Entertainment

Eleonora Fiorini: “La mia passione per le storie” – Intervista alla sceneggiatrice di Fabbricante di lacrime

eleonora fiorini fabbricante di lacrime
Regina della serialità televisiva italiana, Eleonora Fiorini è anche la sceneggiatrice di Fabbricante di lacrime, il film Netflix tratto dal fenomeno letterario di Erin Doom. L’abbiamo intervistata in esclusiva.
 

Nell'intricato universo della sceneggiatura italiana, tra trame che intrecciano destini e cuori, emerge la figura di Eleonora Fiorini, che firma anche Fabbricante di lacrime, il film su Netflix dal 4 aprile. Un talento poliedrico quello di Eleonora Fiorini, la cui passione trascende il convenzionale e si arricchisce di curiosità scientifiche. La sua voce, al telefono, sorprende per la spontaneità e l'umorismo: "Sappi che stai per intervistare un muratore", dice scherzando, svelando subito dopo la sua vera natura, quella di un'appassionata di scienza, una lettrice vorace di pubblicazioni scientifiche, con una sola eccezione narrativa che ammette di aver fatto per Erin Doom.

Lontana dai cliché, Eleonora Fiorini ha saputo reinventarsi come regina indiscussa del melodramma televisivo italiano, dando vita a due fenomeni del piccolo schermo: Un posto al sole e CentoVetrine, quest'ultimo ancora capace di incantare le notti degli italiani su La5. Ma il percorso di Eleonora Fiorini non si ferma qui: oggi la ritroviamo sceneggiatrice di uno dei film più attesi su Netflix, Fabbricante di lacrime, un progetto che testimonia la sua continua evoluzione e la capacità di adattarsi, senza mai perdere di vista l'amore per la scrittura, il cinema, e, soprattutto, per le storie che sa raccontare con maestria.

In questa intervista esclusiva, ci addentreremo nella vita professionale e personale di Eleonora Fiorini, scoprendo il suo approccio unico alla sceneggiatura, le sfide del mestiere, e il suo sogno inconfessato: quello di avvicinarsi al mondo del documentario. Un viaggio nell'arte di raccontare storie, attraverso gli occhi di chi ha fatto della scrittura non solo una carriera, ma una vera passione.

Eleonora Fiorini (foto: Giulia Palladino; Press: Lorella Di Carlo).
Eleonora Fiorini (foto: Giulia Palladino; Press: Lorella Di Carlo).

Intervista esclusiva a Eleonora Fiorini

“Sappi che stai per intervistare un muratore, sappilo”, scherza Eleonora Fiorini quando la raggiungo telefonicamente mentre è intenta in un’operazione di bricolage. “Da sempre, le cose pratiche sono il mio forte, così come la medicina o, comunque, tutto ciò che riguarda la scienza: sono un’appassionata. Non leggo romanzi, a eccezione di quello di Erin Doom, ma pubblicazioni scientifiche!”.

E che Eleonora Fiorini non sia un’appassionata di romanzi soprattutto d’amore è già una notizia. Anche perché è considerata quasi la regina del melodramma all’italiana per aver dato vita a due soap, di cui una ancora in onda: Un posto al sole e Centovetrine. Ed è proprio dalla seconda che partiamo per un dato incontrovertibile: in replica di notte su La5, fa segnare dati d’ascolto che sono incredibili, segno che la gente ama ancora i protagonisti e le storie di quel centro commerciale catodico. “Vanno in onda continuamente delle repliche. E me ne rendo conto dagli introiti che arrivano dalla SIAE! Nonostante non ci lavorassi ormai più da tempo, è stato per me un colpo quando è stata chiusa”.

CentoVetrine dava identità alla rete. E aveva dietro un lavoro di scrittura incredibile. Oggi tutti guardano le serie tv su Netflix o su altre piattaforme non rendendosi conto di come la maggior parte altro non siano che delle soap: tutte a linea orizzontale e potenzialmente infinite. Sono delle soap vere e proprie, sebbene abbiano oggi un approfondimento maggiore dei personaggi e tematiche più forti da allora. Eppure, per la soap c’era e forse c’è il pregiudizio che siano dei prodotti di serie B”.

Ti ritroviamo oggi sceneggiatrice di uno dei film più attesi di questo inizio 2024 su Netflix, Fabbricante di lacrime. A guardare il tuo curriculum, fatto di tantissime serie tv, sembra una bella anomalia.

In realtà, non lo è più di tanto perché, comunque, nasco dal cinema. Ho iniziato a muovermi sui set, facendo la gavetta e imparando tutto ciò che si poteva. Per molti anni, ho fatto la segretaria di edizione, un lavoro che mi ha permesso di imparare molto sulle sceneggiature perché ero costantemente presente e vedevo gli attori recitare. Come tutti, ho poi voluto fare cinema e ho realizzato due film con Felice Farina, un autore che è scomparso con grande dolore lo scorso anno: lo considero un altro mio grande maestro, con cui ho condiviso set, letture scientifiche e una grande amicizia.

Le nostre strade si sono all’epoca divise perché venni chiamata a contribuire alla nascita di Un posto al sole, pur non avendo mai visto una soap in vita mia! Tra l’altro, fui scelta dopo essere stata sottoposta a un test, anche molto difficile: nessuna raccomandazione alle spalle. Una volta arrivata a Napoli, mi diedero anche un ruolo ben definito sin da subito: le prime cinque puntate da scrivere entro il fine settimana. Andò fortunatamente bene e sono rimasta per un po’ di anni nei panni di capo script editor.

E con la serialità televisiva hai continuato e continui a lavorare. Come è entrato Fabbricante di lacrime in questo percorso?

Qualche tempo fa, con Colorado, la casa di produzione del film, ho realizzato Il mercante di fiori, con Diego Cugia, altro genio incompreso con cui oggi ho un rapporto di grande amicizia. Credo che siano rimasti colpiti dalla mia capacità di relazionarmi con pagine e pagine di romanzi e dalla mia attitudine al lavoro di gruppo, alla coesione e alla motivazione: sto sempre molto bene in team…

Ovviamente, nulla è avvenuto a scatola chiusa: mi sono stati fatti un bel po’ di colloqui e mi sono trovata molto in sintonia con Paola Boschi, colei che invece rappresenta Rainbow, l’altra casa di produzione del film di proprietà di Iginio Straffi, che conosce molto bene il mondo dei giovani per essere uno dei maestri dell’animazione italiana (per chi non lo sapesse, è il papà delle WinX, ndr).

Intorno alla produzione di Fabbricante di lacrime, c’era un clima di grande euforia sin da subito, anche per via del successo del libro. Non posso però dire di aver scritto da sola la sceneggiatura perché mentirei: è stato un lavoro collettivo a cui ho dato sì il mio apporto come sceneggiatrice e strutturalista ma molto hanno fatto anche gli altri, a partire dal regista, Alessandro Genovesi.

Adattare un romanzo significa però scegliere cosa scartare e cosa invece mantenere…

Ci vuole intuito per fare un buon lavoro e permettere di vedere, capire, comprendere e assimilare la storia del film anche a chi non conosce il romanzo o non l’ha mai letto. Non esiste un metodo di lavoro standard: ogni romanzo è ad esempio un caso a sé. Oltre al Fabbricante di sogni e al Mercante di fiori, ho ad esempio curato l’adattamento di Storia di una famiglia perbene, la serie tv di Canale 5 con Simona Cavallari e Giuseppe Zeno di cui sono appena terminate le riprese della seconda stagione, e Le onde del passato, una nuova serie tv con Anna Valle e Giorgio Marchesi le cui riprese sono in corso. E tutti e quattro i romanzi da cui hanno tratto origine sono stati trattati in maniera differente.

Chiaramente, si parte dal libro e dalla sua lettura. Si tratta innanzitutto di capire qual è il senso profondo del testo e qual è il tema di fondo. Ho una certa tendenza psicoanalitica e il Fabbricante di lacrime in tal senso non si è rivelato un testo molto complesso perché è di per sé molto psicoanalitico. Ma, trattandosi pur sempre del lavoro di un’altra persona, dovevo capire cosa volesse raccontare e cosa ci fosse nella sua testa: la sua energia deve arrivare anche a me… per certi versi, è come se lavorassimo insieme e io non mi sentissi sola. In più, essendo quello il frutto del lavoro di un’altra persona che ci ha creduto fino in fondo, non può che esserci profondo rispetto per la sua idea.

Dopo averne trovato il senso, ho cercato di dargli la mia interpretazione, soprattutto nella parte finale. Senza spoilerare nulla, posso dire di averci messo del mio in quella che è la morale della favola portando parte della mia interiorità.

Io ed Erin Doom non ci siamo mai conosciute ma, attraverso il suo lavoro, è come se l’avessi incontrata. Il suo romanzo mi ha restituito grande energia giovanile: nel leggerlo, mi sono divertita… mi piaceva ad esempio leggerlo perché risvegliava in me dei sentimenti da ragazza, anche romantici, diversi da quelli che possiamo avere noi adulti, spesso disincantati sull’amore e sui sentimenti. Sullo scegliere cosa mantenere o meno nel film, la sceneggiatura è stata strutturata sugli step della progressione della storia d’amore tra i due protagonisti.

Scremare gli elementi non è stato facile ma si è provato a rimanere molto fedeli allo spirito del libro per non scontentare soprattutto coloro che lo hanno amato. Ed è per loro che spero di aver fatto un buon lavoro: mi auguro che riconoscano nel film ciò che di più forte c’era anche nel libro. Ovviamente, qualche elemento è stato anticipato per questioni cinematografiche ma dietro c’è stato uno sforzo certosino oltre che rispettoso del materiale originale di partenza.

Cosa hai portato di tuo?

C’è una mia riflessione sulla vera problematica di Rigel ma di più non posso spoilerare (ride, ndr)! Credo di avere apportato uno sguardo interessante sulla psicanalisi, contribuendo allo sdoganamento in atto di certi temi. Ma, ripeto, già alla base il romanzo era molto psicanalitico parlando della paura dell’altro, della differenza tra male e bene e dell’aspirazione di Nica a non essere più la “bambina brutta e sporca dell’orfanotrofio”. Nica e Rigel si definiscono già nel trailer due ragazzi interrotti, diversi, unici, con un dolore che gli altri non possono capire.

Fabbricante di lacrime avrebbe potuto benissimo dar vita a una serie tv per tutti gli spunti che conteneva. Discorso opposto invece potremmo fare per Storia di una famiglia perbene, che al di là del film non sarebbe potuto andare se in fase di sceneggiatura non fossero intervenute altre idee…

Insieme a Mauro Casiraghi, la persona con cui collaboro maggiormente, abbiamo preso il libro di Rosa Ventrella come spunto da cui partire e, in accordo con l’autrice, abbiamo quasi reinventato di sana pianta una parte di storia che nel suo romanzo era solo accennata.

Come si fa a scrivere una seconda stagione di una serie per cui il racconto si era chiuso nella prima?

È la fatica maggiore con cui mi scontro… è accaduto per esempio per Luce dei tuoi occhi 2 ma anche per Storia di una famiglia perbene 2. La prima stagione è di sicuro la più bella da scrivere perché mossa da una motivazione interna diversa: c’è l’idea nuova a cui dar vita e personaggi da creare a cui affezionarsi. Per la seconda stagione, l’input è diverso: quale significato dare alla storia? Il concept che avevi in mente è stato già sviluppato nell’arco della prima stagione ma da quello devi ripartire, immaginando conseguenze nuove e ritrovando psicologie che nel frattempo avevi lasciato.

I racconti poi si evolvono man mano che lii scrivi: l’illuminazione può venire anche strada facendo. Nel caso di Luce dei tuoi occhi, in un primo momento avrei voluto raccontare la storia di una ragazza diversa per puntata ma poi la sfida è diventata un’altra, quella di Anna Valle che deve ritrovare la figlia persa. Per continuare con la seconda stagione, la figlia ritrovata non era la sua e il racconto si è riaperto. Per la terza, invece, c’è altra carne al fuoco e spero che si possa realizzare per davvero, anche perché sono affezionata ai personaggi e agli attori.

Beh, Anna Valle è protagonista anche di Le onde del passato, prodotta sempre da Banijay.

A dimostrazione di come ogni storia nasca diversamente, anche questa sceneggiatura proviene da un romanzo ma non dalla sua storia principale, che a me ricordava un’altra a cui avevo lavorato. Abbiamo allora mantenuto il contesto dando vita alla storia di due amiche che conservano qualcosa del libro di partenza. Ma è venuto fuori tutto istintivamente nel momento in cui ho cominciato a scrivere la prima scena, dove ho voluto che fosse già presente un mistero.

Ma, come in tutte le storie che scrivo, mi piace mantenere un ottimismo di fondo, una speranza: in fondo al tunnel, deve esserci sempre la luce. Non potrei mai scrivere storie senza una salvezza finale o senza che i personaggi ritrovino se stessi, senza nulla di cupo. Nel caso di Le onde del passato c’è anche un bel messaggio finale affidato a un personaggio secondario: bisogna parlare e non tenersi dentro i traumi.

Fabbricante di lacrime: Le foto

1 / 16
1/16
2/16
3/16
4/16
5/16
6/16
7/16
8/16
9/16
10/16
11/16
12/16
13/16
14/16
15/16
Netflix / Loris T. Zambelli
16/16
PREV
NEXT

Per scrivere una storia ed evitare incongruenze, quanto lavoro di ricerca occorre?

Dipende dalle storie. Per Questa è la mia terra, serie tv per Canale 5 di qualche anno fa che ho amato scrivere e su cui Massimo Del Frate ha creduto molto, c’è stato un lavoro che è durato anche sei mesi: parlando della bonifica dell’agro pontino, c’è stata dietro una ricerca meticolosissima antecedente alla scrittura. Per altre storie, invece, la ricerca diventa ricerca del dettaglio: se scrivo una storia con protagonista un avvocato o un medico, la ricerca è in contemporanea.

Come è accaduto ad esempio nel caso di Libera, una serie tv prodotta da 11 marzo che vedremo prossimamente su Rai 1 con Lunetta Savino nei panni di una donna magistrato. Scritta anche questa con Mauro Casiraghi, ci siamo avvalsi della consulenza del giudice Giacomo Ebner, autore del libro Dodici qualità per sopravvivere in tribunale. È un racconto molto interessante di una magistrata integerrima che si è fatta strada in un mondo tipicamente maschile e che forma una strana coppia con l’outsider Matteo Martari, un avanzo di galera dall’indole molto buona.

Quando scrivi le storie hai in mente gli attori che le interpreteranno?

A volte capita di sì. Nel caso di Anna Valle o Lunetta Savino, sapevo già che sarebbero state loro e, quindi, i personaggi sono stati settati appositamente. Non sempre però chi immaginiamo o sappiamo si trasforma nell’interprete definitivo: quando cambia un nome, tutto il lavoro passa sulle nostre teste. Tornando a Libera, quando abbiamo saputo di Martari, abbiamo riadattato il personaggio a lui, riscrivendone dei tratti. Ecco perché sostengo che è un errore escludere gli sceneggiatori, com’è costume in Italia, dalle fasi successive della realizzazione di un prodotto: non fa bene al risultato finale. Uno sceneggiatore può intervenire in corso d’opera: chi meglio di lui sa come sono nati i personaggi?

In tal senso, devo citare Giulio Manfredonia, un regista illuminato con cui è stato un piacere lavorare in tandem: è stato arricchente per tutti. Non tutti i produttori sono come Del Frate che ci ha permesso di essere sul set: purtroppo, la televisione è spesso legata alla fretta e ai soldi… servirebbero dunque regole più rigide a riguardo e contratti più precisi proprio a tutela della figura dello sceneggiatore, del cui lavoro potrebbe avvantaggiarsi tutta la produzione.

Parlavi di serie mediche. A una hai lavorato: La dottoressa Giò con Barbara d’Urso.

Una serie per cui mi sono divertita tantissimo e in cui ho potuto trattare un argomento che mi piaceva. Tra l’altro, non è andata così male come dicono: i dati di ascolto che ha avuto sarebbero oro colato in un panorama televisivo come quello attuale. Con me, c’era anche Cristiana Farina (sceneggiatrice delle prime quattro stagioni di Mare fuori, ndr): ci siamo divertite come pazze.

Il mio sogno ora è quello di fare una serie sulla genetica: ho un progetto che mi porto avanti sin dal 2001 da quando hanno clonato la pecora Dolly… mi dicono che non funzionerebbe ma chi può averne la certezza? Sulla carta, anche Storia di una famiglia perbene rischiava di non funzionare perché lontana dai canoni di oggi, eppure siamo alla seconda stagione: non possiamo saperlo fino a quando un produttore non ci crede ma, purtroppo, nessuno è più disposto a sperimentare per questioni di budget.

Anche le tv preferiscono puntare su altro per questioni di budget: Terra amara, per esempio.

Mamma, li turchi! (ride, ndr). Tanto valeva lasciare CentoVetrine: era almeno più moderna. Chiaramente, fin quando i benefici saranno maggiori dei costi, le turcate avranno vita lunga ma di mio mi auguro se ne esca presto. Da questo punto di vista, va dato adito alla Rai di aver continuato a investire e a spaziare sui generi proponendo racconti che possono accontentare pubblici differenti.

Eppure, nella tua vita mai avresti detto di voler diventare un giorno sceneggiatrice…

Il mio sogno era quello di fare il medico o l’infermiera: mi ci sono ritrovata a fare questo lavoro, per caso e per necessità. Mi diverte scrivere ma non credo di stare facendo qualcosa di importante per l’umanità. Mi rendo conto di essere una privilegiata e, forse proprio per questo, quando scrivo cerco di dare dei messaggi utili a salvare almeno lo spirito. Amo lavorare in team e sono curiosa, ragione per cui mi sto avvicinando al mondo del documentario: mi piacerebbe un giorno dare spazio alla mia indole da osservatrice della realtà.

Nelle fiction è complicato farlo, c’è sempre il rischio di annoiare il pubblico, ma non è detto che prima o poi non mi cimenti con il documentario… lo scrittore sta sempre chiuso nel proprio mondo per tirar fuori qualcosa di nuovo da sé ma per una volta mi piacerebbe che qualcosa nascesse dall’esterno: non mi piace raccontare me ma gli altri.

Ma mi piacerebbe dare adito anche al mio lato più cinico o alle cose più “maschili” che mi piacciono e non solo ai melodrammi o ai gialli per cui mi chiamano (ride, ndr). Il mio primo cortometraggio era di un cinismo incredibile, un piccolo horror…

Eleonora Fiorini (foto: Giulia Palladino; Press: Lorella Di Carlo).
Eleonora Fiorini (foto: Giulia Palladino; Press: Lorella Di Carlo).
Riproduzione riservata