Il mondo di Diora Madama è un universo irrequieto come lei. È bidimensionale ma multi sfaccettato, fatto di estrema allegria ma anche di grande vulnerabilità mascherata da aggressività. Diora Madama ha esordito con il suo primo EP, 2D (AAR Music/Universal Music Italia), in cui mette a nudo quella che è la sua principale tendenza: il non riuscire a parlare in modo intenso di ciò che prova. “Tendo a patinare in modo pop qualunque episodio negativo della mia vita. Tendo a raccontare la parte finale di ogni evento, la parte guarita, quella aggressiva e vincente. In realtà̀ è sempre l’esatto opposto. Come se rendessi piatto un abisso”, ha dichiarato nel presentare il suo lavoro.
Con la voce acida e sfacciata di Diora Madama, ci addentriamo in un universo in cui argomenti come il bullismo, il ghosting, il narcisismo e la positività tossica non sono più un tabù. Ne parla in testi scritti in inglese, in ricordo di quella giovinezza divisa tra l’Italia e il Canada, dove vive gran parte della sua famiglia di origine abruzzese. Tuttavia, delega a un solo testo in italiano, Concedessi, il compito di smentire la saccenteria e l’aggressività dei testi precedenti.
Intervista esclusiva a Diora Madama
“Il mio vero nome è Angela, Diora Madama è quello d’arte”, ci rivela all’inizio di questa nostra intervista in esclusiva. Volevo usare un alter ego che mi permettesse di separare la mia vita privata da quella artistica. Era un’esigenza quasi personale, anche se le due identità in alcuni casi ovviamente si incontrano”.
Un po’ quello che si nasconde anche dietro il tuo EP d’esordio. Cosa si cela dietro 2D?
2D è un titolo nato alla fine del disco. Ho notato che, in maniera molto naturale, nella stesura dei brani era venuto fuori il mio modo di essere, anche nella vita di tutti i giorni, bidimensionale. In alcuni casi, tendo a raccontare di me delle parti più semplici o guarite anche nel parlare di un evento negativo che riguarda me o chi mi è attorno. Ciò fa sì che tenda a nascondere la parte più sofferente, parlandone dunque in maniera vincente, da forte. Nascondendo la patina di sofferenza, mi mostro sfacciata e aggressiva.
Tutti i brani, a eccezione dell’ultima traccia, Concedessi, hanno lo stesso mood. In Concedessi, ultima canzone scritta in ordine cronologico, mi metto invece totalmente a nudo. Vado a smentire la mia attitudine e spiegarne le origini o le motivazioni. A suo modo, 2D rappresenta proprio la bidimensionalità della comunicazione, in tutti i sensi, soprattutto quella più contemporanea che mettiamo in atto sui social.
Concedessi si conclude con un disperato urlo, “ma dove c**zo sei?”, che sembra avere una duplicità lettura. Chi non è presente potrebbe essere un amore ma anche Dio stesso.
C’è in realtà una doppia interpretazione. A me piace dare ai miei brani una seconda lettura, anche se più che una riflessione spirituale quella è una riflessione con me stessa e con quanto mi accade nella vita reale. In ogni traccia, racconto di circostanze o situazioni che sono realmente accaduti, episodi della mia vita che ovviamente hanno a che fare inevitabilmente con altre persone. La scrittura di Concedessi è stata ispirata da una persona ma la canzone non è esattamente una dichiarazione nei suoi confronti. L’incontro negativo con questa persona, riletto in chiave positiva, mi ha spinta a una riflessione molto profonda su tutto ciò che faccio, sul modo in cui mi comporto e sulla maniera in cui mi esprimo.
Nascondere la realtà per mostrare il lato vincente è un’attitudine caratteriale che hai avuto sin da bambina o è maturata nel tempo, anche a causa di una società che ci costringe a non apparire mai perdenti?
Da bambina, non ero così. È da adolescente che ho maturato tale attitudine. Andando a fondo, penso sia legata a diverse situazioni scomode che ho provato a livello sociale. Provengo da un contesto familiare tranquillo ma, al di fuori della famiglia, mi sono capitate situazioni in alcuni casi molto scomode e molto pesanti che mi hanno portato a mostrarmi più aggressiva per difendermi. Il mio atteggiamento duro mi permette di proteggermi e di tutelare me stessa.
Situazioni che, come dicevamo, hai messo in musica.
Cerco di essere più sincera possibile, anche se non scendo troppo nei dettagli. La musica è un veicolo anche di aiuto nei confronti di chi, vivendo una situazione similare alla tua, può riconoscersi in un testo. È un modo per me di entrare in empatia con gli altri e far sentire loro che non sono soli.
In tal senso, Bill Killed è forse la canzone che racconta l’esperienza più forte che hai vissuto. Quanto ti è stato d’aiuto oggi esorcizzare quell’esperienza così traumatica in musica?
Molto. Bill Killed è un brano che fa riferimento a qualcosa accaduto molti, molti anni fa. Ero piccolina, avevo tredici anni e sono stata vittima di bullismo. Ne parlo perché il bullismo è una piega che tuttora esiste e che ha trovato forme ancora più violente nel cyberbullismo. Ho esorcizzato ciò che mi è accaduto negli anni, non permettendogli di diventare un limite ma ho voluto affrontare l’argomento proprio per quell’empatia che citavo prima. Volevo far sapere a chi ne è vittima che, purtroppo, il bullismo esiste (anche se non dovrebbe) e che non si è da soli nell’affrontarlo. Occorre parlarne senza vergognarsene.
Il titolo fa riferimento ovviamente al film di Quentin Tarantino con Uma Thurman armata di katana.
Nel testo non ho una spada ma parlo di pistola.
Ma, volendo, hai metaforicamente due sciabole in testa. A cosa si devono le tue trecce?
Ho dei capelli estremamente crespi e tendenti al riccio che non prendono mai forma. Mi trovo molto bene solo con alcuni tipi di pettinatura. Riesco a domare la mia chioma esclusivamente con le trecce o con acconciature che appartengono alla cultura nera. Lungi da me qualsiasi tipo di appropriazione culturale ma la mia tipologia di capello non è tipicamente italiana. Se sciogliessi le trecce, i miei capelli non avrebbero alcuna direzione e sarebbero ingestibili!
Parlare di capelli e immagine mi porta a ricordare, con un volo pindarico, che affronti il tema del narcisismo in Meje a Cuscì, il cui titolo richiama le tue origini abruzzesi.
Cominciamo da quest’ultimo aspetto, che spesso crea confusione. Sono cittadina italiana ma il 90% della mia famiglia abita in Canada: questo dato mi rende culturalmente un po’ ambigua. Sin da piccola, sono stata a contatto con due mondi paralleli. Oggi la distanza è qualcosa che grazie anche a internet e ai social non si avverte ma, quand’ero bambina io, l’America sembrava lontanissima e un universo a parte. Ho vissuto l’infanzia e l’adolescenza a cavallo dei due mondi ma, ribadisco, sono totalmente italiana.
Il desiderio di affrontare il tema del narcisismo nasce da una riflessione legata anche all’uso che facciamo dei social network. Mi sono resa conto che tra le fila della mia generazione c’è tantissimo narcisismo. Non che prima non ce ne fosse, semplicemente non se ne parlava. Oggi abbiamo fortunatamente sdoganato certi comportamenti e abbiamo dato loro un nome. La canzone racconta di ghosting in generale, una delle possibili derive del narcisismo.
Non del ghosting legato a quanto avviene nelle app ma di quello che si verifica nella vita di tutti i giorni. Anche in contesti di amicizia reale, mi è capitato di veder scomparire persone nel nulla, un atteggiamento che trovo inspiegabile e che si amplifica con la distanza. Ma ancora più allucinante reputo il comportamento di chi, poi, a distanza di tempo si palesa con dei segnali o dei richiami di attenzione (spesso, con un semplice like) come se niente fosse o senza dare spiegazione alcuna. Non posso non pensare che questo non sia un atteggiamento narcisistico.
In Bitter, invece, canti di positività tossica. Sono un esperto di positività tossica: sediamoci e affrontiamo la questione.
Anche questa canzone racconta di un’esperienza molto personale e di un periodo in cui sono stata molto sfigata. Lo dico ridendo ma mi è veramente successa una cosa dopo l’altra. Ho avuto problemi di salute, affrontato situazioni relazionali complicate e vissuto anche cose molto gravi. Non c’era una cosa che andava bene e, giustamente, ero abbastanza irritabile. Mi giravano un po’ tanto le scatole quando in quei momenti, totalmente fuori dal tuo controllo e dalla tua possibilità di far qualcosa, in cui sei costretta a subire e il tuo stato mentale va in down, le persone che mi vogliono bene mi dicevano di star tranquilla o di non esagerare.
Tutte frasi totalmente inutili e fastidiose: lo sapevo benissimo che sarebbe passata ma perché fingere che non era accaduto niente? Sono circostanze in cui gli altri, anche se non intenzionalmente, non sanno mettersi nei tuoi panni o cosa provi realmente. Lasciateci vivere quei momenti anche amari, vanno accettati così come sono. Non dobbiamo sorridere a tutti i costi se non ne abbiamo voglia: lasciateci il diritto di non sorridere se non ce la sentiamo.
Su Instagram, racconti di aver vissuto 13 vite. In che senso?
Dal 2020, al di là del lockdown che ha divorato tutti quanti, ho cambiato casa molte volte e altrettante volte ho cambiato vita. Sono uscita ad esempio da una convivenza e sono andata a vivere prima con altri inquilini, poi dalla mia famiglia e infine a Milano con la mia amica d’infanzia. Per alcuni problemi di salute, ho dovuto cambiare abitudini per un lungo periodo. Ho cambiato il giro di persone che frequentavo e progetti. Stavo per partire per l’America ma sono ritornata sui miei passi.
Questa devi raccontarcela per bene: alla vigilia della partenza per New York hai mandato tutto all’aria…
Ho vissuto quasi tutto il 2022, da gennaio ad agosto, in funzione del mio trasferimento in America il primo settembre… e poi ho cambiato rotta all’improvviso, all’ultimo momento, scegliendo Milano.
Tra New York e Milano c’è una bella differenza!
Dipende da cosa si va cercando. New York rimane una dele città più affascinanti al mondo da visitare: sono il simbolo del sogno americano ma non andavo lì per questa ragione. Avevo vinto una borsa di studio per fare un master (in songwriting e production) in uno dei conservatori più importanti al mondo. Sarebbe stata la giusta continuazione della mia carriera accademica, dopo la laurea in Canto Jazz. Inizialmente, ero molto entusiasta ma, man mano che si avvicinava la partenza, dentro me c’erano dei segnali che mi portavano a pensare che non era quello che volevo fare realmente.
Avevo cominciato a lavorare con la musica e ho realizzato che non volevo più studiare. A dire il vero, già prima della laurea avevo iniziato a lavorare ma il 2022 la mia situazione lavorativa era nettamente migliorata. Mi sono dunque posta mille domande: e se dopo new York non riesco a lavorare con la musica, la mia passione di sempre? Anche perché, negli Stati Uniti, a causa del visto che avevo, mi sarebbe stato vietato lavorare. Ecco perché, vivendo già la vita che volevo vivere, ho maturato la consapevolezza di stare bene dov’ero, in Italia. E poi diciamocelo: ci sono tante cose che non mi piacciono dell’America, a cominciare da tante questioni politiche!
Probabilmente, ho perso un treno. Ma, partendo, avrei perso quello che mi rendeva soddisfatta. Io, che ero cresciuta con il mito dell’America e il sogno un giorno di trasferirmi lì, ho realizzato quando avevo la possibilità di andarmene di stare bene qui. Perché avrei dovuto intraprendere un percorso che non sapevo dove mi avrebbe portata o che, comunque, mi avrebbe allontanata da quello che mi piaceva?
Se dovessi descriverti con tre aggettivi quali sarebbero?
L’aggettivo che uso più spesso anche sui social è “frantic”, irrequieta. Ho un’ampia gamma di sfumature di irrequietezza: ho sempre bisogno di fare qualcosa e lasciarmi andare al flusso, alla corrente. Sono caratterialmente fluida. E, quindi, sono irrequieta, irrequieta e irrequieta!
Sei laureata in canto jazz. Quando hai capito che il canto era la tua strada?
Ho cominciato a cantare intorno ai 13 anni e non da piccolina. Anche perché fino a quel momento a me interessava soprattutto il disegno. Con l’arrivo della pubertà, pur continuando a disegnare, ho trovato una nuova valvola di sfogo nella musica: le canzoni mi permettevano di esprimere meglio le mie emozioni. Dopo i 13 anni non mi sono mai fermata, per la gioia di mamma e papà che si sono ritrovati questa figlia irrequieta che voleva far musica.
Ho frequentato il liceo artistico, mi sono diplomata in arti audiovisive multimediali (fotografia) ma ho anche cominciato a studiare canto. Sono sempre rimasta in campo artistico e, fortunatamente, non ho mai avuto ostacoli in famiglia: mia madre è pittrice ma, in genere, la mia famiglia è sempre stata molto accondiscendente per quanto riguarda le arti. Gli ostacoli hanno provato a metterli gli altri, da qualche compagno a chi tra gli amici cercava di buttarmi giù. Questo capita quando si frequentano ambienti non molto sani: oggi sono consapevole di quanto gli amici vadano scelta con cura per evitare di farsi distorcere la realtà.