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Elena Funari: “Cadere mi ha dato la forza per essere chi sono” – Intervista esclusiva

Elena Funari la stoccata vincente rai 1
Protagonista femminile del film di Rai 1 La stoccata vincente, Elena Funari si racconta in un’intervista a tutto tondo rivelando cosa l’ha spinta a voler riprendere in mano la sua vita e a trasformarla dopo un incidente occorso il giorno stesso della sua laurea. Ne emerge il ritratto di una giovane donna che ha fatto dell’intelligenza e della sensibilità i suoi tratti distintivi.
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Elena Funari è la protagonista femminile del film di Rai 1 La stoccata vincente. Diretto da Nicola Campiotti, prodotto da Anele e interpretato tra gli altri da Alessio Vassallo, Flavio Insinna e Mario Ermito, La stoccata vincente porta su Rai 1 la storia di Paolo Pizzo, campione mondiale di scherma, adattando l’omonimo libro scritto dallo stesso Pizzo con Maurizio Nicita.

In quella che è una storia di tenacia, determinazione, passione per lo sport, resilienza e rabbia, Elena Funari interpreta il ruolo di Lavinia (Bonessio), la futura moglie di Paolo Pizzo. Nel ricostruire la storia del campione, si alternano i momenti in cui da bambino affronta un tumore al cervello e quelli in cui, ormai adulto, si impegna con passione e dedizione ad agguantare il suo sogno e a mettere a segno, appunto, quella stoccata vincente che gli permetterà di rialzarsi. Lavinia, romana e azzurra di pentathlon moderno, permette a Paolo di scoprire il vero amore (coronato nella realtà dall’arrivo di due figli) e di guardare dentro di sé con occhi diversi, affrontandolo – quando serve – anche a muso duro.

Per Elena Funari, così come per il resto del cast, girare La stoccata vincente ha rappresentato un’esperienza molto particolare, dal momento che in maniera più unica che rara per gli standard delle nostre produzioni i veri protagonisti della vicenda sono tuttora in vita. Ma non è l’unica ragione per cui la giovane attrice di origine campana è molto legata alla storia. Elena Funari, infatti, come ci racconta in quest’intervista in esclusiva, sa bene cosa significa cadere e rialzarsi: l’ha provato sulla sua pelle quando il giorno della sua laurea in Illustrazione un incidente ha rimesso in discussione la sua intera esistenza.

Elena Funari e Alessio Vassallo in La stoccata vincente.
Elena Funari e Alessio Vassallo in La stoccata vincente.

Intervista esclusiva a Elena Funari

Come ci si sente a essere per la prima volta coprotagonista di un film?

Non è la prima volta che interpreto un ruolo da protagonista: mi è capitato già per Buongiorno, mamma!, una serie tv di due stagioni. Questa però è la prima volta che sono protagonista di un film che, tra l’altro, tratta di un tema molto importante, il rialzarsi dopo una malattia grazie alla dedizione per lo sport e alla disciplina. È stata un’esperienza molto emozionante perché avevamo la responsabilità di raccontare la storia di due persone realmente esistenti, Paolo Pizzo e la moglie Lavinia, che per di più stimo e che ho conosciuto personalmente.

Hai sentito il peso sullo spalle di raccontare la storia di qualcuno ancora in vita?

Paolo e Lavinia sono stati carinissimi, non mi hanno mai messo alcun tipo di pressione addosso. Ogni volta che li incontravo, chiedevo loro se erano contenti di come stavano andando le riprese o se avevano dei consigli da darmi ma loro non hanno avuto mai alcuna pretesa: si sono fidati ciecamente e l’ho apprezzato tanto. Il loro fidarsi mi ha alleggerito il peso e mi ha permesso di fare affidamento alla sceneggiatura che, basandosi su un libro, era molto fedele alla realtà dei fatti e alla loro visione.

La stoccata vincente, come hai appena sottolineato, racconta cosa significa alzarsi dopo una caduta (metaforicamente, anche una malattia lo è). Nonostante la tua giovane età, hai già vissuto la caduta sulla tua pelle.

Ho avuto un incidente abbastanza grave il giorno stesso della mia laurea. Per me, è stata una caduta sia fisica sia psicologica perché mi ha portato a vivere un periodo molto complesso. Mi ero appena laureata, avevo voglia di spaccare il mondo ma per forza di cose ero immobile. Il rialzarsi è stato faticoso ma quel momento mi ha paradossalmente regalato la forza di capire chi fossi e cosa volessi sul serio, senza la paura di sbagliare o di non avere tempo.

Ti sei laureata in Illustrazione ma sul tuo profilo Instagram si legge “scienziato”.

Ho studiato per un anno Psicologia e ricordo che, all’inizio dei corsi, il rettore tenne un discorso in cui specificava come non saremmo stati psicologici ma scienziati. Da un lato, la sua affermazione mi inquietò ma, dall’altro, asseriva il vero: la psicologia è effettivamente una scienza che studia le persone per capirle, qualcosa che poi si riversa anche nel mio lavoro di attrice.

Quando è avvenuto lo switch che ti ha portato dall’illustrazione alla recitazione?

Proprio dopo l’incidente. Ecco perché quel periodo per me è stato catartico: ha avuto un impatto reale molto forte sul corso della mia vita. Ho scoperto allora cosa significano la tenacia, la determinazione e il desiderio di rivalutare tutto ciò che avevo fino a quel punto fatto.

Qual è stata la cosa più difficile da rivalutare?

Il tempo. Avevo 23 anni e mi sentivo come se avessi dovuto già risolvere la mia vita: avrei dovuto sapere che cosa fare e chi essere. Ma in realtà non era così proprio perché avevo solo 23 anni: non era necessario che sapessi già cosa volessi fare e chi essere. Realizzare ciò mi ha permesso di darmi non solo lo spazio e il tempo di cui avevo bisogno ma anche il coraggio di cambiare. Spesso l’età diventa un limite, una discriminante, per cui ci si sente dire “Non hai fatto ancora niente, non hai studiato… cosa vuoi fare da grande? Fai qualcosa!”. Ma non si possono imporre dei tempi a persone che non sono tutte uguali tra loro, hanno sensibilità differenti e possibilità socio-economiche diverse.

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Ed è stato a quel punto che hai deciso di iscriverti al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma?

Ho prima seguito un corso di teatro. Volevo studiare e capire se la recitazione mi piacesse veramente: non ho mai pensato al lavoro e avevo smesso di essere schiava del “devo farcela”. Mi sono iscritta per me stessa: me lo meritavo dopo ciò che avevo passato. Trovavo giusto dedicarmi a me ma è così che ho scoperto quella che era la mia grande passione era anche terapeutica. Mi sono sentita subito a casa, a mio agio, con la consapevolezza che era quello che mi piaceva.

Per la gioia di papà, che sin da piccola ti aveva educata al cinema?

Andare al cinema la domenica con mio padre e mio fratello era una tradizione: abbiamo visto molti film insieme. È grazie a mio padre che ho sviluppato la passione per la recitazione ma da qui a dirgli che volevo fare l’attrice c’è un bel passo. Questo mestiere è sempre stato visto nella mia famiglia come qualcosa di utopico: per i miei, la priorità era lo studio e la laurea in qualcosa tendenzialmente di canonico e di più certo. Non immaginavano il tipo di percorso che avrei intrapreso ma, dopo avermi vista lasciare Psicologia per Illustrazione e da illustratrice voler diventare attrice, si sono come rassegnati, “vediamo come va”. Più che essere d’accordo con la mia scelta, hanno sperato che andasse bene.

Anche perché, crescendo al Sud, la recitazione non viene quasi mai vista come un lavoro a tutti gli effetti.

Dire di voler fare l’attore equivale a dire di voler essere un saltimbanco, avere dei grilli per la testa e non essere delle persone serie. Si viene visti come qualcuno che non vuole studiare e non vuole impegnarsi.

E tuo fratello non è stato influenzato da quegli anni di cinema alla domenica?

No, ha seguito le orme di mio padre. Ha studiato Economia ed è rimasto molto più ancorato a terra. Ma non gli pesa mentre a me sarebbe pesato.

Elena Funari in Buongiorno, mamma!.
Elena Funari in Buongiorno, mamma!.

Restituisci l’immagine della ragazza molto autodeterminata. Quanta importanza dai al giudizio altrui? Ha influito sul tuo percorso e sulle tue scelte?

Mi faccio molto influenzare dal giudizio altrui e ne sento il peso ma cerco ogni volta di combatterlo: credo che sia inevitabile. Nel momento in cui vivi in un certo tipo di società e fai un lavoro come il mio, il giudizio è all’ordine del giorno: mettendo al servizio della professione, viso, corpo e voce, per interpretare e raccontare storie, si diventa personaggi pubblici ed è come se si legittimasse chiunque a giudicarti. Sono fortunati coloro che non soffrono il giudizio altrui, anche se diffido da chi dice che gli importa nulla (dovrebbe non vivere in una società che non include gli altri per essere vero). Checché se ne voglia dire, il giudizio degli altri conta, l’importante è però non farsi trasformare, confondere o deviare, mantenendo una propria integrità e un proprio modo di vedere le cose.

Sentivi il giudizio anche quando vivevi a Caserta?

Eh, sì. In una città piccola come Caserta, la mia famiglia era conosciuta perché aveva una concessionaria. Tutti conoscevano tutto di tutti e di conseguenza si doveva stare attenti a ciò che si faceva o si diceva.

Il personaggio di Lavinia in La stoccata vincente rappresenta il grande amore per la vita di Paolo. A cosa hai fatto appello per mettere in scena un sentimento così forte? A esperienze personali o a ragionamenti di testa?

Un po’ e un po’: dove non potevo arrivare con l’esperienza, arrivavo con il pensiero. Quando qualcosa non fa parte del mio vissuto o della mia persona, cerco sempre di concentrarmi, ragionare e capire. Ma mai di giudicare: se giudichi un personaggio o le sue azioni, rischi di far emergere il tuo pensiero e non le reali intenzioni o volontà del personaggio stesso.

A cosa ti fa pensare la parola “amore”? Che immagini ti fa passare davanti agli occhi?

Vedo immagini molto canoniche e tradizionali. Sono profondamente influenzata dalla mia esperienza personale: sono cresciuta con l’idea di una casa e di una famiglia… anche se nel mezzo ci sono migliaia di sfaccettature e sfumature diverse: ogni famiglia ha le proprie debolezze e fragilità. Al di là di ciò, l’amore implica per me comprensione profonda, accettazione dell’altro e sostegno.

Per motivi di studio hai lasciato Caserta per trasferirti a Roma. Com’è stato per te allontanarti da casa?

All’inizio abbastanza difficile. Nonostante io sia sempre stata molto indipendente, per nulla mammona, con il bisogno dei miei spazi e in grado di prendere da sola le mie scelte, mi faceva molta rabbia il dover andare via, lasciare i miei amici, i miei familiari e il fidanzato dell’epoca, per studiare. Perché non potevo farlo a casa mia? perché non potevo scegliere dove stare?

Superate le ovvie difficoltà iniziali, anche pratiche, ho imparato poi a costruirmi una casa altrove e ha crearmi una nuova rete di conoscenze, amici e situazioni. Si cresce e si accetta quello che è. Adesso Roma è casa mia e non posso che essere contenta.

Qual è stata la tua reazione quando ti hanno scritturata per il tuo primo ruolo?

Ero appena entrata al CSC quando mi hanno scelta per Buongiorno, mamma!. La mia prima scrittura è stata per un ruolo da protagonista e non potevo che esserne terrorizzata: non sapevo nemmeno come funzionasse il tutto. Dopo prima lettura dei copioni con il regista e con gli attori, ho anche chiesto se fosse tutto certo, facendomi prendere per matta dagli altri! Non riuscivo a crederci e avevo, ovviamente, molta tensione addosso.

Elena Funari.
Elena Funari.

Ti vedremo a breve in Enea, il film di Pietro Castellitto presentato al Festival di Venezia. È il tuo primo ruolo per il cinema: hai avvertito la differenza tra televisione e cinema?

Non ho avvertito il cambio di mezzo ma senti sempre la pressione del dover far bene, di salvarti la faccia. Il primo pensiero è sempre “io speriamo che me la cavo”. Poi ti ritrovi comunque, cinema o tv che sia, a fare il tuo lavoro: cambiano le direzioni e cambiano gli attori con cui reciti ma fondamentalmente il tuo lavoro rimane lo stesso. È sbagliato far differenze tra cinema e tv.

Diverse sono state negli anni le donne da cui sei stata diretta. Hai notato qualche differenza tra un regista e una regista? Un cliché sottolinea sempre come le donne abbiano maggior sensibilità rispetto agli uomini.

No, nessuna differenza. Quando rivesti il ruolo di regista, non c’è spazio per essere donna o per essere uomo: devi portare avanti la nave e, per farlo, occorre fermezza. Le uniche differenze che posso aver notato dipendono dalle personalità: la sensibilità non è legata al genere ma varia da persona a persona e dal suo approccio al metodo. Non sopporto molto quando si parla ad esempio di cinema al femminile: è un concetto del tutto sbagliato e senza senso.

Delle attrici, si dice spesso che recitino anche grazie al fatto di esser belle. Che importanza dai alla bellezza?

A volte, ne sento il peso. Mi hanno talvolta persino spinta a chiedermi se venissi scelta solo perché bella… di certo, l’aspetto aiuta tantissimo ma è sconcertante quanto la bellezza faccia cambiare anche la percezione degli altri nei tuoi confronti. Cambia il modo in cui ti si avvicinano ed è una cosa orribile, anche se intrinseca nell’essere umano.

Ci sono stati dei periodi in cui ho rinnegato ogni tipo di vanità, come se dovessi dimostrare a tutti i costi di essere anche intelligente, non solo bella ma anche brava. Ma adesso sto lavorando sul fatto che non c’è nulla di male nell’avere un minimo di sana vanità: la bellezza è un dono, una fortuna che ti è capitata e va accettata.

Che significa per te avere intelligenza?

Vuol dire prima di tutto avere un’intelligenza emotiva, fatta di comprensione del mondo e di empatia nei confronti degli altri. È da troppo tempo che manchiamo di empatia… ho visto di recente Io capitano di Matteo Garrone, un bellissimo film che mi ha però fatto stare molto male. Mostra una realtà che esiste ma che fingiamo che non ci appartenga. Non sapremo o capiremo mai cosa significa ciò che vivono gli immigrati ma mi ha fatto piacere vedere un protagonista puro, non ancora corrotto da un mondo cinico e distruttivo: è semplicemente un ragazzo che vuole salvare non solo se stesso ma anche le persone intorno a lui con un’attenzione diversa rispetto alla nostra.

Io stessa cerco di distaccarmi in maniera molto cinica e vigliacca da certe realtà. Ma lo faccio per il senso di impotenza che avverto verso determinate situazioni. Mi distruggono e aumentano la mia sfiducia: il distaccarmi mi salva dal senso di impotenza che provo e dal dolore. Vorrei tanto essere utile ma non so come e quanto.

Tornando al film di Rai 1, quale potrebbe essere la stoccata vincente di Elena Funari?

Spero di trovarla nelle piccole cose. Vorrei essere in pace con me stessa per vivermi questo lavoro che è complesso e pieno di alti e di bassi, di pieni e di vuoti, con serenità. Sarebbe quella la mia stoccata vincente!

Come vivi i momenti di vuoto?

Sono complicati ma provo a gestirli senza lasciarmi sopraffare. A volte, cerco di fuggire dall’esigenza di dover per forza fare qualcosa nei momenti di vuoto: così facendo, mi ci abituo e capisco che in fondo non sono poi così male.

Ti vedremo presto nella serie tv I bastardi di Pizzofalcone 4, sempre su Rai 1. Cosa ci accenni?

Sarò alle prese con un personaggio abbastanza ambiguo, una donna molto ricca di Posillipo, un po’ femme fatale, che ha sicuramente dei segreti da custodire.

La stoccata vincente: Le foto del film

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Adolfo Franzo'
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