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Donatella Finocchiaro: “L’anima in pace: una madre figlia di sua figlia” – Intervista esclusiva

donatella finocchiaro film l'anima in pace
Dopo la straordinaria interpretazione nella serie tv I Leoni di Sicilia, Donatella Finocchiaro torna al cinema con il film L’anima in pace, in cui interpreta Lia, una donna dai mille problemi ma con l’animo di una bambina.

Donatella Finocchiaro torna al cinema dal 18 gennaio grazie a L’anima in pace, un film del regista vincitore del Globo D’Oro Ciro Formisano. Attraverso gli occhi di una giovane rider, il film racconta una storia di resistenza tutta al femminile, sullo sfondo di un duro quartiere di periferia e delle sue dinamiche complesse: uno sguardo che fa emergere quanto sia difficile cambiare la direzione del proprio destino se si cerca di superare le barriere invisibili e invalicabili dei sobborghi. Prodotto da TVM Digital Media e Roma Piazza Di Spagna Production L’anima in pace sarà al cinema distribuito da Farocinema.

Accanto a Donatella Finocchiaro nei panni di Lia, un’inaffidabile madre, nel film L’anima in pace troviamo anche la giovane Livia Antonelli, al suo debutto sul grande schermo, Lorenzo Adorni e Daniela Poggi. La storia ruota intorno a Dora (Antonelli), una venticinquenne dal carattere all’apparenza ruvido ed impenetrabile. Lavora portando la spesa a domicilio, un lavoro che le pesa e non è l’unica difficoltà che deve affrontare nella sua vita. La madre Lia (Finocchiaro), uscita da poco di prigione, è una donna instabile e inaffidabile e, proprio per la sua inadeguatezza, i suoi fratellini gemelli Massimo e Nunzio sono stati affidati temporaneamente a un’altra famiglia.

Dora e Lia vivono a casa della zia, in un quartiere periferico. Dora cerca di accumulare soldi non solo col suo lavoro ma anche come pusher per Yuri, bello e dannato della zona. I soldi le servono per costruire una nuova vita, per potersi permettere il ritorno dei gemellini, augurandosi che la sentenza imminente possa restituirglieli. La sua vita sembra avere una svolta con l'arrivo di Andrea (Adorni), un giovane specializzando in medicina che cerca di redimerla, almeno fin quando Yuri non scoprirà il rapporto pulito e sincero dei due.

Del film L’anima in pace e della sua tragicomica Lia (che strappa più di qualche risata con il suo atteggiamento naif) abbiamo parlato con Donatella Finocchiaro, già in passato al centro di una nostra intervista in cui ha fatto il punto sul suo percorso. Per Donatella Finocchiaro L’anima in pace, di cui vediamo subito una clip in anteprima esclusiva, è il primo film che esce dopo la sua partecipazione alla serie tv Monterossi 2 e, soprattutto, al kolossal I Leoni di Sicilia, dove riveste i panni della temibile Giuseppina Florio.

Intervista esclusiva a Donatella Finocchiaro

“È dal 28 dicembre che sono nella mia Catania, dove fino al 21 gennaio al Teatro Brancati porto in scena lo spettacolo Taddrarite (in cui tre sorelle si ritrovano per il funerale del marito della minore prima che un vertice di confessioni porti ad affrontare le violenza che mai avevano confessato, ndr)”, mi risponde Donatella Finocchiaro quando, prima di parlare del film L'anima in pace, le chiedo come ha trascorso le scorse festività natalizie.

“Lo portiamo in giro da tre anni e parla di violenza sulle donne in chiave tragicomica con il racconto di tre sorelle. È scritto e diretto da Luana Rondinelli e sono molto fiera di farne parte. Negli anni, il cast è cambiato: prima con me in scena c’erano Claudia Potenza e Antonia Truppo, oggi ci sono invece la stessa Luana, anche attrice, e un’altra bravissima attrice catanese che si chiama Giovanna Mangiù. Stiamo facendo per adesso una tournée siciliana, dove per via della lingua usata è più facile veicolarlo, anche se in passato lo abbiamo portato anche a Milano o a Torino”.

Un tema quello della violenza sulle donne che ritorna per molti versi anche in L’anima in pace, il film di Ciro Formisano di cui sei protagonista con Livia Antonelli e Lorenzo Adorni che arriva in sala. Chi è Lia, la donna che interpreti?

Lia è una donna che subisce ma che è anche bambina. La definirei una “madre bambina” che ha invertito il rapporto con sua figlia Dora, divenendone quasi sua figlia. È una situazione la sua che capita ormai nella realtà troppo spesso trovandoci di fronte a figli che fanno quasi da genitori ai propri genitori, alle madri e ai padri. Ed è un dramma per cui ci ritroviamo con figli che devono crescere prima del tempo a causa di genitori immaturi e/o disfunzionali, alcolizzati o drogati. Nel caso di Lia, interviene lo Stato a toglierle i due figli più piccoli. E, per fortuna, direi: dandoli in adozione, quei figli la possibilità di avere un futuro migliore.

Lia è sì una donna molto sensibile ma anche in grado di divertirsi e di fare le sue cazzate, come ad esempio stare col fidanzato della sorella. Ha una grande carica erotica, è molto sensuale, attenta a come appare (seno in bella mostra, trucco perfetto, capelli in ordini e mani curatissime) ma in fondo fa molta tenerezza, sebbene abbia tentato dopo anni di disperazione e violenza subita di uccidere il marito. Un marito che poi è morto per mani di altri ma sulle sue spalle è rimasto un processo per tentato omicidio nei confronti di un uomo che non l’ha fatta respirare per 25 anni.

Il personaggio mi ha ricordato molto la signora Franca che interpreto in Taddrarite. Anche lei è una donna che ha subito, subito e subito, fino a quando poi è esplosa, riuscendo a dire di “no”, divorziare e riprendersi la sua dignità di donna.

L'anima in pace: Le foto del film

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Come hai appena detto, Lia è sotto processo per tentato omicidio. Già tempo fa, avevamo parlato dei tuoi studi in Giurisprudenza e la tua carriera di avvocato lasciata alle spalle per dedicarti alla recitazione. Se fossi oggi un giudice, cosa faresti nei confronti di Lia?

È una domanda che mi mette in difficoltà. Fare il giudice è uno dei lavori più difficili che possano esistere al mondo: si deve decidere sulla vita delle persone, sulla libertà e sulle pene da affliggere. Ed è molto complicato perché per farlo ci si deve basare solo sulle prove a disposizione. Nel caso di Lia le vengono tolti i due gemelli più piccoli e, stando alle prove, non poteva andare diversamente: a una donna che non ha un lavoro, non ha stabilità economica, non ha una casa (vive in quella della sorella) e ha tentato un omicidio come si possono affidare due bambini piccoli?

Dal mio punto di vista, ritengo che sia un giusto provvedimento l’affidamento a terzi. Nel film L’anima in pace, c’è un monologo tristissimo in cui anche Lia ammette che sia giusto così: i bambini devono andare altrove, se ne fa quasi una ragione, anche se soffre come una disperata. Ma lei stessa è consapevole di non poter dare loro nulla: la famiglia a cui saranno affidati darà loro il senso stesso di famiglia, feste di compleanno, abiti e libri, tutto ciò che lei non può garantire. È una magra consolazione per una realtà abbastanza delicata.

Fortunatamente, esistono anche tante famiglie che vivono con le famiglie affidatarie trovando un equilibrio bellissimo. Molti figli vengono affidati a famiglie che se ne fanno carico, che affiancano la famiglia disfunzionale d’origine e che l’accompagnano nella crescita dei bambini. È qualcosa di molto bello che, per fortuna, la nostra legge prevede.

Durante una discussione tra Dora e la madre Lia, la figlia dice alle madre che non sa se odiarla o invidiarla. “Meglio l’odio perché gli invidiosi non mi piacciono”, risponde Lia. Vale anche per te?

Non mi è mai piaciuta l’invidia: la sua potrebbe essere una frase mia. Fortunatamente, pur facendo il mestiere di attrice, non mi sento addosso né l’invidia delle colleghe né quella della persone in generale. Ricevo dal pubblico tanta stima, tanti apprezzamenti, tanto calore e tanto affetto. Qualche sera fa, alla fine di una delle repliche di Taddrarite, mi si è avvicinata moltissima gente per manifestarmi la propria emozione ed è questa l’essenza del mio lavoro: lo scambio di amore con il pubblico, un darsi e ricevere in cambio amore.

Donatella Finocchiaro nella serie tv I Leoni di Sicilia.
Donatella Finocchiaro nella serie tv I Leoni di Sicilia.

È impossibile non pensare alla tua Giuseppina Florio nella serie tv I Leoni di Sicilia: un modo differente di essere madre rispetto alla Lia del film L’anima in pace.

Molto differenti. Giuseppina era una grande donna: se non fosse vissuta nell’Ottocento sarebbe stata un’imprenditrice o una dirigente d’azienda. Purtroppo, per il periodo storico in cui si è ritrovata non poteva che stare dietro ai suoi uomini, prima dietro al marito Paolo e poi dietro al figlio Vincenzo. Ha riversato su Ignazio le sue ambizioni di successo, un po’ come tutte quelle mamme che non potendo loro far le ballerine spingono le figlie a farlo. Appartiene a una tipologia di mamma che proietta i propri desideri di realizzazione sui figli.

Ma così facendo non si crescono dei figli tossici? Se lo vediamo in ottica moderna, Vincenzo potrebbe appartenere a tale tipologia d’uomo.

I colpevoli delle frustrazioni dei figlia siamo sempre noi genitori. Per me, i genitori sono sempre i responsabili delle colpe dei figli. Io per prima potrei già scrivere su un diario i traumi di mia figlia ma è la vita stessa che ci impone un ruolo per cui qualsiasi cosa si faccia ci sarà sempre da recriminare. Per me, compito di un genitore è cercare di capire come evitare troppi traumi ai propri figli e crescerli nella maniera migliore possibile. Il che non significa correggere i propri bambini quando sbagliano con punizioni o quant’altro.

È impossibile che nel 2024 esista ancora un’educazione che si basi su schiaffi o sculacciate: è una vergogna che, spesso, viene fin troppo in ogni ambiente accettata e giustificata. Se si perde la pazienza, è un problema del genitore e non del bambino: è ignoranza pensare che una sculacciata possa essere educativa, è un esercizio di potere. So che il dialogo con i figli non è spesso facile così come lo è il non reagire alla loro violenza, alle loro provocazioni e alla loro rabbia. Il problema, in questo momento, sembra essere la gestione delle emozioni dei figli ma come possiamo concentrarsi su di loro quando siamo i primi a non sapere come gestire le nostre emozioni?

Io per prima in passato ho ceduto alla sculacciata per far calmare mia figlia ma era perché ero in preda al nervosismo e all’impazienza. Col senno di poi e il senso di colpa, ho cominciato però a muovermi per cercare di essere una madre migliore lavorando su me stessa con l’aiuto di chi di dovere. Sono per l’analisi e non per l’autoanalisi. Mi fanno arrabbiare quegli uomini che continuano a dire di autoanalizzarsi: a cosa serve guardarsi da soli allo specchio e autoassolversi? Che processo è?

È veramente complicato trovare degli uomini che mettano in discussione le loro emozioni, il loro modo di sentire, il loro modo di relazionarsi con gli altri. Fortunatamente, esistono anche gli “illuminati”, coloro che fanno analisi e psicoterapia, cercando di coniugare mente e corpo prendendosi cura delle proprie emozioni. Non voglio far la trascendentale spirituale ma ci sono tantissimi modi per farlo che non sono gli antidepressivi, i regolatori dell’umore, il vino o le droghe.

Il poster del film L'anima in pace.
Il poster del film L'anima in pace.

Andrea, il personaggio interpretato da Lorenzo Adorni nel film L’anima in pace (con cui Donatella Finocchiaro non ha però scene, ndr), prova a spingere Dora a riprendere in mano la sua vita: “puoi essere chi vuoi”, le dice. Sei d’accordo?

Tutti quanti abbiamo il potenziale per diventare ciò che vogliamo essere. Potremmo essere degli scienziati à la Einstein ma, purtroppo, la nostra mente è limitata e ci limita in tutto. Se aprissimo la nostra visione, invece, le strade, gli universi, le costellazioni e le possibilità sarebbe infinite: potremmo essere tutto.

E tu sei sempre stata chi volevi essere?

No. Ho indossato tante maschere in passato e ho cominciato ad avvicinarmi maggiormente a me stessa dopo la perdita di mia madre. La sua morte ha rappresentato per me un passaggio importante che mi ha spinto a chiedermi se fossi veramente chi volevo, se facessi ciò che desideravo e se fossi felice.

E tutto ciò perché mia madre per tanto tempo ha convissuto con il rancore di non aver fatto ciò che desiderava, soprattutto in ambito lavorativo. Ha sacrificato molto della sua vita per la famiglia e per i figli solo perché negli anni in cui era una giovane donna funzionava così. È stato mio padre a dirle di non andare più a lavorare per stare in casa e occuparsi di noi figli, di me e dei miei due fratelli. Mamma ha accettato senza colpo ferire ma il dover elemosinare la propria indipendenza economica ha sicuramente influito nel suo rapporto con papà, anche se si sono amati sempre, e nella sua realizzazione di donna.

Non è un caso che si sia ammalata nel momento in cui, andando via di casa noi figli, è venuta a mancare la sua ragione d’essere: era come se fosse venuta meno la sua utilità nella vita e nel giro di poco tempo se n’è andata. È allora che mi sono chiesta che senso ha la vita che facciamo, sempre a rincorrere ciò che non vogliamo veramente.

Che lavoro avrebbe voluto fare mamma?

Lavorava come segretaria per conto di un ingegnere. Era stata una di quelle donne che negli anni Sessanta, a poco più di vent’anni, aveva deciso di lasciare casa dei genitori per andare a vivere da sola a Catania e lavorare per mantenersi. Si è sposata con mio padre a 29 anni e poi per lei è cambiato tutto. Con i soldi della liquidazione ha pagato il progetto per la costruzione del palazzo dove abbiamo poi abitato.

Avrebbe potuto fare l’artista. Amava tantissimo l’arte, la musica e il cinema. È grazie a lei che me li faceva vedere che ho scoperto i film americani, i miti del calibro di Humphrey Bogart o Marilyn Monroe, alcuni dei suoi idoli, e i musical come My Fair Lady. Aveva un lato molto artistico che mi ha trasmesso e di cui, nonostante ce l’avessi dentro da sempre, non mi sono accorta fino ai 25 anni.

Il film L’anima in pace è ambientato in epoca Covid, sebbene sia stato girato dopo. Qual è il ricordo più brutto che hai legato a quel periodo?

Paradossalmente, il lockdown mi ha permesso di ritrovare molta complicità con mia figlia. Facevamo insieme ad esempio il pane, non c’erano macchine in giro e ci sembrava di essere tornare quasi nell’Ottocento. Me lo ricordo come un periodo assurdo per via delle privazioni della libertà ma anche magico: eravamo tornati a essere una piccola comunità, un sentimento d’unione così forte che mi fa quasi provar tenerezza per quei giorni in cui si poteva lasciar andare anche all’ozio contemplativo.

Sto finendo di leggere un libro che si chiama La vita contemplativa. Me lo ha suggerito Gisbert Lippelt, un tedesco che da mezzo secolo vive in una grotta a Filicudi, dove è arrivato da giovane e non se n’è più andato. È una persona meravigliosa che vive di quello che la natura offre, senza luce elettrica e acqua corrente, e che ho avuto la fortuna di conoscere.

Ha scelto di ritirarsi dalla vita, una decisione estrema che da animale sociale quale sono non potrei mai prendere anche se un po’ di silenzio è necessario. Ecco perché, quando sono in giro per tournée, mi godo la mia solitudine, mi vivo la mia noia e trovo il tempo di far ciò che più mi piace: sono momenti di crescita incredibile, di ozio contemplativo che ti fanno pensare a ciò che è giusto per la tua vita.

Taddrarite: Le foto

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