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Doc TrashZ: “Non mi sono mai uniformato alle mode” – Intervista esclusiva

Il producer e dj Doc TrashZ ha appena pubblicato Time, il suo primo album. Che potrebbe anche essere l’ultimo. Con lui abbiamo parlato di musica elettronica, conservatorio, tempo e arte.
Nell'articolo:

Time è il primo album del producer e dj siciliano Rubens Garofalo, in arte Doc TrashZ. Le 17 tracce di Time compongono una raccolta concettuale che, traccia dopo traccia, riassume tutte le ultime ricerche sonore che Doc TrashZ ha portato avanti negli ultimi anni.

E di sperimentazione e di ricerca abbiamo parlato con Doc TrashZ nel corso di quest’intervista esclusiva, in cui cercheremo di capire in che cosa consista la sua musica e cosa si celi dietro alla musica elettronica, fin troppo spesso sottovaluta o confusa con altro. Dalle prime esperienze come dj in una città come Caltanissetta al successo in tutto il mondo, Doc TrashZ non ha mai smesso di cercare e di cercarsi, iscrivendosi da “adulto” al conservatorio. Ed è proprio dal conservatorio che cominciamo una lunga chiacchierata che spazia dal privato al professionale, dall’arte al Messico.

Doc TrashZ.
Doc TrashZ.

Intervista esclusiva a Doc TrashZ

Time è il tuo primo album di musica elettronica. Ma la tua formazione è legata al conservatorio.

Il conservatorio è una delle ultime fasi della mia formazione: l’ho cominciato da “grande”. Avevo trent’anni quando ho preso la decisione di iscrivermi e l’ho terminato di recente.

Una scelta quasi anticonvenzionale, dal momento che molto spesso ci si iscrive al conservatorio da ragazzi.

Beh, assolutamente sì. Però, posso assicurarvi che nel corso che ho frequentato eravamo quasi tutti dei buontemponi, sebbene il corso di musica elettronica di per sé suoni come una roba molto giovanile. Lo sarebbe anche, ai test di ingresso si trovano tanti ragazzi ma sono pochi quelli che riescono a superare lo scoglio dell’ingresso. Il test si basa su acustica, matematica, informatica: tutti argomenti molto ostici e tecnici. È a tutti gli effetti una laurea scientifica, tecnica. Non ho frequentato prima il corso per ovvie ragioni: è uno dei più recenti, semplicemente non c’era fino a qualche anno fa.

Asserisci che Time è il tuo primo disco ma potrebbe anche essere l’ultimo.

Non è necessariamente qualcosa di negativo. Provengo da un settore musicale in cui gli album praticamente non esistono, a meno che tu non sia un big. Si lavora principalmente con i singoli, con gli EP e i remix: io la definisco “musica usa e getta”, una gestione che non mi piace e mi dà fastidio. Non hai nemmeno il tempo di rilasciare un singolo che devi già pensare al successivo.

Mi ritengo fortunato ad aver fatto un album. Lo considero un esperimento: almeno una volta nella vita volevo provarci! Sto anche cercando di farlo durare il più possibile progettando dei remix di alcune tracce che in qualche modo lo richiamino e gli diano continuità. Anche perché dietro a un album ci sono anni di lavoro.

Ho sempre cercato di non seguire un genere musicale o di uniformarmi alle mode. Mi spiace spaziare e sperimentare anche sui generi, un aspetto che ho voluto riportare anche in Time: al suo interno c’è musica che è fuori dai soliti contesti mainstream. Ecco perché mi sono preso i miei tempi per la lavorazione.

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Cosa vuol dire sperimentazione? Ho come l’impressione che ultimamente sia un termine molto abusato, uno specchietto per le allodole quasi.

Di fatto ormai la sperimentazione non esiste più, a dire il vero. È difficile fare qual qualcosa in più di diverso che non è stato ancora portato avanti. Per me, sperimentare vuol dire prendere un genere musicale preesistente, lavorarci sopra e restituire qualcosa di totalmente non convenzionale inerente a quel genere.

Da cosa nasce il bisogno di sperimentare in te che sei cresciuto in una terra che ha una sua forte tradizione musicale?

Nasce dalla mia curiosità, sono sempre stato curioso. Sin da ragazzino, mi sono reso conto che la maggior parte delle persone con cui stavo ascoltavano o seguivano determinate cose che invece a me annoiavano. Mi dedicavo a tutt’altro: era nella mia indole, nel mio dna andare alla ricerca di qualcos’altro. Non riesci nemmeno a spiegarlo facilmente ma per me era normale. Capisco anche che portare questa voglia di qualcosa di diverso abbia generato in me un desiderio di far musica che altri possono non capire o giudicare in maniera non positivo. È un po’ come quando ci si mette di fronte a un film d’avanguardia: se non sei abituato, ti chiedi che cavolo è. Lo “schifo” in realtà è solo frutto e figlio della ricerca.

In una parola sola, arte. Altro termine oggi abusato: siamo tutti artisti.

Molto spesso ci si dimentica che la musica è anch’essa una forma d’arte. Il termine arte in riferimento alla musica dovrebbe essere utilizzato in maniera però più sensata: la musica sta ormai diventando un mezzo di consumo, qualcosa da cui si viene costantemente bombardati. Bisognerebbe riportare il tutto su binari più artistici e riscoprire l’arte musicale e l’arte sonora. A tal proposito, il conservatorio mi ha permesso di scoprire tutta l’arte sonora che c’è in giro. La musica, in questo momento, avrebbe bisogno di più arte. Il musicista che si definisce artista dovrebbe dimostrarlo anche con i fatti.

Doc TrashZ.
Doc TrashZ.

A cosa si deve il tuo nome, Doc TrashZ?

È legato ai miei inizi. Sono siciliano, di Caltanissetta: una piccola città che non è di certo come Catania o Palermo. Quando ho cominciato a fare questo lavoro, non avevo in programma né l’idea né la prospettiva di uscire fuori dai contesti della mia zona, come invece poi è avvenuto. Sono sempre stato coerente con la mia visione della musica: andavo in giro per locali ma cercavo sempre di portare la musica che sceglievo e decidevo io. Ovviamente, non mi conosceva ancora nessuno: ogni volta era cominciare da zero e il riscontro del pubblico non è che fosse proprio positivo.

Avevo scelto come nome Doc Fresh, volevo trasmettere qualcosa di fresco o, comunque, di nuovo. La reazione negativa, seppur non mi scoraggiasse, mi ha poi spinto a ironizzare sul mio nome: da Doc Fresh a Doc TrashZ il passo è stato breve. Quando ho cominciato ad acquisire un po’ di notorietà grazie ai remix o ai singoli, il nome ha cominciato a cucirsi sulla mia pelle e non l’ho più abbandonato. Con il nome di Doc TrashZ ho anche vinto un contest di scratch, motivo in più per portarselo sempre dietro come nome.

Porto, comunque, avanti altri progetti con altri pseudonimi ma Doc TrashZ è quello con cui ho fatto più cose.

Immagino la felicità dei tuoi genitori quando da ragazzino alla scuola preferivi la musica.

E, invece, no: non ho mai avuto grossi problemi in tal senso. I miei sono divorziati e sono cresciuto con mia madre, che è sempre abbastanza tranquilla in merito. Non mi ha mai negato niente, anzi mi ha sempre incoraggiato.

E cosa ti ha spinto da ragazzino ad avvicinarti alla musica elettronica?

La musica elettronica non è arrivata subito. Ho iniziato con un mixer e un giradischi facendo, appunto, gli scratch, qualcosa che oggi quasi si è perso. Insieme ad altri coetanei, facevo parte di una crew hip hop, in cui ognuno aveva un compito diverso. Quell’esperienza mi è piaciuta talmente tanto che ho voluto poi proseguirla. Erano tempi in cui si imparava da soli cosa fare: non c’erano i tutorial su YouTube e la mia palestra è stata le videocassette o i video che vedevo su MTv.

Dopo la vittoria al contest di cui sopra, ho cominciato a dedicarmi alle produzioni di musica elettronica facendo anche le prime serate di dj set ai Mercati Generali di Catania, dove poi sono stato resident per tre anni. E mi sono totalmente innamorato di questo mondo.

Doc TrashZ.
Doc TrashZ.

Time, il tuo primo disco, è dedicato al tempo, quel fattore che è in grado di dare e prendere tutto al tempo stesso. Cosa ti ha dato o tolto il tempo?

Il tempo di ha dato tutto: l’esperienza che ci si porta dietro negli anni è data dal tempo che si passa a fare determinate cose. Ed io ogni giorno scopro sempre aspetti nuovi che arricchiscono la mia vita e la mia persona. In questo periodo, ad esempio, sto studiando l’acustica del mio studio e dei pannelli fonoassorbenti.

Poi, chiaramente, il tempo è in grado anche di togliere. Pensiamo a un lutto che può arrivare dall’oggi al domani. Il tempo può farti perdere una persona molto cara e vicina in pochissime ore. Mi ha sempre affascinato il tempo, argomento che considero ancora inesplorato.

Sebbene Time sia composto da tracce strumentali, in ognuna di esse riporti le tue sensazioni e le tue esperienze personali.

Esatto. L’ultima traccia, Scars, dura ben undici minuti. Ho potuto realizzarla solo dopo aver frequentato il conservatorio: è difficile da digerire ma aggiunge un tassello in più a quella che è l’esperienza accumulata nel tempo. Il titolo in italiano sarebbe Cicatrici: se la si ascolta con calma, dall’inizio alla fine, è possibile percepire tutto il dolore intrinseco che c’è dentro, che resta per sempre e ti segna. Nelle mie canzoni, non ci sono testi ma ne puoi cogliere l’aspetto concettuale associando i suoni al titolo.

I titoli delle tracce sono in inglese perché il progetto è destinato a un pubblico internazionale. Hai notato delle differenze di accoglienza tra Italia ed estero?

Non saprei risponderti concretamente. So solo che ho sui social molti follower provenienti dal Messico, dove anni fa ho fatto anche due serate. Non so come ma sono abbastanza rinomato da quelle parti. Alla fine, è la musica che decide dove portarti: con questo non dico che in Italia non mi abbiano trattato o accolto bene. Semplicemente, in Italia è più difficile far girare ciò che fai soprattutto in un circuito come quello della musica elettronica, con una realtà ancora piccolina e poco promossa. Non siamo come in Gran Bretagna dove BBC Radio 1 trasmette per esempio solo musica elettronica.

Probabilmente nell’immediato futuro qualcosa si muoverà anche dalle nostre parti. Basti vedere come si è evoluta la scena indie per prevederlo.

La musica indie e l’elettronica vanno quasi di pari passo. Io stesso potrei definirmi indie visto che comunque sono un artista indipendente.

Di recente ti sei ritrovato a vivere un’esperienza particolare connessa al programma Rai Generazione Bellezza.

È stata girata una puntata, prossimamente in onda, a Caltanissetta, visitando alcuni dei posti più interessanti dal punto di vista artistico e della rigenerazione dei posti stessi. Uno di questi posti appartiene a un mio carissimo amico, Lorenzo Maria Ciulla, e si chiama Spazio Pitta. È un luogo molto vicino alla natura situato nel quartiere Angeli, il più antico della città, ed ospita opere di artisti provenienti non solo dalla Sicilia ma da tutta Italia.  In occasione della registrazione della puntata, Lorenzo mi ha chiesto un dj set ma alla fine ne è venuta fuori una festa!

https://www.instagram.com/p/CjpgC0ctPOY/

In una recente intervista, hai dichiarato che ti piacerebbe collaborare con i Chemical Brothers. E sulla scena italiana?

Se mi si chiede di puntare in alto, punto al cielo! Ascolto però tanta musica italiana e, restando nel settore dell’elettronica, mi piacerebbe lavorare con Cosmo, i Subsonica, i Cani o i Ministri. Ma anche con qualche nome più underground, come ad esempio Crookers.

Molto spesso, quando si parla di musica elettronica, si tende a confonderla con la musica dance.

Ma la dance è uno dei tantissimi generi che fanno parte del mondo della musica elettronica. Potremmo riassumere dicendo che la musica elettronica è quella macro sezione al cui interno si trovano un’infinità di generi, tra cui anche la dance. Definire l’elettronica è quasi impossibile: ha al suo interno ha sottogeneri che sono quasi all’opposto. Direi che è un contenitore di elementi sonori inerenti al digitale o, comunque, alle macchine, suddiviso poi in tanti contenitori più piccoli tutti da esplorare.

E il digitale è un po’ anche il tuo pane quotidiano.

Si, sono uno sviluppatore web. In questo periodo, ho iniziato a esplorare un nuovo linguaggio: quello degli NFT, qualcosa da cui potrebbe dipendere anche il futuro dell’arte.  Gli NFT sono nati per tutelare gli artisti e l’originalità delle loro opere nel futuro.

Doc TrashZ.
Doc TrashZ.
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