Dormitory, il primo film diretto dal giovane regista turco Nehir Tuna, viene presentato al Festival di Venezia nella sezione Orizzonti. Prendendo spunto dalla propria esperienza personale, Tuna con il film Dormitory porta a Venezia una storia che va oltre la lotta politica tra religiosità e secolarismo attraverso le vicende del giovane Ahmet, mandato in un dormitorio islamico per imparare i valori musulmani.
Tra le aspettative degli altri e l’affermazione di se stessi
Dormitory, film in concorso a Venezia nella sezione Orizzonti, ci porta nella Turchia del 1997. Le tensioni tra turchi religiosi e laici stanno aumentando. Il quattordicenne Ahmet (Doğa Karakaş) viene mandato da suo padre, recentemente convertito, in un dormitorio islamico, uno “Yurt”, per imparare i valori musulmani. Ahmet si impegna molto per diventare il figlio perfetto, ma ha difficoltà a integrarsi con i ragazzi turbolenti dello Yurt, e si sente isolato nella scuola laica che frequenta di giorno, tenendo nascosto ai compagni che risiede in questa nuova casa. La sua unica consolazione è il nuovo amico Hakan (Can Bartu Arslan), un ragazzino smaliziato che sa come muoversi nel sistema dello Yurt. Insieme sognano di prendere delle decisioni autonome.
“Da bambino, sono stato mandato in un dormitorio religioso per cinque anni. Ho un ricordo che non dimenticherò mai: sono nella biblioteca del dormitorio”, ha spiegato il regista Nehir Tuna. “Sto con la testa appoggiata alla finestra. Sento il calore del radiatore sulle gambe e il freddo della finestra sulla fronte. Tengo gli occhi fissi sul soggiorno della nostra casa, che è a trecento metri di distanza, in attesa che le luci si accendano. Aspettando che i miei genitori tornino a casa. Poi le luci si accendono e li guardo. Papà si toglie la giacca e la appende sullo schienale di una sedia, mamma si toglie gli orecchini. Guardano la TV, cenano... li guardo vivere. Guardo le cose più comuni e noiose con nostalgia. Soprattutto con un nodo in gola”.
“In Dormitory ho cercato di portare la mia esperienza personale per raccontare una storia che va oltre la lotta politica tra religiosità e secolarismo, trasmettendo l’isolamento e la pressione che Ahmet deve affrontare nel tentativo di soddisfare le aspettative della sua famiglia e il suo bisogno di appartenenza”.
Dormitory: Le foto del film
1 / 5Essere un uomo libero
Dormitory, film che a Venezia concorre anche per il Queer Lion, è il primo lungometraggio del regista turco Nehir Tuna, partito per la storia di Ahmet da una sua vicenda personale. “Ci sono molti punti di contatto tra la storia di Ahmet e la mia”, ha spiegato Tuna. “Proprio come lui, ho trascorso cinque anni in un collegio religioso e ne conservo ancora vivo il ricordo. Come Ahmet, ho dovuto separarmi brutalmente dalla mia famiglia e abituarmi a nuove condizioni di vita dall’oggi al domani. Le ragioni per cui sono stato mandato in collegio da mio padre sono nel film: il desiderio di salire la scala sociale e la voglia affermare la sua fede islamica spingono il padre di Ahmet a cercare la propria salvezza mandando via il figlio”.
“Proprio come me, Ahmet è uno studente che si impegna molto, che non si ribella molto e che vuole compiacere chiunque, soprattutto il padre. Ma è anche molto resiliente: sa che il tempo gli darà ragione”, ha continuato Tuna. “Ma raccontare dei collegi religiosi turchi non è semplice. Più volte ci sono stati negati gli aiuti statali e ho dovuto arrangiarmi per trovare i fondi necessari a girare”.
“Avevo trovato anche la location perfetta ma me la sono vista negare. Eppure, Dormitory non è un atto d’accusa diretto contro la religione in Turchia. Per me, rimane la storia di un giovane ragazzo alla ricerca di amore: l’amore di suoi padre, quello nei confronti di una giovane ragazza che si unisce alla sua classe durante l’anno o quello, che va al di là della semplice amicizia, nei confronti di Hakan, che vede come un modello da seguire o un fratello maggiore. La storia di Ahmet è una combinazione di queste tre relazioni. E il protagonista si rende gradualmente conto che è proprio in Hakan che troverà amore filiale, romantico e amicale”.
“Alla fine del film, Ahmet prenderà il sopravvento, diventando in un certo modo come Hakan. Dopo il finale, mi piace immaginarlo sempre a vivere nel collegio ma del tutto immune all’indottrinamento e all’ideologia, che gli entrano da un orecchio e gli escono dall’altro. “Potete avere il mio corpo ma non la mia anima” è il suo pensiero ed è questo che gli dà la possibilità di essere un uomo libero”, ha concluso il regista.