Incontro Donatella Finocchiaro dopo averla vista per un’ora e venti in scena davanti a un teatro gremito di gente. Non si tratta di un teatro qualsiasi: è il mitico Teatro Biondo di Palermo, palcoscenico da sempre calcato dai più grandi mostri sacri della nostra recitazione. Nel cartellone messo a punto quest’anno dalla direttrice artistica Pamela Villoresi c’è anche La Lupa, di cui Donatella Finocchiaro è regista e interprete nei panni della Gnà Pina.
Basta aver studiato un po’ di letteratura per sapere che La Lupa è una delle novelle più note di Giovanni Verga ma al contempo una delle più anomale. Racconta la storia di una donna che, travolta dal diavolo della carne, circuisce il marito della figlia, Nanni, costringendolo a un “disperato” gesto finale per liberarsi dall’ossessione che la Gnà Pina, la mangiauomini invisa a tutto il paese.
Nella rilettura di Donatella Finocchiaro, La Lupa cambia la prospettiva adottata da Verga. Nanni non è più la vittima. È un uomo assetato di potere che accetta pur di guadagnare in roba (altro tema caro allo scrittore siciliano) e dote di sposare la figlia della Gnà Pina, umiliando anche la sua femminilità e i suoi sentimenti. Non è un caso che la scena dell’accordo, pensata da Donatella Finocchiaro, sia rivelatrice dei tanti temi che il suo spettacolo porta in scena, a cominciare da quella che l’attrice e ora regista catanese definisce “autostima” nel corso di quest’intervista esclusiva.
La Lupa di Donatella Finocchiaro è una straordinaria riflessione sulla femminilità e sull’essere donna, valida ieri come oggi. Rispetto a Verga, Donatella Finocchiaro sposta la storia negli anni Cinquanta ma la sua collocazione appare ai nostri occhi senza tempo. Desiderio, autodeterminazione, scontro generazionale, giudizio e pregiudizio, sessualità, erotismo al femminile e femminicidio ne diventano i fulcri fondamentali. La Lupa è la donna che tutti gli uomini temono perché minaccia il loro potere ma è anche colei che tutte le altre donne, prefiche di giorno e in preda agli spasmi del desiderio di notte, invidiano. E la ragione sta sempre nella stessa spiegazione: la Lupa è una donna che tutti temono per il coraggio con cui ha deciso di vivere senza nascondersi ed essere colei che è realmente.
La Lupa è una donna con le ovaie, come sostiene scherzando ma non tanto Donatella Finocchiaro. Se ne sbatte del patriarcato e vive libera sopportando il peso dello sguardo altrui, sfidando la repressione sociale, culturale e religiosa, e andando fiera del suo essere donna, appunto. Ha coraggio la Lupa ma ne ha anche Donatella Finocchiaro nell’inserire la storia in un contesto da teatro contemporaneo. Giochi di luce, numeri musicali (strabiliante è l’uso di These Boots Are Made for Walkin’ di Nancy Sinatra) e attori in sintonia si prestano a un gioco (nell’accezione inglese del termine play) che concorre a un piccolo capolavoro che richiama alla mente ora Roberta Torre ora Emma Dante, due registe da cui Donatella Finocchiaro ha avuto la fortuna di essere diretta.
Citarle non vuol dire sminuire il lavoro fatto da Donatella Finocchiaro. No, serve semmai a elevarlo a uno status di autorialità sorprendente, come sorprendente è la gioia che traspira dagli occhi di Donatella Finocchiaro. Una gioia conquistata dopo aver superato nella vita momenti anche non facili. In primis, la scomparsa della madre, a cui era molto legata, ma anche una relazione tossica con un uomo che ha cercato di minare la sua stessa autostima, senza fortunatamente riuscirci.
È un’intervista molto delicata quella a cui Donatella Finocchiaro si è lasciata andare. Ma anche molto forte e consapevole: laddove molte delle sue colleghe sminuiscono ad esempio il gender gap sul lavoro, lei ha il coraggio di dire come stanno le cose. Un coraggio che non è sospinto dalla mancanza di lavoro: fortunatamente, a oggi non le manca. La attendono tre film in uscita: Greta e le favole vere (“ha una post produzione lunga a causa degli effetti speciali”), La terra senza di Moni Ovadia e La notte è un posto sicuro. Ma anche una delle serie tv più attese dell’anno: I Leoni di Sicilia, tratta dal bestseller di Stefania Auci, venuta ad applaudirla al Teatro Biondo.
Intervista esclusiva a Donatella Finocchiaro
Di La lupa, sei interprete ma anche regista. Cosa ti porta a cimentarti anche nella regia? Avevi già in passato fatto un tentativo ma per un documentario: Andata e ritorno.
Il problema è non è cosa ma che mi è piaciuto assai far da regista e, quindi, ora tornare a far solamente l’attrice mi sta quasi stretto: punto a entrambe le cose, tant’è che presto curerò la regia di un altro documentario.
Se non fossi stata anche interprete di La lupa, avrei potuto forse avere anche più controllo esterno però ho avuto lo sguardo di Luana Rondinelli e di Sabino Civilleri che mi hanno aiutata. Prima di andare in scena, ho voluto controllare ogni cosa, a partire dalle luci. Ho fatto anche una prova tecnica particolare: ho messo mia figlia in scena per studiare del tutto i movimenti delle luci. A testimonianza del fatto che a teatro è tutto forse più complicato rispetto al cinema, anche se al cinema non mi sono ancora trovata a dirigere degli attori.
Noi donne non siamo diavoli… In un rapporto sentimentale o erotico, non è semplicemente la donna a essere la tentazione: l’uomo non lo è? Le cose si fanno sempre in due.
Donatella Finocchiaro
Perché proprio La lupa di Verga?
Innanzitutto, perché mi è stata commissionata dal Teatro Stabile di Catania per il centenario di Verga: abbiamo debuttato la scorsa estate (ma spero di portarla il prossimo anno in tournée nelle principali città italiane). Avevano pensato a me per il ruolo della protagonista e, un po’ sorpresa, ho chiamato subito Luana Rondinelli per chiederle di riscrivere il testo della novella di Verga (le parti recitate in siciliano sono quelle originarie mentre quelle in italiano sono frutto del lavoro di Luana). L’intento era quello di riadattarlo e di renderlo più moderno, più femminista, più femmina: dovevamo prendere le difese di Gnà Pina, questa donna che viene additato tutto il tempo come diavolo tentatrice. “Ma perché lo fanno?”, mi sono chiesta: noi donne non siamo diavoli… In un rapporto sentimentale o erotico, non è semplicemente la donna a essere la tentazione: l’uomo non lo è? Le cose si fanno sempre in due.
Hai visto le versioni che ne hanno realizzato altre attrici? Penso ad esempio a quella di Monica Guerritore.
Credo di aver visto il film con Monica protagonista ma non ho voluto rivederlo, anche perché lei è un animale da palcoscenico. Così come lo è stata Anna Magnani, che ha portato La lupa a teatro negli anni Sessanta.
Avevi sulle spalle una bella responsabilità, così come una bella responsabilità era quella di rileggere il testo di Verga. Novella anomala nella produzione dello scrittore, La lupa non è in origine così femminista come la versione che ne porti tu a teatro. Ti senti in colpa per averci rimesso mano?
No, per niente. Non mi sento in colpa perché non abbiamo molto del testo originale. Abbiamo reinterpretato la novella cambiandone il punto di vista: la vittima non è più Nanni, un uomo che non può vivere la propria storia d’amore con la Lupa perché assetato di dote. Il fine di Nanni è quello di “sistemarsi” e per raggiungerlo è disposto a sacrificare l’amore e la passione per la Lupa e sposare la figlia di lei. La Gnà Pina accetta pur di averlo accanto, tanto che l’accordo tra i due è sancito da una stretta di mano, come un affare qualsiasi tra due uomini. Ma tra i due c’è un’attrazione erotica reciproca che è difficile da contenere: Nanni ci prova a respingerla in un primo momento ma è impossibile farlo: “a resistere si fa peccato”, come dice la Lupa in scena.
Il filo che collega erotismo, sensualità e pornografia è spesso sottile. I confini diventano labili ma il merito del tuo spettacolo è quello di non cedere mai all’ultima.
La scena dell’amplesso collettivo era ad esempio a rischio pornografia. Tant’è che quando vengono le scuole a vedere lo spettacolo è uno dei momenti maggiormente apprezzati (ride, ndr). Ma, come dico sempre anche ai ragazzi, occorre parlare di sessualità. La Lupa è uno spettacolo intriso di carne, di sesso, di eros e di attrazione “diabolica”, come la chiamano tutti… ma è qualcosa di cui non dobbiamo vergognarci: esiste, succede e non dobbiamo lasciare che venga repressa dal contesto sociale, culturale o religioso.
La lupa affronta anche un tema di particolare attualità: il femminicidio.
Succedeva ieri come succede oggi: gli uomini uccidono le donne che non vogliono più stare con loro, vogliono stare con qualcun altro o che semplicemente vogliono tornare libere. Cosa fanno? Impazziscono, perdono il senno e le uccidono… accadeva nell’Ottocento così come negli anni Cinquanta, dove ho ambientato la mia Lupa (non c’è una ragione specifica: mi piaceva quel periodo), o oggi. Passa il tempo ma non è cambiato niente: sullo sfondo c’è sempre la percezione che la donna sia la strega…
La caccia alle streghe perdura ancora oggi. È una follia quella che ci rivelano le statistiche. È agghiacciante come in Italia ci sia un femminicidio quasi ogni giorno. C’è come una sorta di ossessione, tremenda, nei confronti della donna.
Donatella Finocchiaro
E, in effetti, quello che viene messo in atto nei confronti della Lupa è una sorta di caccia alle streghe…
La caccia alle streghe perdura ancora oggi. È una follia quella che ci rivelano le statistiche. È agghiacciante come in Italia ci sia un femminicidio quasi ogni giorno. C’è come una sorta di ossessione, tremenda, nei confronti della donna.
Un’ossessione che, nel tuo spettacolo, hanno di giorno anche le donne, per poi trasformarsi di notte e cedere al desiderio.
Le prefiche, che si battono il petto di giorno e che di notte si spogliano e lasciano andare ai desideri della carne, invidiano la Lupa e la sua libertà, vorrebbero essere come lei ma non lo sono. Nessuna di loro è libera di amare come vuole.
La Lupa è un bell’esempio, invece, di autodeterminazione: sa ascoltare il suo istinto e il suo carattere per vivere da donna risolta e sopravvivere alle pressioni esterne.
Di autostima, espressione che ho usato di recente in un’altra occasione: serve molta autostima a noi donne. Sono stata da poco con Caterina Chinnici a un convegno al Parlamento Europeo, a Bruxelles, in cui erano presenti politici, avvocati e magistrati, e si parlava di femminicidio. Spesso il femminicida viene descritto in maniera fuorviante come pazzo: non lo è, se consideriamo quante volte si tratta di un omicidio premeditato e pianificato fino al più piccolo dei dettagli. Il femminicida è esasperato dal possesso della donna: è l’oggetto del suo desiderio e non può appartenere a un altro uomo.
Oggi tra i giovani va molto di moda il sesso libero, i rapporti poliamorosi, un po’ l’altra faccia della medaglia. Proveniamo da un contesto di repressione sociale, culturale e religioso, tale che da un estremo si sta passando all’altro, generando anche confusione nei ventenni che non sanno più cosa sia la sessualità e quale sia il confine tra pornografia e l’espressione libera della propria sessualità.
Il limite dovrebbe essere dato dal voler stare con chi si vive bene il rapporto sessuale senza alcuna frustrazione: quanti matrimoni finiscono per via dell’insoddisfazione sessuale? E quanti altri vanno avanti, nonostante la frustrazione, per amore dei figli? Siamo pieni di coppie che si tradiscono e, se non lo fanno, è solo perché Dio non vuole. Si potrebbe aprire un universo infinito nell’esplorare la sessualità…
Mentre la Lupa è un personaggio multisfaccettato, quasi tridimensionale, sua figlia Maricchia è bidimensionale: per lei, è tutto bianco o nero, senza sfumature. In scena si scontrano così due differenti generazioni di donne con uno scontro a parti invertite: la Lupa è molto più moderna della figlia.
La madre è quella che ha il coraggio di osare mentre la figlia no. Anzi, si vergogna di avere una madre come la Gnà Pina. Quanti di noi si sono ad esempio vergognati della mamma trovandola troppo estroversa? Capita soprattutto ai figli timidi… Io ricordo mio fratello che spesso chiedeva a mia madre di non parlare perché lui era più timido di lei, in grado di attaccare bottone con chiunque e di essere estroversa. È qualcosa che delle donne continua ancora a dare fastidio…
Tu pensi di aver dato fastidio come donna?
Nei rapporti di coppia, sì. Penso di essere una donna ingombrante: mi piace ridere, divertirmi, star bene. Mi piace la gioia… ho attraverso diversi momenti della vita non sempre facili ma adesso la soluzione che ho trovato è la gioia, il divertimento, il viaggiare o lo stare bene… vivo per quello, per stare bene.
Ed è la stessa lezione che cerchi di tramandare a tua figlia?
Cero di insegnarle il rispetto del dovere e delle regole ma anche a stare bene. La porto spesso a tante feste o tante cene: mia figlia è una “bordellara” (termine siciliano che si usa per indicare chi ama far festa, ndr), forse anche più di me… è stata di recente qualche giorno con me a teatro e non voleva più andar via: per convincerla, ho dovuto ricordarle che “è mamma che fa l’attrice” e che lei deve andare a scuola. Ha oggi otto anni ma fino a quando ne aveva sei la portavo sempre con me, dovunque: era la mascotte di tutto il gruppo con cui lavoravo al cinema, in teatro o in televisione.
Quella della bordellara è un’immagine che un po’ stona con i ruoli che solitamente affidano a Donatella Finocchiaro…
Mi chiamano sempre per ruoli drammatici, anche se qualche commedia l’ho anche fatta, come Manuale d’amore 3 con Carlo Verdone (facevo la stalker, non proprio simpaticissima!). Mi prediligono per il dramma: mi dicono che sarà per la mia faccia così materna, dai tratti dolci (ride, ndr). Io vorrei interpretare prima o poi una bella cattivona! Ma, ragazzo mio, dopo aver superato i 45 anni, non è facile ottenere ruoli importanti al cinema o in televisione per noi donne: i nostri coetanei stanno sempre con le ventenni… non posso fare la compagna di Favino o di Mastrandrea, miei coetanei, perché registi e produttori tendono a scegliere attrici più giovani. Quindi, io posso interpretare la compagna di un settantenne!
Dopo aver superato i 45 anni, non è facile ottenere ruoli importanti al cinema o in televisione per noi donne: i nostri coetanei stanno sempre con le ventenni.
Donatella Finocchiaro
E questo, in altre parole, si chiama gender gap…
Esiste nel nostro cinema e non sono di certo la prima a dirlo. Mi chiamano per molti provini per ruoli da compagna del protagonista ma alla fine non mi scelgono. La spiegazione è sempre la stessa: “abbiamo abbassato l’età del personaggio”. Per curiosità, chiedo di quanto: “5 anni? 7 anni?”… “20 anni” è la risposta. Ma allora perché mi avete fatto fare il provino? Sapete la mia età, no? È qualcosa che mi fa molto incazzare: per fare un provino, si passa del tempo a studiare, provare e pensare al personaggio.
E il gender gap si riversa anche nel salario corrisposto?
Certo. Ma lo diciamo in tanto: noi donne guadagniamo molto meno degli uomini. Vale per le attrici quello che vale per tutte le lavoratrici di ogni settore. E poi: quante donne registe esistono in tutto il settore? C’è una disparità che è incolmabile: perché le donne non possono fare le registe? Non hanno la stessa credibilità o affidabilità degli uomini?
Se non fosse stato per Emma Dante, una donna regista dal talento meraviglioso, ad avermi dato il coraggio per dirigere La lupa, mi sarei sempre sentita inadeguata al ruolo: “Lo puoi fare, hai senso estetico e gusto per farlo. Sono vent’anni e passa che lavori nel cinema: se non lo fai ora, quando?”. È ripensando alle sue parole che mi son detta: “Lo faccio!”. È stata una donna e non un uomo a spingermi: mi sono buttata ma non sapevo come sarebbe andata, mi sono messa alla prova e ho fatto appello al mio coraggio per cimentarmi in qualcosa che agli uomini invece viene concessa con più facilità.
Dobbiamo noi donne incoraggiarci l’una con l’altra a trovare la giusta autostima. Torniamo sempre allo stesso punto e alle donne che senza l’autostima non reagiscono alla violenza. Una donna che subisce uno schiaffo, che lo accetta o che rimane chiusa in casa (impigiamata, come dicono a Palermo) è una donna che ha perso la propria autostima per mano di un uomo che gliel’ha distrutta.
È qualcosa che ho subito anch’io nel privato. Un paio d’anni fa stavo con un uomo che mi sottoponeva a continua violenza psicologica. Mi sono sentita dire che ero una cretina o chiedere che lavoro facessi, la “soubrette” (detto con un’accezione negativa e dispregiativa) secondo lui. È stato solo dopo diverso tempo che ho cominciato ad aprire gli occhi e a pensare che mi stesse tarpando le ali. Lì per lì, mi sentivo depressa: sapevo che non aveva ragione ma, allo stesso tempo, riusciva a insinuare il dubbio in me su chi fossi io, alternando la mia reale percezione di me stessa. Dopo anni in cui lavoravo per la mia autostima, era riuscito a distruggerla con la sua violenza dietro la parvenza dell’amore. Ma quello non era e non è amore, era ed è un amore malato.
E purtroppo dietro ai femminicidi ci sta molto amore malato, che è frutto del patriarcato che ci portiamo appresso da secoli. Il nostro è poca roba rispetto a quello che subiscono le donne musulmane ma è da secoli che ci dipingono come il sesso debole. Come uscirne non lo so ma per me La lupa è un mezzo per parlare oggi di femminilità, dell’essere donne con la d maiuscola, donne non con le palle (espressione terribile e patriarcale) ma con le ovaie!
Una donna che subisce uno schiaffo, che lo accetta o che rimane chiusa in casa è una donna che ha perso la propria autostima per mano di un uomo che gliel’ha distrutta. È qualcosa che ho subito anch’io nel privato. Un paio d’anni fa stavo con un uomo che mi sottoponeva a continua violenza psicologica.
Donatella Finocchiaro
Quando hai capito che dovevi scappare da quella relazione malata?
Quando non mi sono più arrabbiata per quello che mi diceva. Ho realizzato in quel momento che non ero io quella a essere sbagliata ma che era lui a stare male. Mi sono fatta una risata, mi sono girata e sono andata incontro alla mia vita.
Hai anche fatto televisione per la prima serata di Rai 1. Che esperienza è stata?
Mai più: ci vuole esperienza per fare televisione. In qualche modo, mi ha traumatizzata. È stato per me difficilissimo, mi sono chiesta diverse volte come facesse Raffaella Carrà ad andare in onda: ci vuole del talento assoluto per gestire la diretta e l’ansia da prestazione. Dovevo cantare, ballare, parlare…
Io non mi sento mai arrivata, ogni volta che devo prepararmi per un provino vado in crisi: “come posso fare per entrare nel personaggio e colpire chi mi deve scegliere?”. E quella dell’attore è una vita di provini e di prove...
Donatella Finocchiaro
Ma Donatella Finocchiaro ha ancora l’ansia da prestazione?
Purtroppo, sì. Diciamoci la verità: ma come si fa a non averla prima di uno spettacolo? L’ansia da prestazione è a mille, ci si chiede come sarà il pubblico, come reagirà o come andrà. Fortunatamente, a La Lupa il pubblico ha sempre risposto bene sia a Catania sia a Palermo. E sono anche molto contenta di come abbiano reagito i ragazzi delle scuole che sono venuti a vederci al mattino. Sono felice che le immagini che avevo in testa e che ho creato avessero un senso anche per gli altri.
Non è facile prevederlo e quindi l’ansia da prestazione c’è e la considero normale per chi fa il mestiere dell’attore. Chi si sente sicuro e arrivato vuol dire che ha finito di fare questo lavoro. Io non mi sento mai arrivata, ogni volta che devo prepararmi per un provino vado in crisi: “come posso fare per entrare nel personaggio e colpire chi mi deve scegliere?”. E quella dell’attore è una vita di provini e di prove... (ride, ndr).
Eppure, da un’attrice come te l’ansia da prestazione uno non se l’aspetterebbe mai. Anche perché hai alle spalle una formazione per cui l’oratoria e la prestazione erano essenziali: quella da avvocato.
Quando frequentavo la scuola di teatro, mi ha aiutato il mio percorso da avvocato. Un mio maestro diceva sempre che ero brava a fare le arringhe, a parlare e a convincere le persone. Secondo lui, la mia ars oratoria mi avrebbe aiutata molto nel mio lavoro. Anche se poi mi ha messa spalle al muro, facendomi scegliere tra la recitazione e l’avvocatura. Per due anni, avevo praticato entrambe le cose e non ero stata in grado di fare una scelta ma, spalle al muro, me ne sono andata e ho scelto la via della recitazione.
Non hai mai avuto la tentazione di tornare indietro?
Mai. Faccio il mestiere più bello del mondo, mi piace da morire e non potrei fare altro. La recitazione diventa una specie di malattia e di passione che mette in gioco anche la tua personalità. C’è chi fa il mio lavoro ricorrendo alla sola tecnica (ed è bravissimo) e chi come me lavora molto su se stesso. Mi metto costantemente in discussione su quella che sono e su come sono come persona per capire cosa portare dentro a un personaggio.
C’è chi ricorre alla tecnica, chi alla messa in discussione e chi, lasciami aggiungere, alle scorciatoie.
Non mi sono mai appartenute. Mi sono sempre sudata ogni cosa e continuo a farlo, sin da quando ho cominciato. Anche perché le scorciatoie prima o poi ti portano a un vicolo cieco.
Roberta Torre è stata la mia mamma artistica. “Quella è la macchina da presa, non la devi guardare ma la devi sentire… è come un uomo che ti guarda e tu devi sedurlo”: è un insegnamento che ancora oggi mi porto dietro.
Donatella Finocchiaro
Tu hai cominciato con un film molto difficile, tuttora amatissimo dal pubblico: Angela di Roberta Torre.
È stato un colpo di fortuna, il classico treno che passa serve anche. Angela è uno dei film più belli di Roberta Torre: non è invecchiato per niente ed è ancora attualissimo, non sono io a dirlo. È un film che ha avuto una magia tutta particolare: quella di Roberta ma anche quella di Daniele Ciprì che ne ha curato la fotografia. A Roberta Torre devo tutto: mi ha insegnato l’improvvisazione… sempre con la macchina in spalla, mi spiegava la scena e mi chiedeva di improvvisare: avevo alle spalle un paio di anni di teatro ma che cavolo ne sapevo di cosa fare davanti alla macchina da presa? Roberta è stata la mia mamma artistica… “Quella è la macchina da presa, non la devi guardare ma la devi sentire… è come un uomo che ti guarda e tu devi sedurlo”: è un insegnamento che ancora oggi mi porto dietro.
Ma occorre, come ripeto ai ragazzi, essere coscienti del proprio talento: non sempre serve pensare di averlo, serve che arrivino anche le conferme da parte di chi ti sceglie e ti dice che puoi far questo lavoro. Se le conferme non arrivano, è inutile intestardirsi: meglio far qualcos’altro che rende più felici e non vivere nell’attesa perenne di qualcuno che ti chiami. Non si può sempre dire che non ti chiamano perché ci sono i “raccomandati”: possono lavorare una volta ma se non hanno talento è finita presto. Faccio questo mestiere da vent’anni: se qualcuno mi chiama ancora e non sono raccomandata da nessuno, ci sarà un motivo.
Il talento, quello che porta i registi con cui hai lavorato una volta a ricercarti più volte: Roberta Torre, Marco Bellocchio, Roberto Andò, Emanuele Crialese. Lo stesso che ha incantato anche Emma Dante. Per certi versi, lupa era anche il personaggio di Pinuccia nel suo Le sorelle Macaluso.
Amo Emma Dante e il suo teatro contemporaneo: è una donna di grande temperamento che sa quello che fa. Amo i suoi spettacoli, dal primo all’ultimo: Misericordia è un capolavoro assoluto… È vero, Pinuccia era un po’ Lupa… ma io ho amiche che sono tutte lupe: siamo un gruppo di lupacchiotte meravigliose. Essere lupe è un modo di essere. Ma occorre coraggio, non è facile.
E quanto coraggio ti è servito da quando sei nata a oggi?
Sono sempre stata abbastanza insicura come persona. Non sono mai stata una donna sicura di sé: quando si trattava di prendere la strada giusta, andavo in crisi. Non tutte le strade o i progetti sono ad esempio giusti e capita che ogni tanto si sbagli. E non sai mai come verrà un’opera prima e per accettarla ti devi affidare al tuo senso o al tuo gusto e l’ho fatto diverse volte nella mia carriera: ecco, forse in quei casi ho avuto coraggio, mi basta leggere una sceneggiatura in cui credo per cimentarmi in piccoli progetti di cui non sai quale sarà la resa finale… Così come ho avuto coraggio a rinunciare a tanti soldi: dopo Angela, mi avevano proposto una serie tv molto importante a cui ho detto no perché volevo fare il cinema d’autore. Rinunciai per girare Viaggio segreto di Roberto Andò…
Con Andò sei tornata a lavorare lo scorso anno per La stranezza, dove recitano altri due siciliani doc, Ficarra e Picone.
Adoro Salvo e Valentino e la loro comicità, meravigliosa. Penso che Salvo sia ad esempio una grande maschera greca. Sono tra i pochi che mi fanno ridere veramente, insieme a Lillo e Greg e Carlo Verdone. Di La stranezza mi spiace tanto che sia stata tagliata al montaggio una scena meravigliosa che mi vedeva protagonista: gli ho chiesto di farmela vedere almeno o di metterla negli extra del film (ride, ndr). Mi si vede quindi per pochi secondi in una scena che è un bellissimo momento di follia.
Quanto è importante per te ridere?
Molto. Io mi innamoro degli uomini che mi fanno ridere, purtroppo. Dal mio primo marito in poi, mi hanno sempre fatto ridere. Anche quello che mi chiamava “soubrette” mi era piaciuto perché inizialmente mi faceva ridere. Mi seducono gli uomini con il senso dell’umorismo o che sanno fare le imitazioni: non c’è niente da fare, amo la gioia! Ho capito, dopo aver perso mia madre nel 2008, che occorreva fare uno switch mentale: la mia vita non poteva essere sempre un flagellarsi, la vita è gioia. Anche nel dolore o quando accade qualcosa di brutto, bisogna sempre trovare una via che ti apra il cuore alla gioia. Non dico che sia semplice combattere contro rabbia, incazzature e delusioni - e nel mio mestiere ce ne sono molte - ma occorre farlo…
Come reagisci quando non ti prendono a un provino?
Mi dico che non dovevo fare quel progetto: probabilmente non faceva per me. Ce ne sarà un altro magari più congruo…
Hai citato tua madre più volte. Che rapporto avevi con lei?
Speciale. Mia madre era amica, sorella e mamma. C’era sempre per noi: da casalinga, stava con noi figli, ci ha cresciuti e viziati. Era presente in ogni cosa ed io sono stata molto attaccata a lei. A 29 anni me ne sono andata di casa, mi sono sposata ma niente ha distrutto il nostro legame: ogni volta che la chiamavo, c’era sempre… a me dispiace non poter esser sempre presente nella vita di mia figlia: è piccola e spesso deve rimanere anche quindici giorni senza mamma. mi fa quasi tenerezza, soprattutto quando penso che io avevo la mia mamma sempre a disposizione mentre lei no. Fortunatamente, ha un papà presente: non tutti lo sono…
Cos’è la cosa più grande che ti ha lasciato in eredità tua madre?
Una cosa con cui combatto ancora oggi: aveva una grandissima malinconia… e io mi porto dietro la sua malinconia, me la sento dentro: la uso per i miei personaggi ma allo stesso tempo la combatto nella vita di tutti i giorni, sempre per trovar quella gioia di cui abbiamo parlato. Invece mio padre era il vero lupo della famiglia: mi ha trasmesso il suo carattere forte, anche duro per certi aspetti.
Oggi mi chiama “Principessa” ma negli anni dell’adolescenza, un momento complicato per tutti noi, è stato molto severo con me. Anche se mi è servito perché mi ha dato delle regole e trasmesso dei lavori, l’onestà su tutti. Se sono così come sono, lo devo a lui: è stato ed è un uomo molto ligio. Si è rifiutato ad esempio nel suo lavoro di pagare il pizzo, pur sapendo che sarebbe andato incontro a quelle ritorsioni che sono poi arrivate.
Dietro ai femminicidi ci sta molto amore malato, che è frutto del patriarcato che ci portiamo appresso da secoli. Il nostro è poca roba rispetto a quello che subiscono le donne musulmane ma è da secoli che ci dipingono come il sesso debole. Come uscirne non lo so ma per me La lupa è un mezzo per parlare oggi di femminilità, dell’essere donne con la d maiuscola, donne non con le palle (espressione terribile e patriarcale) ma con le ovaie!
Donatella Finocchiaro