gola anche tutte le saghe come quelle dei vampiri ma anche le serie gotiche.
Il mio preferito rimane sempre e comunque Il Corvo: lo reputo il papà di tutta una serie di cose che sono venute dopo. Ho visto il film da piccolo, l’ho amato e ho sempre cercato di riportarne le atmosfere nella mia musica. L’ho rivisto anche da grande ma con uno sguardo molto diverso in un periodo della mia vita molto particolare. E mi sono rivisto nel messaggio che trasmetteva: è stato in quel momento che ho deciso che mi sarei chiamato Decrow.
Un bel messaggio di resistenza, resilienza e amore.
Esatto. In quel film, ci stanno un po’ tutti i messaggi che cerco di cantare nelle mie canzoni. Il Corvo è tornato in vita per saldare i conti lasciati in sospeso. E anch’io come lui, dopo quel periodo, sono “ritornato in vita” per aggiustare un po’ di cose che non andavano bene.
Che periodo è stato?
Un periodo in cui, detta in soldoni, non mi volevo bene. Ma non è stato tramite la musica che ne sono uscito. Ne sono uscito con le mie mani, la musica mi ha certo aiutato ma la forza è stata la mia.
Cosa intendi quando dici che ne sei uscito con le tue mani?
Innanzitutto, ho cominciato a parlarne con lo psicologo e con gli amici. Non mi va di entrare nel dettaglio ma mi ero completamente abbattuto per una cosa. Non dormivo più e facevo cazzate fino a quando non mi sono reso conto che valevo più di quella cosa, nonostante fosse qualcosa di importante. Come tutti, ho scoperto che la vita è fatta di momenti di up e down, di momenti sì e momenti no. L’importante è riuscire da solo a capire come affrontarli: è quello che poi caratterizza la tua forza e la tua personalità. Un problema non si può affrontare se prima non capisci da solo di avere un problema. Riconoscere le proprie debolezze e parlarne non significa essere meno uomini agli occhi degli altri.
Qual è il tuo rapporto con Roma, la tua città, e in particolare con il quartiere di San Lorenzo, che in Gotham City paragoni alla città di Batman?
Roma è mia mamma: è la città in cui sono nato e non che non ho mai cambiato. “San Lollo” è un quartiere che amo, è uno di quelli in cui la sera riesci a divertirti sempre anche se non hai nessun obiettivo particolare. Anche se non sai che c**zo farai, andando a San Lorenzo sai che in qualche modo ti divertirai. Gotham City è stata scritta dopo una serata a San Lorenzo e il paragone con la città di Batman nasce dalla sopraelevata della tangenziale che attraversa il quartiere in mezzo alle case. Quella della sopraelevata è un’immagine che viene dal primo Batman di Nolan.
Una canzone di Lilith si chiama Tatuaggi. Quanti ne hai?
Ottanta quasi. Non so il numero preciso ma sicuramente più di settanta.
E cosa ti ha spinto a farne così tanti?
Quello di tatuatore è il mio secondo lavoro. Ho fatto il primo tatuaggio a quattordici anni e mai nella vita avrei pensato di diventare tatuatore. Invece, durante il lockdown, ho comprato una macchinetta e per noia ho cominciato a fare da solo i primi tentativi. Vedendo il risultato, ho capito che potevo farcela: era nata in me un’altra passione. Quella canzone in particolare, Tatuaggi, parla di qualcosa che per me funziona tantissimo: quando mi rode il c**o, mi faccio un nuovo tatuaggio. È un modo per ricordarsi che quel disegno appartiene a quel particolare periodo. Il brano è figlio di un momento non particolarmente facile: non come quello di cui abbiamo parlato prima ma comunque difficile. La differenza sta nel come l’ho affrontato: avevo più esperienza per gestirlo.
Perché indossi spesso il kilt durante le tue esibizioni live?
Non c’è una ragione specifica: mi piace e basta. Sono dell’idea che se qualcosa piace va fatta. Voglio mettermi la gonna? Me la metto. Voglio indossare i pantaloni larghi o presentarmi in mutande? Lo faccio. Non me ne frega niente che possa piacere o meno agli altri o cosa pensa la gente. Ma nemmeno dei messaggi che altri possono intravedervi: lo faccio semplicemente perché mi piace.
Il mio motto è sempre “fate quel che c**zo volete”, non giustificate quello che fate o non fate qualcosa solo perché, in questo periodo di crisi mentale, va fatta per mostrare che siete persone per bene. Vale per tutti quanti: ognuno è libero di essere e fare ciò che vuole: se a me va di indossare vestiti da donna, li indosso e vado in giro. Se la gente pensa che io sia strano, non è un problema mio.
In Lilith canti anche di sesso occasionale. Cosa rappresenta per te?
Qualcosa di bellissimo. Può succedere che ci si concede del sesso occasionale con una persona che hai appena conosciuto o che conoscevi da tempo. Ci sono casi in cui può anche trasformarsi in amore e altri in cui non diventa niente, finisce tutto lì. Ma sono dell’idea che bisogna vivere il momento, il presente, e non pensare mai al futuro.
Cosa ti aspetta adesso?
Con il mio gruppo abbiamo fatto una serata al Monk, due ore full che hanno fatto il sold out. Siamo stati poi a Largo Venue e il 19 novembre a Milano al Barrio’s. Mi auguro di poter portare Lilith il più possibile in giro anche perché i live sono la mia dimensione ideale: io soffro lo studio o lo star chiuso in sala prove. Non capisco infatti la gente che va a fare i dj set e canta in playback. Per me la musica live è quella in cui stai al microfono a cantare e a sudare addosso alla gente, trasmettendo la tua carica.